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Le società strumentali alla luce della bozza di T.U. di attuazione della Legge Madia
di Roberto Camporesi 22 gennaio 2016
Materia: società / disciplina

 

Le società strumentali alla luce della bozza di T.U. di attuazione della Legge Madia

 Roberto Camporesi [1]

 

 

Indice

 

1.      La legge delega Madia e le società strumentali.

2.      Distinzione secondo gli assetti giurisprudenziali fra società strumentale e società che svolge servizi di interesse generale.

3.      Elementi di criticità delle società strumentali a seguito di recenti interpretazioni del giudice amministrativo.

4.      La società multiutility in un’ottica di razionalizzazione delle società partecipate degli enti locali ex legge 190/2014.

5.      Osservazioni sulle prime notizie del contenuto della bozza del Testo Unico di attuazione della legge Madia in materia di società strumentali.

6.      (segue) Le attività residuali ammesse per le società strumentali.

 

 

 

 

 

 1.      La legge delega Madia e le società strumentali.

 

Con la pubblicazione delle prime bozze del testo unico della disciplina delle società partecipate dalle amministrazioni pubbliche viene in rilievo la questione della legittimità di una categoria di società particolarmente diffusa: la società strumentale.

La esigenza di ridefinire i contorni di legittimità dell’utilizzo di tali società deriva dalla presa di posizione della magistratura amministrativa che, con due recenti sentenze, ha ritenuto che gli enti locali non possano affidare in via diretta, senza il rispetto del codice dei contratti (D.Lgs 163/2006), appalti di servizi alle proprie società in house.

La riforma Madia, come espresso nella bozza di Testo unico reso disponibile, riconferma la società in house anche per la gestione dei c.d. servizi strumentali e quindi, sempreché il testo conosciuto venga approvato, sembra superata la posizione del giudice ammnistrativo che aveva ritenuto non più ammissibile l’affidamento in house degli appalti di servizi.

L’art. 18 della legge delega Madia dispone sull’argomento:

1. Il decreto legislativo per il riordino della disciplina in materia di partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche è adottato al fine prioritario di assicurare la chiarezza della disciplina, la semplificazione normativa e la tutela e promozione della concorrenza, con particolare riferimento al superamento dei regimi transitori, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi, che si aggiungono a quelli di cui all'articolo 16:

 a) distinzione tra tipi di società in relazione alle attività svolte, agli interessi pubblici di riferimento, alla misura e qualità della partecipazione e alla sua natura diretta o indiretta, alla modalità diretta o mediante procedura di evidenza pubblica dell'affidamento, nonché' alla quotazione in borsa o all'emissione di strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati, e individuazione della relativa disciplina, anche in base al principio di proporzionalità delle deroghe rispetto alla disciplina privatistica, ivi compresa quella in materia di organizzazione e

crisi d'impresa;

(…..)

m) con riferimento alle società partecipate dagli enti locali:

 1) per le società che gestiscono servizi strumentali e funzioni amministrative, definizione di criteri e procedure per la scelta del modello societario e per l'internalizzazione nonché' di procedure, limiti e condizioni per l'assunzione, la conservazione e la razionalizzazione di partecipazioni, anche in relazione al numero dei dipendenti, al fatturato e ai risultati di gestione;

 2) per le società che gestiscono servizi pubblici di interesse economico generale, individuazione di un numero massimo di esercizi con perdite di bilancio che comportino obblighi di liquidazione delle società, nonché' definizione, in conformità con la disciplina dell'Unione europea, di criteri e strumenti di gestione volti ad assicurare il perseguimento dell'interesse pubblico e ad evitare effetti distorsivi sulla concorrenza, anche attraverso la disciplina dei contratti di servizio e delle carte dei diritti degli utenti e attraverso forme di controllo sulla gestione e sulla qualità dei servizi;

La legge delega sembra informare la legge delegata per la conferma di principi già contenuti in disposizioni di leggi già presenti nell’ordinamento e quindi dal contenuto non innovativo.

 

2. Distinzione secondo gli assetti giurisprudenziali fra società strumentale e società che svolge servizi di interesse generale

 

La distinzione che si venuta a creare fra società a partecipazione pubblica che svolgono servizi di interesse generale (ovvero in parte anche qualificabili come servizi pubblici locali) e le società strumentali rispondeva all’esigenza di individuare due discipline distinte e che nel tempo hanno subito importanti evoluzioni interpretative.

Si deve prendere atto che l’evoluzione interpretativa ha spostato il baricentro dell’indagine: inizialmente si faceva riferimento alla distinzione fra servizio pubblico (o di interesse generale) e servizi strumentali per giungere invece, in questi ultimi anni, a fondare la distinzione fra società di servizi di interesse generale e società strumentali abbandonando l’analisi ontologica del singolo servizio svolto dalla società.

 

2.1 La progressiva riduzione delle differenze tra servizi strumentali e quelli di servizio pubblico

Secondo il Tar Toscana sez. I n. 1430 dell’8.9.2009 gli enti locali possono detenere partecipazioni in società il cui oggetto sociale sia riferito:

1) all’espletamento di servizi di interesse generale che rispondono ad esigenze della collettività di cui l’ente locale ne è l’espressione esponenziale (si sostanziano nei servizi pubblici locali);

2) all’espletamento di servizi strumentali che rispondono ad esigenze relative all’attività o funzionamento degli enti.

Ai fini della individuazione della strumentalità dei servizi e/o attività esercitate dalla società si ritiene evidenziare la interpretazione contenuta nella sentenza Tar Toscana n. 1430 risalente all’8/09/2009 relativo al caso di servizio di pubblica illuminazione votiva.

Ne consegue che emerge:

a) La valutazione di situazioni di fatto:

- affinché vi sia un servizio strumentale occorre che solo alcune fasi o segmenti di tale servizio siano affidati all’esterno, mentre comunque altri segmenti di quel servizio devono rimanere in capo all’ente

- occorre quindi che nell’atto amministrativo che affida il servizio siano chiaramente definiti i segmenti in capo all’esecutore e quelli in capo all’ente;

b) La valutazione dell’interpretazione giuridica, ovvero non sono attività esecutive e pertanto costituiscono elemento sintomatico di servizio pubblico locale le seguenti:

- incasso della tariffa dall’utenza e relativo incameramento da parte dell’esecutore;

- attività che si connotano per una continuità e periodicità, sia di monitoraggio, che di conservazione e ripristino, a cui “non sono estranee logiche di programmazione proprie dell’erogazione di un servizio pubblico locale” (TAR Campania, Napoli, sez. I, 24/4/2008 n. 2533).

