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L’eccesso di potere legislativo della Regione siciliana in materia di servizio idrico
di Vincenzo Lodato 4 maggio 2017
Materia: acqua / servizio idrico

L’eccesso di potere legislativo della Regione siciliana in materia di servizio idrico

Nota a Corte Costituzionale, sentenza 4 maggio 2017, n. 93

 

di

 

Vincenzo Lodato

 

Collaboratore della cattedra di Diritto Amministrativo Europeo

Università di Palermo

 

1. Premessa

Con la sentenza del 4 maggio 2017, n. 93, la Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi in merito alla conformità a Costituzione della disciplina relativa alla gestione del servizio idrico integrato in Sicilia, introdotta dalla l.r. 11 agosto 2015, n. 19, ha fornito nuovi elementi di riflessione all’interno del complesso sistema di governance del sistema idrico, neutralizzando gli effetti di una “riforma” che, già al momento della sua approvazione, era stata accompagnata da perplessità e polemiche.

La contestata legge di riordino del servizio idrico veniva, infatti, approvata dall’Assemblea regionale siciliana, nonostante la diffida da parte del governo centrale al recepimento di quanto delineato a livello nazionale, in aperto contrasto con i criteri dettati dal Decreto legge n. 133/2014 (c.d. “Sblocca Italia”) ed ha, pertanto, spinto l’Esecutivo nazionale ad una tempestiva impugnazione.

L’incardinato giudizio, concluso con la declaratoria di incostituzionalità dell’art. 3, comma 3, lettera i), dell’art. 4, commi 2, 3, 4, 6, 7, 8, e 12, dell’art. 5, commi 2 e 6, 7, comma 3, e dell’art. 11 ha, così, censurato di fatto tutti gli elementi chiave della riforma in nome dei valori costituzionali di concorrenza e tutela dell’ambiente, propri del settore della gestione delle acque pubbliche.

 

2. L’evoluzione normativa ed il riparto di competenze Stato-regioni in materia di gestione del servizio idrico integrato

Così come nella scansione logica operata dalla Consulta, risulta opportuna una preliminare e breve disamina della ricostruzione del sistema di competenze attribuite allo Stato ed alle regioni in merito alla gestione del servizio idrico integrato 1.

In materia, il primo importante intervento del legislatore statale – che ha posto le basi dell’attuale sistema di gestione del servizio idrico integrato – si registra con la legge 5 gennaio 1994, n. 36 (c.d. “Legge Galli”) attraverso la quale è stata operata una riorganizzazione del quadro normativo nazionale relativo ai servizi idrici, volto a favorire una gestione industriale capace di tutelare la natura del bene acqua ed implementare il servizio in termini di efficienza 2.

Per il conseguimento di questo specifico obiettivo, pertanto, era stata introdotta la previsione di un’integrazione delle varie fasi del ciclo idrico oltre che la limitazione del numero di soggetti coinvolti nella gestione del servizio attraverso l’introduzione di una nuova dimensione di governo con l’istituzione di Ambiti territoriali ottimali (ATO) con le rispettive Autorità.

La disciplina, successivamente integrata dalle norme di settore e da quanto disposto dal d.lgs. 152/2006 (cd. Codice dell’ambiente),  è stata, da ultimo, innovata proprio col citato decreto “Sblocca Italia” con il quale, nell’ottica di un bilanciamento tra le istanze di pubblicizzazione e liberalizzazione, il legislatore nazionale ha modificato la sezione III del d.lgs. n. 152/2006 in chiave di aumento della concorrenza nel mercato di gestione del servizio ed indicando, in particolare, all’art. 7 del decreto le tassative modalità di affidamento dell’attività di gestione del servizio idrico, quali la procedura ad evidenza pubblica, l’affidamento a società mista e la gestione diretta mediante in house providing secondo le condizioni fissate a livello comunitario.

