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Note di analisi sulla disciplina per lo scioglimento delle società che gestiscono servizi strumentali (art. 4 d.l. n. 95/2012).
di Alberto Barbiero e Carmelo Bonaccorso  (albertobarbiero@albertobarbiero.net; C.Bonaccorso@scsconsulting.it) 13 luglio 2012
Materia: società / partecipazione pubblica

 

1. Riferimenti generali.

 

L’articolo 4 del d.l. 6 luglio 2012, n. 95 (c.d. “spending review”) è espressamente e quasi totalmente dedicato alla disciplina degli interventi di razionalizzazione su un particolare settore delle società partecipate dalle amministrazioni pubbliche, ossia quello degli organismi produttivi di servizi rivolti a soddisfare esigenze delle stesse amministrazioni: i c.d. “servizi strumentali”.

Il quadro normativo sino ad oggi vigente prevedeva solo una disposizione in materia, peraltro oggetto di interpretazioni articolate e, in alcuni casi, anche contraddittorie, data dall’art. 13 del d.l. n. 223/2006 (c.d. “decreto Bersani”), convertito con la legge n. 248/2006.

Proprio in relazione a questa normativa spuria, la giurisprudenza ha prodotto alcuni elementi definitori dei servizi strumentali.

Il requisito della strumentalità sussiste quando le attività che le società sono chiamate a svolgere siano rivolta agli stessi enti promotori o comunque azionisti della società per svolgere le funzioni di supporto di tali amministrazioni pubbliche, secondo l’ordinamento amministrativo in relazione al perseguimento dei loro fini istituzionali (Consiglio di Stato, sez. V, sent. n. 1282 del 5 marzo 2010 e Consiglio Stato, sez. V, sent. n. 3766 del 12 giugno 2009).

Il riconoscimento di un ambito di operatività delle società strumentali limitato e circoscritto allo svolgimento di attività in favore dell’ente locale che le ha costituite è stato sancito anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 326 del 1 agosto 2008, che ha giudicato compatibile con la Carta fondamentale l’art. 13 della legge n. 248/2006.

Le società che gestiscono servizi strumentali sono peraltro soggetti che operano in deroga alle ordinarie procedure di affidamento (e questo aspetto è desumibile dal rapporto con l’ente affidante, strutturato in termini di prestazioni contro corrispettivo, quindi come un appalto, a differenza dei soggetti gestori di servizi pubblici locali, per i quali i profili economici sono fondati su un sistema tariffario a riscossione diretta o indiretta e su un rapporto trilaterale di tipo concessorio).

A  fronte di tale configurazione speciale (e, appunto, derogatoria), le società che gestiscono servizi strumentali non possano svolgere, in relazione alla loro posizione privilegiata, altre attività a favore di altri soggetti pubblici o privati poiché in caso contrario si verificherebbe un’alterazione o comunque una distorsione della concorrenza all’interno del mercato locale di riferimento.

In tale ottica si giustifica la previsione contenuta nel secondo comma dell’art. 13 della legge n. 248/2006, che obbliga le amministrazioni a prevedere per le società “strumentali” un oggetto sociale esclusivo”.

E’ necessario evidenziare come la disposizione originariamente prefigurativa delle società per la gestione dei servizi strumentali abbia, in realtà, un fine ben preciso, ossia ricondurre al mercato molte tipologie di servizi, impropriamente affidate dalle amministrazioni pubbliche (e dagli enti locali in particolare) a società da esse partecipate.

Non a caso, a tal fine la disposizione prevede significative sanzioni per gli affidamenti effettuati in violazione dei limiti posti dall’art. 13, prima tra tutte la nullità dei contratti.

Inoltre, in base alla previsione legislativa risultante dal citato art. 13 del d.l. n. 223, agli enti locali è precluso lo svolgimento di attività strumentali per il tramite di società che non siano ad oggetto esclusivo. In sostanza non è possibile che la stessa società che opera in house svolga per conto di uno o più enti attività strumentali e gestisca servizi pubblici locali (come evidenziato dalla Corte dei Conti, sez. reg.le controllo Lombardia, deliberazione-parere n. 517 del 17 ottobre 2011).

L’articolo 4 del d.l. n. 95/2012 interviene su questo sistema, stabilendo al comma 1 che nei confronti delle società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, che abbiano conseguito nell’anno 2011 un fatturato da prestazione di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90 per cento, si procede, alternativamente:

a) allo scioglimento della società entro il 31 dicembre 2013;

b) all’alienazione, con procedure di evidenza pubblica, delle partecipazioni detenute alla data di entrata in vigore del presente decreto entro il 30 giugno 2013 ed alla contestuale assegnazione del servizio per cinque anni a decorrere dal 1° gennaio 2014.