Sempre con riferimento alla distinzione tra servizi strumentali e servizi pubblici locali, si è espresso il Consiglio di Stato nella sentenza 1651 del 22/3/2011 secondo cui: l’enunciato dell’articolo 13 del d.l. 233/2006 (decreto Bersani) rende evidente che la limitazione della legittimazione negoziale delle società strumentali si riferisce a qualsiasi prestazione a favore di soggetti terzi rispetto agli enti costituenti, partecipanti o affidanti, senza che a nulla rilevi la qualificazione di tali attività. La qualificazione differenziale tra attività strumentali e gestione di servizi pubblici deve essere riferita non all’oggetto della gara, bensì invece all’oggetto sociale delle imprese partecipanti ad essa. Il divieto di fornire prestazioni a enti terzi, infatti, colpisce dalle società pubbliche strumentali alle amministrazioni regionali o locali, che esercitano attività amministrativa in forma privatistica, non anche le società destinate a gestire i servizi pubblici locali, che esercitano attività d’impresa di enti pubblici”

Per quanto riguarda l’oggetto sociale, si ricorda che l’articolo 13 prevede che “le società di cui al comma 1 sono ad oggetto sociale esclusivo e non possono agire in violazione delle regole di cui al comma 1. Il Consiglio di Stato nella sentenza 4346 del 2009 aveva rigettato l’assimilazione delle società miste esercenti servizi pubblici locali in regime concorrenziale alle società strumentali che costituiscono una longa manus delle amministrazioni, avviene in via diretta, tanto che ne deriva che debba escludersi che debbano avere un “oggetto sociale esclusivo” ed, oltre ai servizi pubblici, esse possono svolgere altre attività imprenditoriali sia pure con limitazioni volte a non snaturarne il loro ruolo istituzionale.

Il divieto sancito dall’articolo 13 comma 3 avrebbe pertanto ad oggetto le attività da regolarizzare, non anche l’oggetto sociale. E’ pertanto ammesso che esistano società che possono continuare ad avere come oggetto sociale sia spl che servizi ipoteticamente strumentali, ma solo se offerti sul mercato in regime di parità. In altre parole, le società non hanno l’obbligo di espungere dal proprio oggetto sociale la fornitura di servizi strumentali che potrebbero anche in futuro proporre sia agli enti pubblici affidanti che ad altri soggetti pubblici o privati, ma solo alla condizione che essi siano conseguiti mediante procedura concorrenziale, in perfetta parità con altri soggetti presenti sul mercato.

A tal fine si ritiene opportuno ricordare la più recente sentenza del Consiglio di Stato, la numero 14 del 4 agosto 2011 in base alla quale solo le società affidatarie dirette di servizi pubblici non possono partecipare alle gare.

Si ritiene utile precisare in questa sede che la conclusione cui si è addivenuti, non deve essere interpretata nel senso che viene legittimata la presenza contemporanea, in capo ad una società, sia di servizi strumentali che di servizi pubblici locali a rilevanza economica. Sull’argomento è intervenuta, anche la Corte dei Conti sezione regionale di controllo per la Lombardia con la deliberazione 17.10.2010 n. 517/PAR. La Corte parte dal presupposto che il legislatore ha dettato delle regole precise e differenziate per la gestione delle varie funzioni ed attività, stabilendo, altresì, specifiche incompatibilità fra la gestione di attività strumentali che vedono quale destinatario ed interlocutore l’ente locale e le attività a rilevanza economica che presentano un’incidenza sul mercato, sia pure locale.

Sulla base di tale presupposto, le società strumentali non possono svolgere, in relazione alla loro posizione privilegiata, altre attività a favore di altri soggetti pubblici o privati poiché in caso contrario si verificherebbe un’alterazione o comunque una distorsione della concorrenza all’interno del mercato locale di riferimento.

Considerando inoltre che, in base all’articolo 13 del Bersani, le società strumentali devono essere ad oggetto sociale esclusivo, la Corte ha affermato: “è indubbio che i soci che detengono partecipazioni in società alle quali siano state affidate contemporaneamente sia attività riconducibili a servizi strumentali e attività riconducibili a servizi pubblici locali a rilevanza economica, […], se non hanno ancora provveduto ad eliminare l’anomalia, devono provvedere”.

2.2. la distinzione conclusiva basata sulla natura delle società e non sul servizio esercitato

Ciò posto e ricordato ancora che la qualificazione differenziale tra attività strumentale e gestione dei servizi pubblici deve essere riferita non all'oggetto della gara, bensì all'oggetto sociale delle imprese partecipanti ad essa, atteso che il divieto di fornire prestazioni a enti terzi, infatti, colpisce le società pubbliche strumentali alle amministrazioni regionali o locali, che esercitano attività amministrativa in forma privatistica, non anche le società destinate a gestire servizi pubblici locali che esercitano attività d'impresa di enti pubblici (Cons. St., sez. V, sent. 29 dicembre 2011, n. 6974), ne consegue che la società che svolge effettivamente anche servizi pubblici esclude in radice che essa possa essere considerata una mera società strumentale del comune.(Cons. St. sez. V sent n. 257/2015).

Ne consegue un primo assioma:

-          La distinzione fra società strumentali e società di servizio pubblico è dato dall’oggetto sociale e non dalla natura del singolo servizio svolto.

Inoltre dagli arresti giurisprudenziali sopra riportati ne deriva un secondo assioma:

-          Le società strumentali non possono svolgere servizi pubblici locali stante il preciso divieto contenuto nell’art. 13 del Decreto Bersani;

-          Alle società che svolgono servizi pubblici locali non è vietato svolgere anche servizi strumentali.

Tale secondo assioma trova sua conferma definitiva con la sentenza del Consiglio di Stato, Sezione V, del 16/04/2013 n. 2084 che ha statuito che la disposizione contenuta nell’art. 13 del Decreto Bersani ha “carattere eccezionale che deve quindi essere interpretata in stretta aderenza al suo dato letterale e senza possibilità alcuna di applicazione oltre i casi in essa previsti”.

 

3. Elementi di criticità delle società strumentali anche a seguito di recenti interpretazioni del giudice amministrativo

La sentenza del Consiglio di Stato, Sez. III, 7/5/2015 n. 2291, ha interpretato in via del tutto innovativa che l'art. 4, comma 7, del d.l. 95/2012, convertito nella l. 135/2012, ha dettato una serie di disposizioni finalizzate a limitare e razionalizzare il ricorso da parte delle pubbliche amministrazioni all'attività di società controllate. Il citato comma 7, infatti, con lo scopo di "evitare distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale", ha disposto che, a decorrere dal 1° gennaio 2014, le pubbliche amministrazioni, "nel rispetto dell'articolo 2 , comma 1 del citato decreto acquisiscono sul mercato i beni e servizi strumentali alla propria attività mediante le procedure concorrenziali previste dal citato decreto legislativo". Il tenore del summenzionato comma 7, prosegue il Consiglio di Stato, sembra univoco nell'individuare le procedure concorrenziali come modalità necessaria di acquisizione dei beni e servizi strumentali.

L’art. 4 del D.L. 6/07/2012 n. 95 convertito con modificazioni nella Legge7/08/2012 n. 135, conteneva una serie articolata di disposizioni relative a:

· scioglimento o privatizzazione di società che svolgono servizi nei confronti della pubblica amministrazione (in house);

· composizione dei consigli di amministrazione di tali società;

· applicazione del principio della selezione competitiva per l’individuazione di beni e servizi strumentali all’attività della

· pubblica amministrazione;

· limiti di assunzioni nelle società pubbliche;

· divieto di arbitrati nei contratti di servizio tra lo Stato e le società partecipate.

