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Prime considerazioni a margine della bozza del ddl relativo alla manovra finanziaria per l'anno 2009.
di Gerardo Guzzo 24 giugno 2008
Materia: finanza pubblica / finanziaria

PRIME CONSIDERAZIONI A MARGINE DELLA BOZZA DEL DDL RELATIVO ALLA MANOVRA FINANZIARIA PER L’ANNO 2009.

Com’è ormai noto, il Consiglio dei Ministri, nella seduta del 18 giugno 2008, ha licenziato una serie di disposizioni per lo sviluppo economico, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria consistenti nell’anticipo della manovra finanziaria per l’anno 2009. In particolare, la bozza del DDL relativo alla manovra finanziaria 2009 contiene, al Capo V, alcune norme che riguardano il riordino della normativa nazionale che disciplina l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali (1). Si tratta di previsioni che, seppur ampiamente emendabili prima della stesura definitiva del testo di legge, tuttavia, denotano la cronica vischiosità del legislatore italiano ad uniformarsi ai principi codificati dalla Corte di giustizia in tema di tutela della concorrenza applicata ai servizi pubblici locali. L’assunto trova puntuale conferma nel comma 1 del primo articolo contenuto nel Capo V del DDL in parola, rubricato "Liberalizzazione e Deregolazione", il quale, pur chiarendo che il riordino della normativa nazionale che disciplina l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali è disposto, al fine di favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale di rilevanza economica in ambito locale, nonché di garantire il diritto di tutti gli utenti alla universalità ed accessibilità dei servizi pubblici locali ed al livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell’articolo 117, comma secondo, lettere e) ed m) della Costituzione, assicurando un adeguato livello di tutela degli utenti, secondo i principi di sussidiarietà, proporzionalità e leale cooperazione, finisce per tradire proprio i citati principi ispiratori. Infatti, il successivo comma 3, stabilisce che l’erogazione dei servizi pubblici che hanno per oggetto produzione di beni ed attività a favore della collettività locale per realizzare fini sociali e promuovere lo sviluppo economico e civile avviene con conferimento della gestione del servizio:

a) a società di capitali individuate mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto della disciplina dell'Unione europea in materia di appalti pubblici e di servizi pubblici;

b) a società a partecipazione mista pubblica e privata, nella quale il socio privato detenga una quota non inferiore al 30%, a condizione che quest'ultimo sia scelto mediante procedure ad evidenza pubblica, nelle quali siano già stabilite le condizioni, le modalità e la durata della gestione del servizio, che sia vietata la proroga o la rinnovazione dell'affidamento alla sua scadenza e che siano previste le modalità di liquidazione del socio, al momento della scadenza dell'affidamento del servizio.

