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I comuni possono vendere le loro reti pubbliche del gas? Disamina della disciplina in Lombardia.
di Sergio Cesare Cereda 3 marzo 2014
Materia: gas / disciplina

I comuni possono vendere le loro reti pubbliche del gas? Disamina della disciplina in Lombardia.

 

di Sergio Cesare Cereda (1)

 

1.  Un recente parere della Corte dei conti (sez. regionale di controllo per la Regione Lombardia, 3/7/2013 n. 295) ha statuito che la proprietà delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni destinate al servizio di distribuzione del gas di proprietà pubblica è alienabile a soggetti privati. In questo senso, è ammessa la commercializzazione a condizione che ne sia garantita la destinazione all’esercizio del pubblico servizio.

In particolare, tale parere supera il divieto di alienazione contenuto nell’art. 2, comma 1, della L.R. Lombardia n. 26/2003. Divieto motivato dal fatto che, una diversa interpretazione, la quale configurasse l’incedibilità, si troverebbe in contrasto con il quadro costituzionale.

Il parere in questione è destinato a rivestire notevole rilievo per gli enti locali impegnati in futuro da nuove gare. Per questo motivo dunque, vale la pena  compiere alcune osservazioni in ordine ad esso. 

2.   L’analisi deve partire dalla disamina dell’inquadramento giuridico in materia di alienazione di reti ed impianti pubblici.

2.1 Al riguardo va osservato che, reti ed impianti destinati all’erogazione del servizio di distribuzione del gas sono configurabili quali beni del cd. patrimonio indisponibile della P.A. (in tal senso: TAR Lombardia, Brescia, sez. II, 16 marzo 2010, n. 1256; TAR Lombardia, Brescia, sez. II, 24 agosto 2009, n. 1564; TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 11 giugno 2007, n. 490; TAR Lombardia, Milano, sez. III, 24 ottobre 2005, n. 3893).

Tali pronunce si basano sul combinato disposto dell’art. 826, comma 3, c.c. nonché, per ciò che attiene alla loro circolazione, dell’art.828, comma 2, c.c.. In primo luogo secondo l’art. 826, comma 3, c.c. farebbero parte del patrimonio indisponibile dello Stato (o di province e di comuni) i beni destinati ad un pubblico servizio (2).

In secondo luogo l’art. 828, comma 2, c.c. afferma l’impossibilità di distrarre,  dalla loro destinazione, i beni del patrimonio indisponibile “se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano” (3).

E’ evidente come tale previsione non autorizzi ad affermare che tali beni non possano essere oggetto di negozi giuridici, limitandosi solamente a prevedere che gli stessi non debbano essere distratti dalla destinazione pubblica loro assegnata. Orientamento confermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella parte in cui ha affermato che “i beni patrimoniali indisponibili […] sono commerciabili, ma sono gravati da uno specifico vincolo di destinazione all’uso pubblico, pur potendo formare oggetto di negozi traslativi di diritto privato”. In proposito è necessario sottolineare la coincidenza di questo concetto di “disponibilità” con quello espresso dal Decreto Letta in materia di distribuzione del gas.

3. Ciò nonostante tali conclusioni, riferibili al solo inquadramento civilistico della fattispecie, necessitano l’integrazione con la disciplina specifica dettata in materia di pubblici servizi.

3.1 In tema di distribuzione gas si osserva come le disposizioni normative, a partire dal D.Lgs. 164/2000, non si preoccupino di regolare l’alienabilità dei cespiti, limitandosi a prevedere che reti ed impianti siano posti nella disponibilità del concessionario.

3.2 Tuttavia, rientrando l’attività di distribuzione del gas nel novero dei servizi pubblici locali, si rende necessario considerare come la normativa relativa a questi ultimi, di recente caratterizzata, tra l’altro, da numerosi cambiamenti, abbia regolato l’alienabilità delle impianti e delle reti.