Il primo comma, dell’art 4, cardine del provvedimento disponeva : “Nei confronti delle società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, che abbiano conseguito nell'anno 2011 un fatturato da prestazione di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90 per cento dell'intero fatturato, si procede, alternativamente: a) allo scioglimento della società entro il 31 dicembre 2013. Gli atti e le operazioni posti in essere in favore delle pubbliche amministrazioni di cui al presente comma in seguito allo scioglimento della società sono esenti da imposizione fiscale, fatta salva l'applicazione dell'imposta sul valore aggiunto, e assoggettati in misura fissa alle imposte di registro, ipotecarie e catastali; b) all'alienazione, con procedure di evidenza pubblica, delle partecipazioni detenute alla data di entrata in vigore del presente decreto entro il 30 giugno 2013 ed alla contestuale assegnazione del servizio per cinque anni, non rinnovabili, a decorrere dal 1° gennaio 2014.”

La norma è stata dapprima posta nel nulla, nei confronti delle Regioni a Statuto Ordinario dalla Sentenza della Corte Costituzionale sentenza 16 -23 luglio 2013, n. 229 e successivamente definitivamente abrogata dell’art. 1, comma 562, lett. a), L. 27 dicembre 2013, n. 147, a decorrere dal 1° gennaio 2014, unitamente agli articoli i commi 2, 3, 3-sexies, 9, 10 e 11 (cfr Luca Manassero, Vietati gli affidamenti in house alle società strumentali? Nota alla sentenza 7/05/2015 n. 2291 , della sez. III del Consiglio di Stato).

E’ stato, però, fatto salvo dall’abrogazione del legislatore il comma 8, il quale prevede “A decorrere dal 1° gennaio 2014 l'affidamento diretto può avvenire solo a favore di società a capitale interamente pubblico, nel rispetto dei requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria per la gestione in house. Sono fatti salvi gli affidamenti in essere fino alla scadenza naturale e comunque fino al 31 dicembre 2014.”

E’ innegabile che la sentenza del Consiglio di Stato qui esaminata, per quanto criticata dalla dottrina, si esprime in senso negativo sulla legittimità degli enti locali di affidare in house (vale a dire senza gara) servizi di natura evidentemente strumentali e cosi indirettamente si esprime negativamente sulla possibilità di affidare servizi alle società strumentali in house, mimandone la loro sopravvivenza.

Peraltro tale sentenza è stata confermata, senza ulteriormente motivare, dalla stessa Sezione del Consiglio di Consiglio di Sato con la sentenza del 17/12/2015 n. 5732.

 

4.      La società multiutility in un’ottica di razionalizzazione delle società partecipate degli enti locali ex legge 190/2014

La disciplina del Piano di razionalizzazione delle società partecipate dagli enti locali ha dato una svolta ai processi aggregativi ritenuti modello di riferimento per ridurre il numero delle società partecipate ed imporre nuove organizzazioni che “forzatamente” determinassero economie di scale e sinergie.

Infatti l’art. 1 comma 611 della legge 190/2014 prevede.

611. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 3, commi da 27 a 29, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e successive modificazioni, e dall'articolo 1, comma 569, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, e successive modificazioni, al fine di assicurare il coordinamento della finanza pubblica, il contenimento della spesa, il buon andamento dell'azione amministrativa e la tutela della concorrenza e del mercato, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti locali, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, le università e gli istituti di istruzione universitaria pubblici e le autorità portuali, a decorrere dal 1º gennaio 2015, avviano un processo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute, in modo da conseguire la riduzione delle stesse entro il 31 dicembre 2015, anche tenendo conto dei seguenti criteri:

 a) eliminazione delle società e delle partecipazioni societarie non indispensabili al perseguimento delle proprie finalità istituzionali, anche mediante messa in liquidazione o cessione;

 b) (…)

 c) eliminazione delle partecipazioni detenute in società che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici strumentali, anche mediante operazioni di fusione o di internalizzazione delle funzioni;

 d) aggregazione di società di servizi pubblici locali di rilevanza economica;

 e) contenimento dei costi di funzionamento, anche mediante riorganizzazione degli organi amministrativi e di controllo e delle strutture aziendali, nonché' attraverso la riduzione delle relative remunerazioni. “

Si registra da un lato un evidente favor per procedere ad aggregazioni sulla spinta di ottenere risparmi ed economie.

Si ricordano qui di seguito gli ambiti normativi che determinano vincoli alla aggregazioni societarie.

 

4.1  Le norme che impongono una separazione societaria fra servizi in privativa e quelli a mercato.

Le società multi utilities sono state oggetto di particolare attenzione negli studi relativi alla tutela della concorrenza in quanto tali società potevano porre in essere i c.d. sussidi incrociati. Attraverso tali sussidi, che si sostanziano in un travaso di risorse derivante da margini economici positivi dalla gestione di un servizio (di solito in privativa) alla gestione di un servizio a libero mercato, si poteva alterare il meccanismo concorrenziale falsando le tariffe dei servizi a libero mercato.

Si analizzano di seguito alcune norme che hanno introdotto/disciplinato specifici limiti al ricorso alle pratiche che potevano favorire il ricorso ai sussidi incrociati da parte delle società multiutilities:

- Art 8 comma 2 bis legge Antitrust (L 287/1990)

Dispone l’articolo 8 rubricato “Imprese pubbliche e monopolio legale” della Legge 287/1990

1. Le disposizioni contenute nei precedenti articoli si applicano sia alle imprese private che a quelle pubbliche o a prevalente partecipazione statale.

2. Le disposizioni di cui ai precedenti articoli non si applicano alle imprese che, per disposizioni di legge, esercitano la gestione di servizi di interesse economico generale ovvero operano in regime di monopolio sul mercato, per tutto quanto strettamente connesso all'adempimento degli specifici compiti loro affidati.

2-bis. Le imprese di cui al comma 2, qualora intendano svolgere attività in mercati diversi da quelli in cui agiscono ai sensi del medesimo comma 2, operano mediante società separate.

2-ter. La costituzione di società e l'acquisizione di posizioni di controllo in società operanti nei mercati diversi di cui al comma 2-bis sono soggette a preventiva comunicazione all'Autorita'.

2-quater. Al fine di garantire pari opportunità di iniziativa economica, qualora le imprese di cui al comma 2 rendano disponibili a società da esse partecipate o controllate nei mercati diversi di cui al comma 2-bis beni o servizi, anche informativi, di cui abbiano la disponibilità esclusiva in dipendenza delle attività svolte ai sensi del medesimo comma 2, esse sono tenute a rendere accessibili tali beni o servizi, a condizioni equivalenti, alle altre imprese direttamente concorrenti.

2-quinquies. Nei casi di cui ai commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, l'Autorità' esercita i poteri di cui all'articolo 14. Nei casi di accertata infrazione agli articoli 2 e 3, le imprese sono soggette alle disposizioni e alle sanzioni di cui all'articolo 15.

2-sexies. In caso di violazione degli obblighi di comunicazione di cui al comma 2-ter, l'Autorità' applica la sanzione amministrativa pecuniaria fino a lire 100 milioni.

