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La valutazione del rischio di crisi aziendale ex art. 6 d.lgs. 175/2016
di Dott. G. Grana- Dott. R. Camporesi - studio BMP 17 maggio 2017
Materia: società / partecipazione pubblica

La Valutazione del rischio di crisi aziendale ex art. 6 D.Lgs. 175/2016

      Dott. G. Grana- Dott. R. Camporesi – studio BMP

 

1.     La normativa vigente

L’art. 6, comma 2 del D.Lgs. 175/2016, il c.d. “Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica”, ha introdotto l’obbligo per tutte le società a controllo pubblico di predisporre specifici programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale e di informare al riguardo l’Assemblea nell’ambito della relazione annuale sul governo societario.

Nello specifico si ricorda che il predetto art. 6, al comma 2 prevede che:

“Le società a controllo pubblico predispongono specifici programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale e ne informano l’assemblea nell’ambito della relazione di cui al comma 4.”,

ed al seguente comma 4:

“Gli strumenti eventualmente adottati ai sensi del comma 3 sono indicati nella relazione sul governo societario che le società controllate predispongono annualmente, a chiusura dell’esercizio sociale e pubblicano contestualmente al bilancio d’esercizio.”

Le predette disposizioni devono essere applicate in via obbligatoria, dalle sole società a controllo pubblico, con termine ordinatorio fissato all’approvazione del bilancio d’esercizio 2016 con la conseguenza che l’organo amministrativo deve dar conto dell’implementazione delle predette disposizioni anche per l’esercizio 2016. A tal proposito, l’assemblea dei soci deve essere informata in sede di approvazione del bilancio circa le azioni poste in essere al fine di aderire a quanto normato dell’art. 6 e tale informativa supplementare deve essere pubblicata contestualmente al bilancio di esercizio. Per le società che approvano un bilancio ordinario è opportuno che tale informativa sia integrata nella relazione sulla gestione, al contrario per chi redige il bilancio in forma ridotta ci si può limitare ad una sua approvazione in assemblea e pubblicazione sul sito istituzionale, quale allegato al bilancio in amministrazione trasparente.

Si rileva che, a seguito dell’introduzione della predetta normativa, Utilitalia (Federazione che riunisce le Aziende operanti nei servizi pubblici dell'Acqua, dell'Ambiente, dell'Energia Elettrica e del Gas) ha pubblicato un documento riportante le linee guida per la definizione di una misurazione del rischio ai sensi dell’art. 6, c. 2 e dell’art. 14, c. 2 del D.lgs. 175/2016.

Le linee guida in questione evidenziano le modalità di determinazione della c.d. “soglia di allarme” attraverso il calcolo di cinque indici di performance, integrati da ulteriori due KPI che tuttavia non sono considerati indici di rischio, ma meri elementi di analisi del peso degli oneri finanziari.

2.     La dicotomia Insolvenza e crisi d’impresa

A parere degli scriventi, l’analisi delle condizioni di rischio di crisi aziendali, costituiscono un tema ben più complesso la cui risoluzione parte prioritariamente dall’identificazione della distinzione, ad oggi non ancora definitivamente normata, fra i termini insolvenza e crisi aziendale.

A titolo esemplificativo, a testimonianza dell’attuale stato di confusione nell’improprio utilizzo dei termini tecnici nella normativa vigente, che sottendono tuttavia condizioni sostanziali, si rileva come l’art. 160 l.f., inerente i requisiti per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, parificati sostanzialmente la condizione di crisi a quella di insolvenza asserendo all’ultimo comma quanto segue: “ai fini del primo comma per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza”.

Anche per quanto attiene la nuova disciplina inerente la procedura di Amministrazione Straordinaria delle grandi imprese in crisi si riviene una generale confusione in merito alla sovrapposizione del termine impresa in crisi ed insolvenza. L’art. 1, indicante la natura e le finalità dell’amministrazione straordinaria, prevede, infatti, che la procedura concorsuale, dedicata alla grande impresa commerciale insolvente, ha finalità conservativa del patrimonio produttivo, mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione dell’attività stessa. L’accesso alla procedura può infatti essere attuato:

A.     tramite la cessione dei complessi aziendali, sulla base di un programma di prosecuzione dell'esercizio dell'impresa di durata non superiore ad un anno ("programma di cessione dei complessi aziendali");

B.      tramite la ristrutturazione economica e finanziaria dell'impresa, sulla base di un programma di risanamento di durata non superiore a due anni ("programma di ristrutturazione").