Il comma 2 dell’art. 113 del D.lgs. 267/2000 (cd. Testo Unico degli Enti Locali) vietava agli enti locali la cessione delle reti, ad eccezione (per via di modifiche legislative successive) del conferimento a società patrimoniali a capitale. Queste società erano costituite inizialmente da capitale detenuto a maggioranza dall’ente pubblico, successivamente la quota pubblica è arrivata a coincidere con la totalità del capitale. Tale disciplina, riferendosi a tutti i servizi pubblici locali, si applicava naturalmente anche alla distribuzione del gas. Tuttavia, l’intervento della legge 24 Novembre 2003, n. 326 ha escluso l’applicazione della normativa in materia di servizi pubblici locali all’ambito della distribuzione del gas.

Di conseguenza, essendo venute meno le disposizioni che vietavano la cessione delle reti, l’alienazione-circolazione delle stesse non incontrava limiti.

3.3 Successivamente, è entrato in vigore l’art. 23 bis, comma 11, del D.Lgs. 112/2008, il quale ha abrogato le sole disposizioni dell’art 113 incompatibili ad esso, lasciando invariate le altre.

In ordine alla questione in esame, tale articolo, al comma 5, ha ribadito l’incedibilità delle reti pubbliche, ed anzi - secondo l’interpretazione della Corte Costituzionale (Sent. 320/2011) - ha escluso anche la possibilità di conferire le reti a società a capitale interamente pubblico. Per quanto qui interessa si osservi che la medesima disposizione, al comma 1, fa salve le norme contenute nel D.lgs 164/2000. Così facendo, il divieto generale di cui sopra non sembra riferibile al settore del gas..

Tuttavia, tale disciplina è stata oggetto di abrogazione referendaria causando un vuoto normativo colmato solo dal D.L. 138/2011, il cui articolo 4 ha riproposto in linea generale il contenuto della norma abrogata che, nella fattispecie, vietava la cessione delle reti pubbliche. 

Nondimeno, anche in questa disposizione era esclusa, dal comma 34, l’applicazione della suddetta normativa allo specifico settore della distribuzione gas. Di conseguenza, in applicazione di quest’ultimo comma non permaneva alcun limite all’alienabilità delle reti.

3.4 Anche detta norma è poi stata espunta dall’ordinamento in forza di una dichiarazione di incostituzionalità intervenuta con la sentenza della Corte Costituzionale n. 199/2012.

Inoltre, in linea generale, in seguito ad una dichiarazione di incostituzionalità si riespande la disciplina preesistente. Ciò nonostante, questo principio generale non può trovare applicazione nel caso di specie, dal momento che, la disciplina previgente, è stata, a sua volta, oggetto di abrogazione referendaria ed è dunque inesistente.

Né tantomeno può trovare applicazione la disciplina applicata anteriormente al referendum abrogativo. In questo senso infatti, la Corte Costituzionale ha più volte escluso che l’abrogazione referendaria di una norma possa far rivivere le antecedenti disposizioni (4).

Di conseguenza, la materia è oggi innanzitutto regolata dalla normativa comunitaria, la quale fissa le regole concorrenziali base da rispettare (5), nonché dalle parti dell’art 113 TUEL non abrogate dall’art. 23 bis sopra richiamato. 

Di recente inoltre, il legislatore nazionale è intervenuto in materia  attraverso normativa di dettaglio integrativa della disciplina comunitaria, di cui ora si è detto, in particolare in forza dei commi 20, 21, 22, 23, 24 e 25 dell’art. 34 del D.L. 179/2012.

E’ necessario osservare che, né i principi comunitari, né le eventuali parti residue dell’art 113 TUEL, né, per ultimo, le recenti disposizioni di cui sopra contengono disposizioni in ordine all’alienabilità delle reti.

3.5 Concludendo, alla luce delle disposizioni di legge fin qui analizzate non si rinvengono previsioni che impediscano l’alienazione delle reti destinate alla distribuzione del gas. Né, più in generale, vi sono disposizioni ostative l’alienazione di reti ed impianti destinati ad altri servizi pubblici tali quindi da giustificare per analogia il divieto (6) in materia di gas.

4. A questo quadro normativo va ad aggiungersi il D.M. 12 novembre 2011, n. 226 del Ministero dello sviluppo economico e recante il “Regolamento per i criteri di gara e per la valutazione dell’offerta per l’affidamento del servizio della distribuzione del gas naturale”, emanato in attuazione dell’articolo 46-bis comma 1 del D.L. 1° ottobre 2007, n. 159.