Dalla lettura dell’art 8 comma 2-bis della legge 287/1990 si deduce che gli enti e gli organismi gestori di servizi di interesse generale possono operare in altri mercati esclusivamente per il tramite di società separate. Al fine di garantire pari opportunità di iniziativa economica, è, altresì, previsto che, qualora i soggetti in parola rendano disponibili a società da essi partecipate o controllate, operanti in mercati diversi, beni o servizi, anche informativi, di cui abbiano la disponibilità esclusiva in dipendenza delle attività svolte (in virtù di disposizioni di legge ovvero in regime di monopolio), essi sono tenuti a rendere accessibili tali beni o servizi, a condizioni equivalenti, alle altre imprese direttamente concorrenti (art. 8, comma 2-quater). Le disposizioni in esame, oltre che pienamente vigenti, sono ancora perfettamente attuali, considerato che esse sono, peraltro, espressamente richiamate dall’art. 4, comma 7, del d.l. 138/2011, di cui si dirà nel prosieguo.

- Art. 13 Decreto Bersani

Un ulteriore riferimento normativo volto ad impedire il perpetuarsi di sussidi incrociati fra servizi a mercato e servizi in privativa è quello dell’articolo 13 del Decreto Bersani (D.L. 223/2006)

Dispone l’articolo 13 rubricato Norme per la riduzione dei costi degli apparati pubblici regionali e locali e a tutela della concorrenza: “1. Al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale, le società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all'attività' di tali enti in funzione della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali e dei servizi di committenza o delle centrali di committenza apprestati a livello regionale a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all'articolo 3, comma 25, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nonché, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza, devono operare con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, ne' in affidamento diretto ne' con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti aventi sede nel territorio nazionale. Le società che svolgono l'attività' di intermediazione finanziaria prevista dal testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, sono escluse dal divieto di partecipazione ad altre società o enti.”

Il divieto sancito dalla norma in questione - secondo un orientamento giurisprudenziale - rimarca la differenza tra concorrenza “per” il mercato e concorrenza “nel” mercato. Tale norma, attuando l’art. 41 Cost. in relazione ai principi comunitari sulla tutela della concorrenza, sul divieto di aiuti di Stato e sul principio di sussidiarietà, esprimerebbe un precetto di ordine pubblico economico che si impone inderogabilmente a tutte le stazioni appaltanti, tenute ad applicarlo quale che sia la fase del procedimento (valutazione dell’ammissibilità delle offerte, aggiudicazione provvisoria o definitiva, approvazione, stipula del contratto) (Cons. St., Sez. V, 25 agosto 2008, n. 4080.)

L’esigenza di tutelare la concorrenza, anche prevenendo sussidi incrociati tra settori di attività protetta e settori in cui la società mista opera come un privato imprenditore, è stata con particolare chiarezza evidenziata dalla Corte costituzionale, investita con ricorso in via d’azione da alcune Regioni, che ha chiarito che le disposizioni in esame definiscono "il proprio ambito di applicazione non secondo il titolo giuridico in base al quale le società operano, ma in relazione all'oggetto sociale di queste ultime" e sono fondate "sulla distinzione tra attività amministrativa in forma privatistica e attività d'impresa di enti pubblici. L'una e l'altra possono essere svolte attraverso società di capitali, ma le condizioni di svolgimento sono diverse. Nel primo caso vi è attività amministrativa, di natura finale o strumentale, posta in essere da società di capitali che operano per conto di una pubblica amministrazione. Nel secondo caso, vi è erogazione di servizi rivolta al pubblico (consumatori o utenti), in regime di concorrenza". Il legislatore in tal modo ha inteso "...separare le due sfere di attività per evitare che un soggetto, che svolge attività amministrativa, eserciti allo stesso tempo attività d'impresa, beneficiando dei privilegi dei quali esso può godere in quanto pubblica amministrazione" al fine di prevenire una commistione che sarebbe distorsiva della concorrenza, evidenziando che "l'obiettivo delle disposizioni impugnate è quello di evitare che soggetti dotati di privilegi operino in mercati concorrenziali. Dunque, la disciplina delle società con partecipazione pubblica dettata dalla norma statale è rivolta ad impedire che dette società costituiscano fattori distorsivi della concorrenza" (Corte Costituzionale 13 agosto 2008, n. 326.)

- Le posizioni dell’Antitrust

In materia di sussidi incrociati si è recentemente espressa l’Antitrust (ACGM) con parere del 23 gennaio 2015 (AS110). L’AGCM si pronuncia sulla richiesta formulata dalla Provincia di Roma in relazione alla bozza di Regolamento disciplinante i servizi di trasporto di linea di Gran Turismo in ambito provinciale.

L’Autorità affronta il problema della sovrapposizione tra linea GT e linea di TPL. In questi casi, per evitare di alterare l’equilibrio economico-finanziario del servizio sussidiato “sembrerebbe opportuno valutare la profittabilità della linea del servizio pubblico interessata e stabilire in quale misura essa è in grado di compensare le perdite che il soggetto gestore del servizio pubblico subisce sulle linee non redditizie, ai fini di un’eventuale revisione dei sussidi, delle tariffe o di altri aspetti del servizio pubblico.”

La sovrapposizione con il servizio pubblico, in altri termini, non è d’ostacolo al riconoscimento dell’autorizzazione alla linea GT: la domanda di autorizzazione dovrebbe venire rigettata solo “se le caratteristiche del servizio di linea gran turismo non fossero tali da soddisfare specifiche esigenze della clientela – diverse da quelle a cui è indirizzato il servizio pubblico – e dessero luogo ad una concorrenza al soggetto gestore del servizio pubblico concentrata sulle sole attività redditizie.”.

E’ senza dubbio positivo che l’Autorità consideri i rischi connessi ad una liberalizzazione “non regolata: la sovrapposizione con il servizio pubblico può, infatti, come noto, essere dannosa per lo stesso ente pubblico affidante, il quale – in caso di riduzione dei ricavi da traffico spettanti al gestore del servizio pubblico dovuta alla presenza di un operatore GT sulla stessa tratta – si troverebbe costretto a riconoscere maggiori compensazioni di servizio pubblico e quindi ad un maggiore esborso; mentre la domanda – sebbene basata su identiche esigenze – verrebbe ad essere dispersa.

Per l’Autorità, quindi, il criterio di massima da seguire, nell’assentire o meno la linea GT, è quello della considerazione della redditività/profittabilità della tratta di servizio pubblico. Una concorrenza relativa alle sole tratte remunerative presenta pericoli non trascurabili.

Ultimo aspetto considerato dall’AGCM è quello relativo alle norme regolamentari che si limitano ad imporre al richiedente il rispetto degli obblighi di separazione contabile in caso di contestuale attività di servizio pubblico. L’orientamento dell’AGCM in materia è, come noto, assai più restrittivo. Secondo la Legge Antitrust (art. 8) infatti il gestore di servizio pubblico in regime di monopolio deve attenersi al rigido regime della separazione societaria laddove decida di operare su mercati diversi (quale, nel caso di specie, quello del GT). La posizione dell’Autorità sembra, tuttavia, non condivisibile in quanto la disciplina comunitaria disciplinante il settore (Regolamento CE 1370/2007) ritiene sufficiente, al fine di evitare il rischio di sussidi incrociati, la mera separazione contabile. Il che appare sufficiente tanto più quando i gestori di servizio pubblico sono affidatari con gara (e il “monopolio” è l’inevitabile effetto – ex post – del meccanismo di “concorrenza per il mercato”, unico grado di apertura alla concorrenza previsto, allo stato, dalla legge di settore).

