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L’Affidamento diretto tra vincoli comunitari e principio di discrezionalità
di Adriana Caroselli 5 marzo 2013
Materia: servizi pubblici / affidamento e modalità di gestione

L’Affidamento diretto tra vincoli comunitari e principio di discrezionalità

 

1.  Con la sentenza n.762/2013 della sesta sezione del Consiglio di Stato arriva dal giudice amministrativo la conferma della sostanziale indifferenza, per il legislatore comunitario, della gestione diretta rispetto alla gestione tramite terzi, individuati mediante gara, dei servizi pubblici locali di rilevanza economica (rectius, dei servizi di interesse economico generale).

La scelta, infatti, tra le due opzioni organizzative,  una volta venuto meno - grazie all’abrogazione referendaria dell’art. 23 bis -,  il limite  apportato dal legislatore nazionale alla diretta operatività dell’ordinamento comunitario, assume carattere discrezionale e, dunque, la sua legittimità deve essere vagliata, dal giudice amministrativo, alla luce dei “consueti parametri di esercizio delle scelte discrezionali”.

La decisione costituisce anche l’occasione per fare il punto su quali possono considerarsi gli “indici”, ovvero gli elementi, dal cui riscontro effettivo si può dedurre l’esistenza del requisito del controllo analogo e, quindi, della soggezione dell’organismo partecipato allo stesso potere che l’ente affidante esercita sulle articolazioni che compongono la sua struttura organizzativa interna.

2.  La fattispecie oggetto d’esame da parte del Consiglio di Stato s’incentra sull’affidamento diretto della gestione di un impianto di bio fermentazione disposto dalla Comunità comprensoriale Burgraviato a favore della società partecipata Ecocenter spa, nonostante la manifestazione d’interesse presentata alla Comunità dalla società costruttrice dell’impianto stesso, la Ladurner srl.

Nel ricorso in appello Ladurner srl  riproduce i motivi di primo grado e contesta, in più parti, la sentenza del T.R..G..A. – Sezione autonoma della Provincia di Bolzano - .

In particolare, l’appellante eccepisce, con il primo motivo, la carenza del requisito del controllo analogo, la cui sussistenza, sostiene, dovrebbe essere verificata nel concreto da parte del giudice, in quanto, diversamente, se, cioè, il controllo analogo fosse meramente formale, questo verrebbe a costituire un mezzo per eludere le regole del mercato concorrenziale.

La censura è respinta dal Consiglio di Stato, il quale, oltre a precisare che incombe su colui che adisce il giudice per contestare l’affidamento in house l’onere di provare l’esistenza e l’operatività, nel concreto, dei poteri che connotano il controllo analogo, rileva che il potere in parola, così come previsto nello statuto di Ecocenter spa, corrisponde esattamente alle disposizioni contenute nella legge provinciale e soddisfa, viepiù, i requisiti comunitari.

A tal proposito, il giudice, richiamando la giurisprudenza comunitaria, ricorda che, nelle ipotesi di organismi pluri-partecipati, ai fini del controllo analogo non è indispensabile che ciascuna autorità detenga da sola un potere di controllo individuale sull’entità, ma, di converso, non è neppure sufficiente che questo venga solo esercitato da chi detiene la maggioranza .  Se, dunque, si tratta di un organismo partecipato da più autorità, ognuna di queste deve partecipare al capitale e agli organi direttivi dell’organismo medesimo (C. giust., III, 29.11.2012, C-182/11 e 183/11, Econord spa) e le decisioni devono essere assunte con il sistema della maggioranza (C. giust., 13.11.2008, C-324/07, Coditel Brabant SA).

E ciò considerando che il controllo analogo comporta l’esistenza di un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni più importanti e che può essere attuato con poteri di direttiva, di nomina e revoca degli amministratori   e con poteri di vigilanza e ispettivi.

Il Consiglio di Stato si sofferma, poi, su quelli che definisce indici positivi del controllo analogo, come elaborati dalla giurisprudenza interna, quali l’esistenza di un controllo gestionale e finanziario stringente (Cons. Stato, VI, 25.01.2005, n.168; V, 11.05.2007, n.2334) e di taluni penetranti poteri di vigilanza.

Tra questi sono citati, oltre alla nomina e revoca degli amministratori e sindaci, la previsione di una serie di obblighi, a carico degli organi interni del soggetto partecipato, direttamente nei confronti degli organi interni all’autorità affidante (quale, l’obbligo di trasmissione al Sindaco e all’Assessore competente degli ordini del giorno e dei verbali delle riunioni del consiglio di amministrazione, oltre ai verbali del collegio sindacale, ma anche l’obbligo di trasmettere periodicamente - a garanzia della continuità temporale dell’esercizio del controllo – al Sindaco e all’Assessore competente una relazione sull’andamento della società, con particolare riferimento alla qualità e quantità dei servizi resi ai cittadini, nonché ai costi di gestione in relazione agli obiettivi fissati).