4.1 Tale normativa potrebbe essere interpretata come un divieto all’alienazione delle reti pubbliche.

In particolare, l’art. 7 comma 2, del D.M. individua le reti e gli impianti riferibili a soggetti pubblici. In questo senso, sono evidenziati sia quelli di proprietà dei gestori, ma per i quali è prevista la devoluzione gratuita agli enti locali a fine concessione, sia quelli che già sono di proprietà degli enti locali (o delle società patrimoniali a loro riferibili). Il comma in esame dispone che solo questi ultimi dovranno essere ceduti dal  gestore uscente al gestore subentrante, previo pagamento del valore di rimborso.

Della destinazione finale delle reti pubbliche si occupa il comma 3 dell’art 8. Questo impone al gestore uscente di cedere tali reti al gestore entrante, naturalmente a fronte di un corrispettivo identificato da un canone di utilizzo.  La disposizione delinea in modo chiaro due distinte fattispecie. In primo luogo, consente la vendita dei soli impianti facenti capo ad operatori privati. Secondariamente, per le reti riferibili a soggetti pubblici la normativa permette solo che, al contrario, vengano “affittati” al gestore.

4.2 Deve quindi essere chiarito se tale previsione sia da ritenersi vincolante e, dunque, tale da inibire la possibilità di alienare i cespiti pubblici.

L’esame della norma induce ad affermare che essa regoli in modo chiaro la disciplina inerente lo svolgimento della gara, e che quindi, in questa fase, le reti pubbliche non possano essere riscattate. Tuttavia, ciò che non è chiaro è se sia inibita la vendita anche in una fase anteriore alla gara.  

Come sovente accade, la risposta muta a seconda dell’interpretazione utilizzata. che si ricorra ad un’interpretazione di carattere letterale oppure sostanziale.

Secondo l’interpretazione letterale deve osservarsi che il testo normativo non contiene un esplicito divieto di alienazione (sulla falsa riga delle norme analizzate nei paragrafi precedenti).

Dal punto di vista sostanziale, invece, la norma sembra evidenziare la volontà del legislatore di delineare un doppio binario a seconda che le reti siano pubbliche o private, prevedendo in particolare l’incedibilità delle reti di proprietà pubblica. Una siffatta volontà non può che avere portata generale e quindi non riferirsi al solo momento della gara, in caso contrario la previsione sarebbe priva di ogni concreta rilevanza, potendo essere superata dall’alienazione avvenuta nell’imminenza della gara. 

4.3 Tale incertezza può essere superata da un ulteriore rilievo: la norma in esame – la cui interpretazione suggerisce l’incedibilità delle reti del gas - contrasterebbe con la disciplina codicistica, nella fattispecie con il combinato disposto degli artt. 826 ed 828 c.c. Dunque, si tratta di comprendere se le disposizioni del D.M. hanno il potere di derogare norme di natura primaria, quali quelle  del c.c..

Ebbene, il D.M. - pur essendo stato emanato in applicazione di una fonte primaria (ossia l’art. 46 bis, comma 1, del D.L. 1° ottobre 2007, n. 159) - è stato adottato in forza dell’art. 17 commi 3 e 4 della L. 400/1988 (vds. premesse al D.M.), e, dunque, si palesa come fonte secondaria (7). Pertanto, laddove la previsione in oggetto fosse interpretata alla stregua di un generale divieto di alienazione dei beni del patrimonio indisponibile afferenti la distribuzione del gas, dovrebbe comunque recedere dinanzi alla fonte primaria (Codice Civile) con la quale si trova in contrasto. Di conseguenza, è giocoforza accogliere l’interpretazione più restrittiva della disposizione che limita l’incedibilità al momento della gara.

Per questo motivo, può concludersi che neanche il D.M. contiene un divieto all’alienazione dei cespiti in questione.

