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I compensi degli amministratori (organo di controllo, dirigenti e dipendenti) di società pubbliche: il Governo Draghi avvia l’iter finale per l’approvazione del Regolamento
di Roberto Camporesi 14 giugno 2022
Materia: società / amministratori

I compensi degli amministratori (organo di controllo, dirigenti e dipendenti) di società pubbliche: il Governo Draghi avvia l’iter finale per l’approvazione del Regolamento

Dott. Roberto Camporesi

 

Gli organi di stampa hanno diffuso la notizia che il Governo Draghi ha avviato l’iter conclusivo per l’approvazione del regolamento sulla determinazione dei limiti dei compensi massimi previsto dall’art. 11 comma 6 del Tuspp. La relazione illustrativa, che circolò qualche anno fa - unitamente alla bozza di Regolamento - lo definì “decreto fasce”.

Sembra giunta alla fine la storia infinita sui limiti dei compensi degli amministratori delle società a controllo pubblico, (frase già utilizzata in un precedente lavoro pubblicato sull’argomento dei compensi) a circa sei anni dalla approvazione del TUSPP. Il periodo di vacatio, imposto dall’assenza dal decreto, ha di fatto consolidato un regime transitorio che, se un effetto sicuramente ha prodotto, è stato quello di depauperare di capacità manageriale le società pubbliche a causa dei risibili compensi riconoscibili. Ciò non ha fatto certamente bene alle società a partecipazione pubbliche e neppure ai soci pubbliche amministrazioni; soprattutto questi ultimi, intenti nei piani di razionalizzazione delle proprie partecipate, sapevano di non potere disporre di manager motivati e disposti ad assumersi le necessarie responsabilità, che la carica richiede, nel momento di attivazione di operazioni straordinarie necessarie proprio per attuare i predetti piani di razionalizzazione.

 Si ricorda che la disciplina dei compensi degli amministratori delle società a controllo pubblico è contenuta nelle seguenti disposizioni di cui all’art. 11 del TUSPP. Disciplina che si caratterizza per una norma a regime ed una a contenuto transitorio:

-          Norma a regime: comma 6 “Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze […], previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, per le società in controllo pubblico sono definiti indicatori dimensionali quantitativi e qualitativi al fine di individuare fino a cinque fasce per la classificazione delle suddette società. Per le società controllate dalle regioni o dagli enti locali, il decreto di cui al primo periodo è adottato previa intesa in Conferenza unificata ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo 28 Agosto 1997, n. 281. Per ciascuna fascia è determinato, in proporzione, il limite dei compensi massimi al quale gli organi di dette società devono fare riferimento, secondo criteri oggettivi e trasparenti, per la determinazione del trattamento economico annuo omnicomprensivo da corrispondere agli amministratori, ai titolari e componenti dell'organo di controllo, ai dirigenti e ai dipendenti, che non potrà comunque eccedere il limite massimo di euro 240.000 annui al lordo dei contributi previdenziali e assistenziali e degli oneri fiscali a carico del beneficiario, tenuto conto anche dei compensi corrisposti da altre pubbliche amministrazioni o da altre società a controllo pubblico. Le stesse società verificano il rispetto del limite massimo del trattamento economico annuo onnicomprensivo dei propri amministratori e dipendenti fissato con il suddetto decreto. Sono in ogni caso fatte salve le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono limiti ai compensi inferiori a quelli previsti dal decreto di cui al presente comma. Il decreto stabilisce altresì i criteri di determinazione della parte variabile della remunerazione, commisurata ai risultati di bilancio raggiunti dalla società nel corso dell'esercizio precedente. In caso di risultati negativi attribuibili alla responsabilità dell'amministratore, la parte variabile non può essere corrisposta.”;

-          Norma transitoria: comma 7: “Fino all'emanazione del decreto di cui al comma 6 restano in vigore le disposizioni di cui all'articolo 4, comma 4, secondo periodo, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, e successive modificazioni, e al decreto del ministero dell'Economia del 24 dicembre 2013, n. 166.”

1. Il regime transitorio che cesserà con l’entrata in vigore del decreto

La norma richiamata dal comma 7, contenuta in ciò che residua dell’art. 4, dopo le abrogazioni operate dal TUSPP, dispone: ”4. (primo periodo abrogato dal d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175). “A decorrere dal 1º gennaio 2015, il costo annuale sostenuto per i compensi degli amministratori di tali società, ivi compresa la remunerazione di quelli investiti di particolari cariche, non può superare l'80 per cento del costo complessivamente sostenuto nell'anno 2013”. (ultimo periodo abrogato dal d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175). 

La mancata approvazione del decreto ha quindi reso applicabile la norma transitoria che, tuttavia, non può essere interpretata secondo il proprio tenore letterale perché non è dato sapere, dopo l’abrogazione dei commi precedenti e degli stessi periodi contenuti nel comma 4, quali siano “tali società”. In tale incertezza, e considerato che si sta trattando di norme eccezionali e derogatorie del Codice civile, ci si è chiesto se si potesse fare ricorso ai principi generali del codice civile, ovvero di quelli del comma 6 dell’art. 11, ai quali si devono informare gli uffici ministeriali per il relativo decreto.

In tale confusione si sono affacciate più tesi interpretative, le quali, chi più chi meno, hanno effettuato esegesi di tipo teleologico. Le sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti si sono più volte pronunciate al riguardo. In ordine di tempo le ultime deliberazioni delle Corti regionali sono state: (i)  Sardegna con la Deliberazione n. 20/2018/PAR  - che conferma le tesi più rigorose e restrittive -  e (ii) Veneto con la Deliberazione n. 31/2018/PAR che invece si pone in modo più dialettico sulla relazione fra norme pubblicistiche e quelle codicistiche, quando non vi è il riferimento al costo sostenuto al 2013, introducendo concetti quali verifica della “spesa strettamente necessaria” e “ in ogni caso, del canone guida di «utilità e ragionevolezza» che deve ispirare ogni spesa di enti statali e locali e dal quale non può esimersi la determinazione dei compensi degli amministratori pagati con risorse pubbliche   

Gli orientamenti delle più risalenti sezioni di controllo della Corte dei Conti si sono basati su questi principi:

-          Il calcolo del limite dei compensi viene effettuato su ogni singola società;

-          Il compenso è omnicomprensivo e comprende anche gli speciali incarichi di cui all’art. 2389 cod. civ. (diversamente da come si interpreta la norma secondo la giurisprudenza commerciale che considera gli speciali incarichi come attività da remunerare al di fuori del rapporto di amministratore);

