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L'organo amministrativo delle società a partecipazione pubblica nel nuovo testo unico
di Studio Commerciale Associato Boldrini 16 febbraio 2016
Materia: società / partecipazione pubblica

L’organo amministrativo delle società a partecipazione pubblica

 nel nuovo testo unico

 

a cura di Studio Commerciale Associato Boldrini: dott.ssa Annalisa Galanti, dott. Roberto Camporesi

 

 

Premessa

 

Le modalità di composizione dell’organo amministrativo nelle società a partecipazione pubblica, nonché il relativo numero dei membri e la disciplina prevista per i compensi, sono stati caratterizzati, fin d’ora, da una normativa pubblicistica estremamente frammentata ed oggetto di numerosi interventi legislativi volti a disciplinarne e regolamentarne le previsioni in un’ottica di spending review e di contenimento dei costi della pubblica amministrazione.

 

In tale quadro normativo si innesta il nuovo testo unico sulle società partecipate, avente da un lato una funzione di ricognizione indirizzata ad un superamento della frammentazione e ad un riordino e coordinamento della disciplina delle società partecipate dalle pubbliche amministrazioni, dall’altro caratterizzandosi per l’introduzione di alcuni elementi di novità, tra i quali, in tema di governance delle società pubbliche, si annovera la previsione dell’organo amministrativo monocratico ed il restringimento del novero delle società nelle quali è ammessa la partecipazione pubblica alle sole società per azioni e società responsabilità limitata, escludendo, di fatto, la fattispecie della società consortile.

 

1.      Criteri di ammissibilità per la nomina

Il nuovo testo unico delle società a partecipazione pubblica riscrive la disciplina dei requisiti di cui devono essere in possesso i componenti degli organi amministrativi di società a controllo pubblico, prevedendo:

-          Il possesso di requisiti di onorabilità, professionalità ed autonomia il cui rispetto verrà successivamente stabilito con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri;

-          L’assenza di cause ostative previste dall’art. 12 del D. Lgs. 39/2013 in tema di incompatibilità degli incarichi. In particolare, i componenti degli organi amministrativi non possono rivestire incarichi dirigenziali, interni ed esterni, nelle stesse pubbliche amministrazioni o enti pubblici che hanno conferito l’incarico, non possono inoltre assumere nel corso dell’incarico la carica di parlamentare o Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro, Viceministro, Sottosegretario di Stato, né la carica di componente della giunta o del consiglio regionale/provinciale/comunale della Regione, Provincia o Comune interessato, con la previsione tuttavia che si tratti di un Comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti ricompresi nella stessa regione dell’amministrazione locale che ha conferito l’incarico;

-          Il rispetto delle previsioni dell’art. 5, comma 9 del D.Lgs. 95/2012 che prevede il divieto di assumere la carica di amministratore in capo a soggetti privati ai quali sono stati affidati incarichi di studio e di consulenza o in capo a lavoratori pubblici collocati in quiescenza, ad esclusione della fattispecie in cui i suddetti incarichi vengano svolti a titolo gratuito.

 

2.      La forma monocratica: l’amministratore unico, le deroghe ammesse e le quote di genere

Elemento innovativo e non di riordino è invece la previsione, ad opera del nuovo testo unico delle società partecipate, dell’organo amministrativo monocratico che se da un lato appare essere uno strumento in linea con l’ottica di contenimento dei costi della pubblica amministrazione, dall’altro si ritiene, che tale previsione potrebbe porsi in contrasto con l’esigenza di tutela degli interessi dei soci pubblici in quanto l’amministratore unico è un organo monocratico caratterizzato dall’accentramento dell’intero potere gestorio. La suddetta previsione è inoltre limitativa per tutte le società a capitale misto pubblico-privato nelle quali è di norma prevista un’amministrazione pluripersonale allo scopo di consentire la nomina di almeno un amministratore da parte dei soci pubblici e di almeno un amministratore dai soci privati.