L’esistenza di un legame concreto tra organi interni ai due soggetti costituisce, pertanto, uno degli indici positivi di sussistenza del requisito comunitario, in quanto attesta quel rapporto di delegazione, appunto, inter-organica, in cui si sostanzia lo schema organizzativo cd. in house providing.

Venendo al caso concreto, il Consiglio di Stato valuta positivamente anche una serie di altri elementi, presenti nello statuto della società affidataria diretta, quali: la previsione di poteri di sopralluogo, l’esistenza di attività di indirizzo, programmazione e vigilanza previste, oltre che nello statuto, nei contratti di servizio e (anche) nelle carte di servizio e in ogni altro atto destinato a regolare i rapporti tra soci e  società, l’istituzione di comitati di controllo e vigilanza dotati di pregnanti poteri (la verifica del raggiungimento degli obiettivi, la valutazione dell’andamento economico – finanziario della gestione, l’approvazione del piano industriale e degli altri documenti di programmazione, la modifica degli schemi tipo dei contratti di servizio, l’assenso per le modifiche degli impianti esistenti e la costruzione di nuovi impianti).

3.  Il secondo motivo di appello ripropone le censure formulate in primo grado e respinte dal Tribunale amministrativo regionale, attinenti la presunta violazione della normativa statale e comunitaria da parte della legge provinciale per avere, sostiene la soc. Larduner srl, l’art.23 bis valore vincolante anche per le regioni a statuto speciale.

Diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, il Consiglio di Stato ritiene, invece, sul punto, decisiva l’intervenuta abrogazione dell’art. 23 bis, ad opera del d.P.R. 113/2011, in seguito alla consultazione referendaria.

Il giudice richiama la sentenza della Corte costituzionale n.199/2012, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 d.l. 138/2011, conv. con l. 148/2011, sia nel testo originario che in quello risultante dalle successive modificazioni, il quale, a distanza di soli 23 giorni, ha introdotto una nuova disciplina in tema di gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, “senza modificare né i principi ispiratori della complessiva disciplina normativa preesistente né i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti” (C. cost., sent. n. 68/1978), in palese contrasto con l’intento perseguito mediante il referendum abrogativo.

Secondo il giudice costituzionale l’art.4 d.l. 138/2011, conv. con l. 148/2011 rende ancora più remota l’ipotesi dell’affidamento diretto dei servizi, limitandola alla presenza di taluni presupposti e ancorandola al rispetto di una soglia di affidamento che, ridotta sino a 200.000 euro, determina automaticamente l’esclusione della possibilità di affidamenti diretti. Tutto ciò, si legge nella decisione del Consiglio di Stato in commento, “in difformità rispetto a quanto previsto dalla normativa comunitaria, che consente, anche se non impone (sentenza n.325/2010), la gestione diretta del servizio pubblico da parte dell’ente locale, allorquando l’applicazione delle regole di concorrenza ostacoli, in diritto o in fatto, la “speciale missione” dell’ente pubblico (art.107 TFUE), alle sole condizioni del capitale totalmente pubblico, del cosiddetto controllo “analogo” (..) ed infine dello svolgimento della parte più importante dell’attività dell’affidatario in favore dell’aggiudicante”.

Pertanto, afferma il Consiglio di Stato, stante l’abrogazione referendaria dell’art.23 bis e tenuto conto delle ragioni sottese al referendum di lasciare maggiore scelta agli enti locali sulle forme di gestione dei servizi pubblici locali, anche mediante internalizzazione e la società in house, è venuto meno il principio, perseguito dall’art.23 bis e, poi, dall’art.4, dell’eccezionalità del modello in house per la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica.

Lo schema della società in house è, pertanto, “utilizzabile” da parte dell’ente locale sulla base dei presupposti e delle modalità stabilite dall’ordinamento comunitario, presupposti e modalità meno stringenti di quelle introdotte dall’ordinamento interno e ora abrogate, in quanto, si legge ancora nella decisione, l’ordinamento comunitario non ha mai espressamente ed univocamente affermato che per i servizi di interesse economico generale (da equipararsi ai servizi di interesse economico generale, cfr, C. cost. n.325/2010), un obbligo assoluto e inderogabile di affidarli a terzi sul mercato con esclusione dell’affidamento diretto a società in house.