-          L’indennità di risultato che spetta solo nel caso di produzione di utili e in misura, comunque, non superiore al doppio del compenso omnicomprensivo di cui al primo periodo (si veda infra unico precedente della sezione giurisdizionale della Corte dei Conti che afferma il contrario)

Seguendo quindi i principi assunti dalla Corte dei Conti emerge che, nel regime transitorio, il soggetto sul quale calcolare il limite è la società che da l’incarico di amministratore o meglio la società che sostiene il costo infatti:

o   Va determinato preventivamente il costo complessivamente sostenuto nel 2013. Per costo sostenuto deve considerarsi il componente negativo di reddito risultante dal conto economico del bilancio di esercizio 2013 (manifestazione economica) nonché l’effettiva corresponsione del compenso (manifestazione numeraria). Per quanto attiene la manifestazione numeraria questa va comunque considerata come condizione che si è avverata, anche se verificatasi dopo la chiusura dell’esercizio nel quale è stato imputato il costo; così come spesso accade;

o   Va assunto il valore per il compenso determinato dall’assemblea dei soci. Il valore è “omnicomprensivo”. L’orientamento della Corte fa riferimento a ogni voce di compenso (remunerazione per la carica sia esso fisso o variabile nella misura in cui può essere determinato un compenso di risultato). L’accezione pubblicistica induce a ritenere che esso equivalga al “limite di spesa” sostenibile e quindi debba contenere anche oneri impliciti (contributi ecc.) la cui somma non potrà superare detto limite. Sembrerebbero esclusi i rimborsi per le spese sostenute per l’esercizio della carica. Si dovrebbe trattare di un valore c.d. “lordo”, nel senso che la società non potrà superare tale valore di spesa a prescindere dal diverso titolo afferente il compenso (in questo senso l’art. 11 comma 6 quando, tuttavia, fa riferimento al tetto massimo di euro 240.000,00);

o    Determinato tale valore “complessivo” va confrontato con il costo per il compenso dell’amministratore deliberato dall’assemblea dei soci, ovvero quell’importo che si è tramutato nel costo complessivamente sostenuto nell’esercizio per i compensi degli amministratori.

Anche il Mef, con l’Orientamento ai sensi dell’art. 15, comma 2, del D.lgs. n. 175/2016 (avente ad oggetto: Il rispetto del limite ai compensi degli amministratori, individuato dall’art. 11, comma 7, del D. Lgs. 19 agosto 2016, n. 175) conclude: “La tassatività del vincolo indicato dall’art. 4, comma 4, del D.L. n. 95/2012, è peraltro ribadita da diverse deliberazioni delle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti (tra le altre, deliberazione della Sezione regionale di controllo della Corte dei conti per la Basilicata, n. 10/2018/PAR, del 29 marzo 2018)”.

Nel tempo si sono però succedute anche, non tanto velate, critiche a tale interpretazione.

Senza pretesa di fare un completo excursus storico si può citare.

a) In sede approvazione della legge di bilancio 2021 l’On. Sani aveva proposto un emendamento, come verrà precisato in seguito, che pone qualche rimedio ad una situazione che francamente appare veramente paradossale. L’emendamento recita ““Al fine di agevolare la costituzione di nuove società, all’art. 4, comma 4 del decreto - legge n. 95 del 2012 aggiungere infine il seguente periodo: “nel caso di gruppi societari il costo annuale sostenuto di riferimento è da considerarsi quello complessivo di gruppo. Entro detto limite il compenso degli amministratori può essere attribuito alle singole società facenti parte del gruppo”.” L’emendamento pur non essendo stato approvato - come peraltro il 90% degli emendamenti proposti, e quindi la legge finanziaria non lo abbia recepito, merita alcune riflessioni anche in relazione ai recenti arresti della magistratura contabile che ne recepisce lo spirito.  Il protrarsi del c.d. regime transitorio, in un contesto di rigida interpretazione della norma in discussione, ha portato a situazione non solo in evidente contrasto con i principi della riforma della determinazione dei compensi delle società a controllo pubblico contenuta nel Tuspp ma anche a situazioni paradossali - in alcuni casi sfiorando anche ogni più elementare principio di equità – determinando un evidente effetto negativo sulla gestione della società a partecipazione pubblica. Non può sfuggire al riguardo che uno dei principi cui si attiene il Tuspp è quello contenuto nell’art. 1 che recita: “Le disposizioni contenute nel presente decreto sono applicate avendo riguardo all'efficiente gestione delle partecipazioni pubbliche, alla tutela e promozione della concorrenza e del mercato, nonché alla razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica.  Le società pubbliche hanno dovuto competere in situazioni di conclamato svantaggio, non potendo garantirsi amministratori debitamente remunerati. A tal proposito non occorre ricordare che settore strategici dell’economia nazionale sono gestiti da società pubbliche (servizio idrico integrato, gestione rifiuti, trasporto pubblico locale, distribuzione del gas, solo per citare i servizi di interesse economico generale a rete) che devono competere con società private anche straniere che non versano in tale situazione critica. A fronte di tale situazione vale la pena fare presente due aspetti che sono erano stati  considerati dall’emendamento come necessario oggetto di intervento in quanto non più sostenibili, stante il protrarsi del regime transitorio: (i)           Il primo attiene al limite di compenso agganciato un periodo storico risalente al 2013: sono passati oramai nove anni e il riferimento al costo sostenuto a tale data non ha più alcun significato e quindi al di fuori di ogni ragionevolezza: Sul punto si era già pronunciata anche Corte dei Conti Liguria 29/2020/Par che non si esime dallo stigmatizzare il lungo protrarsi del ritardo nell’adozione del decreto ministeriale che, ancorando la determinazione dei compensi all’effettiva complessità della gestione societaria, favorirebbe anche la selezione delle migliori professionalità, superando l’ormai anacronistico riferimento alla spesa storica del 2013; (ii) Il secondo, che nell’emendamento costituisce il precipitato del primo, attiene alla possibilità che nei gruppi di società pubbliche il (risalente) limite del compenso agganciato al 2013, debba essere inteso complessivamente e poi ripartito fra le società del gruppo. Tale intervento cercava quindi di temperare gli effetti deleteri del protrarsi del regime transitorio andando a dare una corretta valenza di gruppo societario: vale a dire un'unica entità economica sebbene suddivisa fra più entità giuridiche. Il calcolo dell’impatto del limite al 2013 non deve intendersi limitato alla singola società ma alla somma dei limiti delle società appartenenti al gruppo, con ciò non rilevando poi se la distribuzione del compenso fra le singole società determina effetti compensativi le una sulle altre potendo, in alcune di esse, superare il proprio limite singolarmente inteso. Peraltro, la strutturazione in gruppo di società pubbliche è la risposta all’esigenza di un’organizzazione più efficace ed efficiente per fare fronte a gestioni che richiedono specializzazione industriale, maggiori investimenti e maggior capacità manageriali. Il fenomeno del gruppo per le società pubbliche degli enti locali è peraltro previsto espressamente dallo stesso Tuspp laddove recita: “Il divieto [di detenere partecipazioni] non si applica alle società che hanno come oggetto sociale esclusivo la gestione delle partecipazioni societarie di enti locali, salvo il rispetto degli obblighi previsti in materia di trasparenza dei dati finanziari e di consolidamento del bilancio degli enti partecipanti.” Ed è particolarmente diffuso il modello di holding (capogruppo) comunale quale sistema di governance delle società partecipate (si veda Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti contabili – Fondazione Nazionale Commercialisti “Principi di vigilanza e controllo dell’Organo di revisione degli Enti locali“ - documento n. 10 “Controllo sugli organismi partecipati” 2019; CNDCEC “Costituzione della Holding” maggio 2010; CNDCEC “Holding degli enti locali, attività finanziaria e modelli di governance”; CNDCEC atti  tavola rotonda: Le partecipate degli enti locali  tra pubblica amministrazione e mercato documento per la discussione”, Firenze 4-5 novembre 2011 - a cura del CNDCEC):