 

E’ in ogni caso contemplata, nella suddetta bozza, la previsione dell’organo amministrativo pluripersonale, composto da tre o cinque membri. Tale facoltà, tuttavia, viene ammessa qualora vi siano specifiche ragioni di adeguatezza organizzativa ed, in ogni caso, purché si rispettino i criteri definiti da un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, la cui adozione è demandata entro il decorso di sei mesi dall’entrata in vigore del nuovo testo unico. Ulteriori possibilità vengono poi delineate per le società per azioni che in tali casi oltre ad un organo amministrativo pluripersonale, possono optare per l’adozione, in luogo del sistema di amministrazione tradizionale, del sistema dualistico o monistico, con riferimento ai quali permane tuttavia il limite massimo dei componenti che non può essere superiore a cinque.

Per le società a responsabilità limitata invece, viene espressamente escluso il fatto che l’amministrazione sia affidata congiuntamente o disgiuntamente a due o più soci, in deroga alle disposizioni dell’art. 2475, terzo comma del C.c.

 

L’attuale normativa in tema di numero dei membri dell’organo amministrativo prevede invece, all’art. 1 comma 729 della L. 296/2006 che le società a totale partecipazione diretta o indiretta di enti locali, possano avere un consiglio di amministrazione il cui numero di membri non sia superiore a tre. Tale limite può essere innalzato a cinque qualora la società abbia un capitale pari o superiore a 2 milioni di euro. Per le società miste invece, non viene posto un tetto massimo al numero dei componenti del consiglio di amministrazione, il secondo periodo dell’art. 1 comma 729 della L. 296/2006 pone infatti unicamente un limite per il numero di amministratori nominati dai soci pubblici, disponendo quanto segue: “Nelle società miste il numero massimo di componenti del consiglio di amministrazione designati dai soci pubblici locali comprendendo nel numero anche quelli eventualmente designati dalle regioni non può essere superiore a cinque”.

Il limite dei tre membri deve, in ogni caso, essere osservato in caso di società, controllate direttamente o indirettamente da amministrazioni pubbliche, che “abbiano conseguito nell’anno 2011 un fatturato da prestazione di servizi a favore di amministrazioni pubbliche superiore al 90 per cento dell’intero fatturato”, come disposto dall’art. 4, co. 4 del D.L. 95/2012.

 

Il nuovo testo unico prevede inoltre, l’osservanza delle disposizioni in tema di quote di genere, pertanto, nei casi diversi dall’adozione dell’organo monocratico, sarà necessario che il consiglio di amministrazione sia composto da membri che assicurino l’equilibrio tra i generi.

 

3.      La remunerazione dell’organo amministrativo

In tema di remunerazione degli amministratori, la bozza del testo normativo oggetto di commento, ha ripreso integralmente le disposizioni sancite dalla legge di stabilità 2016 all’art. 1 comma 672. Quest’ultimo, di fatti, è intervenuto sul comma 1 dell’art. 23 bis del D.L. 201/2011, demandando la regolamentazione del compenso degli amministratori di società direttamente o indirettamente controllate da amministrazioni dello stato ad un decreto ministeriale da emanare entro il 30 aprile 2016 attraverso il quale “verranno definiti indicatori dimensionali quantitativi e qualitativi al fine di individuare fino a cinque fasce per la classificazione delle suddette società. Per ciascuna fascia è determinato, in proporzione, il limite dei compensi massimi al quale i consigli di amministrazione di dette società devono fare riferimento, secondo criteri oggettivi e trasparenti, per la determinazione del trattamento economico annuo onnicomprensivo da corrispondere agli amministratori, ai dirigenti e ai dipendenti, che non potrà comunque eccedere il limite massimo di euro 240.000 annui al lordo dei contributi previdenziali e assistenziali e degli oneri fiscali a carico del beneficiario, tenuto conto anche dei compensi corrisposti da altre pubbliche amministrazioni.”

La bozza del nuovo testo unico ha inoltre aggiunto l’ulteriore previsione, non contemplata dalla legge di stabilità 2016, secondo la quale il decreto ministeriale dovrà altresì stabilire i criteri di determinazione della parte variabile della remunerazione, commisurata ai risultati di bilancio raggiunti dalla società nel corso dell’esercizio precedente.

