HomeSentenzeArticoliLegislazionePrivacyRicercaChi siamo
La nuova veste dei servizi pubblici locali alla luce degli emendamenti e sub-emendamenti al ddl n. AC 1386 di conversione del dl 112/08
di Gerardo Guzzo  (guzzo@cgaalaw.com) 16 luglio 2008
Materia: servizi pubblici / disciplina

La nuova veste dei servizi pubblici locali alla luce degli emendamenti e sub-emendamenti al ddl n. AC 1386 di conversione del dl 112/08.

 

Il Governo, con i recenti emendamenti al ddl n. AC 1386 di conversione del dl n. 112/08, introdotti, rispettivamente, l’8 luglio 2008 (19, nella seduta congiunta della V e VI Commissione della Camera, e il 13 e 14 luglio 2008, con un sub-emendamento all’emendamento n. 0.23.011.64 approvato all’esito dei lavori delle Commissioni riunite Bilancio e Finanza (2), ha corretto alcune macroscopiche sviste già evidenziate in un precedente intervento apparso di recente su questa Rivista (3) lasciando, tuttavia, ancora aperte altre significative questioni. In prima battuta, va ascritto all’Esecutivo il merito di aver recepito con il primo emendamento dell’8 luglio le critiche che erano state mosse alla primitiva bozza del testo del ddl relativo al riordino dei servizi pubblici locali licenziato dal Governo lo scorso 18 giugno 2008 mercé la stesura del comma 2 del testo di legge in esame il quale attualmente dispone che Il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria, a imprenditori o società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità. Più nel dettaglio. Il Legislatore, con la disposizione in commento, ha "aperto" la possibilità di concorrere per l’affidamento della gestione di servizi pubblici locali a tutti gli imprenditori e a tutte le società indipendentemente dalla veste giuridica assunta correggendo quanto originariamente previsto nel primo articolo del Capo V della bozza del ddl di riforma dei servizi pubblici locali che riconosceva tale chance alle sole società di capitali. La norma segnalata, infatti, si poneva in evidente contrasto con quanto affermato dalla Corte di giustizia del Lussemburgo che, con la sentenza del 18 dicembre 2007, C - 357/06, meglio conosciuta come "Frigerio", aveva invitato i giudici italiani a disapplicare l’articolo 113, comma 5, lettera a) del d.lgs. n. 267/00 per manifesta incompatibilità con i principi di parità di trattamento, di divieto di discriminazione e di libera concorrenza sanciti dal Trattato Ue. Nondimeno importante è apparsa la scelta originariamente compiuta dal Governo, codificata nell’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 23 – bis, poi espunto, di consentire alle società a composizione mista pubblica/ privata - il cui partner privato fosse stato scelto all’esito dell’espletamento degli ordinari meccanismi selettivi di evidenza pubblica - la partecipazione alle gare per l’affidamento della gestione di un servizio pubblico locale. Il Legislatore, con la norma in parola, aveva dato la sensazione di non condividere il sistema di affidamento delineato dal Consiglio di Stato prima con il parere dell’Adunanza della Sezione II n. 456/07 e poi con la sentenza n. 1 del 3 marzo 2008 dell’Adunanza Plenaria. Giova ricordare che il meccanismo "suggerito" dai giudici di Palazzo Spada prevede un’unica gara volta alla individuazione del partner privato cui affidare sostanzialmente la gestione del servizio pubblico a condizione che nel bando venga determinata la durata temporale del rapporto, vengano definiti compiti e funzioni del socio che, pertanto, diventa "socio operativo", vengano codificati i meccanismi di liquidazione della sua quota nel caso in cui alla scadenza del rapporto questi non risulti più affidatario. Tuttavia, il disposto in esame, lungi dal chiarire la scelta di campo