In sostanza, il legislatore, riproducendo per grosse linee l’articolo 113, comma 5, del d.lgs. n. 267/00, individua tre modalità di gestione dei servizi pubblici locali: 1) le società di capitali; 2) le società miste, con partner privato selezionato con un’unica gara, secondo il modello delineato dal Consiglio di Stato con la sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 1 del 3 marzo 2008; 3) le società a capitale interamente pubblico, partecipate dall'ente locale, che abbiano i requisiti richiesti dall'ordinamento comunitario per la gestione in house e, in particolare, nei confronti delle quali l'ente proprietario eserciti un controllo analogo a quello che esercita nei confronti dei propri uffici, nelle sole situazioni che, per le peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non consentono un efficace ed utile ricorso al mercato (comma 3). In realtà, proprio previsione contenuta nella lettera a) del comma 3 dell’articolo in commento desta non poche perplessità in merito alla tenuta comunitaria proprio con riferimento ai principi di parità di trattamento, di divieto di discriminazione e di libera concorrenza che il legislatore della finanziaria intenderebbe tutelare. A tal proposito, sovviene quanto affermato dalla Corte di giustizia con la sentenza del 18 dicembre 2007, meglio conosciuta come sentenza "Frigerio", con la quale i giudici del Lussemburgo hanno deciso la causa n. C-357/2006 (2). In quella occasione, il supremo consesso lussemburghese ha stabilito, pronunciandosi su una questione pregiudiziale sollevata ex articolo 234 del Trattato Ue relativa alla tenuta comunitaria dell’articolo 113, comma 5, lett. a), che alla luce di quanto precede, occorre risolvere la prima e la seconda questione nel senso che l’art. 26, nn. 1 e 2, della direttiva 92/50 osta a disposizioni nazionali come quelle in esame nella causa principale (art. 113, comma 5, lett. a)), che impediscono a candidati od offerenti autorizzati, in base alla normativa dello Stato membro interessato, ad erogare il servizio di cui trattasi, ivi compresi quelli costituiti in raggruppamenti di prestatori di servizi, di presentare offerte nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di appalti pubblici di servizi il cui valore superi la soglia di applicazione della direttiva 92/50, soltanto per il fatto che tali candidati od offerenti non hanno la forma giuridica corrispondente ad una determinata categoria di persone giuridiche, ossia quella delle società di capitali. Il giudice nazionale è tenuto a dare a una disposizione di diritto interno, avvalendosi per intero del margine di discrezionalità consentitogli dal suo ordinamento nazionale, un’interpretazione ed un’applicazione conformi alle prescrizioni del diritto comunitario e, qualora siffatta interpretazione conforme non sia possibile, a disapplicare ogni disposizione di diritto interno contraria a tali prescrizioni. In altri termini, i magistrati europei hanno "bocciato" il modello italiano che circoscrive la possibilità di partecipare a gare finalizzate all’affidamento di un servizio pubblico locale alle sole società di capitali escludendo quelle con forma giuridica diversa, quali quelle di persone, in quanto lesivo proprio dei principi comunitari di parità di trattamento, di divieto di discriminazione e di libera concorrenza. Balza agli occhi, allora, in tutta la sua evidenza la scarsa coerenza della norma in commento con quanto affermato, solo sei mesi orsono, dalla Corte di giustizia le cui sentenze, com’è noto, producono negli Stati membri gli stessi effetti delle direttive, comunicazioni e decisioni della Commissione. Se la lettera del comma 3) della norma contenuta nel Capo V della bozza del DDL relativo alla manovra finanziaria 2009 disattende questo importante arresto della Corte di giustizia che, di fatto e di diritto, ha disapplicato l’articolo 113, comma 5, lett. a) del d.gs. n. 267/00 e s. m. e integrazioni, a miglior sorte non sembra essere destinata la successiva lettera b). Infatti, la norma contenuta in tale precetto non ha tenuto in debito conto della circostanza che l’impianto delineato dal Consiglio di Stato, con il parere n. 456/07 dell’Adunanza della Sezione II, poi "ratificato" dalla sentenza n. 1 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 3 marzo 2008 (3), sia stato sottoposto al vaglio della Corte di giustizia mediante una recente ordinanza del Tar Sicilia, Sezione di Catania, rubricata n. 164/08 (4), con la quale i giudici catanesi hanno sollevato in via pregiudiziale, ex articolo 234 del Trattato Ue, la questione di compatibilità con il diritto dell’Ue proprio della ricostruzione operata dai magistrati di Palazzo Spada (5). E’ del tutto evidente che una eventuale "stroncatura", ad opera dei giudici lussemburghesi, della interpretazione fornita dal Consiglio di Stato dei principi codificati dalla giurisprudenza comunitaria finirebbe per disapplicare anche il precetto contenuto nella lettera b) del comma 3 dell’articolo in esame. In questo senso milita il rischio concreto che la Corte di giustizia possa privilegiare il "modello siciliano", improntato all’espletamento della doppia gara (6), e non condividere quello "suggerito" dal Consiglio di Stato, costruito sulla previsione della sola procedura di scelta del partner privato. Infine, non è aspetto di poco momento il fatto che il comma 10 della precetto in parola preveda che gli affidamenti diretti di servizi pubblici locali in essere alla data di entrata in vigore della presente legge cessano alla scadenza contrattuale o di legge, con esclusione di ogni proroga o rinnovo e comunque non oltre il 31 dicembre 2010. A decorrere dal 1° gennaio 2011 gli organismi affidatari diretti dei servizi pubblici locali, ivi compresi le società in house e le aziende speciali, sono soggetti al patto di stabilità interno, con questo stabilendo la fine degli affidamenti in house e della possibilità degli enti locali di avvalersi di utili modelli organizzativi interni per la gestione dei servizi pubblici locali. Ora, tralasciando le ragioni di contenimento della spesa pubblica che possono aver orientato il legislatore, viene da chiedersi se una norma del genere - applicabile a tutti gli affidamenti diretti di servizi pubblici -, che sottrae alla P.A. la possibilità di scegliere tra diverse forme di gestione di un servizio pubblico locale e, dunque, di autodeterminarsi nell’esercizio delle proprie funzioni non si ponga in contrasto sia con il principi costituzionali di buon andamento, di economicità e di efficienza dell’azione amministrativa codificati dall’articolo 97 della Carta che con quello di sussidiarietà fissato dal successivo articolo 118. A questo si aggiunga, a riprova della evidente approssimazione che attraversa il testo di legge, che nessuna indicazione è, al momento, fornita in merito alla sorte che, a partire dall’1 gennaio 2011, subiranno gli impianti e le infrastrutture strategiche realizzate dal gestore durante il periodo di affidamento del servizio. In conclusione, la bozza del DDL contenente la manovra finanziaria licenziata dal Consiglio dei Ministri lo scorso 18 giugno 2008, almeno nella parte relativa ai servizi pubblici locali, non appare convincente nelle sue parti essenziali, intrisa, com’è, sia di macroscopiche sviste quali, per esempio, l’aver abrogato l’articolo 113 – bis del d.lgs. n. 267/00 ( Vd. comma 11) - norma, questa, già espunta dall’ordinamento per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 272/04 -, che di pericolosi meccanismi di "soppressione" di norme generali (articoli 112 e 113) senza la contestuale previsione di adeguate reti di contenimento in grado di proteggere il sistema dai vuoti legislativi creati.