- La gestione delle farmacie comunali in contabilità separata come da delibera della Corte dei Conti

La gestione diretta di farmacie comunali da parte di una società in house affidataria di altri servizi è consentita a condizione che per la gestione delle farmacie la società tenga una specifica contabilità separata. Ha a tal fine affermato la Corte dei Conti sezione controllo per la Lombardia nel parere 85 del 13/11/2008: “Argomentando dall’art. 7, comma 2, e dall’art. 8 della legge 362/1991, invece, non può ritenersi compatibile con l’esercizio della farmacia alcuna altra attività che non sia finalizzata alla tutela dell’interesse pubblico, al corretto svolgimento del servizio farmaceutico ed alla salvaguardia del bene salute (Corte Costituzionale n. 275/2003) e pertanto non si ritiene che l’ente possa procedere alla costituzione di società che, unitamente alla gestione di farmacia comunale, svolga altri servizi di natura del tutto diversa.

In linea di principio, tale incompatibilità sembra preclusiva; sussistendo però la possibilità del suo superamento con la costituzione di altra società di servizi, questa Sezione, al fine di salvaguardare i costi pubblici e di limitare il proliferare di nuove ed onerose società, ritiene che i vari servizi possano concentrarsi in un'unica partecipata, mantenendo ben distinte le rispettive contabilità).”

 

4.2   I settori sottoposti a regolazione da parte di autorità nazionali (AAEGG): idrico e gas

L’Autorità per l’energia elettrica e gas (AAEGG) alla cui competenza è stato recentemente attribuito anche il settore idrico, negli ultimi anni ha introdotto delibere volte al perseguimento del principio della copertura dei costi con le tariffe (full cost recovery) e la contemporanea abolizione dei sussidi incrociati tra i servizi erogati.

Il principio tariffario che prevede la «copertura integrale dei costi» di gestione (investimenti compresi) mediante la tariffa è affermato per il settore idrico dalla direttiva quadro Ue 2000/60 e finora è sempre stato recepito nella legislazione nazionale e negli atti dell'Autorità di regolazione.

Il riferimento principale al principio del full cost recovery è rappresentato dall’art. 9 della direttiva UE che correla tale principio all’altro importante principio “chi inquina paga”. Il full cost recovery è perseguito attraverso i prezzi che gli utenti dei servizi idrici devono pagare al provider direttamente o attraverso qualsiasi tassa, addebito o leva fiscale gravante sul servizio, ed è sostenuta dall’utente direttamente o indirettamente. Questo principio, in correlazione al principio “chi inquina paga”, espleta tre funzioni economiche di base: di informazione, di governo, di finanziamento.

Una copertura integrale e corretta dei costi dei servizi idrici e il principio “chi inquina paga” hanno potenzialmente la capacità di informare gli utenti sui costi totali del loro consumo, oppure sui costi derivanti dalle loro attività come ad esempio i costi degli sprechi o degli scarichi che deteriorano la qualità delle acque.

Il ricorso al principio del full cost recovery è strettamente correlato alla volontà di ridurre il ricorso da parte delle imprese multiutilities ai sussidi incrociati. Come già anticipato in precedenza, i sussidi incrociati possono essere interpretati come la tecnica che un’impresa usa per sostenere o allocare tutti o parte dei costi della sua attività da un mercato geografico ad un altro. Il sussidio incrociato sarebbe lecito se l’impresa utilizzasse il guadagno di attività in concorrenza per finanziare con lo svolgimento di un servizio universale obbligatorio le attività in perdita. Gli aspetti critici si hanno quando l’impresa che opera in più mercati sfrutta una posizione di forza sul mercato spesso protetta per sovvenzionare la sua attività in perdita in altri mercati. In sostanza si ha un sussidio incrociato illegittimo quando l’impresa finanzia pratiche commerciali in perdita nelle attività svolte in regime di concorrenza mediante i proventi derivanti da attività regolate dai servizi non competitivi. I sussidi possono verificarsi quando l’impresa non è in grado di allocare causalmente i costi comuni tra due o più attività diverse delle quali alcune sono gestite con diritti di esclusiva con l’effetto economico che alcuni prodotti o servizi sono venduti a un prezzo maggiorato traducendosi in un danno per i clienti di servizi regolati.

Tale principio per come sopra esposto è tutelato anche nel settore della distribuzione del gas nell’ambito della determinazione delle componenti di costi di esercizio da includere in tariffa, con disposizioni regolamentari dell’AAEGG risalenti a quelle emanate nel settore idrico.

Tale principio che si sostanzia nella inclusione in tariffa unicamente delle componenti di costi strettamente afferenti la produzione del servizio medesimo è considerato un principio generale immanente nell’ordinamento applicabile a tutti i servizi pubblici per le quali la remunerazione avviene con tariffa corrisposta dall’utente come stabilisce l’art. 2 comma 12 della legge 14 novembre 1995, n. 481 (“Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità“ - GU n.270 del 18-11-1995 - Suppl. Ordinario n. 136 - Entrata in vigore della legge: 19-11-1995) che testualmente recita:

Art. 2 Istituzione delle Autorita' per i servizi di pubblica utilita'

Ciascuna Autorità nel perseguire le finalità di cui all'articolo 1 svolge le seguenti funzioni:

(…)

e) stabilisce e aggiorna, in relazione all'andamento del mercato, la tariffa base, i parametri e gli altri elementi di riferimento per determinare le tariffe di cui ai commi 17, 18 e 19, nonché le modalità per il recupero dei costi eventualmente sostenuti nell'interesse generale in modo da assicurare la qualità, l'efficienza del servizio e l'adeguata diffusione del medesimo sul territorio nazionale, nonché la realizzazione degli obiettivi generali di carattere sociale, di tutela ambientale e di uso efficiente delle risorse di cui al comma 1 dell'articolo 1, tenendo separato dalla tariffa qualsiasi tributo od onere improprio; verifica la conformità ai criteri di cui alla presente lettera delle proposte di aggiornamento delle tariffe annualmente presentate e si pronuncia, sentiti eventualmente i soggetti esercenti il servizio, entro novanta giorni dal ricevimento della proposta; qualora la pronuncia non intervenga entro tale termine, le tariffe si intendono verificate positivamente;

L’obbligo della separazione contabile (unbundling) è stato introdotto dall’autorità da diversi anni nei settori regolati proprio al fine di evitare la presenza di sussidi incrociati illegittimi.