L’obbligo di vigilanza del rispetto di limiti stabiliti dal legislatore è posto a carico delle società medesime e vengono in ogni caso salvaguardate norme che prevedono limiti ai compensi inferiori a quelli previsti dal decreto da emanare.

Diviene pertanto necessario effettuare una disamina delle norme attualmente in vigore in tema di compensi corrisposti agli amministratori, di fatti, accanto alla normativa privatistica che all’art. 2389 del C.C. legittima la corresponsione di un compenso a favore degli amministratori, è stata emanata in ambito pubblicistico una copiosa legislazione volta ad introdurre modalità di regolamentazione e limiti massimi ai compensi degli amministratori di società a totale partecipazione pubblica, di società miste e di società controllate direttamente o indirettamente da amministrazioni pubbliche. Il tema della governance delle società pubbliche è, di fatti, una materia nella quale, nitidamente, si ravvisa il tratto distintivo derogatorio della normativa pubblicistica rispetto alle disposizioni codicistiche.

 

Limiti massimi per i compensi e le indennità di risultato corrisposti ai membri dell’organo amminsitrativo di società pubbliche

 

 

Norma

Ambito Soggettivo

Ambito Oggettivo

Disposizioni Normative

L. 296/2006, art. 1, comma 725, primo periodo

Società a totale partecipazione pubblica di comuni o province; Società controllate da società a totale partecipazione pubblica di comuni o province ai sensi dell’art. 2359 C.C.

Compenso lordo annuale onnicomprensivo dei membri dell’organo amministrativo

Per il Presidente del Cda non superiore al 70% delle indennità spettanti al sindaco

Per i consiglieri non superiore al 60% delle indennità spettanti al presidente della Provincia[1]

L. 296/2006, art. 1, comma 725, secondo periodo

Società a totale partecipazione pubblica di comuni o province; Società controllate da società a totale partecipazione pubblica di comuni o province ai sensi dell’art. 2359 C.C.

Indennità di risultato

Solo in caso di produzione di utili e in misura non superiore al doppio del compenso onnicomprensivo

L. 296/2006, art. 1, comma 728

Società a partecipazione mista di enti locali in misura pari o superiore al 50% e di altri soggetti pubblici o privati

Compenso lordo annuale onnicomprensivo dei membri dell’organo amministrativo

Per il Presidente del Cda non superiore al 70% delle indennità spettanti al sindaco

Per i consiglieri non superiore al 60% delle indennità spettanti al presidente della Provincia.

Tali limiti possono essere innalzati di un punto percentuale ogni cinque punti percentuali di partecipazione di soggetti diversi dagli enti locali

Società a partecipazione mista di enti locali in misura inferiore al 50% e di altri soggetti pubblici o privati

Compenso lordo annuale onnicomprensivo dei membri dell’organo amministrativo

Per il Presidente del Cda non superiore al 70% delle indennità spettanti al sindaco

Per i consiglieri non superiore al 60% delle indennità spettanti al presidente della Provincia.

Tali limiti possono essere innalzati di due punto percentuale ogni cinque punti percentuali di partecipazione di soggetti diversi dagli enti locali

DL 201/2011, Art. 23 bis, comma 4, 5, 5 bis

(Norme che verranno sostituite dal nuovo DM)

Società non quotate, controllate da società a loro volta controllate direttamente o indirettamente dalle amministrazioni pubbliche che nell’anno 2011 hanno conseguito un fatturato da prestazione di servizi a favore di amministrazioni pubbliche superiore al 90% dell’intero fatturato

 

Compensi corrisposti agli amministratori investiti di particolari cariche

L’importo complessivo non può superare i limiti previsti dal DM 166/2013 e non superiore al trattamento economico del primo presidente della Corte di Cassazione.