b) Sulla scia delle considerazioni contenute direttamente o comunque intuibili dal regolamento si inseriscono alcune recenti posizioni della Corte dei Conti. Si fa riferimento alla delibera 15/2020 della Corte dei Conti del Friuli-Venezia Giulia che, chiamata a rispondere in sede di riassetto societario ove non era rinvenibile un utile elemento di raffronto al 2013 ovvero di entità talmente risibile da ritenerlo inesistente, afferma: “In buona sostanza in mancanza del parametro stabilito dal Legislatore è stata considerata ammissibile l’individuazione di un parametro diverso, anche se comunque ancorato a criteri di razionalizzazione della spesa. Il predetto ragionamento è stato, come citato, più di recente considerato anche in relazione ad un’ipotesi collegata al caso in esame. Infatti, la Sezione regionale di controllo per il Veneto (con deliberazione n. 31/2018/PAR), facendo applicazione del medesimo percorso motivazionale alla fattispecie dell’articolo 4, comma 4, del D.L. 95/2012, ha affermato che, seppure riferita a una fattispecie vincolistica distinta per materia, ma simile per struttura del vincolo, la pronuncia della Sezione autonomie sopra citata (Sez. Aut. deliberazione n. 1/2017/QMIG) poggia sull’assunto che l’impostazione ermeneutica letterale, propensa a ritenere operante un azzeramento della spesa per gli enti che nei periodi richiamati dalla legge non abbiano sostenuto costi a cui parametrare la percentuale di riduzione/tetto della spesa, si tradurrebbe in un’evidente eterogenesi dei fini finendo così per premiare gli enti meno oculati, che hanno realizzato ampi volumi di spesa da prendere a riferimento ai fini del relativo contenimento, a discapito di quelli più virtuosi, i quali non hanno sostenuto alcuna spesa. Volendo riportare il medesimo ragionamento sui limiti posti dal comma 4 dell’art. 4 del DL 95/2012 in un alveo di interpretazione logico-sistematica volta a colmare il vuoto normativo rilevato, e nell’intento di negare la gratuità dell’incarico di amministratore, la Sezione del Veneto conclude osservando che occorre individuare, quindi, un limite alla remunerazione agli amministratori di una società partecipata che, nel soddisfare la descritta tensione interpretativa, tenga conto dei dati normativi a disposizione e vada a considerare, a ritroso, l’onere sostenuto nell’ultimo esercizio nel quale risulti presente un esborso utilizzabile come parametro purché contenuto entro i vincoli della «stretta necessarietà» secondo il principio enucleato dalla sopra citata deliberazione n. 1/2017/QMIG, resa in sede nomofilattica dalla Sezione delle Autonomie.” Anche in questo caso, secondo Corte dei Conti citata, da un’apertura alla interpretazione restrittiva, basandosi su innegabili principi di ragionevolezza considerando che la remunerazione (adeguata) è funzionale a “garantire un proficuo e professionalmente adeguato funzionamento degli organi sociali” e che il richiamo all’art. 4 comma 4 era sorto in un contesto transitorio, il cui protrarsi nel tempo ha reso del tutto incongruo e irragionevole l’aggancio al costo sostenuto al 2013 nella misura dell’80%, come già più sopra rilevato (Cfr. H. Bonura, D. Di Russo, “Partecipate, l’oggetto sociale dribla il tetto dei compensi” in Enti Locali & Edilizia - il sole 24 ore 15/02/2021). Si aggiunga che anche nella Relazione “Il processo di razionalizzazione delle partecipazioni societarie detenute dai ministeri e dagli altri enti pubblici soggetti al controllo delle sezioni riunite della Corte dei Conti” (decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175) predisposto dalla Corte dei Conti sezioni riunite in sede di controllo - Roma, novembre 2020 – ha lasciato intendere che in caso di fusione di due società il compenso dell’amministratore della società rinveniente dal processo di fusione – che ha reso più complessa la struttura sociale -  può essere superiore al minimo edittale: Riporta la Corte dei Conti ultima  menzionata: “ “Il decreto ministeriale in parola, come detto, suddivide le società in tre fasce, sulla base di indicatori dimensionali, volti a valutare la complessità organizzativa e gestionale. In esito, la società ALES s.p.a. si colloca nella terza fascia per valore della produzione (meno di 100 milioni di euro) e per gli investimenti (meno di l milione di euro), ma nella seconda per numero di dipendenti (oltre 500). Pertanto, il Ministero socio ha considerato i valori retributivi della terza fascia, ma al livello più alto. Inoltre, ha tenuto conto anche della fusione per incorporazione, avvenuta poco prima, della società ARCUS s.p.a. in ALES s.p.a., disposta dall'art. 1, commi 322 e seguenti, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, che ha reso più complessa la struttura organizzativa. I compensi in oggetto, infine, prosegue la risposta, risultano in linea con quelli stabiliti per cariche di pari livello in società in house di altri ministeri, di complessità analoga o inferiore.”.