 

4.3 L’in house

Va osservato in relazione alla legittimità e alle condizioni per l’affidamento in house providing, che:

- l’art. 23-bis d.l. n. 112 del 2008, recante la precedente disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, si caratterizzava per il fatto che dettava una normativa generale di settore, inerente a quasi tutti i predetti servizi, fatta eccezione per quelli espressamente esclusi, volta a restringere, rispetto al livello minimo stabilito dalle regole concorrenziali comunitarie, le ipotesi di affidamento diretto e, in particolare, di gestione in house dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, consentite solo in casi eccezionali ed al ricorrere di specifiche condizioni, la cui puntuale regolamentazione veniva, peraltro, demandata ad un regolamento governativo, adottato con il D.P.R. 7 settembre 2010 n. 168;

- che a seguito di consultazione referendaria detta normativa veniva abrogata e si realizzava, pertanto, l’intento referendario di «escludere l’applicazione delle norme contenute nell’art. 23-bis che limitano, rispetto al diritto comunitario, le ipotesi di affidamento diretto e, in particolare, quelle di gestione in house di pressoché tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica (ivi compreso il servizio idrico)» (Corte cost. 26 gennaio 2011 n. 24) e di consentire, conseguentemente, l’applicazione diretta della normativa comunitaria conferente;

- con D.P.R. 18 luglio 2011 n. 113 (Abrogazione, a seguito di referendum popolare, dell’articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, e successive modificazioni, nel testo risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 325 del 2010, in materia di modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica), è stata dichiarata l’abrogazione, a seguito di referendum popolare, dell’art. 23-bis del d.l. n. 112/2008;

- a distanza di meno di un mese dalla pubblicazione del decreto dichiarativo dell’avvenuta abrogazione dell’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, il Governo è intervenuto nuovamente sulla materia con l’art. 4 d.l. 13 agosto 2011 n. 138 il quale, nonostante sia intitolato «Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dall’Unione europea», detta una nuova disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, che non solo è contraddistinta dalla medesima ratio di quella abrogata, in quanto opera una drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti in house, al di là di quanto prescritto dalla normativa comunitaria, ma è anche letteralmente riproduttiva, in buona parte, di svariate disposizioni dell’abrogato art. 23-bis e di molte disposizioni del regolamento attuativo del medesimo art. 23-bis contenuto nel D.P.R. n. 168 del 2010;

 - secondo quanto osservato dalla Corte costituzionale (Corte cost. 20 luglio 2012 n. 199) la disciplina sopravvenuta da un lato, rende ancor più remota l’ipotesi dell’affidamento diretto dei servizi, in quanto non solo limita, in via generale, «l’attribuzione di diritti di esclusiva alle ipotesi in cui, in base ad una analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità» (comma 1), analogamente a quanto disposto dall’art. 23-bis (comma 3) del d.l. n. 112 del 2008, ma la àncora anche al rispetto di una soglia commisurata al valore dei servizi stessi, il superamento della quale (900.000 euro, nel testo originariamente adottato; ora 200.000 euro, nel testo vigente del comma 13) determina automaticamente l’esclusione della possibilità di affidamenti diretti. Tale effetto si verifica a prescindere da qualsivoglia valutazione dell’ente locale, oltre che della Regione, ed anche – in linea con l’abrogato art. 23-bis – in difformità rispetto a quanto previsto dalla normativa comunitaria, che consente, anche se non impone (sentenza n. 325 del 2010), la gestione diretta del servizio pubblico da parte dell’ente locale, allorquando l’applicazione delle regole di concorrenza ostacoli, in diritto o in fatto, la «speciale missione» dell’ente pubblico (art. 106 TFUE), alle sole condizioni del capitale totalmente pubblico della società affidataria, del cosiddetto controllo “analogo” (il controllo esercitato dall’aggiudicante sull’affidatario deve essere di “contenuto analogo” a quello esercitato dall’aggiudicante sui propri uffici) ed infine dello svolgimento della parte più importante dell’attività dell’affidatario in favore dell’aggiudicante;

- dall’altro lato, la disciplina recata dall’art. 4 del d.l. n. 138 del 2011 riproduce, ora nei principi, ora testualmente, sia talune disposizioni contenute nell’abrogato art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 (è il caso, ad esempio, del comma 3 dell’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 “recepito” in via di principio dai primi sette commi dell’art. 4 del d.l. n. 138 del 2011, in tema di scelta della forma di gestione del servizio; del comma 8 dell’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 che dettava una disciplina transitoria analoga a quella dettata dal comma 32 dell’art. 4 del d.l. n. 138 del 2011; così come del comma 10, lettera a), dell’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza n. 325 del 2010, sostanzialmente riprodotto dal comma 14 dell’art. 4 del d.l. n. 138 del 2011), sia la maggior parte delle disposizioni recate dal regolamento di attuazione dell’art. 23-bis (il testo dei primi sette commi dell’art. 4 del d.l. n. 138 del 2011, ad esempio, coincide letteralmente con quello dell’art. 2 del regolamento attuativo dell’art. 23-bis di cui al D.P.R. n. 168 del 2010, i commi 8 e 9 dell’art. 4 coincidono con l’art. 3, comma 2, del medesimo regolamento, mentre i commi 11 e 12 del citato art. 4 coincidono testualmente con gli articoli 3 e 4 dello stesso regolamento);

- anche la sopravvenuta disciplina è stata dichiarata incostituzionale (Corte cost. n. 199/2012), in quanto essa viola “il divieto di ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare desumibile dall’art. 75 Cost., secondo quanto già riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale”;

- secondo la Corte costituzionale, a seguito di abrogazione referendaria, «la normativa successivamente emanata dal legislatore è pur sempre soggetta all’ordinario sindacato di legittimità costituzionale, e quindi permane comunque la possibilità di un controllo di questa Corte in ordine all’osservanza – da parte del legislatore stesso – dei limiti relativi al dedotto divieto di formale o sostanziale ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare» (Corte cost. n. 9 del 1997);

- l’abrogazione referendaria non consente al legislatore di ripristinare la norma abrogata nemmeno nella limitata versione di «norma transitoria», in quanto l’intervenuta abrogazione della norma «non potrebbe consentire al legislatore la scelta politica di far rivivere la normativa ivi contenuta a titolo transitorio», in ragione della «peculiare natura del referendum, quale atto-fonte dell’ordinamento» (Corte cost. n. 468 del 1990);

- la Corte Costituzionale ha ritenuto che il citato art. 4 costituisce ripristino della normativa abrogata, considerato che essa introduce una nuova disciplina della materia, «senza modificare né i principi ispiratori della complessiva disciplina normativa preesistente né i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti» (sentenza n. 68 del 1978), in palese contrasto, quindi, con l’intento perseguito mediante il referendum abrogativo. Né può ritenersi che sussistano le condizioni tali da giustificare il superamento del predetto divieto di ripristino, tenuto conto del brevissimo lasso di tempo intercorso fra la pubblicazione dell’esito della consultazione referendaria e l’adozione della nuova normativa (23 giorni), nel quale peraltro non si è verificato nessun mutamento idoneo a legittimare la reintroduzione della disciplina abrogata;

- stante l’abrogazione referendaria dell’art. 23-bis d.l. n. 112/2008 e la declaratoria di incostituzionalità dell’art. 4, d.l. n. 138/2011, e le ragioni del quesito referendario (lasciare maggiore scelta agli enti locali sulle forme di gestione dei servizi pubblici locali, anche mediante internalizzazione e società in house) è venuto meno il principio, con tali disposizioni perseguito, della eccezionalità del modello in house per la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica;

- venuto meno l’art. 23-bis d.l. n. 112/2008 per scelta referendaria, e dunque venuto meno il criterio prioritario dell’affidamento sul mercato dei servizi pubblici locali di rilevanza economica e l’assoluta eccezionalità del modello in house, si deve ritenere che la scelta dell’ente locale sulle modalità di organizzazione dei servizi pubblici locali, e in particolare la opzione tra modello in house e ricorso al mercato, debba basarsi sui consueti parametri di esercizio delle scelte discrezionali, vale a dire:

- valutazione comparativa di tutti gli interessi pubblici e privati coinvolti;

- individuazione del modello più efficiente ed economico;

- adeguata istruttoria e motivazione.