La definizione circa la gestione del servizio idrico integrato in termini di competitività ed efficienza si pone, per di più, in armonia con la giurisprudenza della Corte Costituzionale che ha costantemente ricondotto il servizio idrico integrato nel novero dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, la cui disciplina ricade nelle materie della tutela della concorrenza e dell’ambiente, assegnate alla competenza esclusiva dello Stato ex dall’art. 117 Cost 3.

 

3. L’applicazione della clausola di maggior favore ex art. 10 l.cost. n. 3/2001: la tutela della concorrenza e dell’ambiente come limiti alla potestà normativa residuale della Regione siciliana

Tornando alla disamina della pronuncia del Giudice delle leggi giova ricordare che, con riferimento alle regioni ad autonomia speciale, non è possibile compiere un’immediata trasposizione della consistente giurisprudenza citata, maturata relativamente al riparto di competenze tra Stato e regioni ordinarie in merito sia alla disciplina della tariffa del servizio idrico integrato sia alle forme di gestione e alle modalità di affidamento del servizio stesso e, pertanto, si pone come necessario operare una verifica complessiva dei margini di competenza attribuiti ad una regione ad autonomia speciale dalle norme del proprio statuto.

A riguardo la Corte, nel pronunciarsi nei confronti dell'esercizio del potere legislativo da parte della Regione siciliana,  propende verso una differente soluzione rispetto ai precedenti casi, già oggetto del proprio sindacato, relativi al ventaglio di competenze riconosciute alla Valle d’Aosta 4 ed alla Provincia autonoma di Trento 5 laddove, in luogo della competenza primaria riconosciuta alle citate amministrazioni regionali speciali – non ravvisando un analogo sistema di previsioni statutarie – individua il titolo di intervento della regione nella competenza legislativa residuale.

Tale assunto sarebbe suffragato dal tenore letterale dell’art. 14 dello statuto della Regione siciliana il quale, nell’enumerare le materie nelle quali la Regione siciliana ha potestà legislativa primaria, conterrebbe alla lettera i) unicamente un generico riferimento alle “acque pubbliche, in quanto non siano oggetto di opere pubbliche di interesse nazionale” circoscrivibile alla mera disciplina del bene idrico e marittimo attribuito al demanio della regione ai sensi dell’art. 32 dello stesso statuto.

Pertanto, delineandosi un quadro di competenze meno ampio rispetto a quanto attribuito alle regioni ordinarie, la determinazione della potestà legislativa regionale è stata risolta dalla Corte applicando la cosiddetta “clausola di maggior favore” contenuta all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 propendendo, così, verso una potestà legislativa residuale 6, per quanto limitata dalle competenze esclusive trasversali dello Stato interferenti con la materia del servizio idrico integrato, nel caso di specie,  la tutela della concorrenza e dell’ambiente.

La funzione di tale clausola, introdotta dal legislatore costituzionale nel 2001, consente l’ampliamento degli spazi di autonomia di Regioni speciali e Province autonome unicamente in funzione perequativa e non concede incrementi delle competenze regionali speciali che vadano al di là di quanto il Titolo V Cost. riconosce alle Regioni ordinarie 7.

Conseguentemente, l’autonomia differenziata non può considerarsi esente dalla soggezione ai poteri statali contemplati dal Titolo V Cost. assumendo che essi, non essendo previsti dallo Statuto speciale, non possano valere nei suoi confronti 8. 

La giurisprudenza costituzionale, successivamente alla riforma del 2001, ha precisato, infatti, alcuni punti nodali circa la determinazione degli ambiti riconducibili alla nuova potestà legislativa residuale specificando che, in primo luogo, risulta impossibile far comprendere un determinato oggetto di disciplina normativa nell’ambito di applicazione affidato alla legislazione residuale regionale (ex art. 117, comma IV, Cost.) “per il solo fatto che tale oggetto non sia immediatamente riferibile ad una delle materie elencate nei commi secondo e terzo dell’art. 117 della Costituzione” e, in secondo luogo, va escluso che, in assenza di precisa regolamentazione di un fenomeno emergente nella vita sociale, in capo alle Regioni possa attribuirsi, anche se in via provvisoria, un illimitato potere legislativo 9.