c) Non da ultimo si osserva che è stato emanato dall’Osservatorio sulla finanza e la contabilità degli enti locali l’ ”atto di indirizzo ex articolo 154, comma 2, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, sui compensi degli amministratori delle società a controllo pubblico di cui all’articolo 11, comma 7, del testo unico in materia di società a partecipazione pubblica approvato con decreto legislativo 19 agosto 2016, n.175.” Con tale indirizzo si critica la interpretazione rigida dell’art. 11 comma 7 in quanto non appare più ragionevole fare riferimento come limite massimo a quanto corrisposto nel lontano 2013: quindi si deve interpretare con ragionevolezza e flessibilità, secondo un principio di adeguatezza caso per caso. Le considerazioni che vengono riportate dall’Osservatorio sulla Finanza locale sono emblematiche di come la disciplina dei compensi non appaia più ”ragionevole”:

Le premesse da cui parte l’indirizzo dell’Osservatorio

-          La rigidità letterale del comma 7, infatti, comporta alcune difficoltà applicative e genera perplessità sotto il profilo della ragionevolezza, anche considerato il perimetro soggettivo di applicazione - tale da ricomprendere (come con divisibilmente chiarito dalla Struttura ex art. 15 del Testo unico di cui si darà conto oltre) tutte le società a controllo pubblico - con riferimento a società che presentino, rispetto al 2013, un parametro non significativo, per non aver erogato compensi agli amministratori, ovvero per aver erogato compensi assai contenuti, anche in ragione, in allora, di una conformazione e struttura societaria superata alla data in cui deve procedersi all’applicazione del predetto comma 7 dell’art. 11 del Testo unico.

 

Il § 4 Il riferimento al fatturato 2013 tra eccessiva rigidità e margine di flessibilità

 

-          Secondo la Corte dei conti (cfr. Sez. Reg. Contr. Veneto, del. n. 31/2018/PAR) quindi, non è vietata le remunerabilità dell’incarico di amministratore in una società controllata che non abbia sostenuto oneri a tale titolo nell’esercizio 2013; ma, al contempo, non può riconoscersi all’amministrazione socia una totale discrezionalità nel fissare detto compenso (posto che libertà verrebbe a confliggere con la ratio di contenimento della spesa che evidentemente informa la disciplina). La Corte, quindi, individua un correttivo secondo cui, in assenza di emolumenti erogati nel 2013, debba considerarsi, a ritroso, l’onere sostenuto nell’ultimo esercizio nel quale risulti presente un esborso a tale titolo (Sez. Reg. Contr. Veneto, del. n. 31/PAR/2018), tenendo però presente il principio per il quale il tetto di spesa così ricostruito non può comunque essere tale da eccedere il limite di stretta necessità evocato da Sez. Aut. 1/2017/QMIG, e comunque mantenendo ferma la massima quantificazione normativa attualmente disponibile di tale spesa, stabilita in euro 240mila dall’art. 11, comma 6, TUSP (cfr. Corte conti, Sez. Reg. contr. Liguria, 29/2020/PAR, che richiama la citata Sez. Reg. Contr. Veneto, del. n. 31/PAR/2018).

-          Più delicato è il caso in cui la società a controllo pubblico abbia sì corrisposto un emolumento all’organo amministrativo con riferimento all’esercizio 2013 e tuttavia tale emolumento risulti estremamente contenuto, così che il vincolo di cui al combinato disposto dell’art. 4, comma 4, d.l. 95/2012 e art. 11, comma 7, TUSP, comportando una (ulteriore) riduzione, finisca per privare di sostanziale significatività il compenso potenzialmente erogabile dalla società a controllo pubblico, con il rischio di dover rinunciare a professionalità adeguate, a tutto detrimento del principio di buon andamento che, come sottolineato, investe l’azione delle società in questione. Il panorama è peraltro frastagliato in quanto altro indirizzo, prendendo le mosse dagli stessi presupposti che inducono (pacificamente) a ritenere che il vincolo non operi laddove il dato relativo al 2013 non sia disponibile, considera assimilabile a siffatta fattispecie quella in cui il dato di riferimento indicato dalla norma sia assolutamente privo di significatività; il che ricorre laddove il valore del costo sostenuto nel 2013 sia talmente esiguo da poter essere considerato sostanzialmente inesistente, così come nel caso di una società dall’oggetto sociale e dalla governance talmente modificati (rispetto al 2013) da farla considerare come un soggetto nuovo (Corte dei conti, Sez. Reg. Contr. Friuli Venezia Giulia, 15/2020/PAR). In tali casi, pertanto, il parametro del 2013 non può atteggiarsi come assoluto.

 

Il § 5 I motivi a sostegno di un’applicazione ragionata

 

Proprio il carattere transitorio del persistente vigore dell’art. 4, comma 4, secondo periodo, d.l. 95/2012 ne suggerisce un’applicazione flessibile, filtrata attraverso canoni di ragionevolezza e adeguatezza. Invero, il fatto che si tratti di disposizione vigente “Fino all’emanazione del decreto di cui al comma 6”, e dunque non espressione di una determinazione durevole del legislatore, rende poco giustificabile un rigido ancoraggio al dato letterale, laddove questo possa implicare, a carico della società e, indirettamente, dell’amministrazione socia, conseguenze pregiudizievoli di dubbia razionalità, perché, appunto, connesse all’autistico rispetto di un vincolo assolutamente precario, la cui persistenza si giustifica, alla luce di una lettura sistematica, unicamente al fine di evitare un provvisorio vuoto di disciplina. Ciò vale ancor di più considerando che il limite (e il parametro) contemplato dall’art. 4, comma 4, d.l. 95/2012 è stato introdotto nell’ordinamento (come si è visto essere stato chiarito dalla Consulta) per le sole società strumentali.

 

Riprendendo le motivazioni dell’Osservatorio

 

-          Le considerazioni sin qui svolte inducono quindi a ritenere che una severa e aprioristica adozione del dato del 2013, in tanto si configura – tendenzialmente - come ragionevole, in quanto riferita esclusivamente a società strumentali; le quali sole erano tenute a conformarsi al vincolo della riduzione all’80% già con l’introduzione del d.l. 95/2012 (alla luce della ricordata giurisprudenza costituzionale) e per le quali sole, dunque, il rispetto della norma non comporta, oggi, repentini scompensi, perché in lineare continuità con un contenimento dei costi di amministrazione inaugurato già in occasione della prima applicazione della norma (quindi, in estrema contiguità con il dato 2013 e, presumibilmente, ormai consolidatosi). Altrettanto rigore non pare invece potersi predicare per le società a controllo pubblico diverse dalle strumentali, per le quali, ferma la soggezione all’art. 4, comma 4, d.l. 95/2012 in chiave di contenimento di costi entro l’80%, il dato del 2013 (operante solo in virtù di una sopravvenuta estensione dell’ambito soggettivo di operatività del d.l. 95/2012, peraltro, si ripete, meramente transitoria stando alle intenzioni esplicitate del legislatore del d.lgs. 175/2016) potrebbe innestarsi, inopinatamente, su realtà obiettivamente non rapportabili a quella risalente al 2013, con effetti dirompenti ed estranei, se non addirittura contrari, alla ratio che l’art. 11, co. 7 del TUSP intende perseguire;