compiuta dall’Esecutivo, rappresentava soltanto la fragile previsione di un principio generale e, dunque, solo apparentemente, mostrava la reale volontà del Governo di allinearsi a quanto predicato dal CGARS con le sentenze n. 589/06 e n. 719/07 che hanno fissato l’indispensabilità della doppia gara: una finalizzata alla scelta del partner privato e l’altra tesa a selezionare il soggetto gestore del servizio; soluzione, questa, peraltro, ritenuta più in linea con i principi stabiliti dalla giurisprudenza comunitaria (Vd. Sentenza Stadt Halle). Infatti, il testo della norma contenuto nel novellato comma 2, per come esso risulta dal sub-emendamento all’emendamento n. 0.23.011.64, approvato dalle Commissioni Bilancio e Finanza della Camera tra il 13 e 14 luglio scorso, nel porre quale regola generale l’indispensabilità della gara ai fini dell’affidamento della gestione del servizio pubblico locale in favore di soggetti economici a capitale interamente privato, indipendentemente dalla veste giuridica assunta, se, da un lato, esclude le ipotesi di PPP, da un altro, riconosce, nel successivo comma 3, in deroga alle modalità di affidamento ordinario di cui al comma 2, la possibilità per l’Ente pubblico di affidare direttamente la gestione del servizio a società a partecipazione mista pubblica e privata, anche quotate in borsa, partecipate dall'ente locale, a condizione che il socio privato sia scelto mediante procedure ad evidenza pubblica, nelle quali siano già stabilite le condizioni, le modalità e la durata della gestione del servizio e le modalità di liquidazione del socio al momento della scadenza dell'affidamento del servizio. In altri termini, la norma finisce per accreditare, seppur come ipotesi subordinata, la possibilità che la P.A. affidi direttamente la gestione di un servizio pubblico a moduli societari ad economia mista. In questo modo, il Legislatore, con un rapido cambio di scena ha di fatto "abbandonato" il modello "siciliano" di affidamento del servizio, mostrando di "conoscere" e condividere il sistema di affidamento "coniato" dal Consiglio di Stato con il parere n. 456/07 della Sezione II e con la sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 1 del 3 marzo 2008. Ciononostante, la previsione di legge contenuta nel comma 3 assume tutte le sembianze di una sorta di pericoloso "rischio giuridico" dal momento che una delle due soluzioni, vale a dire o quella primitivamente codificata dall’ultimo periodo del comma 2 o quella strutturata nell’attuale comma 3, è destinata ad essere sacrificata dalla Corte di giustizia non appena questa affronterà la questione pregiudiziale sollevata dal Tar Sicilia – Sezione di Catania – con l’ordinanza n. 164/08. Il pericolo che si annida in una scelta del genere è che una volta che i giudici lussemburghesi si saranno pronunciati proprio il comma 3, lett. b), possa essere disapplicato con conseguente travolgimento di tutti i rapporti giuridici venuti in essere sotto la vigenza della norma. Non è il caso di soffermarsi in questa sede su quelle che potrebbero essere le ricadute sul piano pratico, attesa l’evidenza degli effetti. Ad ogni modo, la ratio che sembra attraversare l’intero articolo 23 – bis rimane quella di cercare di tutelare al massimo grado il principio della libera concorrenza se è vero come è vero che sempre il novellato comma 3 dell’articolo in parola circoscrive entro gli angusti ambiti dell’ eccezionalità l’affidamento diretto del servizio in favore di società a capitale interamente pubblico o miste (4). A conforto dell’assunto, vale la pena ricordare che nonostante la giurisprudenza comunitaria abbia avuto modo più volte di chiarire che l’affidamento senza gara, costituendo una eccezione alla regola