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"Inverosimile" l'obbligo di esternalizzare i servizi pubblici locali (a rilevanza economica)
di Giosuè Nicoletti 21 marzo 2011
Materia: servizi pubblici / disciplina

 

E’ convinzione comune che la forma di gestione cosiddetta “in economia” sia esclusa per i servizi a rilevanza economica, stante la “ tipizzazione “ delle forme stesse così come indicate nell’articolo 23 bis del d.l. 112/08, mentre potrebbe esserlo per i servizi privi di rilevanza economica se la legge regionale od i regolamenti comunali lo prevedono.

Una recente sentenza del Consiglio di Stato (sezione V 26 gennaio 2011 n. 552) ribalta questa convinzione affermando testualmente che appartiene, in realtà, alla dimensione dell’inverosimile immaginare che un comune di non eccessiva grandezza non possa gestire direttamente un servizio come quello dell’illuminazione votiva cimiteriale, esigente solo l’impegno periodico di una persona e la spesa annua di qualche migliaio di euro, laddove l’esborso sarebbe notoriamente ben maggiore solo per potersi procedere a tutte le formalità necessarie per la regolare indizione di una gara pubblica

 Il fatto da cui ha preso origine la decisione del Consiglio di Stato riguarda la deliberazione di un Comune di 5000 abitanti ( San Clemente in provincia di Rimini) relativa alla gestione del servizio lampade votive sicuramente da considerare servizio pubblico a rilevanza economica ( vedi: Consiglio di Stato 1600 e 6049 /2008 e da ultimo: TAR  LOMBARDIA 11.2.2011 N° 450)

 Il Comune in parola aveva affidato in concessione a società privata questo servizio, ma alla scadenza aveva deliberato di gestirlo in economia trovandosi un dipendente in esubero. La Società cessante che aspirava a continuare nella gestione del servizio, aveva impugnato presso il TAR il provvedimento comunale chiedendono l’annullamento in relazione alla violazione della tipizzazione delle gestioni sopra accennata e per difetto di motivazione ed alla violazione dei principi del giusto procedimento e del buon andamento dell’amministrazione. Il TAR Emilia Romagna ( sentenza “breve” 460 del 29.01.2010 ) ha accolto il ricorso così motivando “”l’articolo 113 TUEL nella sua attuale formulazione vigente nella parte non in contrasto con l’art.23 bis del DL 112/08 non prevede l’affidamento diretto come modalità di gestione di un servizio pubblico a rilevanza economica quale è quello di cui si tratta nella presente vicenda

 

Come accennato, detta sentenza è stata annullata dal Consiglio di Stato il quale ha colto l’occasione per ricordare la distinzione fra gestione diretta sempre praticabile dall’ente locale, soprattutto quando si tratti di attività di modesto impegno finanziario, come nella specie: poche migliaia di euro all’anno ed affidamento diretto, postulante la scelta di attribuire la gestione di un servizio all’esterno del comune interessato, il che non può accadere se non mediante gara ad evidenza pubblica.

Infatti, nessuna norma obbliga i comuni ad affidare all’esterno determinati servizi (illuminazione pubblica, centri assistenziali, case di accoglienza, case di riposo, case famiglia, assistenza domiciliare per anziani ed handicappati, asili nido, mense scolastiche, scuola-bus, biblioteche, impianti sportivi: tutti servizi che, notoriamente, gran parte dei comuni italiani gestiscono direttamente, senza appaltarli a privati), ove preferiscano amministrarli in via diretta e magari in economia, mentre, nel caso di una differente scelta, il discusso conferimento a terzi deve avvenire tramite gara rispettosa del regime comunitario di libera concorrenza.

Né si vede per quali motivi un ente locale debba rintracciare un’esplicita norma positiva per poter fornire direttamente ai propri cittadini un servizio tipicamente appartenente al novero di quelli per cui esso viene istituito; nella specie, la disciplina legislativa sopra richiamata non contiene alcun divieto esplicito né implicito in tal senso.

 

 Con la gestione diretta non vi sarebbe,quindi, violazione del principio di concorrenzialità e contrasto con normative comunitarie o nazionali. Il Comune interessato ha accolto con grande soddisfazione la sentenza del Consiglio di Stato : il Sindaco rilevando come il Comune abbia seguito i dettami della buona amministrazione (utilizzazione, come accennato, di una unità lavorativa in esubero) ha lamentato nel contempo di non aver ottenuto il risarcimento delle spese sostenute che sono state compensate (una giustizia quindi a metà).

 

La sentenza è di grande interesse per le “aperture” che essa offre, anche se restano alcuni problemi aperti:

 

a)         quali siano le dimensioni comunali oltre le quali è da presupporre intervenga l’obbligo della gara o dell’affidamento in house (che è affidamento esterno e per questi motivi sarebbe più opportuno denominarla gestione quasi in house) Il Comune di San Clemente non può dirsi “piccolo”ove  si consideri che i comuni al di sotto dei 5000 abitanti sono 5700 (circa il 70% del totale). Se si prendesse come esempio la dimensione del comune oggetto della decisione in commento, due comuni su tre sarebbero sotto “soglia”;

b)         quale l’entità dell’impegno finanziario da considerare: un riferimento potrebbe essere quello contenuto nell’articolo del DPR 168/10 (Regolamento esecutivo articolo 23 bis) di un valore economico (fatturato o ricavi d’esercizio) pari o superiore ai 200.000 € all’anno. Ma anche questo è un elemento di rilevante incertezza.

c)         La sentenza della Corte costituzionale 17 novembre 2010 n°325 ha riconosciuto la legittimità costituzionale dell’articolo 23 bis considerando che la disciplina nazionale rappresenta uno sviluppo del diverso principio generale costituito dal divieto della gestione diretta da parte dell’ente locale, divieto introdotto dai (non censurati) articolo 35 legge 448/2001 e articolo 14 decreto legge 269/2003 convertito nella legge 2003. Se ne può desumere che l’Unione europea consente ma non impone di prevedere la gestione diretta dei SPL, ma gli Stati nazionali possono vietarla accogliendo una linea più apertamente “concorrenziale”.

d)        L’articolo 2 del Regolamento DPR 168/10 prevede che, indipendentemente dalla scelta tra gestione diretta e affidamento a terzi, gli enti locali debbono verificare la realizzabilità di una gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali limitando l’attribuzione di diritti di esclusiva ai casi in cui in base ad una analisi economica la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità. Ciò risponde al principio di “liberalizzazione” del servizio o come si suol dire della concorrenza “nel” mercato anziché della concorrenza “per” il mercato Per le lampade votive è problematico sostenere la opportunità di duplicare le reti all’interno dei cimiteri e quindi si tratta di un sia pur piccolo “monopolio naturale”, per altri servizi (penso agli impianti sportivi) potrebbe ricorrere l’ipotesi di cui al richiamato articolo 2, del Regolamento, indipendentemente ripeto dalla scelta della forma di gestione.

 

Qualche certezza sussiste: la gestione in economia non può essere ammessa per il servizio distribuzione gas in base a quanto stabilito dall’articolo 15 del decreto legislativo 164/00 né per la distribuzione di energia elettrica mentre può considerarsi ammissibile per la gestione delle farmacie comunali stante la legislazione di settore.

Parimenti ammissibile la gestione in economia per i servizi strumentali di cui all’articolo 13 del dl 223/206 e s.m. (cosiddetto “Bersani”) oltre (ovviamente) per i servizi privi di rilevanza economica.

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