Così come evidenziato in altro precedente del Giudice delle Leggi, pertanto, la clausola ex art. 10, che estende l’applicabilità del nuovo regime di attribuzione di competenze stabilito dalla riforma del 2001 anche alle Regioni a statuto speciale, ove sia più favorevole all'autonomia regionale, non implica che “la Regione speciale possa disciplinare la materia (o la parte di materia) riservata allo Stato senza dovere osservare i limiti statutari imposti alla competenza primaria delle Regioni, tra cui quelli derivanti dall’osservanza degli obblighi internazionali e delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali” 10 nel caso in cui una materia attribuita dallo statuto speciale alla potestà regionale interferisca in tutto o in parte con un ambito ora spettante alla potestà esclusiva statale in ragione dell’art. 117, comma 2, Cost.

Inoltre, analogo principio si rinviene, in particolare, anche nella materia degli appalti pubblici laddove la Consulta ha evidenziato come il legislatore regionale debba rispettare i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica, tra i quali sono ricompresi anche quelli afferenti la disciplina di istituti e rapporti privatistici relativi, soprattutto, alle fasi di conclusione ed esecuzione del contratto di appalto, che devono essere uniformi sull’intero territorio nazionale, in ragione della esigenza di assicurare il rispetto del principio di uguaglianza 11.

Alle Regioni ad autonomia speciale spetta, quindi, la sola possibilità di estendere i propri spazi di autonomia, differenziandosi dalle regioni ordinarie, unicamente mediante la modificazione degli statuti.

Al pari delle regioni ordinarie, l’autonomia siciliana riguardo la disciplina del servizio idrico incontra, conseguentemente, i vincoli derivanti dai principi costituzionali, dal diritto europeo e dalle prescrizioni di carattere generale dello Stato volte a garantire gli investimenti ed una uniformità del servizio afferenti le materie della tutela della concorrenza e dell’ambiente considerate idonee a garantire il patrimonio idrico 12.

Già in precedenza la stessa Corte costituzionale ha chiarito con la sentenza del 20 novembre 2009, n. 307 che, relativamente alla gestione del servizio idrico, il legislatore regionale può intervenire in materie riconducibili alla tutela della concorrenza soltanto introducendo previsioni normative maggiormente concorrenziali rispetto a quanto previsto a livello statale.

Inoltre, data la necessità di copertura dei relativi costi di gestione attraverso tariffe e non per mezzo della remunerazione del capitale investito, la già citata riconducibilità del servizio di gestione delle acque pubbliche alla materia della tutela della concorrenza si basa sostanzialmente sulla definizione di tale servizio in termini di rilevanza economica 13.

Pertanto, la materia della tutela della concorrenza, alla luce del proprio carattere di genericità, è tale da poter essere considerata una clausola di principio di derivazione comunitaria ed agisce, conseguentemente, come limite statutario della potestà legislativa anche delle Regioni a statuto speciale venendo così posta, nel giudizio svolto dalla Consulta, come parametro di legittimità costituzionale delle norme in materia di riordino del servizio idrico siciliano impugnate dall’Esecutivo nazionale 14. 

 

4. I profili di illegittimità costituzionale della Legge regionale n. 19/2015

Determinati i margini di potestà legislativa attribuiti alla Regione siciliana, la Corte opera, dunque, una censura delle impugnate disposizioni che possono essere qui ricondotte ai tre principali ambiti di operatività dell’intervento riformatore operato con la Legge regionale n. 19/2015.

In primo luogo, accogliendo i rilievi posti dal Governo nel ricorso, la Corte censura integralmente tanto le modalità di affidamento del servizio quanto i requisiti previsti in capo agli enti destinatari dell’affidamento in house.

La normativa regionale, infatti, caratterizzata da una chiara propensione verso una gestione pubblica del servizio idrico integrato a discapito delle gestioni private o miste – gravemente limitate sia in termini di durata dell’affidamento sia attraverso l’aggravio sulle stesse di ulteriori oneri di gestione 15 – presenta profili discriminatori e contrastanti, secondo il giudizio della Consulta, tanto con i principi sanciti a livello costituzionale e comunitario quanto con le prescrizioni normative di matrice statale contenute all’art. 149-bis del D.lgs. n. 152/2006.