di Gerardo Guzzo Professore di Organizzazione Aziendale presso l’UniCal e partner dello studio legale Cristofano, Guzzo & Associetes (guzzo@cgaalaw.com)

Note

1 In www.dirittodeiservizipubblicilocali.it del 18 giugno 2008;

2 In www.dirittodeiservizipubblici.it del 18 dicembre 2007;

3 Sul tema cfr. G. Guzzo " I nuovi limiti del "controllo analogo" secondo la più recente teorica del Consiglio di Stato e della Commissione europea"; in www.dirittodeiservizipubblici.it; 7 maggio 2008;

4 Per il testo si rimanda a www.dirittodeiservizipubblici.it del 22 aprile 2008;

5 In particolare, i giudici catanesi hanno chiesto alla Corte di giustizia di chiarire se è conforme al diritto comunitario, in particolare agli obblighi di trasparenza e libera concorrenza di cui agli articoli 43, 49 e 86 del Trattato, un modello di società mista pubblico-privata costituita appositamente per l’espletamento di un determinato servizio pubblico di rilevanza industriale e con oggetto sociale esclusivo, che sia direttamente affidataria del servizio in questione, nella quale il socio privato con natura "industriale" ed "operativa", sia selezionato mediante una procedura di evidenza pubblica, previa verifica sia dei requisiti finanziari e tecnici che di quelli propriamente operativi e gestionali riferiti al servizio da svolgere e alle prestazioni specifiche da fornire.

6 Cfr. G. Guzzo "Società miste: nuovo start up del Consiglio di Stato e successiva evoluzione giurisprudenziale"; in www.lexitalia.it, n. 7-8/2007;

 

 

 

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