In sostanza si induce a pensare che un’impresa insolvente sia in crisi e un’impresa in crisi sia insolvente, tanto da poter comunque essere possibile, anche per un breve periodo, la prosecuzione dell’attività imprenditoriale.

E’ bene pertanto chiarire in modo preciso e puntuale, benchè ad oggi ancora non normato, il significato delle locuzioni “crisi aziendale” ed “insolvenza”.

L’insolvenza, a norma dell’art. 5 l.f., è una condizione statica ed irreversibile che prende atto al termine di un processo di crisi aziendale e pone la stessa nell’impossibilità definitiva di poter adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni contratte.

Al contrario, lo stato di crisi, rappresenta un condizione di temporanea illiquidità, che può anticipare l’insolvenza, senza tuttavia necessità o certezza alcuna circa una sua reale successiva manifestazione.

La crisi dunque non necessariamente conduce all’insolvenza, mentre quest’ultima è un effetto della crisi che rileva sulla complessiva capacità di adempiere le obbligazioni aziendali.

A conferma circa la necessità del rinnovamento dell’attuale Legge Fallimentare e di conseguenza anche dei termini tecnici e nozionistici in essa contenuti, si rileva come la Commissione Rordorf sia stata incaricata di definire un Disegno di Legge per la riforma delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Il predetto documento, approvato dal Consiglio dei Ministri in data 1 Febbraio 2017, è ad oggi al vaglio del Senato della Repubblica. Tuttavia, in esso all’art. 2 lett. c “Principi generali”, è esplicitamente definito uno degli obiettivi del Disegno di Legge ovvero:
“ introdurre una definizione dello stato di crisi, intesa come probabilità di futura insolvenza, anche tenendo conto delle elaborazioni della scienza aziendalistica, mantenendo l’attuale nozione di insolvenza di cui all’art. 5 del regio decreto 16 Marzo 1942, n.267.”

3.     Il “going concern” e la valutazione del rischio di crisi aziendale

Per quanto testè citato, si evince come, al fine di valutare il rischio di crisi aziendale, essendo esso un fenomeno non cristallizzato, si presuppone una visione non più unicamente storica, ma anche prospettica, ovvero tesa ad individuare l’incapacità anche futura dell’impresa ad adempiere non solo alle obbligazioni già assunte, ma anche a quelle prevedibili nel normale corso di attività.

A tal guisa, si ritiene, in linea con quanto sostenuto anche dal documento emanato nell’Ottobre del 2015 dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, denominato “Informativa e valutazione nella crisi d’impresa”, che nell’intento di individuare eventuali fattori di rischio di crisi di impresa si debbano condurre analisi integrate, ovvero in grado di prendere in considerazione aspetti storici, attuali e prospettici della realtà aziendale in oggetto di valutazione. Al contrario, analizzare asetticamente singoli indicatori aziendali di performance, può condurre l’analisi o l’organo di controllo a valutazioni errate o imprecise circa il reale stato di saluta dell’impresa.

Nell’ottica delle considerazioni sopra fin qui condotte, lo scrivente ritiene che sia opportuno procedere alla definizione di un modello di analisi strutturato, integrato e modellizzato ad hoc per le finalità di cui all’art. 6 del D.Lgs 175/2016, benchè basato su indici e regole emanate dai principali organi di indirizzo dell’attività di Dottori Commercialisti, Esperti Contabili e Revisori legali.

In tal senso si richiamano:

ü  Art. 2428  e 2423-bis c.c.;

ü  Principio contabile OIC 5;

ü  Principio contabile internazionale IAS 1;

ü  Principio di revisione internazionale ISA Italia n. 570;

ü  CNDCEC, Documento 96/2015 “Informativa e valutazione nelle crisi d’impresa”;

ü  Banca d’Italia, Consob e Isvap, documento 6 febbraio 2009, n. 2;

ü  Assirevi, documento di ricerca n. 176 del 2013;

ü  Principio 11 delle Norme di comportamento del Collegio Sindacale di società non quotate del CNDCEC.

Come avuto modo di accennare in precedenza, i predetti documenti sottolineano l’aspetto di rilevante incertezza che contraddistingue l’individuazione di un effettivo stato di crisi aziendale ed evidenziano pertanto la necessità di affiancare sempre informazioni di natura qualitativa nonché andamentale e prospettica alle classiche valutazioni quantitative di bilancio a consuntivo.