Ed invero, le disposizioni regionali che impongano o privilegino il ricorso ad una determinata forma di gestione del servizio potrebbero risultare compatibili con i principi di tutela della concorrenza nei soli casi in cui il servizio idrico sia organizzato in modo da non consentire alcun margine di utile rendendo, conseguentemente, obbligatorio l’affidamento in house providing da parte dell’ente pubblico 16.

Per di più, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale anche della stessa definizione posta dalla legge regionale delle società possibili destinatarie del citato affidamento in house laddove non prevedeva l’obbligo che gli enti di diritto pubblico, cui è possibile affidare la gestione del servizio idrico integrato, svolgessero la loro attività in prevalenza nei confronti dell’ente affidante, contravvenendo, in tal modo, a quanto disposto dalla giurisprudenza e dalla normativa comunitaria in termini di tassatività dei requisiti dei soggetti possibili affidatari 17.

Sotto altro aspetto, il Giudice costituzionale ha ritenuto meritevole di accoglimento la censura relativa alla previsione, da parte dell’impugnata normativa regionale, di una facoltà, attribuita ai Comuni, di costituire “sub-ambiti” o di gestire il servizio in forma singola e diretta, all’interno dei nove ambiti territoriali, anch’essi definiti dalla medesima legge, per contrasto con la normativa nazionale che impone la consegna degli impianti al gestore d’ambito da parte di enti locali o gestori senza titolo concessorio giuridicamente valido.

Secondo la Corte, infatti, la disposizione regionale si porrebbe in contrasto con il principio di unicità della gestione per ciascun ambito territoriale ottimale, da essa individuato, nell’art. 149-bis del D.Lgs. n. 152/2006, in termini di impossibilità per i Comuni di associarsi autonomamente per la gestione diretta del servizio idrico per due ordini di ragioni già espresse in altre pronunce della stessa Corte costituzionale: da un lato, la necessità di un superamento della frammentazione verticale della gestione delle risorse idriche diretta ad assicurare l’efficienza, l’efficacia e l’economicità del servizio 18; d’altro lato, in chiave di tutela ambientale, la necessità di razionalizzare l’uso delle risorse idriche e le interazioni e gli equilibri fra le diverse componenti delle “biosfera” 19.

Ulteriormente, la sentenza ha accolto anche la contestazione mossa dal Governo in merito all’attribuzione in capo alla Giunta regionale di definire ed approvare, su proposta delle Assemblee Territoriali Idriche, le tariffe del ciclo idrico nonostante, a prima vista, tale censura presenti alcuni dubbi in merito alla propria fondatezza.

Infatti, la Consulta, proprio in virtù dell’attribuita potestà legislativa residuale in capo alla Regione siciliana, si è discostata, e solo in tale ambito, da quanto precedentemente essa abbia chiarito in merito alla gestione del servizio idrico della Valle d’Aosta e dalla Provincia autonoma di Trento alle quali, nelle già citate sentenze n. 142/2015 e n. 52/2016, era stata riconosciuta una potestà legislativa primaria comprensiva dell’individuazione dei criteri di determinazione delle tariffe inerenti al servizio.

Anche in questo caso la Corte censura un travalicamento nell’esercizio delle competenze attribuite a livello statale in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lett. e) ed s) Cost., sancendo la necessaria applicazione di una uniforme metodologia tariffaria motivata dalla necessità di garantire un trattamento uniforme alle varie imprese operanti in concorrenza e di assicurare l’equilibrio economico-finanziario della gestione e l’efficienza e l’affidabilità del servizio attraverso il meccanismo di price cap di cui agli artt. 151 e 154, comma 1, del Codice dell’ambiente.