 

Obblighi di riduzione dei compensi corrisposti ai membri dell’organo amministrativo di società pubbliche

 

L. 147/2013, art. 1, comma 554

Società a partecipazione di maggioranza, diretta e indiretta, delle pubbliche amministrazioni locali, titolari di affidamento diretto da parte di soggetti pubblici per una quota superiore all’80% del valore della produzione, che nei tre esercizi precedenti abbiano conseguito un risultato economico negativo

Compenso dei componenti del consiglio di amministrazione

Deve essere ridotto del 30%

DL 95/2012, Art. 4, comma 4 novellato dall'art. 16, comma 1, lett. a), DL 24.6.2014 n. 90

Società a totale partecipazione pubblica, diretta o indiretta;

Società controllate direttamente o indirettamente dalle amministrazioni pubbliche che nell’anno 2011 hanno conseguito un fatturato da prestazione di servizi a favore di amministrazioni pubbliche superiore al 90% dell’intero fatturato

(Escluse società quotate e loro controllate)

Costo annuale sostenuto per i compensi degli amministratori

Non superiore all’80% del costo complessivamente sostenuto nell’anno 2013

 

 

Disposizioni in tema di componente variabile e componente fissa dei compensi corrisposti ai membri dell’organo amministrativo di società pubbliche

 

DL 201/2011, Art. 23 bis, comma 3

Società direttamente o indirettamente controllate da amministrazioni pubbliche

Compensi degli amministratori

Possono includere una componente variabile che non può risultare inferiore al 30% della componente fissa corrisposta in misura proporzionale al raggiungimento di obiettivi predeterminati

 

Nuove disposizioni in tema di compensi corrisposti ai membri dell’organo amministrativo di società pubbliche

 

Legge stabilità 2016, art. 1, comma 672

Società direttamente o indirettamente controllate da amministrazioni pubbliche (escluse le società quotate e loro controllate)

 Limite dei compensi massimi degli amministratori

DM che definirà indicatori dimensionali quantitativi e qualitativi al fine di individuare fino a cinque fasce per la classificazione della società, per ciascuna fascia verrà fissato il limite dei compensi massimi al quale i consigli di amministrazione devono fare riferimento. Tale valore non potrà comunque eccedere il limite massimo di euro 240.000.

 

Pertanto, le disposizioni dettate dal nuovo decreto in materia di compensi corrisposti agli amministratori di società pubbliche andranno in ogni caso coordinate con la suddetta normativa ad eccezione della disciplina per le società partecipate dagli enti locali in quanto il nuovo testo unico abroga le summenzionate disposizioni di legge e quindi rimarrà l’unica fonte normativa.

 

Con riferimento alle indennità, ai trattamenti di fine mandato, a gettoni di presenza o premi di risultato, nella bozza del nuovo testo unico si ravvisano ulteriori specifiche disposizioni, volte a limitarne l’utilizzo. Si impone di fatti la previsione statutaria concernente il divieto di corrispondere gettoni di presenza o premi di risultato deliberati dopo lo svolgimento dell’attività, o trattamenti di fine mandato ai componenti degli organi sociali. Si dispone altresì il divieto di corrispondere agli amministratori indennità o trattamenti di fine mandato differenti o ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge. A tale ultimo proposito si richiama pertanto l’art. 1, co. 725 della L. 296/2006 che prevede la possibilità di prevedere indennità di risultato solo in caso di produzione di utili e, in ogni caso in misura non superiore al doppio del compenso onnicomprensivo.

 

Si può pertanto affermare che con il nuovo testo unico viene detta la parola fine alla determinazione dei compensi degli amministratori delle società pubbliche basata su limitazioni quantitative indifferenziate e del tutto apodittiche, farcite di tagli “lineari” attuati nel campo. Non possiamo infatti dimenticare le difficoltà interpretative che hanno caratterizzato l’attuale disciplina dei compensi degli amministratori delle società a totale partecipazione pubblica il cui compenso è stato tagliato del 20% rispetto a quanto corrisposto nel 2013. In particolare, il dibattito interpretativo relativo all’applicazione delle disposizioni dettate dall’art. 4 co. 4 e 5 del D.L. 95/2012 è stato incentrato sull’individuazione dell’ammontare del compenso da prendere come riferimento per applicare la suddetta riduzione.