In particolare le Linee Guida del CNDCEC, documento 96/2015, sottolineano l’importanza dei seguenti indicatori nell’ambito della valutazione di un potenziale rischio di crisi aziendale:

-          La capacità di ripianare il debito finanziario con i riflessi operativi: MOL/PFN

ü  Mol: Margine operativo Lordo

ü  PFN: Posizione Finanziari Netta

-          L’indebitamento potenziale, residuo e prospettico attraverso l’utilizzo del documento “Centrale Rischio di Banca d’Italia” in grado di fornire indicazioni sul livello di utilizzo storico degli affidamenti, mentre gli eventuali accordi con Istituti di Credito o il Committment dei soci o di terzi possono rafforzare le aspettative di ulteriori risorse disponibili;

-          Il confronto tra la struttura dei costi aziendali ed il punto di Break Even con i ricavi attuali o attesi.

Per converso, l’assenza di fattori indicanti un potenziale rischio di crisi, presuppone la sussistenza del principio di continuità aziendale, di cui all’art. 2423-bis c.c., in cui si stabilisce che la valutazione delle voci deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva della continuazione dell’attività, nonché tenendo conto della funzione economica dell’elemento dell’attivo e del passivo considerato”.

Pertanto la sussistenza dei requisiti di continuità ed il suo concetto complementare, ovvero l’assenza di fattori di potenziale crisi, sono già ripresi nel citato art. 2423-bis c.c. nonché all’art. 2428 c.c. che prevede la descrizione nella Relazione sulla gestione dei principali rischi e incertezze cui la società è esposta: “Il bilancio deve essere corredato da una relazione degli amministratori contenente un’analisi fedele, equilibrata ed esauriente della situazione della società e dell’andamento e del risultato della gestione nel suo complesso e nei vari settori in cui essa ha operato, anche attraverso imprese controllate, con particolare riguardo ai costi, ai ricavi e agli investimenti, nonché una descrizione dei principali rischi e incertezze cui la società è esposta”.

Al contempo il principio contabile internazionale IAS 1 a tal proposito recita: “Nella fase di preparazione del bilancio, la direzione aziendale deve effettuare una valutazione della capacità dell’entità di continuare ad operare come entità in funzionamento. Il bilancio deve essere redatto nella prospettiva della continuazione dell’attività a meno che la direzione aziendale non intenda liquidare l’entità o interrompere l’attività o non abbia alternative realistiche a ciò. Qualora la direzione aziendale sia a conoscenza, nel fare le proprie valutazioni, di significative incertezze per eventi o condizioni che possano comportare l’insorgere di seri dubbi sulla capacità di continuare a operare come un’entità in funzionamento, tali incertezze devono essere evidenziate” […]Nel determinare se il presupposto della continuazione dell’attività è applicabile, la direzione aziendale tiene conto di tutte le informazioni disponibili sul futuro, che è relativo ad almeno, ma non limitato, a dodici mesi dopo la data di riferimento del bilancio. Il grado di analisi dipende dalle specifiche circostanze di ciascun caso. Se l’entità ha un pregresso di attività redditizia e dispone di facile accesso alle risorse finanziarie, si può raggiungere la conclusione che il presupposto della continuità aziendale sia appropriato senza effettuare analisi dettagliate. In altri casi, la direzione aziendale può aver bisogno di considerare una vasta gamma di fattori relativi alla redditività attuale e attesa, ai piani di rimborso dei debiti e alle potenziali fonti di finanziamento alternative, prima di ritenere che sussista il presupposto della continuità aziendale”.

Per quanto attiene invece al periodo temporale di valutazione circa la sussistenza delle condizioni e dei requisiti di continuità aziendale, lo IAS 1 considera ai fini della valutazione della continuità aziendale un futuro prevedibile che abbia un orizzonte temporale di almeno dodici mesi dalla data di riferimento del bilancio d’esercizio. La stessa prassi contabile italiana fa riferimento ad un intervallo di dodici mesi con espresso richiamo, in tal senso, nel principio di revisione n. 570. Parimenti, il principio contabile OIC 5, in piena coerenza, attribuisce il concetto di “going concern”, ad una “azienda come complesso funzionante e destinato a continuare a funzionare almeno per i dodici mesi successivi alla data di riferimento del bilancio”.