Anche questa disposizione si pone come norma di impulso, per ricondurre al mercato una (consistente) parte di servizi ancora gestiti dalle società partecipate, riconoscendo indirettamente la mancata applicazione dell’art. 13 della legge n. 248/2011 (rilevata dalla Corte dei Conti più volte, con evidenti situazioni di società ad oggi ancora affidatarie di numerosi servizi strumentali) 

 

2. Profili particolari e critici della disposizione.

 

La disposizione formulata nell’art. 4, comma 1 del d.l. n. 95/2012 presenta numerosi profili di particolarità, alcuni anche ingeneranti elementi critici.

Il primo aspetto con incidenza sostanziale è il mancato coordinamento proprio con l’art. 13 della legge n. 248/2006: non se ne fa menzione nella norma, determinando il paradossale effetto per cui si dispone lo scioglimento di società che l’amministrazione pubblica ha ancora la facoltà di costituire proprio in base all’art. 13.

Senza voler ipotizzare soluzioni elusive (in particolare rispetto al patto di stabilità), un’amministrazione locale potrebbe costituire una società per la gestione di servizi strumentali nel 2012, per poi condurla allo scioglimento entro il 2013.

Nulla vieta, tuttavia, che questa scelta possa configurarsi come percorso per l’ottimizzazione della gestione di alcuni servizi.

Si pensi al caso di una società che, costituita prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 95/2012 in base all’art. 13 della legge n. 248/2006 o derivante per riconfigurazione di una società preesistente (si immagini il caso di una società affidataria anche di servizi pubblici locali, espunti dall’oggetto sociale e affidati con gara, rimodulando la società come gestore di soli servizi strumentali, anche attraverso opportuna modifica statutaria) risulti affidataria (diretta, in house) di servizi manutentivi del patrimonio dell’ente locale.

Tale organismo, accorpante servizi complessi sulla base di uno specifico business plan, potrebbe essere ricondotta al mercato con la seconda opzione, ossia con l’alienazione totale delle partecipazioni dell’ente locale, unita all’affidamento dei servizi per cinque anni.

La norma impedisce che simile percorso sia effettuato con la costituzione ex novo di società per la gestione di servizi strumentali, ponendo come riferimento temporale la data di entrata in vigore del decreto-legge, ossia il 6 luglio 2012: per poter accedere alla seconda opzione prevista dal comma 1 è infatti necessario che la società sia già stata costituita, affinchè l’ente locale possa alienare (entro il 30 giugno 2013) le partecipazioni a quella data detenute.

L’interpretazione dinamica della norma (data la necessaria presenza dei presupposti al momento dell’entrata in vigore del d.l.) non vieta, tuttavia, che la società per servizi strumentali esistente possa essere “riconfigurata” (ad esempio, con aggregazione di attività sulla base di uno specifico piano industriale), mantenendo sempre il presupposto dell’attività prevalente nei confronti degli enti soci secondo il parametro del 90% del fatturato, per poter essere poi ceduta in una prospettiva più vantaggiosa per l’ente locale (come sorta di società veicolo che porta al mercato i servizi in affidamento).

Assume particolare interesse l’associazione tra l’alienazione delle partecipazioni (prima fase, da attuarsi entro il 30 giugno 2013) e la contestuale assegnazione del servizio per cinque anni a decorrere dal 1° gennaio 2014. 

La norma prefigura una connessione consequenziale, per cui la società rilevata dall’operatore economico privato acquisisce anche i servizi affidati alla stessa per un periodo quinquennale.

La società “privatizzata” si trasforma quindi in appaltatore dell’amministrazione per un periodo predeterminato.

Il dato normativo presenta tuttavia due ulteriori aspetti peculiari.

Il comma 1 dell’art. 4 del d.l. n. 95/2012 delinea un quadro regolativo che si applica “nei confronti delle società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni”.

Pertanto non rientrano nella sfera applicativa della norma:

a) le società (per la gestione di servizi strumentali, ad es. una società mista in cui l’ente locale abbia una partecipazione largamente minoritaria) nelle quali l’amministrazione socia non eserciti una posizione di controllo diretto o indiretto; rientrano in tale fattispecie anche le situazioni di enti detentori di partecipazioni irrisorie che non permettano loro di esercitare il “controllo analogo” in caso di società in house;

b) le società per la gestione di servizi strumentali che abbiano prodotto un fatturato inferiore al 90% nei confronti di pubbliche amministrazioni.