3.  La questione risulta più chiara una volta richiamate alla mente le considerazioni del giudice costituzionale nella sentenza n.325/2010.

In effetti, nella decisione citata la Corte costituzionale riconosce che la gestione diretta dei servizi è ammessa nell’ordinamento comunitario nelle ipotesi in cui lo Stato nazionale ritenga che l’applicazione delle regole di concorrenza possa ostacolare, in diritto od in fatto, la “speciale missione” dell’ente pubblico (art. 106 TFUE; ex plurimis, sentenze della Corte di giustizia UEE 11 gennaio 2005, C-26/03, Stadt Halle, e 10 settembre 2009, C-573/07, Sea s.r.l.).

In questi casi l’ordinamento comunitario, rispettoso dell’ampia sfera discrezionale attribuita in proposito agli Stati membri, si legge nella sentenza, si riserva solo di sindacare se la decisione dello Stato sia frutto di un “errore manifesto”.

In definitiva, poiché l’ordinamento comunitario riconosce il principio di autonomia e di organizzazione delle autorità locali (cfr., altresì, la Carta europea delle autonomie locali), è rimessa alla discrezionalità degli Stati membri la decisione circa quale sia la modalità più adeguata  per perseguire, nella gestione di determinati servizi resi alla collettività, gli interessi pubblici a questi sottesi, essendo la regola della concorrenza destinata a ritrarsi nei casi in cui, per lo Stato, la sua applicazione rischi di compromettere tale missione pubblica.

Se ne deve dedurre che gli Stati membri, per l’ordinamento comunitario, possono scegliere la via dell’auto-produzione dei servizi volti alla soddisfazione dei bisogni collettivi e, ancora, che, all’interno di tale scelta, la gestione in house providing  risulta legittima se e nella misura in cui essa costituisce, nel concreto, una manifestazione organizzativa della gestione diretta.

Infatti, gli Stati, ancora una volta discrezionalmente, possono decidere che la gestione diretta venga posta in essere dalle autorità pubbliche avvalendosi della propria struttura organizzativa, ovvero ricorrendo ad un soggetto che, pur essendo terzo, perché dotato di propria personalità giuridica, di fatto e di diritto, terzo non sia, in virtù di un rapporto di delegazione/immedesimazione interorganica  con l’autorità affidante.

Peraltro, secondo la giurisprudenza europea, la questione se si tratti di una concessione di servizi o di un appalto pubblico di servizi, oppure se il valore dell’appalto raggiunga la soglia prevista dalle norme dell’Unione,  è priva di rilevanza, considerato che l’eccezione all’applicazione delle norme comunitarie, nei casi in cui siano soddisfatte le condizioni attinenti all’esercizio di un “controllo analogo”, è applicabile in tutte le situazioni suddette (C. giust. Eur., III, sent. 29.11.2012 n. C-183/11, Econord SpA; cfr., inoltre, 10.09.2009, Sea, C-573/07).

Ora, ricorda il giudice costituzionale nella sentenza n. 325/2010 che l’ordinamento interno, con l’adozione dell’art.35 l. 448/2001 e, successivamente, dell’art. 14 d.l. 269/2003, conv. con l. 326/2003, - disposizioni entrambe non censurate - ha esercitato l’opzione riconosciuta dal legislatore comunitario e ha introdotto vincoli restrittivi alla gestione diretta. Pertanto, poiché l’art.23 bis rappresenta uno sviluppo del principio restrittivo accolto dal legislatore nazionale, esso non si espone alla censura costituzionale.

L’opzione è stata, però, nuovamente esercitata dal legislatore interno nel 2012.

Infatti, all’esito del referendum abrogativo dell’art. 23 bis, sono stati rimossi dall’ordinamento i menzionati vincoli restrittivi/impeditivi alla gestione in house dei servizi pubblici di rilevanza economica disciplinati da detta norma, i quali, pertanto, possono ora essere organizzati e affidati dalle autorità locali secondo i principi   comunitari.

5.  La scelta del legislatore nazionale di ricorrere alla gestione diretta, come detto, risulta conforme all’ordinamento comunitario se giustificata dal perseguimento della specifica missione pubblica sottesa ai servizi da erogare.  In quanto scelta di carattere “discrezionale”, essa può essere sindacata solo se affetta da “errore manifesto” (C. cost. sent. n.325/2010).

Analoga conclusione sembra accolta dal Consiglio di Stato nella sentenza n.762/2013, sebbene con riferimento alla diversa questione relativa ai criteri di sindacabilità della scelta, di carattere amministrativo, dell’ente locale sulle modalità di affidamento, una volta venuto meno l’art. 23 bis.