del ricorso a procedure di evidenza pubblica, integri un principio di stretta interpretazione (Vd. Sentenza "AVAV" del 6 aprile 2006), in questo caso, tuttavia, la subordinazione dell’utilizzo di tale meccanismo di gestione all’impossibilità di ricorrere utilmente ed efficacemente al mercato sembra escludere, di fatto e definitivamente, la possibilità di fare appello al sistema dell’in house providing e con esso, a quanto pare, anche alle ipotesi di PPP. Tuttavia, proprio questa ultima sortita del Legislatore presta il fianco a facili critiche. Infatti, viene da chiedersi come si possa subordinare l’affidamento diretto della gestione di un servizio pubblico locale a società a partecipazione mista pubblica e privata, anche quotate in borsa, partecipate dall'ente locale, a condizione che il socio privato sia scelto mediante procedure ad evidenza pubblica, nelle quali siano già stabilite le condizioni, le modalità e la durata della gestione del servizio e le modalità di liquidazione del socio al momento della scadenza dell'affidamento del servizio, in tutti quei casi in cui non è possibile un utile ed efficace ricorso al mercato. Ora, a parte la scontata considerazione che il ricorso al mercato è astrattamente sempre possibile e, dunque, almeno sul piano teorico, l’affidamento diretto in favore delle società miste e di quelle a partecipazione interamente pubblica aventi le caratteristiche descritte dal comma 3 non dovrebbe mai essere possibile, non è revocabile in dubbio che la norma in commento, sotto altro profilo, evidenzi un contenuto piuttosto contraddittorio. Infatti, è facile gioco cogliere dalla lettura del testo di legge il cristallino riferimento sia alle condizioni fissate dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 1 dell’Adunanza Plenaria del 3 marzo 2008 che al carattere fittizio o, per meglio dire, formale dell’affidamento disposto in favore delle società miste elaborato dagli stessi magistrati di Palazzo Spada. In altri termini, secondo la ricostruzione dei giudici amministrativi il modulo societario ad economia mista altro non sarebbe se non una sorta di strumento organizzativo nelle mani della P.A. attraverso il quale esercitare un controllo interno sul partner privato/"socio operativo" affidatario del servizio. Ciò significa che tra l’ipotesi prevista dal comma 2 e quella introdotta dal sub-emendamento all’emendamento n. 0.23.011.64 nel novellato comma 3 non vi è alcuna sostanziale differenza, atteso che la gestione del servizio pubblico spetterà comunque al "socio industriale" scelto con procedura di evidenza pubblica e non alla società mista, solo formalmente affidataria senza gara del medesimo. L’errore di fondo compiuto dal Legislatore finisce per riverberarsi anche su un’altra disposizione oggetto di "rivisitazione" nella seduta congiunta del 13-14 luglio della V e VI Commissione della Camera dei Deputati: la lettera b) del comma 6 dell’articolo 23-bis (5) In particolare, tale disposizione nell’assoggettare tutti i soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali e, dunque, anche le società miste previste dal comma 3, non considera adeguatamente l’intrinseca natura giuridica di tali moduli societari solo apparentemente soggetti pubblici ai quali, inter alia, viene imposta l’osservanza dei parametri contenuti nel patto di stabilità e il rispetto di procedure di evidenza pubblica per l’acquisto di beni e servizi oltre che per l’assunzione di personale. In questo modo, vengono traslati in ambito privatistico fondamentali principi gius-pubblicistici: quello del reclutamento del personale della P.A. mediante concorso, sancito dall’articolo 97, ultimo comma, della Costituzione (6) e quello del contenimento della spesa pubblica.

