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La Corte dei Conti apre sul fatturato delle partecipate
di Roberto Camporesi 4 aprile 2017
Materia: società / disciplina

La Corte dei Conti apre sul fatturato delle partecipate

di Roberto Camporesi partner studio BMP Rimini-Bologna

 

In attesa del decreto correttivo del d.lgs 175/2017 (testo unico in materia di società a partecipazione pubblica – “TUSP”), i cui tempi di approvazione definitiva da parte dell’Esecutivo appaiono imminenti vista la firma dell’intesa fra Stato e Regioni avvenuta il 17/03/2017, si registrano le prime interpretazioni della prassi amministrativa.

E’ il caso sottoposto alla Corte dei Conti sezione controllo per l’Emilia Romagna che ha ad oggetto la definizione di “fatturato” di cui all’art. 20 comma 2 lett. d)  del Tusp che recita “2. I piani di razionalizzazione, corredati di un'apposita relazione tecnica,  con  specifica  indicazione  di  modalità  e tempi   di attuazione, sono adottati ove, in sede di analisi di cui al comma 1, le amministrazioni pubbliche rilevino: (…) d) partecipazioni in società che, nel triennio precedente, abbiano conseguito un fatturato medio non superiore a un milione di euro.”

Il quesito rivolto alla Corte dei Conti verte infatti su “… l’esatto significato da attribuire alla parola “fatturato” riportata nell’art. 20, comma 2, lett. d), del testo unico in materia di società a partecipazione pubblica di cui al decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, che prevede l’adozione di misure di razionalizzazione per le “partecipazioni in società che, nel triennio precedente, abbiano conseguito un fatturato medio non superiore a un milione di euro. “

La finalità del parere è quello di far verificare alla Corte l’eventuale utilizzo di indicatori sintomatici diverse dal fatturato ovvero, per logica economica aziendale il “valore della produzione”. Infatti osserva il Comune istante: “Più specificamente, nella richiesta di parere si mette in evidenza il diverso valore al quale si perviene attribuendo al termine “fatturato” il significato di “volume d’affari” desumibile dalla dichiarazione annuale IVA, di “ricavo da vendite” (voce A.1 del conto economico), ovvero assumendolo quale sinonimo del “valore della produzione” di cui al punto A) dell’art. 2425 del codice civile.”

Il Comune istante suffraga la propria interpretazione facendo rilevare che: “come nell’Analisi di impatto della regolamentazione (AIR) che ha accompagnato lo schema di decreto legislativo presentato dal Governo si sia fatto riferimento, quale parametro tecnico, esclusivamente alla nozione di “valore della produzione”, ha fatto presente come la questione assuma rilievo ai fini dell’inclusione di una partecipazione al di sotto della soglia dimensionale che impone l’intervento di razionalizzazione.”

La Corte, nell’espressione del proprio parere, parte dall’art. 12 delle pre leggi, ovvero ricorda quale sia il canone interpretativo di un testo di legge: il tenore letterale (secondo la connessione di esse) e l’intenzione del legislatore, e persegue con una puntuale disamina di disposizioni di legge nelle quali il legislatore utilizza la locuzione fatturato.

Infine il lavoro esegetico della Corte si sviluppa su due linee parallele:

-          da un lato il giudice contabile ritiene che “…. il termine “fatturato” utilizzato dal legislatore nell’art. 20 del t.u. n. 175/2016 debba essere inteso quale ammontare complessivo dei ricavi da vendite e da prestazioni di servizio realizzati nell’esercizio, integrati degli altri ricavi e proventi conseguiti e al netto delle relative rettifiche. Si tratta, in sostanza, della grandezza risultante dai dati considerati nei nn. 1 e 5 della lettera A) dell’art. 2425 cod. civ. che, in contrapposizione ai costi dell’attività tipica (costi di produzione, spese commerciali, amministrative e generali), consente di determinare il risultato della “gestione caratteristica” dell’impresa.”;

-          dall’altro lato deve considerare che “l’entità del “fatturato” necessariamente coincide con il “volume d’affari ai fini dell’IVA”, come definito nell’art. 20 del DPR n. 633/1972, atteso il diverso criterio utilizzato per la determinazione dei due valori: competenza economica nel concetto di fatturato-ricavo; ammontare delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi registrate o soggette a registrazione in un anno solare a norma degli artt. 23 e 24 (e tenendo conto delle variazioni di cui all’art. 26 dello stesso DPR n. 633 ed escluse le cessioni di beni ammortizzabili) nella nozione di volume d’affari IVA.”