La norma, di fatti, parla del “costo annuale sostenuto per i compensi degli amministratori”, pertanto un’interpretazione strettamente letterale lascerebbe desumere che tale valore di riferimento non debba ricomprendere al suo interno anche ulteriori emolumenti corrisposti agli amministratori a titolo di rimborso spese, indennità di risultato, gettoni di presenza etc. Le indennità di risultato, di fatti, a differenza dei compensi “fissi” che sono determinati nell’an e nel quantum poiché certi nella loro corresponsione e predeterminati nell’ammontare, sono invece incerti e variabili, pertanto l’effettiva percezione da parte degli amministratori dipende dai risultati effettivi raggiunti.

Tale interpretazione trova espressa conferma nella sentenza della Corte dei conti, sezione regionale di controllo per le Marche n.137/2015 che nel commentare la suddetta norma afferma che essa si riferisce espressamente al “costo sostenuto per i compensi” pertanto non è riconosciuta valida una interpretazione volta ad ampliare la base di calcolo includendo voci particolari quali le indennità e i rimborsi spese poiché tali voci sono eventuali e pertanto distinte dal compenso previsto dalla legge.

Ad espressa richiesta dell’Amministrazione istante, la Sezione, di fatti, afferma che: “di immediata percezione si appalesa altresì la disciplina in esame per ciò che attiene al parametro di riferimento su cui applicare la prevista percentuale. Sotto tale profilo, parimenti, valorizzando in ragione della natura vincolistica della disciplina in parola un’interpretazione rigorosamente incentrata sul dato testuale – che espressamente si riferisce al “costo sostenuto per i compensi” – devono, a parere del collegio, ritenersi inammissibili operazioni ermeneutiche volte ad ampliare la base di calcolo, includendo nella stessa, voci (quali le indennità ed i rimborsi spese) che, ex se ed in quanto meramente eventuali, si atteggiano come ontologicamente distinte rispetto al compenso evocato dalla norma”.

Ulteriore riconferma di tale intenzione del legislatore viene data dalla bozza del nuovo testo unico delle società partecipate laddove, nel demandare ad un decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze la regolamentazione dei compensi da corrispondere agli amministratori di società pubbliche, ne definisce sommariamente i contenuti tenendo nettamente distinta la determinazione del “trattamento economico annuo onnicomprensivo” da un lato, ed i “criteri di determinazione della parte variabile della remunerazione” dall’altro, lasciando intendere che quest’ultima non rientri nel conteggio del “compenso fisso” per il quale è fissato un limite massimo di € 240.000,00.

E’ del tutto evidente che le previsioni del testo unico, sebbene facenti parte di un compendio normativo non in vigore, sono un riferimento come canone interpretativo anche per le norme vigenti.

 

In tema di remunerazione dell’organo amministrativo, il nuovo testo unico dispone infine, in linea con la finalità perseguita dall’intervento legislativo volto a contenere la spesa delle pubbliche amministrazioni per le proprie partecipazioni societarie, che coloro che hanno un rapporto di lavoro con una società a partecipazione pubblica che vengono nominati componenti dell’organo amministrativo della medesima società, quali ad esempio i direttori generali, devono rinunciare ai compensi a qualsiasi titolo dovuti agli amministratori, o in alternativa, essere collocati in aspettativa non retribuita. Da ciò tuttavia discende una importante conclusione:

-          il direttore generale può ricoprire la carica di amministratore della società e mantenere la retribuzione di direttore e deve rinunciare a quella di amministratore;

-          il direttore può ricoprire la carica di amministratore della società e se rinuncia alla retribuzione da direttore, collocandosi in aspettativa non retribuita, può percepire il compenso da amministratore.

 

4.      Cessazione, prorogatio e cause di inconferibilità ed  incompatibilità

In tema di cessazione dell’organo amministrativo nulla dispone il nuovo testo unico, continuano pertanto ad applicarsi le norme ordinarie previste dal codice civile ed in particolare gli articoli 2383, comma 3 e l’articolo 2385.

 

Qualora la cessazione degli amministratori avvenga per naturale scadenza del termine triennale, gli effetti si producono solamente quando l’organo amministrativo viene ricostituito, come disposto dall’art. 2385, co. 2 del C.C. Pertanto, gli amministratori scaduti rimangono in carica, con pienezza dei propri poteri, fino all’accettazione della nomina da parte dei nuovi amministratori.

