HomeSentenzeArticoliLegislazionePrivacyRicercaChi siamo
Stop alla "partite pregresse" nel calcolo della tariffa idrica (Nota a sentenza Giudice di Pace di Enna n. 40 del 04/04/2016)
di Massimo Greco 27 aprile 2016
Materia: acqua / servizio idrico integrato

Stop alla “partite pregresse” nel calcolo della tariffa idrica

 

(Nota a sentenza Giudice di Pace di Enna n. 40 del 04/04/2016)

 

di Massimo Greco

 

 

La sentenza del Giudice di Pace del Tribunale di Enna n. 40 del 04/04/2016 ha acclarato, accogliendo uno solo degli eccepiti profili di illeceità della pretesa economica dell’ente gestore del servizio idrico a titolo di “partite pregresse”, l’illiceità dell’inserimento unilaterale di detta voce di costo in fattura per violazione sia dei principi di trasparenza e buona fede sottesi al contratto d’utenza che del medesimo dettato di cui alle delibere dell’Autorità per l’Energia e l’Ambiente – AEEGSI, per l’assenza di qualsiasi indicazione idonea all’esplicitazione di questa voce di costo indicata solo con la laconica indicazione “Conguaglio anni 2005-2010”. In sostanza, rimanendo criptate le ragioni per le quali l’Ente gestore richiede queste somme perché non adeguatamente illustrate alla parte che ha sottoscritto il contratto d’utenza, è difficile sia accettarle che contestarle.

 

La difesa della parte convenuta era tutta costruita sull’intangibilità delle scelte dell’ente gestore del servizio idrico anche allorquando, come nel caso che ci occupa, queste comportavano un aumento improvviso ed unilaterale della tariffa. L’Azienda convenuta continuava infatti a sostenere che non vi erano spazi di negoziazione sull’ammontare della tariffa, attesa la natura pubblicistica degli atti amministrativi presupposti con i quali risultavano approvate le scelte dell’ente gestore e considerata altresì l’esigenza di assicurare l’integrale copertura dei costi del servizio.

 

Orbene, in disparte l’evidente infondatezza di quanto affermato dalla convenuta alla luce della specifica giurisprudenza della Corte Costituzionale (n. 335/2008) secondo cui la tariffa del servizio idrico integrato trova fonte non in un atto autoritativo direttamente incidente sul patrimonio dell’utente, bensì nel contratto d’utenza, la pretesa di far gravare sull’utente anche gli eventuali errori di un’errata pianificazione d’ambito non trova conforto né nell’ordinamento positivo, né nel negozio giuridico sottoscritto dall’utente, non solo perché in violazione del citato principio di buona fede, ma perché un adeguamento della tariffa “ex post” si sarebbe tradotto in un’alea insopportabile per l’utente contraente che, venuto a conoscenza di una diversa e maggiore entità della tariffa, si sarebbe magari astenuto dal sottoscrivere (o mantenere) una siffatta tipologia negoziale di somministrazione della risorsa idrica.

 

In tale contesto non può certo rilevare la posizione di subalternità dell’utente rispetto a quella monopolista dell’ente gestore del servizio (definita dal Presidente dell’Autorità per la concorrenza e il mercato Prof. Pitruzzella “patologica dipendenza del consumatore dall’ente gestore monopolista”), atteso che l’utente potrebbe sempre decidere di risolvere il contratto d’utenza per sopravvenuta onerosità, ricorrendo a formule alternative, ancorchè “antiche”, di approvvigionamento dell’acqua.

 

Alla società convenuta è sfuggita, verosimilmente, la fondamentale differenza tra tassa e tariffa. La prima rappresenta il sistema di remunerazione di un servizio pubblico locale che l’ente pubblico (impositore) assicura indistintamente a tutta la collettività amministrata. In questo caso il singolo cittadino/contribuente, mentre è obbligato a pagare la tassa secondo la propria capacità contributiva (art. 53 Cost.), non può rifiutare l’erogazione del servizio che viene organizzato dall’ente nell’esercizio di funzioni autoritative1. La tariffa, invece, è concepita come il corrispettivo di un servizio pubblico locale che l’ente pubblico (ATO Idrico) assicura al singolo utente previa sottoscrizione di un contratto d’utenza. In questo secondo caso, che ricorre nella nostra questione, il rapporto tra il cittadino/utente e l’ente gestore del servizio (che ha avuto dall’Autorità d’ambito ATO Idrico l’affidamento in concessione del servizio idrico integrato) è regolato da un rapporto sinallagmatico di natura contrattuale, in cui non vi è alcuna supremazia da parte del contraente gestore del servizio.