Il principio internazionale di revisione ISA Italia 570, individua al contempo alcuni esempi di eventi o circostanze che possono comportare il rilevamento di fattori di rischio di crisi aziendale e che possono pertanto essere presi come riferimento per la modellizzazione richiesta all’art. 6 del D.Lgs. 175/2016.  Essi infatti, rappresentano la sintesi delle principali cause di dissesto delle imprese e si dividono in:

Indicatori finanziari

ü  situazione di deficit patrimoniale o di capitale circolante netto negativo;

ü  prestiti a scadenza fissa e prossimi alla scadenza senza che vi siano prospettive verosimili di rinnovo o di rimborso;

ü  oppure eccessiva dipendenza da prestiti a breve termine per finanziare attività a lungo termine;

ü  indicazioni di cessazione del sostegno finanziario da parte dei finanziatori e altri creditori;

ü  bilanci storici o prospettici che mostrano cash flow negativi;

ü  principali indici economico-finanziari negativi;

ü  consistenti perdite operative o significative perdite di valore delle attività che generano cash flow;

ü  mancanza o discontinuità nella distribuzione dei dividendi;

ü  incapacità di saldare i debiti alla scadenza;

ü  incapacità nel rispettare le clausole contrattuali dei prestiti;

ü  cambiamento delle forme di pagamento concesse dai fornitori dalla condizione “a credito” alla condizione “pagamento alla consegna”;

ü  incapacità di ottenere finanziamenti per lo sviluppo di nuovi prodotti ovvero per altri investimenti necessari. 

Indicatori gestionali

ü  perdita di amministratori o di dirigenti chiave senza riuscire a sostituirli;

ü  perdita di mercati fondamentali, di contratti di distribuzione, di concessioni o di fornitori importanti;

ü  difficoltà nell’organico del personale o difficoltà nel mantenere il normale flusso di approvvigionamento da importanti fornitori. 

Altri indicatori

ü  capitale ridotto al di sotto dei limiti legali o non conformità ad altre norme di legge;

ü  contenziosi legali e fiscali che, in caso di soccombenza, potrebbero comportare obblighi di risarcimento che l’impresa non è in grado di rispettare;

ü  modifiche legislative o politiche governative dalle quali si attendono effetti sfavorevoli all’impresa. 

 

4.     Un modello di valutazione del rischio di crisi aziendale

In termini generali, l'elaborazione di modelli predittivi dello stato di crisi di un'impresa è stato un tema di forte interesse dottrinario fin dal secondo dopoguerra, individuare, strumenti atti a diagnosticare preventivamente i primi sintomi di uno stato di crisi di un'impresa per consentire ai vari stakeholders dei comportamenti conseguenti. Si evidenzia che le principali metodologie applicate in ordine alla previsione di potenziali crisi aziendali sono le seguenti:

Ø  Tecniche basate su metodi induttivi  

Ø  Tecniche basate su analisi di bilancio 

Ø  Analisi discriminante  

Ø  Regressione 

Ø  Tecnica delle componenti principali 

Tuttavia, gli squilibri evidenziati dall’analisi per indici e dalle tecniche su metodi induttivi già consentono di poter comprendere in modo palese, se lazienda presenta fattori di criticità che potrebbero condurre ad un eventuale declino dell’impresa stessa.  In sostanza, valutare il rischio di crisi aziendale, per come si è avuto modo di accennare in precedenza, significa creare un sistema di rating interno aziendale in grado di esprimere sinteticamente il livello di rischio aziendale in funzione dell’effetto sinergico prodotto dalla valutazione dei singoli KPI sottostanti al modello stesso.

Pertanto, a valle di quanto esposto, si ritiene che un modello di valutazione del rischio strutturato debba essere costituito dall’analisi dei seguenti tre elementi:

-          Analisi quantitativa;

-          Analisi qualitativa;

-          Analisi andamentale.

 

 

 

 

L’obiettivo è quello di creare un modello di indagine integrato volto all’analisi puntuale circa i differenti aspetti potenzialmente fautori e sintomatici di condizioni patologiche in essere o in via di definizione.

 

 

 

L’analisi quantitativa

In conformità alle linee guida generali adottate nell’ambito delle best pratice europee, è opportuno definire in tale step di analisi un set di Key Performance Index (KPI), su tre esercizi storici a consuntivo, suddivisi nelle seguenti macro-aree di indagine:

a)     INDICI DI REDDITIVITA' E PRODUTTIVITA';

b)     INDICI STRUTTURA PATRIMONIALE;

c)      INDICI STRUTTURA FINANZIARIA.

Successivamente, si procede all’assegnazione di un punteggio per ciascun indice (ad esempio da 0 a 2) in funzione della classe di merito in cui ricade il valore dell’indice stesso.