Con riferimento a tale ultimo aspetto, il nuovo testo unico effettua un espresso rinvio al D.L. 293/1994 che disciplina il regime della prorogatio per un’ampia casistica di soggetti tra i quali sono ricomprese le persone giuridiche a prevalente partecipazione pubblica. In particolare, l’art. 3 del D.L. 293/1994 stabilisce che il regime della prorogatio non può protrarsi per più di quarantacinque giorni, decorrenti dalla scadenza del termine di durata del consiglio di amministrazione. Tale norma dispone inoltre delle limitazioni negli atti che l’organo amministrativo può compiere in tale periodo provvisorio di permanenza affermando che: “nel periodo in cui sono prorogati, gli organi scaduti possono adottare esclusivamente gli atti di ordinaria amministrazione, nonché gli atti urgenti e indifferibili con indicazione specifica dei motivi di urgenza e indifferibilità”. Infine, decorso il termine massimo di proroga, gli organi amministrativi decadono e tutti gli atti adottati da questi ultimi sono nulli.

 

Espresso rinvio viene inoltre effettuato dal nuovo testo unico alle disposizioni in materia di inconferibilità ed incompatibilità degli incarichi previste dal D.Lgs. 39/2013. Dunque il legislatore riconferma la previsione secondo la quale i membri degli organi amministrativi delle società in controllo pubblico non devono trovarsi in una delle numerose cause ostative previste dagli art. 3 e art. 7 in materia di inconferibilità degli incarichi e art. 9, 11 e 13 in tema di incompatibilità.

In particolare, ampio dibattito ha suscitato l’art. 7 comma 2 che impone che Province e Comuni con più di 15 mila abitanti non possano nominare amministratori di società in controllo pubblico i soggetti che nei due anni precedenti siano stati componenti della giunta o del consiglio dell’ente che conferisce l’incarico o, nell’anno precedente siano stati componenti della giunta o del consiglio di una Provincia o di un Comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti situati nella medesima regione dell’ente che conferisce l’incarico. La medesima causa di inconferibilità vale per coloro che siano stati Presidenti o Amministratori delegati di società in controllo pubblico. Tale ultima specifica causa ostativa riguardante chi abbia ricoperto cariche di presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico, opera pertanto con riferimento ad altro incarico di amministratore delegato o presidente di altro ente privato a controllo pubblico della medesima amministrazione che conferisce l’incarico.

La suddetta norma sancisce pertanto un sostanziale divieto di doppio incarico nelle società in controllo pubblico, tale interpretazione è di fatti desumibile anche dall’orientamento n.11/2015 dell’ANAC[2]. Si evidenzia tuttavia che la finalità perseguita dal legislatore era evidentemente quella di evitare cumuli di incarichi nelle società per chi ha ricoperto incarichi elettivi per gli organi di indirizzo politico. Anche Anac ha invocato una modifica legislativa al riguardo in quanto ricomprendere nella categoria dei soggetti non candidabili anche gli amministratori delle stesse società appare del tutto incongruo.

 

 

 



[1] In caso di società a totale partecipazione pubblica di una pluralità di enti locali, si prende come riferimento l’indennità spettante al rappresentante del socio pubblico con la maggiore quota di partecipazione

[2] Anac, orientamento n, 11/2015: “Le situazioni di inconferibilità previste nell’art. 7 del d.lgs. 39/2013, nei confronti di coloro che nell’anno o nei due precedenti hanno ricoperto le cariche politiche e gli incarichi ivi indicati, vanno equiparate, ai fini del d.lgs. 39/2013, a coloro che attualmente ricoprono tali ruoli. Pertanto, nel caso in cui il Presidente o Amministratore Delegato di un ente di diritto privato in controllo pubblico da parte di Province, Comuni e loro forme associate, assuma anche l’incarico di Amministratore di un ente di diritto privato in controllo pubblico da parte delle predette amministrazioni, sussiste la causa di inconferibilità prevista dall’art. 7, co. 2, lett. d) del d.lgs. 39/2013.

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