In conclusione, l’Osservatorio dispone

Le suesposte argomentazioni, condivise nell’odierna adunanza dell’Osservatorio, conducono quindi alla pronuncia di un atto di orientamento interpretativo di possibile ausilio valutativo in sede applicativa delle disposizioni esaminate indirizzo espresso nei termini che seguono:

a) a norma dell’art. 11, comma 7, del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, il vincolo di cui all’art. 4, comma 4, d.l. 95/2012 è esteso a tutte le società a controllo pubblico di cui all’art. 2, comma 1, lett. m) del medesimo d.lgs. 175/2016;

b) considerata la natura transitoria dell’art. 11, comma 7, d.lgs. 175/2016 e al fine di neutralizzare eventuali anomalie operative connesse alla intrinseca caducità della disposizione e alle specificità del caso concreto, potrebbe essere considerato dall’amministrazione controllante, in presenza di motivate e comprovate esigenze connesse ai principi di ragionevolezza e buon andamento (quali, ad es., la assoluta non significatività del dato relativo al 2013, in virtù delle profonde modificazioni che hanno interessato la società, sì da renderla non assimilabile né paragonabile, strutturalmente e qualitativamente, alla configurazione del 2013) di discostarsi dal dato del 2013 per fare riferimento ad altra annualità, dotata di maggiore significatività e omogeneità, sulla quale applicare la riduzione dell’80% prevista dall’art. 4, comma 4, d.l. 95/2012; ovvero, in caso di indisponibilità del dato relativo al 2013 (per essere la società costituita successivamente) di considerare la possibilità di procedere autonomamente all’individuazione del tetto di spesa, secondo un criterio di stretta necessità;

c) resterebbe fermo l’obbligo per l’amministrazione controllante, nel procedere nel senso chiarito alla lett. b) che precede, di assicurare che la riduzione operata nell’ambito di un’applicazione flessibile dell’art. 11, comma 7, d.lgs. 175/2016, sia in grado di coniugare gli obiettivi di efficacia, legati al reperimento delle migliori professionalità, con gli obiettivi di economicità e contenimento della spesa e che risulti adeguato, alla stregua di un criterio di stretta necessità, anche considerando realtà societarie proficue di dimensioni analoghe, rimanendo in ogni caso invalicabile la soglia di € 240mila fissata dall’art. 11, comma 6, d.lgs. 175/2016;

d) il compenso così determinato andrebbe comunque immediatamente corretto qualora risulti non compatibile con i parametri fissati dal decreto ministeriale di cui all’art. 11, comma 6, d.lgs. 175/2016.

2. Isolati orientamenti del giudice sul regime transitorio

A fronte della copiosa produzione interpretativa della prassi, con specifico riferimento alle sezioni di controllo della Corte dei Conti, sono note solo due sentenze del Giudice.

La prima in ordine di tempo è la sentenza n. 625 del 12 /19/2019 della sezione giurisdizionale della Corte dei Conti della Puglia che nell’ambito della interpretazione dell’art. 4 comma 4 del D.L.  n. 95/2012 ha condannato l’imputato per avere ricevuto un compenso superiore al limite ivi previsto ma lo ha assolto dall’avere ricevuto un compenso variabile sempre superiore al limite ivi indicato in quanto l’indennità di risultato è espressamente esclusa, secondo il giudice contabile, dall’applicazione della norma su richiamata.

La seconda è la sentenza del Tribunale di Bologna – sezione specializzata in materia di imprese - del 28/05/2021 n. 1359 ove si afferma che “il costo complessivamente sostenuto dalla società nell’esercizio 2013  debba intendersi quel importo effettivamente erogato agli amministratori  e che, pertanto, il limite fissato dalla norma vada calcolato su tale importo” e “Facendo, quindi, applicazione dei principi e dei parametri sopra individuati, tale soglia si applica, non solo alla parte fissa del compenso, ma anche a quella e variabile dello stesso”  

In questa sede vale anche ritenere che secondo il canone interpretativo utilizzato emerge che ciò che rileva è il soggetto che sostiene il costo (la società) e non rilevano, ai fini del calcolo del limite di legge (e non ai fini della corresponsione), profili del soggetto percipiente (l’amministratore) e ciò in perfetta aderenza al principio di finanza pubblica: il soggetto che eroga e sostiene il costo è colui che è chiamato a rispettare il limite di legge.

3. il decreto ex art. 11 comma 6 del TUSPP

Il regolamento (“decreto fasce”) esordisce facendo una rassegna delle disposizioni cui si ispira che si vanno ad aggiungere ai principi di cui all’art. 11 comma 6 e così riprende:

-          L’art. 23 bis del d.l. 6/11/2011 convertito con modifiche dalla L. 22/12/2011 n. 124, che in parte si sovrappone con il sopracitato comma 11 dell’art. 11 del TUSPP in quanto anch’esso contiene criteri e principi per la determinazione dei compensi e per l’informativa dell’assemblea dei soci in un’ottica di trasparenza [1] e che non è stato abrogato quindi dal TUSPP;

-          Il regolamento di cui al decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze 23/12/2013 che ha classato in tre fasce di complessità le società a partecipazione statale, che ai sensi dell’art. 11 comma 7 del TUSPP continuerà ad applicarsi fino all’entrata in vigore del presente regolamento;

-          Il d.lgs 24/02/1998 n. 58 che contiene la disciplina delle società di gestione collettiva del risparmio;

-          Il regolamento Banca Italia e Consob sulla disciplina delle politiche di remunerazione incentivanti degli amministratori delle società che gestiscono fondi investimento alternativi;

-          L’art. 38 del Codice dei contratti che qualifica le stazioni appaltanti e le centrali di committenza.

Tutto ciò, richiamati i precedenti legislativi, nella premessa del regolamento si è ritenuto necessario tenere presente anche i seguenti principi contenuti nella miglior prassi comune ai mercati finanziari che prevede che la remunerazione: a) degli amministratori e dei componenti degli organi di controllo è commisurata all’impegno richiesto, alla rilevanza del ruolo ricoperto, nonché alle caratteristiche dimensionali e settoriali dell’impresa; b) degli amministratori esecutivi e dei dirigenti e dipendenti sia definita in modo tale da allineare i loro interessi con il perseguimento dell’obiettivo della creazione di valore per i soci; c) sia adeguata e coerente con la struttura organizzativa secondo criteri oggettivi che tengano conto del ruolo e delle funzioni definite all’interno dell’azienda.