Questo secondo aspetto è di più difficile individuazione.

Una prima ipotesi potrebbe riguardare società di servizi strumentali che gestiscano anche servizi pubblici locali.

In tal caso, tuttavia, considerando la teoria c.d. “oggettiva” del divieto presente nell’art. 13 della legge n. 248/2006 (oggetto di giurisprudenza configgente, ma adottata in pieno dalle sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti, nei propri pareri) le due tipologie di attività non potrebbero (rectius avrebbero potuto) convivere in capo alla stessa società.

Una seconda ipotesi potrebbe afferire a società che gestiscono, unitamente ai servizi strumentali, anche servizi di natura commerciale, rivolti a terzi.

Anche in tale ipotesi, tuttavia, ci si troverebbe di fronte ad una società esercitante attività configgenti con il principio di coerenza con le finalità istituzionali dell’ente socio (art. 3, comma 7 della legge n. 244/2007)-

 

3. Le esclusioni espresse dall’ambito applicativo della disposizione limitativa.

 

Il comma 3 dell’art. 4 del d.l. n. 95/2012 individua anche varie tipologie di società partecipate comunque non sottoposte alla disposizione (comma 1) sui processi obbligatori di scioglimento o di alienazione delle partecipazioni delle società che gestiscono servizi strumentali. 

La disposizione esclude dall’ambito applicativo dell’art. 4:

a)  le società che erogano servizi in favore dei cittadini: tra queste rientrano senza dubbio tutte le società che gestiscono servizi pubblici locali, sia con rilevanza economica che privi di tale caratteristica;

b) le società che svolgono compiti di centrale di committenza ai sensi dell’articolo 33, decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (l’organismo più rilevante in tal senso è Consip, ma allo stesso schema vanno riportate anche le società regionali che svolgono funzioni analoghe);

c) le società di cui all’articolo 4, commi da 7 a 10, del decreto legge n. 87 del 2012 (Consip e Sogei);

d) le società che, gestendo comunque servizi strumentali alle amministrazioni pubbliche, debbano essere salvaguardate in relazione alle esigenze di tutela della riservatezza e della sicurezza dei dati, nonché all’esigenza di assicurare l’efficacia dei controlli sulla erogazione degli aiuti comunitari del settore agricolo, la cui individuazione è rimessa ad un decreto interministeriale.

Nel novero delle esclusioni dall’ambito applicativo rientra anche quanto previsto dal comma 13, il quale stabilisce che le disposizioni dell’art. 4 del d.l. n.95/2012 non si applicano alle società quotate ed alle loro controllate.

Un aspetto problematico riguarda le società costituite dagli enti locali per la riscossione dei tributi, in base all’art. 52, comma 5 del d.lgs. n. 446/1997.

La giurisprudenza amministrativa, infatti, le ha connotate come società per la gestione di servizi strumentali (Tar Toscana, sez. I, sent. n. 377 del 1 marzo 2011, Tar Emilia-Romagna, Bologna, sez. II, sent. n. 380 del 31 maggio 2012) sulla base del presupposto che il servizio di riscossione dei tributi abbia natura strumentale all'attività dell'ente, e come tale non rientra nei servizi di pubblica rilevanza.

Una problematica particolare si rileva anche per le società patrimoniali, alle quali molti enti locali hanno trasferito la proprietà di reti dei servizi pubblici e del patrimonio, nonché la gestione di tali elementi: anche in tal caso la giurisprudenza amministrativa ha fornito un dato interpretativo probante, affermando con il Tar Veneto, sez. I, per mezzo della sentenza n. 230 del 2 febbraio 2009 che Il limite di attività delle società di gestione del patrimonio è quindi quello di rivolgersi alla produzione di beni e servizi da erogare a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica, di cui resta titolare l’ente di riferimento, con i quali lo stesso ente provvede al perseguimento dei suoi fini istituzionali (appunto, la gestione e la manutenzione del patrimonio affidato).

Anch’esse (presumibilmente in ragione del fatturato esclusivo a favore dell’ente di riferimento) rientrano nell’ambito applicativo dell’art. 4 del d.l. n. 95/2012.

 

4. I limiti ulteriori.

 

4.1.I limiti alle attività.

 

La disposizione sulle società che gestiscono servizi strumentali contiene anche una serie di limiti ulteriori, afferenti all’organizzazione e, soprattutto, all’attività delle stesse, che impediscono a tali organismi di poter modulare una prospettiva funzionale ad una gestione efficiente o, quantomeno, autoalimentativa. 