5. Al contrario, è chiaro il divieto posto dall’art. 2, comma 1 della Legge Regione Lombardia n. 26/2003.

5.1 Secondo tale disposizione “Le reti, gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali destinati all’esercizio dei servizi costituiscono dotazione di interesse pubblico. Gli enti locali non possono cederne la proprietà; possono, tuttavia, conferire tale proprietà, anche in forma associata, esclusivamente a società patrimoniali di capitali con partecipazione totalitaria di capitale pubblico incedibile”.

Il divieto appare netto. Il punto è comprendere la legittimità di una siffatta previsione normativa sotto il profilo della competenza della Regione a legiferare in materia.

5.2 Qui entra in gioco il parere espresso dalla Corte dei Conti, secondo cui, la Regione ha legiferato in un ambito di competenza statale; ragion per cui la norma deve essere interpretata in modo da attribuirle un senso compatibile con la Costituzione.

Il parere si basa su due capisaldi: il primo è che la Regione sia incompetente, il secondo, è che non è necessario “provocare” una sentenza che dichiari l’incostituzionalità della norma, essendo possibile superarla in via interpretativa.

Entrambe le affermazioni assumono un notevole rilievo. Per questo motivo vale la pena compiere alcune riflessioni.

5.3 Iniziamo dalla prima questione. La Corte Costituzionale con la sentenza 320/2011 (concetto ribadito con la sentenza n 114/2012) ha avuto modo di affermare che, le previsioni normative in tema di alienabilità di reti pubbliche incidono sul regime giuridico della proprietà pubblica. Di conseguenza, vanno ascritte alla materia “ordinamento civile”, la quale è riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

La Corte Costituzionale non esclude, in termini assoluti, la potestà legislativa delle Regioni, considerandole legittimate a legiferare in tale materia solo ove la Legge Regionale costituisca attuazione di una normativa statale.

Più in particolare, la Corte Costituzionale individua la competenza dello Stato, riconoscendo, tuttavia, alle Regioni la possibilità di disciplinare la materia laddove lo facciano “ricalcando” la disciplina statale.

A ben vedere, la potestà legislativa così riconosciuta alla Regioni è di fatto irrilevante, sussistendo solo nel momento in cui si limiti a replicare la normativa statale

5.4 Si tratta ora di comprendere la ricaduta di tale decisione sul caso in esame. La fattispecie oggetto dell’odierna attenzione appare speculare a quella analizzata dalla sentenza richiamata. A dire il vero, in quel caso ci si trovava di fronte ad una norma regionale che attribuiva una facoltà che la disciplina statale non riconosceva (la possibilità di conferire beni demaniali a società pubbliche), mentre nel caso in questione la disciplina regionale sembra più restrittiva di quella statale, inibendo l’alienazione di beni patrimoniali indisponibili.

Nondimeno, la circostanza che la normativa regionale sia più o meno “conservativa” rispetto a quella statale non sembra essere rilevante.

Si noti che, in altra materia - e più precisamente in tema di concorrenza, materia di competenza del legislatore statale - la giurisprudenza costituzionale ha individuato un principio pro concorrenziale. In questo senso, le Regioni (per principio incompetenti) potrebbero normare in materia non solo ove ricalchino la disciplina statale, ma anche nel caso in cui incidano favorevolmente sul confronto concorrenziale, anche laddove si discostino dal tracciato della normativa statale. E’ stato così individuato un interesse - la libera concorrenza - il cui perseguimento giustifica il superamento della rigida suddivisione della competenza per materia.  

Per contro, in ordine all’alienazione dei cespiti pubblici, non è stata individuata alcuna particolare finalità da perseguire, di modo che, l’intervento legislativo delle Regioni sia limitato al rispetto (invero mera riproposizione) della disciplina statale.

E’ necessario comprendere, dunque, se, nel caso in esame, la normativa regionale abbia o meno un riscontro in quella statale. Al riguardo, non si può che ribadire quanto sopra già scritto e cioè che le reti e gli impianti destinati alla distribuzione del gas sono beni patrimoniali indisponibili e, come tali, alienabili all’unica condizione che ne sia rispettato il vincolo di destinazione. Di conseguenza, la normativa lombarda ha un contenuto divergente rispetto alla disciplina statale, ragione per cui è consentito concludere circa la potenziale illegittimità della stessa.   