Fa un certo effetto leggere tali principi, tipici delle miglior prassi che presiedono all’ambito motivazionale del management e delle migliori politiche di remunerazione della scienza aziendale, dopo che per oltre sei anni circa dalla emanazione del Tuspp, l’unico criterio per la definizione del compenso degli amministratori delle società pubbliche è stato quello del c.d. “taglio lineare” basato sul limite invalicabile del costo sostenuto al 2013 ridotto del 80%.

La struttura del regolamento si rifà a pochi principi, di fatto, contenuti in cinque articoli.

Il primo articolo traccia l’ambito soggettivo e non vi è nulla di diverso rispetto alle disposizioni contenute dal TUSPP. Basti osservare che sono incisi dal regolamento le società a controllo pubblico, con esclusione di quelle quotate e da quelle da queste ultime controllate, ai sensi del Tuspp. Non è questa la sede per definire la nozione di società a controllo pubblico prevista dal Tuspp, che atteggiandosi a terzo genus fra controllo ex art. 2359 del cod. civ. e “controllo analogo congiunto”, ha visto un copioso dibattito in dottrina ed in giurisprudenza sul punto.[2]

Il secondo articolo definisce le fasce all’interno delle quali devono essere classificate le società a controllo pubblico. La tabella n. 1 individua 5 classi distinte in base al “Valore della produzione”, “totale dell’attivo patrimoniale e fondi gestiti per conto terzi” e “Numero dei dipendenti” (unità). Gli indicatori sono assunti dai relativi valori di bilancio approvati sulla base della media aritmetica dell’ultimo triennio e, ove sussista il bilancio consolidato, vanno assunti i dati desunti da quest’ultimo. Pertanto, le holding di partecipazione, come previsto dall’art. 4 comma 5, ultimo periodo del TUSPP, prenderanno a riferimento il bilancio consolidato e non quello di esercizio. Ogni società a controllo pubblico deve avere almeno due requisiti per individuare la propria classe: Così precisa la Relazione illustrativa “Per considerare una società appartenente ad una delle fasce da n. 1 a n. 4 è necessario che la stessa società rispecchi almeno due dei parametri indicati nella stessa fascia (comma 2)”. È previsto un meccanismo di correzione, quando la società, pur ricadendo nelle fasce sub 3 e sub 4 abbia un patrimonio netto superiore a 100 milioni, in automatico la società viene inserita nella classe n. 2. Qualora invece le società siano classificabili, rispetto i suddetti parametri nella fascia n. 5, saranno allocate sempre nella fascia 3. Viene dunque riconosciuto un nesso di causa ed effetto fra valore patrimonio e compenso: ad un maggior patrimonio netto deve corrispondere un maggior compenso se non altro per le maggiori responsabilità che ciò potrebbe comportare. 

Il terzo articolo prevede i limiti massimi dei trattamenti economici facendo una grande distinzione. Da un lato vi sono i limiti dei trattamenti economici dell’organo ammnistrativo di cui rilevano: l’amministratore unico e l’amministratore delegato. Si tratta dei c.d. amministratori executive, cioè quelli che hanno i poteri di gestione e di rappresentanza. In tale gruppo poi confluiscono anche i dirigenti ed i dipendenti. Per tutti questi soggetti i limiti massimi dei trattamenti economici annuali sono indicati nella tabella n. 2, che si riporta di seguito

  

Limite al trattamento economico amministratore unico, amministratore delegato, dirigenti e dipendenti

(% del limite massimo di euro 240.000)

1

240.000 (100%)

2

216.000 (90%)

3

192.000 (80%)

4

168.000 (70%)

5

120.000 (50%)

 

            

 

 

 

 

 

 

 

e con le seguenti precisazioni:

-          In ogni caso non può essere superato il tetto massimo di euro 240.000,00 tenuto conto anche dei compensi corrisposti (i) da altre pubbliche amministrazioni ovvero (ii) da altre società a controllo pubblico. È importo da considerarsi lordo, comprensivo quindi dei contributi previdenziali assistenziali e gli oneri fiscali a carico del beneficiario.

-          Per gli amministratori unici ovvero delegati una quota del compenso deve essere determinata in misura variabile, non inferiore al 30% della parte fissa. La parte variabile deve essere commisurata al raggiungimento di obiettivi di performance[3]. L’utilizzo della locuzione “deve” sembrerebbe alludere ad un obbligo: vale dire gli amministratori executive devono essere remunerati, per una quota non inferiore al 30%, su base variabile. La ratio dovrebbe essere quella che afferma che essi sono remunerati in ragione delle performances raggiunte.

-          La parte variabile si atteggia quindi a premio di risultato ed è sottoposta alle seguenti condizioni: (i) è determinabile solo in misura non inferiore al 30% della parte fissa del trattamento economico; (ii) deve essere commisurata ad obiettivi di performance, predeterminabili e “misurabili e collegabili alla creazione di valore per i soci ed al conseguimento di risultati positivi di gestione”. Quindi una finalizzazione che non va solo verso le performance della società ma anche a beneficio dei soci. Per i soci deve trattarsi di un nesso di causa ed effetto con l’attività dell’amministratore e la creazione di valore nell’interesse dei primi. Va compreso cosa debba intendersi “creazione di valore” giacché gli amministratori di società (anche pubbliche) agiscono nell’interesse della società e non dei soci, diversamente invece da quanto la tesi maggioritaria sostiene nell’individuare gli amministratori delle società pubbliche quali fiduciari dell’ente locale socio. La predetta locuzione potrebbe intendersi che a fronte di migliorate performance della società anche il socio beneficia di un maggior valore conseguito dalla propria partecipata; (iii) può essere corrisposta solo in presenza di un margine operativo lordo positivo[4]

L’art. 3 del decreto fasce si occupa anche di definire le determinazioni del trattamento economico nel caso di amministratore delegato nella persona del presidente, in quanto il TUSPP al riguardo ha previsto una specifica disciplina in tema di riparto delle deleghe di poteri fra gli amministratori. In particolare, l’art. 11 comma 9 prevede: “Gli statuti delle società a controllo pubblico prevedono altresì: a) l'attribuzione da parte del consiglio di amministrazione di deleghe di gestione a un solo amministratore, salva l'attribuzione di deleghe al presidente ove preventivamente autorizzata dall'assemblea”. Pertanto, nel caso in cui l’assemblea autorizzi l’attribuzione delle deleghe di potere anche al presidente (diverso dall’amministratore delegato) “il relativo trattamento economico annuo riconosciuto per il loro esercizio non possa essere superiore al 30 per cento del compenso massimo previsto per l'amministratore delegato della rispettiva fascia di appartenenza (comma 4).” [5]

La disciplina del cumulo dei trattamenti economici conferma i principi già previsti dal TUSPP ma ne introduce anche di nuovi.