Il comma 2, infatti, stabilisce che ove l’amministrazione non proceda in base al comma 1 allo scioglimento della società o all’alienazione delle partecipazioni nella stessa, a decorrere dal 1° gennaio 2014 tali società non possono comunque ricevere affidamenti diretti di servizi, né possono fruire del rinnovo di affidamenti di cui sono titolari. I servizi già prestati dalle società, ove non vengano prodotti nell’ambito dell’amministrazione, devono essere acquisiti nel rispetto della normativa comunitaria e nazionale.

La disposizione definisce una prospettiva “ad esaurimento”, in ragione della quale una società che gestisca servizi strumentali non potrà che condurre a termine le attività affidate, non potendo in alcun modo integrarle o evolverle.

La previsione contenuta nell’ultimo periodo del comma 2, peraltro, chiarisce in modo netto che se viene a scadere il contratto di un servizio (in ipotesi, per servizi di assistenza informatica) con la società affidataria delle attività strumentali, lo stesso servizio dovrà obbligatoriamente essere realizzato dall’amministrazione (se reinternalizzato) o acquisito mediante procedura di gara nel rispetto del d.lgs. n. 163/2006.

Tale prospettiva è chiaramente rafforzata dal comma 7 dello stesso art. 4, il quale prevede che, al fine di evitare distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale, a decorrere dal 1° gennaio 2014 le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, le stazioni appaltanti, gli enti aggiudicatori e i soggetti aggiudicatori di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nel rispetto dell’articolo 2, comma 1 del medesimo decreto acquisiscono sul mercato i beni e servizi strumentali alla propria attività mediante le procedure concorrenziali previste dal citato decreto legislativo.

Qualche dubbio sorge invece analizzando il comma 8, il quale prevede che a decorrere dal 1° gennaio 2014 l’affidamento diretto può avvenire solo a favore di società a capitale interamente pubblico, nel rispetto dei requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria per la gestione in house e a condizione che il valore economico del servizio o dei beni oggetto dell’affidamento sia complessivamente pari o inferiore a 200.000 euro annui. Inoltre stabilisce che sono fatti salvi gli affidamenti in essere fino alla scadenza naturale e comunque fino al 31 dicembre 2013.

La disposizione è apparentemente contrastante con quanto dettato dal comma 2, il quale prevede che dal 1° gennaio 2014 le società che gestiscono servizi strumentali non possano più risultare affidatarie dirette.

Tuttavia la stessa è probabilmente prefigurabile (al pari di quanto sancito dal comma 13 dell’art. 4 della legge n. 148/2011 per i servizi pubblici locali) come norma derogatoria. Tale soluzione eccezionale, quindi, sarebbe realizzabile solo a tre condizioni:

a) affidamento ad una società a partecipazione interamente pubblica;  

b) sussistenza, in capo alla società, dei parametri comunitari per l’in house;

c) valore del servizio da affidare inferiore a 200.000 euro annui.

Tuttavia è necessario rilevare come tale soglia di valore, se giustificabile come ragionevole per i sevizi pubblici locali con rilevanza economica (dati i volumi di produzione e le caratteristiche) rischi di aprire una via elusiva clamorosa per le società che gestiscono servizi strumentali, in quanto il dato economico, peraltro riferito al singolo servizio, in enti locali di medie dimensioni può risultare utile a soddisfare servizi anche molto consistenti.

 

4.2. I limiti all’organizzazione.

 

L’articolo 4 del d.l. n. 95/2012 connota per le società per la gestione di servizi strumentali alcuni importanti limiti all’assetto organizzativo e funzionale, a partire dalla composizione del consiglio di amministrazione (comma 4), che non deve comprendere più di tre componenti, di cui due devono essere dipendenti dell’amministrazione titolare della partecipazione o di poteri di indirizzo e vigilanza (alla quale devono riversare i propri compensi), mentre terzo membro deve svolgere le funzioni di amministratore delegato.

La disposizione (che comunque consente la nomina di un amministratore unico) si collega ad un intervento più ampio di riassetto delle regole in materia di composizione dei cda delle società a partecipazione pubblica (diretta e indiretta), codificato in modo puntuale nel comma 5 secondo elementi dimensionali già stabiliti a suo tempo dalla legge n. 296/2006, ma con alcune previsioni che obbligano a scegliere, anche in tal caso, un certo numero di componenti tra i dipendenti dell’amministrazione controllante.