 

Postulato di questa fondamentale ripartizione è che, ammesso che ci sia, l’eventuale incremento del costo del servizio idrico integrato dovuto ad eventuali errori dell’originaria pianificazione d’ambito, peraltro cristallizzata in fase di aggiudicazione dell’affidamento in concessione, dovrebbe gravare sull’Autorità d’ambito e quindi sui Comuni consorziati, anzichè gravare, tramite il sistema tariffario e l’escamotage delle “partite pregresse”, sull’utenza finale del servizio. Questi costi, per certi aspetti estranei alla corretta gestione del servizio, “…entreranno tra gli elementi in base ai quali l’espletamento delle funzioni istituzionali da parte degli enti locali verrà valutato dai cittadini, ai fini dell’attivazione di quella che si definisce comunemente responsabilità politica”2.

 

Peraltro, la giurisprudenza amministrativa, dal canto suo, ha più volte manifestato il suo sfavore per sistemi di riconoscimento, per così dire, automatico dei costi, con probabile trasferimento all’utenza, attraverso il meccanismo tariffario, delle inefficienze aziendali3.

 

In tale contesto appare illuminante anche il disegno di legge statale n. AC 2212 recante “Principi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque e disposizioni per la ripubblicizzazione del servizio idrico, nonché delega al Governo per l'adozione di tributi destinati al suo finanziamento” presentato il 20 marzo 2014 ed il cui esame in Commissione è iniziato il 4 giugno 2015. L'articolo 8 di tale d.d.l. prevede che “Il servizio idrico integrato è finanziato attraverso la fiscalità generale e specifica e attraverso la tariffa. I finanziamenti reperiti attraverso il ricorso alla fiscalità generale e i contributi nazionali ed europei sono destinati a coprire, in particolare, i costi di investimento per tutte le nuove opere del servizio idrico integrato e i costi di erogazione del quantitativo minimo vitale garantito...”.

 

In sostanza, il Parlamento sente l'esigenza di enucleare dal sistema tariffario quelle voci di costo del servizio idrico integrato riferite a spese d'investimento la cui struttura intrinseca non può non gravare sulla fiscalità generale.

 

La remunerazione integrale del servizio troverebbe quindi copertura non in un rapporto sinallagmatico di natura contrattuale, qual'è quello d'utenza sottoscritto dall’utente per la somministrazione dell'acqua nella propria abitazione, ma in un vero e proprio rapporto tributario in cui il soggetto attivo (sia in relazione all’an che in relazione al quantum) non potrà che essere un ente pubblico dotato dello specifico imperium (potestà impositiva); potere che dovrà essere necessariamente esercitato dagli organi elettivi, secondo le procedure democratiche e non mediante delega a soggetti di natura privatistica, qual’è la convenuta società “AcquaEnna”, politicamente irresponsabili perché sprovvisti di autonomia politica.

 

Questa considerazione si impone anche alla luce del generalissimo principio vigente in materia tributaria, dotato di dignità costituzionale nel nostro ordinamento ai sensi dell’art. 23 Cost., e certamente valevole anche con riguardo alla fiscalità locale, secondo il quale l’esercizio della potestà impositiva nei confronti dei cittadini richiede, quale suo indispensabile presupposto, una legge attributiva della relativa potestà pubblicistica (no taxation without representation). Ne deriva che l’esercizio del potere impositivo sotteso alla pretesa economica di che trattasi, espressione diretta della sovranitas, non può essere delegata ad enti che non siano investiti, direttamente ex lege, della potestas impositionis e, quindi, soggetti al controllo diretto dei cittadini (soggetti passivi d’imposta).

 

Per tutto quanto precede e considerato poiché le vessate “partite pregresse”  sanzionate dal Giudice di Pace altro non sono che costi d'investimento sostenuti dalla società convenuta negli anni pregressi ed unilateralmente (rectius, arbitrariamente) ripartiti all'utenza, la relativa pretesa economica non può che ritenersi infondata.

 

 

 

 

1 Cass. Sent. n. 17381 del 23/07/2010.

 

 2 Tar Umbria, sez. I, sent. n. 126/2011.

 

3 Così Consiglio di Stato, sez. VI, sent. n. 4290/2006.

 

 

 

Sentenza: Giudice di Pace in Enna, 4/4/2016 n. 258
Sull' illegittimità dell'inserimento da parte del soggetto gestore del servizio idrico della voce "partite pregresse".

HomeSentenzeArticoliLegislazioneLinksRicercaScrivici