Il comma 5 dell’art. 3, in commento, dispone che i compensi di presidente e amministratore delegato non possono essere cumulati in capo alla stessa persona.

Inoltre, si estende il principio in base al quale, in presenza “di un rapporto di lavoro instaurato con la società e del contemporaneo svolgimento dell’incarico di componente dell’organo di amministrazione, non vi può essere il cumulo anche parziale dei compensi”. Detto principio meglio esplicita quello contenuto nell’art. 11 comma 12 del TUSPP che prevede che: “coloro che hanno un rapporto di lavoro con società a controllo pubblico e che sono al tempo stesso componenti degli organi di amministrazione della società con cui è instaurato il rapporto di lavoro, sono collocati in aspettativa non retribuita e con sospensione della loro iscrizione ai competenti istituti di previdenza e di assistenza, salvo che rinuncino ai compensi dovuti a qualunque titolo agli amministratori “.

Si traccia una distinzione fra compensi spettanti agli amministratori per le deleghe ricevute e quelli invece stabiliti per l’incarico senza deleghe. Si introduce una distinzione che rappresenta una novità rispetto la disciplina codicistica. Nella società a controllo pubblico i compensi per la carica di amministratore executive (come determinati secondo il decreto fasce) non possono cumularsi con i compensi che spettano agli amministratori no executive (determinati in misura diversa come in appresso precisato).  Si deve dedurre quindi che i compensi assembleari sono quelli che spettano agli amministratori no executive ex art. 2389 comma 1 del cod. civ. mentre i compensi per le deleghe sono quelli stabiliti per gli amministratori executive ai sensi dell’art. 2389 comma 3 del cod. civ. Lettura innovativa dell’art. 2389 comma 3 citato in quanto la dottrina rileva che trattasi di attività diverse da quelle ricadenti nella carica di amministratore per le quali “gli amministratori hanno diritto ad essere pagati a parte per le attività che svolgono a favore della società e che esulano dal rapporto di amministrazione (C02/2861). Si ritiene però che non esulino dal rapporto di amministrazione quanto l’amministratore svolge in funzione della sua carica, anche qualora tale attività comporti una particolare competenza professionale, che anzi può essere stata determinante per la fissazione del compenso (C14/22046; C00/11023)”.[6]

I Limiti massimi dei compensi degli amministratori no executive e quegli dell’organo di controllo – come stabiliti al comma 6 - sono ben diversi rispetto a quelli previsti per gli amministratori executive come risulta dalla tabella (3) che si riporta di seguito.

                  

In particolare, sono stati ridotti i compensi dell’organo di controllo rispetto quelli desumibili dal D.M. 140/2012.[7] In ogni caso alla società, nei limiti indicati nella tabella 3 per i compensi c.d. “assembleari annui”[8] spettanti agli amministratori che ai componenti dell’organo di controllo è rimessa un certo grado di autonomia in relazione all’impegno richiesto, alla rilevanza del ruolo ricoperto, nonché alle caratteristiche dimensionali e settoriali dell’impresa. Anche per i compensi assembleari annuali trattasi di importo al lordo dei contributi previdenziali e assistenziali e degli oneri fiscali a carico del beneficiario.

La determinazione di tutti i trattamenti economici di cui all’art. 3 del decreto fasce deve considerare i divieti di cui al Tuspp, ricordati dall’art. 3, come segue:

-          La carica di vicepresidente, essendo meramente una funzione vicaria, non può dare luogo a riconoscimento di compenso;

-          Sono vietati gettoni di presenza e premi di risultato deliberati ex post nonché la previsione di trattamenti di fine mandato. Per i dirigenti è previsto il divieto di vedersi riconosciute indennità di fine mandato diversi o ulteriori rispetto quelli stabiliti dalla legge o dalla contrattazione collettiva ovvero stipulare patti o accordi di non concorrenza, anche si sensi dell’art. 2125 cod.civ.;

Va dato atto che per i trattamenti economici disciplinati per amministratori executive e no executive, dirigenti e dipendenti, entro i limiti previsti dal decreto, viene riconosciuta alla società un grado di discrezionalità nella fissazione degli stessi. In particolare, il comma 11 stabilisce che. “Le società, nell'ambito della autonomia gestionale, e nell'ottica di garantire un'adeguata e coerente politica di remunerazione, determinano i trattamenti economici da corrispondere, agli amministratori, ai dirigenti e ai dipendenti, secondo principi oggettivi e trasparenti, tenendo conto dell'ampiezza delle deleghe effettivamente attribuite, della posizione aziendale ricoperta e dei connessi profili di responsabilità gestionale-organizzativa nonché in considerazione del contributo effettivamente apportato all'interno dell'organizzazione, pesando ciascun ruolo e graduando il connesso livello di remunerazione in funzione delle competenze espresse nel concreto assolvimento dei relativi compiti.”

I trattamenti economici previsti dalla tabella 3 si applicano anche all’organo di controllo per quanto attiene il presidente dell’organo di controllo (colonna n. 1) e Componente effettivo dell’organo di controllo (colonna 2). Per organo di controllo si deve intendere l’organo – monocratico o collegiale – che svolge la funzione del collegio sindacale

Il decreto fasce disciplina con dovizia di particolari l’attività di monitoraggio e verifica della determinazione dei trattamenti economici, chiamando in causa, oltre che lo stesso organo amministrativo e quello di controllo della società, anche gli stessi soci.

L’organo amministrativo della società deve verificare il rispetto del limite massimo del trattamento economico omnicomprensivo degli amministratori, dirigenti e dipendenti e deve fornire ai soci pubblici una informativa sulle politiche di remunerazione ed incentivazione messe in atto.

La informativa si sostanzia in una Relazione redatta dall’organo amministrativo, sentito il collegio sindacale (organo di controllo) da fornire all’assemblea dei soci sulla remunerazione in merito alla politica adottata in materia di trattamento economico annuo omnicomprensivo.

