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Manifesto per una riforma di sistema delle società a partecipazione pubblica.
di Adriana Caroselli 31 marzo 2015
Materia: società / partecipazione pubblica

Manifesto per una riforma di sistema delle società a partecipazione pubblica

di Adriana Caroselli

 

Un dibattito antico quello sulle società a partecipazione pubblica, che la stratificazione degli interventi normativi susseguitisi negli ultimi anni, dettati da finalità spesso estranee al modello giuridico, rende ora indifferibile.

Non può non condividersi, allora, l’affermazione degli autori del Manifesto, secondo cui è necessario ri-affermare la vigenza della regola generale sulla capacità di agire delle pubbliche amministrazioni e “restituire” al diritto civile l’istituto, responsabilizzando le amministrazioni pubbliche.

Se si guarda all’insieme degli aspetti che sono stati intaccati dal legislatore interno (in tema di personale, sulla nomina degli organi, sugli accantonamenti, per citarne solo alcuni), tanto più laddove questi si combinano con le peculiarità già caratterizzanti la figura della società in house providing, l’impressione che si trae è di essere, però, giunti ad una sorta di limite invalicabile, oltre il quale si pone un bivio.

Sono ormai tante e tali le deroghe al modello societario che si fa fatica a ricondurle finanche ad un regime speciale.

Allora, o si prende coscienza dell’esistenza di un ibrido, ma allora ne va “normata” l’esistenza, oppure tanto vale ripensare al modello dell’ente pubblico economico, magari snellendone i meccanismi di operatività.

Quest’ultima opzione avrebbe almeno il vantaggio di definire con maggior chiarezza il sistema delle responsabilità degli organi interni.

Sul punto basterà ricordare le recenti decisioni delle sezioni unite sul riparto di giurisdizione in tema di responsabilità degli amministratori e dipendenti delle società in house, in cui si riscontra l’esistenza di patrimoni separati pur in presenza di un unico centro di interessi e, dunque, di un solo soggetto giuridico titolare. Peraltro, qui il dibattitto andrebbe semmai esteso al tema del riconoscimento stesso della personalità giuridica in capo ad un soggetto in house, ovvero al concetto di personalità giuridica.

Non è chi non veda, però, la contraddizione di aver individuato un modello gestionale “pensato” per il mercato, per poi, averlo sottratto alla concorrenza, privandolo degli strumenti tipici dell’imprenditore, prima tra tutti la capacità di gestire autonomamente i mezzi della produzione.

E la contraddizione non è meno evidente per la società mista, gravata da vincoli ben più stringenti di quelli caratterizzanti anche il concessionario.

Peraltro, all’”ingessatura” interna fa eco la tendenziale apertura (e chiarezza di vedute) dell’ordinamento europeo, evidenziata dal  Consiglio di Stato nel recente parere n.298/2015, in cui si dà atto di come la direttiva 2014/24/Ue abbia, sì, recepito l’orientamento giurisprudenziale sull’in house, ma anche introdotto elementi innovativi, che, uniti all’azione interpretativa del giudice europeo, forniscono ora una visione più elastica, o forse più attuale, della figura organizzativa (si pensi alla previsione riguardante l’attività marginale esterna, o la partecipazione di capitali privati, prefigurabile a patto che non comportino controllo, poteri di veto o influenza determinante sulla persona giuridica controllata, al controllo analogo congiunto o indiretto, all’ammissibilità che talune attività dell’organismo vengano svolte con carattere d’impresa o anche affidate a terzi).

Infine, un’ultima considerazione riguarda il tema “controllore – controllato” svolto, in particolare, dagli enti locali nella gestione dei servizi pubblici locali.

Al riguardo si osserva che il conflitto d’interessi si dovrebbe porre laddove esiste dualità soggettiva e, dunque, di interessi e non nell’ipotesi in cui il gestore del servizio “è” la stessa amministrazione pubblica, come ancora nel caso dell’in house.

 

 

 

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