Solo a titolo esemplificativo:

Indice ROE:

1)      Se ROE  >  8%                          Punteggio  2

2)      Se ROE  < 8% ; > 3%                Punteggio  1

3)      Se ROE  <  3%                          Punteggio  0

Il punteggio totale conseguito da ciascuna categoria di indici è ottenuto come sommatoria dei relativi punteggi:

Il punteggio totale dell’anno invece è ottenuto come sommatoria dei punteggio conseguiti da tutte le categorie di indici:

L’affidabilità quantitativa percentuale del singolo anno è ottenuta dividendo il punteggio calcolato al passo precedente per il punteggio totale massimo potenzialmente conseguibile. Si fornisce il seguente esempio applicativo:

-          Numero totale di indici calcolati : 25

-          Punteggio massimo conseguibile per ciascun indice: 2

-          Punteggio massimo totale conseguibile: 50

-          Punteggio conseguito dall’azienda: 25

-          Affidabilità quantitativa percentuale: 25/50 = 50%

Il valore ottenuto consente di avere un parametro univoco, avente come sottostante il complesso sinergico del paniere di indici calcolati, per valutare in senso assoluto e relativo, come confronto sugli anni precedenti, il grado di affidabilità e di solidità dell’azienda in oggetto di valutazione.

 

L’ Analisi qualitativa

La valutazione qualitativa concerne il livello delle performance sviluppate dal management, dai dipendenti, dal grado di soddisfazione della clientela della stessa e dalla considerazione di eventuali variabili non quantificabili nelle valutazioni di bilancio.

Tale indagine può essere eseguita attraverso la compilazione di un questionario strutturato in modalità di multiple choice per ciascuna domanda individuata.

Il calcolo del rating qualitativo è strutturato come segue:

-          A ciascuna opzione per ciascuna domanda è assegnato uno “Scoring”;

-          Lo “Scoring” associato all’opzione scelta viene moltiplicato per il peso % che la domanda ha sul totale delle domande del questionario.

Pertanto, il punteggio conseguito per ciascuna domanda sarà calcolato per come segue:

Punteggio = Scoring * Peso %

Ad esempio:

Domanda 1:

Peso % sul totale delle domande: 10%

-          Opzione risposta A: Scoring 1

-          Opzione risposta B:  Scoring 0,5

-          Opzione risposta C: Scoring 0

L’affidabilità qualitativa è calcolata per come segue:

 

L’ Analisi andamentale

I dati di bilancio e quelli qualitativi precedentemente individuati non sono sufficienti a fornire una definizione corretta ed esaustiva circa il reale livello di solvibilità e di rischio della società in analisi. Le predette valutazioni devono pertanto essere integrate dalla cd. analisi andamentale che valuta l’aspetto di bancabilità di ciascuna delle controllate dell’Ente. In sostanza, il modello di rating in costruzione prevede di affiancare ai classici modelli valutativi di bilancio e qualitativi, anche l’aspetto più esplicitamente finanziario. A seguire si evidenziano le caratteristiche dei documenti che possono essere utilizzati alla base della valutazione andamentale.

La Centrale Rischi

ü  Le operazioni oggetto di rilevazione da parte della nuova Centrale dei rischi vengono classificate secondo il loro grado di rischiosità.

Dall’analisi del predetto documento si individuano, i seguenti indicatori principali suddivisi per categorie:

ü  Indicatori qualitativi del lavoro bancario;

ü  Indicatori di utilizzo del lavoro bancario;

ü  Indicatori sintomatici di tensione finanziaria.

La CRIF

Il secondo documento alla base dell’analisi in oggetto è costituito dal rating CRIF. A partire dal 1996 è stata istituita la nuova Centrale Rischi finanziari (CRIF) con delibera CICR del 29/03/1994. Prima ed unica società italiana, in data 23 dicembre 2011 CRIF ha ottenuto da Consob – Autorità Competente per l’Italia – e da ESMA – la nuova Autorità Europea per i mercati finanziari –  la registrazione come Credit Rating Agency (CRA), in conformità al Regolamento CE n. 1060/2009 del 16 settembre 2009 che disciplina a livello comunitario l’operatività delle agenzie di rating del credito. I rating di CRIF sono dunque riconosciuti ed utilizzabili in tutti i Paesi dell’Unione Europea e aderiscono ai principi di oggettività, indipendenza, qualità e trasparenza richiesti dal Regolamento Europeo.