Il complesso dei limiti organizzativi per le società di gestione dei servizi strumentali è rafforzato, inoltre, dalle previsioni per cui  :

a) a decorrere dall’entrata in vigore del decreto e fino al 31 dicembre 2015, alle stesse società si applicano le disposizioni limitative delle assunzioni previste per l’amministrazione controllante (comma 9);

b) a decorrere dall’anno 2013 le società strumentali possono avvalersi di personale a tempo determinato ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa nel limite del 50 per cento della spesa sostenuta per le rispettive finalità nell’anno 2009 (comma 10);

c) adecorrere dal 1° gennaio 2013 e fino al 31 dicembre 2014 il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti delle società per servizi strumentali, ivi compreso quello accessorio, non può superare quello ordinariamente spettante per l’anno 2011 (comma 11).

Le amministrazioni vigilanti verificano sul rispetto dei vincoli di cui ai commi precedenti; in caso di violazione dei suddetti vincoli gli amministratori esecutivi e i dirigenti responsabili della società rispondono, a titolo di danno erariale, per le retribuzioni ed i compensi erogati in virtù dei contratti stipulati (comma 12)..

 

5. I limiti nei rapporti tra amministrazioni pubbliche e fondazioni o associazioni.

 

La limitazione a forme elusive o distorsive dei moduli di confronto concorrenziale nel mercato per l’acquisizione di beni e servizi è strutturata dall’art. 4 del d.l. n. 95/2012 anche rispetto ad organismi con natura non societaria, quali, in particolare, fondazioni ed associazioni partecipate dalle amministrazioni.

Il comma 6, infatti, prevede che a decorrere dal 1° gennaio 2013 le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 possono acquisire a titolo oneroso servizi di qualsiasi tipo, anche in base a convenzioni, da enti di diritto privato di cui agli articoli da 11 a 42 del codice civile esclusivamente in base a procedure previste dalla normativa nazionale in conformità con la disciplina comunitaria. Gli enti di diritto privato di cui agli articoli da 11 a 42 del codice civile, che forniscono servizi a favore dell’amministrazione stessa, anche a titolo gratuito, non possono ricevere contributi a carico delle finanze pubbliche.

Sono escluse dall’applicazione della norma le fondazioni istituite con lo scopo di promuovere lo sviluppo tecnologico e l’alta formazione tecnologica.

La disposizione presenta due linee prescrittive molto singolari.

La prima pone il vincolo per le amministrazioni (quindi anche per gli enti locali) di acquisire qualsiasi tipologia di servizio “a titolo oneroso” (quindi con pagamento di corrispettivo) da organismi annoverabili, in base agli elementi identificativi sussumibili dagli articoli da 11 a 42 del Codice civile, principalmente nelle associazioni (riconosciute e non) e nelle fondazioni (ma anche nei comitati) mediante procedure conformi ai principi dell’ordinamento comunitario, disciplinate dalla normativa nazionale.

La riconduzione immediata è all’applicazione del d.lgs. n. 163/2006, che esclude pertanto soluzioni di affidamento diretto assimilabili all’in house.

Associazione e fondazione sono due modelli molto diffusi nei sistemi degli organismi partecipati degli enti locali, soprattutto per la gestione di servizi alla persona (sociali, educativi, culturali) o di beni con specifiche finalizzazioni (in particolare di beni culturali).

Seppure la disposizione appaia (al pari del comma 1) norma di regolazione della concorrenza, nella sua prima parte (primo periodo) detta una formulazione che incide tuttavia anche sulla scelta, da parte degli enti locali, dei moduli gestionali possibili per servizi pubblici locali privi di rilevanza economica (che possono includere forme di affidamento “in house” particolari), intervenendo in un settore di competenza propria delle Regioni e delle autonomie territoriali.

Altrettanto, se non addirittura più significativo, può apparire in questa prospettiva l’impedimento all’affidamento diretto, da parte delle amministrazioni locali, di beni culturali a fondazioni appositamente costituite, possibile in base alla combinazione tra gli articoli 112 e 115 del d.lgs. n. 42/2004, ma configgente con il richiesto rispetto delle procedure (selettive) comunitarie e nazionali.

La seconda parte (secondo periodo) riconduce invece la limitazione al novero oggettivo dei servizi strumentali, non vietando il loro esercizio da parte di associazioni o fondazioni, ma stabilendo che non possano ricevere contributi (ad esempio anche quelli ordinari, previsti dallo statuto) a carico delle finanze pubbliche.  

 

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