La Relazione, che si atteggia a documento a consuntivo e probabilmente da rendere all’assemblea in sede di approvazione del bilancio aggiungendosi – per la società a controllo pubblico – alla relazione sul governo societario ex art. 6 del TUSPP dovrà contenere:

-          L’illustrazione del possesso degli indicatori dimensionali e dei requisiti previsti dall'articolo 2 del decreto, ai fini dell'individuazione della fascia di appartenenza, e deve illustrare, a titolo esemplificativo, le finalità perseguite con la politica delle remunerazioni, i princìpi che ne sono alla base, i criteri adottati con riferimento alle componenti fisse e variabili, descrivendo inoltre gli obiettivi di performance, in base ai quali viene corrisposta la parte variabile. La relazione dovrà dare evidenza del trattamento economico annuo deliberato ed erogato, distinto nelle sue diverse componenti: fissa, variabile ed eventuali benefici non monetari, suscettibili di valutazione economica, nonché spese di vitto e alloggio diverse da quelle di trasferta;

-          una mappatura dell'organigramma aziendale che evidenzi le posizioni apicali nonché i criteri utilizzati per la pesatura di ciascun ruolo e i corrispondenti livelli retributivi.

Il decreto fasce, una volta approvato, si applicherà ai contratti stipulati e agli atti emanati successivamente alla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.

 

 



[1] Art. 23-bis. (Compensi per gli amministratori e per i dipendenti delle società controllate dalle pubbliche amministrazioni).

1. Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 19, comma 6, del decreto-legge 1º luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro il 30 aprile 2016, sentita la Conferenza unificata per i profili di competenza, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, per le società direttamente o indirettamente controllate da amministrazioni dello Stato e dalle altre amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ad esclusione delle società emittenti strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati e loro controllate, sono definiti indicatori dimensionali quantitativi e qualitativi al fine di individuare fino a cinque fasce per la classificazione delle suddette società. Per ciascuna fascia è determinato, in proporzione, il limite dei compensi massimi al quale i consigli di amministrazione di dette società devono fare riferimento, secondo criteri oggettivi e trasparenti, per la determinazione del trattamento economico annuo onnicomprensivo da corrispondere agli amministratori, ai dirigenti e ai dipendenti, che non potrà comunque eccedere il limite massimo di euro 240.000 annui al lordo dei contributi previdenziali e assistenziali e degli oneri fiscali a carico del beneficiario, tenuto conto anche dei compensi corrisposti da altre pubbliche amministrazioni. Le società di cui al primo periodo verificano il rispetto del limite massimo del trattamento economico annuo onnicomprensivo dei propri amministratori e dipendenti fissato con il decreto di cui al presente comma. Sono in ogni caso fatte salve le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono limiti ai compensi inferiori a quelli previsti dal decreto di cui al presente comma. 2. In considerazione di mutamenti di mercato e in relazione al tasso di inflazione programmato, nel rispetto degli obiettivi di contenimento della spesa pubblica, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze si provvede a rideterminare, almeno ogni tre anni, le fasce di classificazione e l'importo massimo di cui al comma 1. 3. Gli emolumenti determinati ai sensi dell'articolo 2389, terzo comma, del codice civile, possono includere una componente variabile che non puo' risultare inferiore al 30 per cento della componente fissa e che e' corrisposta in misura proporzionale al grado di raggiungimento di obiettivi annuali, oggettivi e specifici, determinati preventivamente dal consiglio di amministrazione. Il Consiglio di amministrazione riferisce all'assemblea convocata ai sensi dell'articolo 2364, secondo comma, del codice civile, in merito alla politica adottata in materia di retribuzione degli amministratori con deleghe, anche in termini di conseguimento degli obiettivi agli stessi affidati con riferimento alla parte variabile della stessa retribuzione. 4. Nella determinazione degli emolumenti da corrispondere, ai sensi dell'articolo 2389, terzo comma, del codice civile, i consigli di amministrazione delle società non quotate, controllate dalle società di cui al comma 1 del presente articolo, non possono superare il limite massimo indicato dal decreto del Ministro dell'economia e delle finanze di cui al predetto comma 1 per la società controllante e, comunque, quello di cui al comma 5-bis e devono in ogni caso attenersi ai medesimi principi di oggettività e trasparenza.

[2]Inoltre, in questa sede occorre osservare che il regolamento ha effetto anche ai sensi dell’art. 11 ultimo comma che prevede: “Nelle società a partecipazione pubblica ma non a controllo pubblico, l'amministrazione pubblica che sia titolare di una partecipazione pubblica superiore al dieci per cento del capitale propone agli organi societari l'introduzione di misure analoghe a quelle di cui ai commi 6 e 10.” Norma che coinvolge le società non ha controllo pubblico, sottoponendole a principi di “moral suasion”, attraverso i quali i soci (pubbliche amministrazioni) si devono fare carico, laddove detengono una partecipazione superiore al 10%, al fine di applicare il regolamento in commento. La norma non prevede alcuna sanzione in caso di inosservanza da parte del socio – che non si è fatto parte diligente di prevedere negli atti di governance della società i principi di questo regolamento – ma al contempo non si può escludere una colposa inadempienza del socio – pubblica amministrazione locale – che non si è attivato per rispettare tale principio, ai sensi dell’art. 147 quater del testo unico leggi enti locali (d.lgs. 267/2000).

[3] Il regolamento riporta a titolo esemplificativo come tali obiettivi possano essere rappresentati dal miglioramento del risultato operativo, efficientamento della struttura organizzativa e riduzione dei costi di struttura.

[4] Glossario finanziario - margine operativo lordo di Borsa Italiana: definizione - Earnings Before Interest, Taxes, Depreciation and Amortisation (EBITDA) rappresenta una misura di margine operativo lordo. E’ una misura ampiamente utilizzata nel calcolo dei flussi di cassa per l'impresa. EBITDA rappresenta una misura di margine operativo lordo (MOL). EBITDA consente di verificare se la società realizza profitti positivi dalla gestione ordinaria. Sommando a EBIT il valore degli Ammortamenti si perviene alla misura di EBITDA. EBITDA si ottiene rielaborando le voci di Conto Economico nel seguente modo:  Fatturato - Costo del venduto = EBITDA (o Margine Operativo Lordo). EBITDA è impiegato come misura di risultato operativo nel calcolo dei flussi di cassa da attività operative. Sottraendo da tale misura gli investimenti in capitale fisso (CAPEX) si ottiene il valore dei Free cash flow (FCF).

[5] Cfr. relazione illustrativa.

[6] In Commentario breve al Diritto delle società – breviaria juris - Maffei Alberti - IV edizione all’art. 2389 cod. civ. .

[7] Per i collegi sindacali, stante l’abrogazione delle tariffe professionali, il compenso è liberamente concordabile tra le parti, tuttavia nella libera determinazione del compenso le parti potrebbero trovare un utile riferimento nei parametri individuati dal D.M. 140/2012.

[8] Cfr art. 3 comma 6 del decreto fasce.

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