-la scelta discrezionale è sindacabile solo qualora appaia priva di istruttoria e motivazione, viziata da travisamento dei fatti, palesemente illogica o irrazionale. (CdS Sez. VI 11/12/2013 n. 762).

- secondo la giurisprudenza comunitaria il “controllo analogo” dei soci pubblici sulla società in house costituisce un <<potere assoluto>> di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività del soggetto partecipato, e che riguarda l’insieme dei più importanti atti di gestione del medesimo;

- in presenza di tale <<assoluto potere>>, l'amministrazione può prescindere dall'applicazione delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, non in virtù di apposite clausole di esclusione contenute nelle rispettive normative di settore, ma, piuttosto, perché si è in presenza di un modello di organizzazione meramente interno, qualificabile in termini di delegazione interorganica (Commissione europea, nota 26 giugno 2002) [C. giust. CE, 13 novembre 2008 C-324/07, Coditel Brabant SA];

- la giurisprudenza comunitaria si è soffermata anche sulle modalità di esercizio del controllo analogo in caso di pluralità di soci pubblici, affrontando il tema se il controllo debba essere individuale o possa essere congiunto, e addivenendo alla seconda soluzione. Si è concluso che qualora un’autorità pubblica si associ ad una società cooperativa intercomunale i cui soci sono tutti autorità pubbliche, al fine di trasferirle la gestione di un servizio pubblico, il controllo che le autorità associate a detta società esercitano su quest’ultima, per poter essere qualificato come analogo al controllo che esse esercitano sui propri servizi, può essere esercitato congiuntamente dalle stesse, deliberando, eventualmente, a maggioranza [C. giust. CE, 13 novembre 2008 C-324/07, Coditel Brabant SA];

- secondo un approccio in positivo, il controllo analogo deve importare un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e le decisioni importanti, e può essere attuato con poteri di direttiva, di nomina e revoca degli amministratori, e con poteri di vigilanza e ispettivi;

- la giurisprudenza comunitaria ha anche affrontato funditus il problema delle modalità del controllo analogo nel caso in cui il capitale sociale della società in house sia frazionato tra una pluralità di soci pubblici, addivenendo alla conclusione che quando più autorità pubbliche, nella loro veste di amministrazioni aggiudicatrici, istituiscono in comune un’entità incaricata di adempiere compiti di servizio pubblico ad esse spettanti, oppure quando un’autorità pubblica aderisce ad un’entità siffatta, la condizione enunciata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, secondo cui tali autorità, per essere dispensate dal loro obbligo di avviare una procedura di aggiudicazione di appalto pubblico in conformità alle norme del diritto dell’Unione, debbono esercitare congiuntamente sull’entità in questione un controllo analogo a quello da esse esercitato sui propri servizi, è soddisfatta qualora ciascuna delle autorità stesse partecipi sia al capitale sia agli organi direttivi dell’entità suddetta [C. giust. UE, sez. III, 29 novembre 2012 C-182-11 e 183-11, Econord s.p.a.]. Non è dubbio che, ove più autorità pubbliche facciano ricorso ad un’entità comune ai fini dell’adempimento di un compito comune di servizio pubblico, non è indispensabile che ciascuna di esse detenga da sola un potere di controllo individuale su tale entità; ciononostante, il controllo esercitato su quest’ultima non può fondarsi soltanto sul potere di controllo dell’autorità pubblica che detiene una partecipazione di maggioranza nel capitale dell’entità in questione, e ciò perché, in caso contrario, verrebbe svuotata di significato la nozione stessa di controllo congiunto;

- la giurisprudenza nazionale in termini generali ha affermato che per controllo analogo si intende un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell’ente pubblico sull’ente societario [Cons. St., sez. VI, 25 gennaio 2005 n. 168; Cons. St., sez. V, 11 maggio 2007 n. 2334].

Anche che in relazione alle novità contenute nelle previsioni delle nuove direttive comunitarie ed in particolar modo nella Direttiva 2014/24/UE – settori classici – art. 12, nella Direttiva 2014/23/UE – concessioni – art. 17 e nella Direttiva 2014/ 25/UE – settori speciali, si confermano due istituti quali:

a) Il c.d. ‘in house frazionato’

Il paragrafo 3 dell’articolo 12 direttiva settori classici traduce in disposizioni positive un consolidato orientamento giurisprudenziale sul tema del c.d. ‘in house frazionato’ ‘pluripartecipato’ (il quale si verifica nelle ipotesi di controllo analogo congiunto da parte di più amministrazioni aggiudicatrici).

La direttiva settori classici ammette l’affidamento diretto solo al ricorrere di tre condizioni le quali – mutatis mutandis – riproducono i requisiti Teckal.

In particolare, nelle ipotesi di cui al paragrafo 3 l’affidamento diretto sarà possibile:

i) se l’amministrazione aggiudicatrice sia in grado di esercitare (sia pure congiuntamente con gli altri Enti proprietari) un controllo analogo a quello dalle stesse esercitato sui propri servizi;

ii) se la persona giuridica controllata/affidataria realizzi almeno l’80 per cento della propria attività con gli Enti che la controllano (ovvero con altre persone giuridiche controllate da quelle che esercitano il controllo);

iii) se nella persona giuridica controllata/affidataria non vi sia alcuna partecipazione diretta di capitali privati (fatte salve le ipotesi in cui l’eventuale partecipazione dei privati, per la sua esiguità, non consenta comunque di esercitare un’influenza determinante).

L’articolo 12 della direttiva chiarisce, poi, quali sono le condizioni perché possa sussistere un controllo analogo congiunto ai sensi del paragrafo 3, lettera a).

A tal fine devono sussistere tutte le tre seguenti condizioni:

i) gli organi decisionali della persona giuridica controllata devono essere composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti. Singoli rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti;

ii) tali amministrazioni aggiudicatrici devono essere in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica e

iii) la persona giuridica controllata non deve perseguire interessi contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici controllanti.

La dottrina ritiene (cfr. C. Contessa “L’in house providing quindici anni dopo: cosa cambia con le nuove direttive”) che il ricorso alla figura delle società di gestione cc.dd. pluripartecipate possa rappresentare uno strumento strategico per il conseguimento degli obiettivi di razionalizzazione della gestione e di individuazione degli ambiti o bacini territoriali omogenei che presiede all’attuale – sintetica – disciplina di settore. Si è ritenuto inoltre, che il ricorso a tale modalità organizzativa e gestionale possa contribuire ad individuare un adeguato punto di equilibrio fra diversi elementi difficilmente riconducibili ad unità, fra cui: i) l’esigenza di offrire servizi pubblici di qualità a bacini di utenza adeguatamente dimensionati; ii) l’esigenza di razionalizzare le forme di gestione e i relativi costi, evitando le inevitabili duplicazioni connesse alla moltiplicazione dei soggetti gestori; iii) l’esigenza di agire comunque nell’ambito di regole certe al livello comunitario, sfruttando nel modo più adeguato i principi e le disposizioni in tema di cc.dd. cooperazioni pubblico-pubblico.

b) II requisito del controllo analogo determinato “a cascata” (controllo analogo indiretto).