E si conclude affermando che: “ si ritiene che il termine “fatturato” utilizzato nell’art. 20 del t.u. n. 175/2016 coincida con l’ammontare dei ricavi conseguiti nell’esercizio come sopra meglio definiti”

Conclusioni diverse erano peraltro difficilmente sostenibili.

Infatti, come ricorda la stessa Corte, il fine del legislatore era quello di individuare un indicatore che inducesse le Pa socie “a dismettere o, comunque, a superare, attraverso la predisposizione di appositi piani di razionalizzazione, le partecipazioni in società di ridotte dimensioni economiche”.

In questo senso si veda la relazione di Cottarelli  “programma di razionalizzazione delle partecipate locali“ dell’agosto 2014 (Chiusura delle “scatole vuote”: Un numero molto elevato di partecipate non ha dipendenti o ne ha molto pochi (almeno 3.000 con meno di 6 dipendenti, probabilmente di più tenendo conto che per molte non si hanno informazioni in proposito; Tavola III.2). In circa metà delle partecipate dei comuni censite dal Cerved il numero dei dipendenti è inferiore al numero delle persone che siedono nei consigli di amministrazione. Almeno 1.300 (anche qui probabilmente una sottostima) hanno un fatturato inferiore a 100.000 euro (e il numero raddoppia se si arriva al milione di euro; Tavola III.3). Si tratta quindi di piccole società con il sospetto che molte siano state create principalmente per dare posizioni di favore a qualche amministratore o dipendente. Le partecipate che, a una certa data passata (per esempio il 31 dicembre 2013) avevano dimensioni ridotte in termini di fatturato e/o dipendenti dovrebbero essere dismesse e l’attività, se necessaria, dovrebbe essere re incorporata nell’ente partecipante. )”

Si possono trarre alcune  importanti indicazioni desunte dalla delibera della Corte dei Conti Emilia Romagna: l’abbandono del termine fatturato la cui determinazione aveva già dato problemi in quanto riconducibile in prima approssimazione al volume di affare che si desume dalla dichiarazione Iva – contenuta in Unico – che come noto è una semplice dichiarazione di volontà diversamente dal bilancio di esercizio che fornisce maggior certezza in ordine ai dati contenuti.

L’assunzione dei ricavi della gestione caratteristica risolve anche altri problemi interpretativi circa il valore segnaletico del dato economico.

I contributi ricevuti dalle società a partecipazione pubblica, se avvengono a fondo perduto, non sono fatturabili – in quanto non riconducibili a corrispettivi previsti dall’art. 2 del dpr 633/1972 e s.m.i non sussistendo un sinallagma contrattuale – e quindi tale entrata finanziaria non avrebbe avuto rilievo mentre ora può essere considerato, in quanto classificata alla voce a5) del valore della produzione del conto economico.

Anche i dividendi ricevuti dalle società partecipate non sono fatturabili, tuttavia possono esser ricavi caratteristici, nel senso di individuare un indicatore segnaletico ai fini della “vitalità della società” giacché:

-          la società madre può essersi organizzata tramite una società di secondo livello che contribuisce all’equilibrio economico e finanziario della controllante con i propri dividendi;

-          la società svolge il  ruolo di holding, secondo quanto previsto dall’art. 4 comma 5 del nuovo TUSP, per la quale i dividendi sono i propri ricavi caratteristici, ancorché non fatturabili. Peraltro per le Holding il tema della dimensione del fatturato non poteva che essere esaminato avendo riguardo il bilancio consolidato ed assumendo le relative grandezze da esso; come prevede l’art. 21 comma 1 del TUSP ove disciplina l’accantonamento nel bilancio delle PA socie della quota parte della perdita sofferta dalla partecipata.

 

 

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