Non convince, inoltre, la previsione di una prodromica analisi di mercato che certifichi la indispensabilità o meno di utilizzare per la gestione di servizi pubblici locali moduli societari interamente partecipati da soggetti pubblici (7), soprattutto con riferimento agli Enti Locali di piccole dimensioni (appena sopra i 5.000 residenti) i quali si vedrebbero costretti a fare fronte ad una spesa aggiuntiva di non poco conto consistente nel commissionare, a professionalità di specchiata esperienza, adeguati studi di mercato i cui costi finirebbero per ricadere sulla capacità dell’Ente di rimanere all’interno dei parametri fissati dal patto di stabilità (8). Parimenti, qualche perplessità suscita anche il successivo comma 4 che "conia" l’ipotesi dell’affidamento simultaneo con gara di una pluralità di servizi pubblici locali nei casi in cui possa essere dimostrato che tale scelta sia economicamente vantaggiosa. Infatti, non è chiaro il modo in cui debba essere dimostrato che tale scelta risulti particolarmente vantaggiosa per la PA e che in che cosa consista il particolare vantaggio.

Diversamente, risulta assolutamente condivisibile l’espunzione dal testo della disposizione contenuta nel comma 10 del primo articolo del Capo V del ddl di riordino servizi pubblici locali licenziato dal CdM il 18 giugno 2008 che prevedeva che gli affidamenti diretti di servizi pubblici locali in essere alla data di entrata in vigore della presente legge cessano alla scadenza contrattuale o di legge, con esclusione di ogni proroga o rinnovo e comunque non oltre il 31 dicembre 2010. A decorrere dal 1° gennaio 2011 gli organismi affidatari diretti dei servizi pubblici locali, ivi compresi le società in house e le aziende speciali, sono soggetti al patto di stabilità interno. La nuova formulazione della norma, rinvenibile nell’ultimo periodo dell’articolo 5 –bis, chiarisce che sono escluse dalla cessazione le concessioni affidate ai sensi del comma 3, vale a dire quelle affidate senza gara a società miste, purché ricorrano i requisiti individuati dal Consiglio di Stato, e quelle relative a società a capitale interamente pubbliche, purché sussistano i requisiti richiesti dall’ordinamento comunitario per la gestione in house. Si tratta di un emendamento di non poca importanza che ha riscritto un testo poco rispettoso dell’autonomia degli enti locali e del principio di buon andamento della pubblica amministrazione; principi, questi, sanciti dagli articoli 5, 114 e 97 della Costituzione (9). Parimenti significativa è la previsione contenuta nell’articolo 5 – ter a tenore della quale i soggetti titolari della gestione di servizi pubblici locali non affidati mediante le procedure competitive non possono acquisire la gestione di servizi ulteriori, ovvero in ambiti territoriali diversi, nè svolgere servizi o attività per altri enti pubblici o privati". Questo divieto non si applica però alle società a partecipazione mista pubblica e privata quotate in Borsa e, ricorrendo ad una interpretazione estensiva della norma, anche a quelle non quotate previste dallo stesso comma 3, lett. b), in quanto soggetti direttamente affidatari con partner privato selezionato all’esito di una puntuale procedura di evidenza pubblica.

Non sembrava persuasiva, infine, la scelta originaria di demandare ad una fonte secondaria, un regolamento, l’abrogazione di norme di legge contenute in fonti primarie incompatibili con quanto previsto nell’articolo 23 –bis (lett. n) del comma 6). A tal proposito, va dato atto al Governo di aver emendato il primitivo testo della norma prevedendo che il regolamento in parola si limitasse ad individuare espressamente le norme abrogate ai sensi del presente articolo. Parimenti condivisibile è stata la scelta di sottrarre ad una fonte secondaria l’individuazione dei divieti cui faceva originariamente riferimento la lett. a) del comma 6 (10) mentre non è stata incisa l’altra norma che demandava sempre ad un regolamento la limitazione dei casi di gestione in regime di esclusiva dei servizi pubblici locali con contestuale liberalizzazione di tutte le altre attività economiche di prestazione di servizi di interesse generale (comma 6, lett. h) che, invece, dovrebbero essere disciplinati da una fonte primaria, atteso l’ambito materiale disciplinato e l’ampiezza delle previsioni contenute nel precetto. In conclusione, l’emendamento introdotto dal Governo, con l’articolo 23 – bis, al ddl di conversione del dl 112/08 rappresenta indubbiamente un significativo passo in avanti nel difficile tentativo di dare alla gestione dei servizi pubblici locali una compiuta disciplina che tenga conto della non sempre lineare giurisprudenza comunitaria proprio di recente chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità con il diritto dell’Ue del modello di affidamento delineato dal Consiglio di Stato con la sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 1 del 3 marzo 2008 (11) condiviso dal comma 3 dell’articolo in commento. In attesa che il Governo emani entro 180 giorni dall’approvazione del ddl i regolamenti di attuazione non resta che fare i debiti scongiuri.

Professore di Organizzazione Aziendale presso l’UniCal e partner dello studio legale "Cristofano, Guzzo & Associates" (guzzo@cgaalaw.com).