I rating di CRIF sono accompagnati da un report che illustra nel dettaglio la valutazione effettuata sull’impresa e sintetizzati da una delle 14 classi alfanumeriche: da A1, la migliore, a C3, la peggiore, oltre alla classe delle imprese già in default. L’agenzia ha realizzato una ricerca nel 2012 sulla solvibilità delle PMI manifatturiere incentrata su un campione significativo di 24.000 piccole e medie aziende industriali ed  utilities.

 

Lo score andamentale

Tale valore deriva dal punteggio attribuito dall’ente alla società controllata in relazione alla definizione di un questionario basato sui valori ed i dati presenti, per la maggior parte, nei due su indicati e descritti documenti di analisi del rischio bancario.

Il modello di calcolo dell’affidabilità andamentale ricalca esattamente quanto già esposto per l’analisi qualitativa.

Il rating complessivo

A seguito della definizione dell’affidabilità quantitativa, qualitativa ed andamentale di ciascuna società partecipata dall’ente, si procede al calcolo del rating integrato complessivo secondo il seguente schema logico.

-          Score quantitativo % (SQT): deriva dal calcolo dei KPI sulla base dei C.E. ed S.P. storici inseriti precedentemente;

-          Score qualitativo %(SQL): deriva dall’affidabilità qualitativa precedentemente calcolata attraverso la compilazione del relativo questionario;

-          Score andamentale %(SAN): deriva dall’affidabilità andamentale precedentemente calcolata attraverso la compilazione del relativo questionario.

I tre score ottenuti vengono successivamente ponderati per i seguenti pesi esemplificativi:

-          Score quantitativo % (PQT): 40%;

-          Score qualitativo %(PQL): 20%;

-          Score andamentale %(PAN): 40%.

Infine, lo “Score totale” è ottenuto sommando il valore pesato ottenuto dai tre suddetti score:

Da quanto esposto ne deriva l’assegnazione alla controllata di una classe di merito a seconda del range entro il quale essa ricade.

 

Dalla predetta sequenza logica ed operativa di valutazione ne conseguirà il seguente prospetto di rating:

5.     Conclusioni

A margine della descrizione circa la strutturazione di un possibile modello di valutazione del rischio di crisi aziendale, si sottolinea come l’annuale applicazione del predetto modello alle società controllate consentirà all’ente di porre in essere eventuali azioni correttive o approfondimenti di analisi qualora si dovessero prospettare condizioni di rating progressivamente decrescente nonché sintomi, anche in condizioni di invarianza del rating complessivo, di potenziali condizioni patologiche derivanti dall’analisi delle singole aree quantitativa, andamentale e qualitativa.

Tuttavia, a prescindere della necessità, imposta a norma di legge, di implementare un modello di allerta al fine di intercettare potenziali condizioni di crisi aziendale, risulta utile e doveroso sottolineare come possano sussistere alcuni elementi in grado, a prescindere, di ridurre l’incertezza e la conseguente portata di rischio di crisi. A tal proposito si fornisco i seguenti esempi:

ü  l’esistenza di un piano di ristrutturazione aziendale;

ü  la possibilità di procedere ad un aumento di capitale sociale;

ü  la capacità di creare flussi di cassa positivi mediante operazioni di leasing, factoring, finanziamenti, ecc.;

ü  la possibilità di cedere asset non strategici;

ü  la possibilità di rinviare investimenti senza che ciò influisca in maniera determinante e negativa nella capacità di produrre reddito;

ü  la possibilità di ristrutturare l’indebitamento o di dilazionare nel tempo il rimborso dei debiti scaduti;

ü  una struttura di costi fissi non preponderante rispetto ai costi variabili tali da consentire di aumentare la marginalità dei prodotti;

ü  la capacità di innovazione dei propri prodotti a favore della marginalità degli stessi (tecnica, commerciali o di marketing);

ü  la possibilità di entrare in mercati alternativi, di reperire nuovi clienti strategici, fare aggregazioni o sottoscrivere contratti di forniture vantaggiosi. 

In termini conclusivi, resta comunque inteso che la sopravvivenza o il fallimento di un’impresa, in difficoltà o meno, non possono essere sempre e comunque facilmente prevedibili. La valutazione circa la continuità aziendale e la strutturazione di modelli matematici volti ad individuare eventuali rischi di crisi e/o insolvenza sono attività tutt’altro che agevoli e per lo più non esaustive o risolutive del problema che talvolta può essere collegato a cause, eventi e circostanze non prevedibili.

 

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