In effetti, l’errore manifesto costituisce, altresì, una delle figure sintomatiche caratterizzanti il l’eccesso di potere, vizio tipico dei provvedimenti amministrativi frutto di scelte discrezionali della pubblica amministrazione.

Per il Consiglio di Stato l’opzione tra il modello in house e il ricorso al mercato, nell’attuale quadro normativo, deve basarsi sui consueti parametri di esercizio delle scelte discrezionali, vale a dire: la valutazione comparativa di tutti gli interessi pubblici e privati coinvolti, l’individuazione del modello più efficiente ed economico e un’adeguata istruttoria e motivazione.

Elementi tutti, si osserva, che dovranno, allora, essere oggetto di specifica trattazione nella relazione prevista dal comma 20 dell’art.34 d.l. 179/2012, conv. con l. 221/2012.

 

Infine, aggiunge il giudice amministrativo che, trattandosi di scelta discrezionale, la stessa è sindacabile se appaia priva di istruttoria e motivazione, se viziata da travisamento dei fatti, palesemente illogica o irrazionale.

Il punto è interessante e merita ben altro approfondimento rispetto a quello consentito dall’economia del presente lavoro, in quanto attiene alla problematica attinente i limiti esterni della giurisdizione amministrativa.

Qui ci si limita a richiamare le difficoltà manifestate dal giudice di legittimità di utilizzare il  criterio dell’evidenza dell'errore nel sindacare la legittimità di un atto amministrativo, in particolare, tutte le volte in cui l'ambito valutativo riservato alla P.A. non sia segnato da regole tecniche, delle quali sia possibile controllare la coerenza e l’adeguatezza, “ma sia qualificato da evidenti riserve di soggettività della scelta, riserve il cui rispetto è limite anche all'esercizio della giurisdizione” (Cass, s.u., 17/01/2012, n.2312).

Infatti, il menzionato criterio ermeneutico, pur suggestivo per la sua astratta attitudine selettiva, si connota, altresì, per prestarsi ad una lettura soggettiva che ne sconsiglia l’utilizzabilità come sintomo del censurabile eccesso di potere.

Pertanto, conclude la Suprema Corte, il giudice amministrativo, nel sindacare la motivazione dell’atto, è tenuto a mantenersi  rigorosamente sul piano della verifica della non pretestuosità della valutazione degli elementi di fatto esibiti  come ragioni del provvedimento e non può avvalersi, per ritenere avverato l’eccesso di potere, di criteri che portano ad una mera non condivisibilità della valutazione stessa.

Infatti, diversamente si verrebbe a verificare uno “sconfinamento”, non consentito, nell’area riservata per legge alla P.A., ipotesi che si verifica anche quando il giudice “formuli direttamente e con efficacia immediata e vincolante gli apprezzamenti e gli accertamenti demandati all’amministrazione” (così, Cass, s.u., n.2312/2012, cit., nonché s.u. n.2525/1964).

Con riferimento alla scelta dei moduli organizzazione di gestione dei servizi pubblici, è stato, peraltro, affermato, che la decisione dell’amministrazione in ordine alla convenienza del modello in house rispetto all’ipotesi di esternalizzazione del servizio mediante gara pubblica “afferisce al merito dell’azione amministrativa e non è, pertanto, sindacabile in sede giurisdizionale, in quanto non risulta viziata da errori macroscopici” (TAR Puglia, Bari, sez. I, 19/2/2013 n. 241).

La richiamata posizione del giudice di legittimità è stata, però,  recentemente confutata dal Consiglio di Stato, che, nel ricordare il percorso evolutivo “vissuto” dall’eccesso di potere nel corso del tempo (il quale, da vizio dell’atto, è divenuto vizio della funzione), ha evidenziato, invece, la progressiva estensione del sindacato del giudice amministrativo sul vizio, ben prima che il codice del processo amministrativo sancisse il riconoscimento di più penetranti poteri cognitivi allo stesso giudice.

Con la conseguenza che il giudizio di accertamento dell’eccesso di potere da parte del giudice amministrativo, pur non potendo spingersi sino a sindacare la valutazione dei vari interessi fatta dall'autore dell'atto, può verificare tuttavia, - sostiene il Consiglio di Stato - che tali interessi esistano davvero nella realtà, che non vi siano omissioni o sostituzioni importanti e che vi sia una coerenza logica nella valutazione compiuta (Cons. Stato, III, 8701/2013, n.26).

Evidenziando, con ciò, quanto sottile sia il confine tra il giudizio di merito e il giudizio sulla discrezionalità, in particolare, tecnica.

 

 

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