La parte finale del paragrafo 1, primo comma, dell’art. 12 Direttiva 2014/24/UE ammette l’affidamento diretto anche nelle ipotesi di c.d. ‘in house a cascata’. Si tratta dell’ipotesi in cui l’amministrazione ‘A’ esercita un controllo analogo sull’amministrazione ‘B’, la quale esercita a propria volta un controllo analogo sull’organismo in house ‘C’: in tali ipotesi viene ammesso l’affidamento diretto da parte dell’amministrazione ‘A’ in favore dell’organismo in house ‘C’, anche se – dal punto di vista solo formale – non sussiste una relazione diretta fra le due entità in parola.

La direttiva su richiama sul punto testualmente recita: “Si ritiene che un’amministrazione aggiudicatrice eserciti su una persona giuridica un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi ai sensi della lettera a) qualora essa eserciti un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata. Tale controllo può anche essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall’amministrazione aggiudicatrice”.

Si deve pertanto prendere atto del favor anche delle direttive comunitarie 23 e 24 /UE /2015 per gli affidamenti in house plurienti.

 

5. Osservazioni sulle prime notizie del contenuto della bozza del Testo Unico di attuazione della legge Madia in materia di società strumentali

La bozza del testo unico di attuazione della legge Madia (T.U. società) lascia comprendere come esso abbia ad oggetto le società strumentali (in senso ampio) mentre la bozza di TU sulla disciplina dei servizi pubblici (T.U. spl) si occupi delle modalità di affidamento che coinvolgono le società in house o miste per l’esercizio di tali servizi. Si può affermare che la disciplina della governace prevista per le società, contemplata dal T.U. società si dovrebbe estendere anche alle società che svolgono servizi pubblici locali quando queste sono classificabili come “a controllo pubblico”.

Sotto un profilo di inquadramento ontologico delle società contemplate dal T.U società l’art. 4 (Finalità perseguibili mediante / acquisizione e la gestione di partecipazioni pubbliche) :

1. Le amministrazioni pubbliche non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere, direttamente o indirettamente, partecipazioni, anche di minoranza, in tali società.”

Pertanto la legittima detenibilità della partecipazione viene estrinsecata dal nesso di causa ed effetto individuata dalla norma stessa. Si può affermare che tale norma supera e sostituisce la portata dell’art. 3 comma 27 della Legge Finanziaria per il 2008.

Il legislatore prosegue con i successivi commi specificando nel merito i contenuti dell’attività che ricadono nella categoria generale indicata nel primo comma citato e precisamente:

2. Nei limiti di cui al comma 1, le amministrazioni pubbliche possono costituire società e acquisire o mantenere, direttamente o indirettamente, partecipazioni in società esclusivamente per lo svolgimento delle attività sotto indicate:

a) produzione di un servizio di interesse generale, nel rispetto delle condizioni stabilite dalle direttive europee in materia di contratti pubblici e della relativa disciplina nazionale di recepimento;

b) progettazione e realizzazione di un’opera pubblica sulla base di un accordo di programma fra amministrazioni pubbliche, ai sensi dell’articolo 172 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163;

c) realizzazione e gestione di un’opera ovvero organizzazione e gestione di un servizio d’interesse generale in regime di partenariato con un imprenditore privato, selezionato con le modalità di cui all’articolo 7, comma 5, del presente decreto, in funzione dell’affidamento dell’opera o del servizio;

d) autoproduzione di beni o servizi strumentali all’ente o agli enti pubblici partecipanti, nel rispetto delle condizioni stabilite dalle direttive europee in materia di appalti pubblici e della relativa disciplina nazionale di recepimento, nonché delle disposizioni di cui all’art. 18 del presente decreto;

e) servizi di committenza apprestati a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all’articolo 3, comma 25, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12aprile2006, n. 163.

3. Al solo fine di ottimizzare e valorizzare l’utilizzo di beni immobili già esistenti nel proprio patrimonio, le amministrazioni pubbliche possono, altresì, acquisire partecipazioni in società allo scopo di realizzare un investimento secondo criteri propri di un qualsiasi operatore nazionale in economia di mercato, purché almeno il sessanta per cento del capitale della società rimanga nella titolarità di soggetti privati operanti con criteri di economicità e siano rispettate le disposizioni del diritto europeo in materia di aiuti di Stato alle imprese.”

 

Inoltre impone una specifica ulteriore prescrizione per le società in house ( rectius “in affidamento diretto):

 

4. Le società a partecipazione pubblica che sono destinatarie di affidamenti diretti di appalti o concessioni hanno come oggetto sociale esclusivo una sola delle attività di cui alle lettere da a) a e) dell’elenco di cui al comma I, Tali società operano in via prevalente con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti e non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto, né con gara, né partecipare, direttamente o indirettamente, ad altre società o enti, se non nei limiti di cui all’articolo 17, comma 5.”

 

6. (segue) Le attività residuali ammesse per le società strumentali.

Il TU società, nella bozza conosciuta, prevede una novità in quanto ammette attività residuali, diverse da quelle ricevute in affidamento diretto anche a favore di soggetti diversi dagli enti soci.

La bozza sul punto testualmente recita:

Art. 16 (Società a controllo pubblico titolari di affidamenti diretti di contratti pubblici)

(…..)

5. Gli statuti delle società di cui al presente articolo devono prevedere che almeno l’ottanta per cento delle loro attività siano effettuate nello svolgimento dei compiti a esse affidati dall’ente pubblico o dagli enti pubblici soci e che la produzione ulteriore rispetto a quella prevalente sia consentita solo a condizione che la stessa permetta di conseguire economie di scala o altri guadagni di efficienza produttiva nell’esercizio dell’attività principale della società.

6. Il superamento del limite quantitativo di cui al comma 5 costituisce grave irregolarità ai sensi dell’art. 2409 del codice civile e dell’articolo 15 del presente decreto.

7. Nel caso di cui al comma 6, la società può sanare l’irregolarità se, entro sei mesi dalla data in cui la stessa si è manifestata, rinunci a una parte dei rapporti di fornitura con soggetti terzi, sciogliendo i relativi rapporti contrattuali, ovvero rinunci agli affidamenti diretti da parte dell’ente o degli enti pubblici soci, sciogliendo i relativi rapporti. In quest’ultimo caso le attività precedentemente affidate alla società partecipata devono essere riaffidate, dall’ente o dagli enti pubblici soci, mediante procedure competitive regolate dalla disciplina in materia di contratti pubblici, entro i sei mesi successivi allo scioglimento del rapporto contrattuale. Nelle more dello svolgimento delle procedure di gara i beni o servizi continueranno ad essere forniti dalla società a partecipazione pubblica.

8. Nel caso di rinuncia agli affidamenti diretti, di cui al comma 7, la società a partecipazione pubblica può continuare la propria attività se e in quanto sussistano i requisiti di cui all’articolo 4, comma I. A seguito della cessazione degli affidamenti diretti, perdono efficacia le clausole statutarie e i patti parasociali finalizzati a realizzare i requisiti del controllo analogo, ai sensi del comma 3 del presente articolo.

 



[1] Senior partner Studio Commerciale Associato Boldrini – Rimini

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