6.1 Resta ora da considerare un’ultima questione che riguarda il secondo caposaldo del parere della Corte dei Conti. La possibilità, cioè, a fronte di tale potenziale illegittimità, di non applicare la norma prescindendo quindi da una pronuncia della Corte costituzionale.

6.2 In questo senso, al fine di evitare l’insorgere della questione di costituzionalità, la Corte dei Conti ha utilizzato l’istituto giuridico dell’interpretazione conforme a Costituzione. Questa tecnica ermeneutica è tesa a decongestionare il lavoro della Corte Costituzionale, tant’è che, negli ultimi anni, la prassi ne ha allargato lo spettro di utilizzazione.

Nondimeno, configura un requisito fondamentale per applicazione di tale istituto il fatto che il testo normativo presenti problematiche che consentano, nell’ambito dell’attività interpretativa, di coglierne possibili interpretazioni costituzionalmente orientate.

Nel caso di specie, invece, appare arduo individuare delle ambiguità nel testo della norma lombarda. Infatti, potrà anche essere considerata illegittima, ma, tale disposizione, nella parte in cui specifica che gli enti locali non possono cedere la proprietà di reti e impianti, esprime un concetto chiaro. La Corte dei Conti individua un possibile punto di contrasto - idoneo a chiedere un intervento interpretativo - nella parte in cui è fatta salva “la normativa statale in materia di proprietà delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali in capo a società quotate, o da queste partecipate, proprietarie di reti e impianti sul territorio lombardo”.

Tuttavia, deve osservarsi che tale conclusione sarebbe condivisibile ove la legge regionale facesse salva la normativa statale in tema di cedibilità di reti ed impianti. In realtà, nel caso di specie, il richiamo riguarda un aspetto particolare e marginale della materia, ossia quello relativo alle sole società quotate.

Per quanto la tesi della Corte dei Conti sia interessante, non sembra dare la certezza che il superamento della disposizione limitatrice possa prescindere da una pronuncia della Corte Costituzionale. Quello che appare certo è che al momento tale disposizione si palesa come un isolato e illegittimo vincolo, pur essendo sempre una norma attualmente vigente.

7.1 Deve comunque osservarsi che, laddove si ammetta la possibilità di alienare i cespiti, si dovrebbe considerare il carattere pubblico degli stessi, e, dunque, l’ente proprietario dovrà, in linea generale, assumere tutte le misure volte a tutelare l’interesse pubblico applicando le disposizioni dettate in tema di alienazione di  beni pubblici.

Inoltre, destinatario della vendita potrà essere qualsiasi soggetto, non vantando l’attuale gestore alcun titolo particolare. Infatti, ci si trova di fronte a concessioni scadute ed a reti che saranno di lì a poco oggetto di riscatto.

Dunque, il confronto concorrenziale è quanto mai necessario: si consideri poi che il prezzo di vendita a soggetti privati non potrà essere inferiore al valore determinato in base alle regole che fissano il prezzo del riscatto, posto che in caso contrario si consentirebbe all’acquirente di conseguire un ingiusto vantaggio.

 

1) Avvocato, socio dello Studio Legale Associato Perno & Cremonese|Radice & Cereda, in via Simpliciano, 5, 20121 Milano

2)  Art. 826, comma 3 :“fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato o, rispettivamente delle province e dei comuni, secondo la loro appartenenza […] i beni destinati a un pubblico servizio”

3) Art. 828, comma 2 : “i beni che fanno parte del patrimonio indisponibile non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano”.

4)V. Corte Cost. n. 31 del 2000 e n. 40 del 1997.

5)V. sul punto, l’ordinanza n. 24/2011 con la quale la Corte Costituzionale ha statuito sull’ammissibilità del citato referendum.

6) In questo senso, permangono i soli limiti legati alla natura di beni demaniali dei cespiti destinati ad alcuni servizi, quale ad esempio l’idrico.

7) In questo senso l’art. 4 delle Preleggi prevede che “I regolamenti non possono contenere norme contrarie alle disposizioni delle leggi”.

 

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