Note:

1 Testo pubblicato in questa Rivista il 9 luglio 2008;

2 Testo pubblicato in questa Rivista il 14 luglio 2008;

3 Cfr. G. Guzzo: Prime considerazioni a margine della bozza di ddl relativo alla manovra finanziaria per l’anno 2009; in www.dirittodeiservizipubblici.it del 24 giugno 2008;

4 Il comma 3 dell’articolo 23 – bis , come novellato per effetto del sub-emendamento n. 0.23.011.64, stabilisce che «3. In deroga alle modalità di affidamento ordinario di cui al comma 2, per situazioni che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace ed utile ricorso al mercato, l'affidamento può avvenire a favore di:

a) società a capitale interamente pubblico, partecipate dall'ente locale, che abbia i requisiti richiesti dall'ordinamento comunitario per la gestione in house;

b) società a partecipazione mista pubblica e privata, anche quotate in borsa, partecipate dall'ente locale, a condizione che il socio privato sia scelto mediante procedure ad evidenza pubblica, nelle quali siano già stabilite le condizioni, le modalità e la durata della gestione del servizio e le modalità di liquidazione del socio al momento della scadenza dell'affidamento del servizio;

3-bis. Nei casi di cui al comma 3, l'ente affidante deve dare adeguata pubblicità alla scelta, motivandola in base ad un'analisi del mercato e contestualmente trasmettere una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all'Autorità garante della concorrenza e del mercato e alle autorità di regolazione del settore, ove costituite, per l'espressione di un parere sui profili di competenza da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della predetta relazione.

5 La norma in questione dispone l'assoggettamento dei soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali al patto di stabilità interno e l'osservanza da parte delle società in house e delle società a partecipazione mista pubblica e privata di procedure ad evidenza pubblica per l'acquisto di beni e servizi e l'assunzione di personale.

6 A tal proposito non si ritiene che i principi fissati dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 29/2006 possano trovare applicazione alla fattispecie in esame atteso che il leading case esaminato dalla Consulta si riferiva a società interamente pubbliche con riferimento alle quali i giudici della Corte hanno ritenuto che l’espletamento di procedure di evidenza pubblica finalizzate al reclutamento di personale non costituisse limitazione alla capacità di agire delle persone giuridiche private, bensì applicazione del principio di cui all’articolo 97 della Costituzione, distinguendo tra privatizzazione formale e privatizzazione sostanziale.

7 Il comma 3 dell’articolo 23 –bis, infatti, prevede che situazioni eccezionali che a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace ed utile ricorso al mercato, l’affidamento può avvenire a favore di società a capitale interamente pubblico, partecipata dall’ente locale, che abbia i requisiti richiesti dall’ordinamento pubblico, partecipata dall’ente locale, che abbia i requisiti richiesti dall’ordinamento comunitario per la gestione in house. In questo caso l’ente affidante deve dare adeguata pubblicità alla scelta, motivandola in base ad un’analisi di mercato, e contestualmente trasmettere una relazione, contenente gli esiti della predetta verifica, all’Autorità garante della concorrenza e del mercato e all’autorità di regolazione del settore, ove costituita, per il loro parere, da rendere entro 60 giorni dalla ricezione.

8 Infatti, il comma 6 dell’articolo 23-bis demanda alla lettera b) ad un regolamento da emanarsi ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988 n. 400 di prevedere l’assoggettamento dei soggetti affidatari diretti dei servizi pubblici locali al patto di stabilità interno e l’osservanza da parte delle società in house di procedure ad evidenza pubblica per l’acquisto di beni e servizi

9 Cfr., tra gli altri, G. Guzzo: "Prime considerazioni a margine della bozza del ddl relativo alla manovra finanziaria per l’anno 2009"; in www.dirittodeiservizipubblici.it, del 24 giugno 2008;

10 Tale norma disponeva che un regolamento prevedesse divieti a carico dei soggetti titolari della gestione di servizi pubblici locali non affidati mediante le procedure competitive di cui al comma 2, nonché dei soggetti cui è affidata la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali degli enti locali, qualora separata dall'attività di erogazione dei servizi ed in particolare, il divieto di acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi, ne svolgere servizi o attività per altri enti pubblici o privati, né direttamente, né tramite loro controllanti o altre società che siano da essi controllate o partecipate, né partecipando a gare;

11 Cfr. ordinanza di rimessione del Tar Sicilia – Sezione di Catania – n. 164/08; in www.dirittodeiservizipubblici.it del 22 aprile 2008.

HomeSentenzeArticoliLegislazioneLinksRicercaScrivici