Tale assunto, tuttavia, potrebbe lasciare qualche perplessità dal momento che, da un lato, e ad una prima sommaria lettura, la disposizione di cui all’art. 11 della legge regionale n. 19/2015, giudicata incostituzionale, delineava una previsione analoga a quella contenuta nella disciplina di cui alla legge della Provincia autonoma di Trento, 30 luglio 2012, n. 17 già ritenuta dalla Corte esente da vizi di legittimità; d’altro lato, la disposizione avrebbe, probabilmente, potuto ottenere il favore della Consulta solo qualora, come nel caso della Valle d’Aosta, essa avesse previsto la necessità, in sede di determinazione delle tariffe, di conformarsi alle direttrici della metodologia tariffaria statale stabilite dall’Autorità per l’Energia Elettrica, il Gas e il Sistema Idrico.

 

5. Conclusioni

La pronuncia del Giudice delle Leggi interviene, così, su un controverso percorso di riforma avviato dal legislatore regionale siciliano che, comunque, anche se fosse stato oggetto di un positivo vaglio di costituzionalità, avrebbe delineato un quadro normativo incerto in un settore non sempre caratterizzato da una gestione efficiente e particolarmente delicato per l’amministrazione e lo sviluppo del territorio.

Permane l’esigenza, invece, di un intervento di riforma che, attraverso un congruo bilanciamento delle istanze portate avanti dai privati e dalle amministrazioni locali, apra effettivamente le porte ad uno sviluppo industriale del servizio idrico anche, e soprattutto, in termini di aumento di fiducia da parte degli stessi possibili investitori, attraverso la creazione  di condizioni tali da poter migliorare la qualità di un servizio in una regione in cui ancora oggi si riscontra in rapporto con le altre regioni un forte deficit infrastrutturale 20.

È ciò non può e non deve prescindere, al contrario di quanto accaduto in passato ed alla luce di quest’ultimo intervento del Giudice delle leggi, da un esercizio virtuoso e responsabile dell’attività legislativa che sia consapevole dei margini di operatività dettati dalla potestà attribuita alla Regione siciliana 21, in virtù del proprio Statuto, e che possa servirsi, allo stesso tempo, dell’autonomia quale mezzo per favorire la nascita di processi di crescita e sviluppo diretto in ambito regionale anche in un settore in cui, per di più, la natura di incertezza dettata dall’assenza di un chiaro sistema di governance del servizio idrico integrato (a differenza delle altre regioni italiane) ha spesso spinto tanto i Comuni quanto i privati a non investire sul necessario sviluppo delle reti idriche a discapito dell’erogazione del servizio e a danno dei cittadini.

 

 

1 Tra i contributi dottrinali in merito al riparto di competenze legislative in materia di servizio idrico, si vedano: SANDULLI M.A. L’acquedotto pugliese e la gestione del servizio idrico: slapstick comedy del legislatore regionale e carattere pervasivo della tutela della concorrenza, in Giur. cost., 2012, 829; CECCHETTI M., L’organizzazione e la gestione del servizio idrico integrato nel contenzioso costituzionale tra Stato e Regione. Un colosso giurisprudenziale dai piedi di argilla, in www.federalismi.it, n. 23/2012; CARANTA R., Il diritto dell’UE sui servizi di interesse economico generale e il riparto di competenze tra Stato e Regioni, in Forum di Quad. cost, 2010.

2 Per una disamina circa l’evoluzione della normativa nazionale in materia di affidamento della gestione del servizio idrico integrato vd. SCALIA F., Le modalità di affidamento della gestione del servizio idrico integrato: l’evoluzione normativa e le novità delle recenti riforme, in www.federalismi.it, n. 8/2016.

3 Cfr. ex plurimis: Corte Costituzionale, sentenza 12 marzo 2015, n. 32; sentenza 28 marzo 2013, n. 50; sentenza 15 giugno 2011, n. 187; sentenza 13 aprile 2011, n. 128; sentenza 17 novembre 2010, n. 325; sentenza 23 aprile 2010, n. 142; sentenza 20 novembre 2009, n. 307; sentenza 24 luglio 2009, n. 246.

4  Corte Costituzionale, sentenza 9 luglio 2015, n.142.

5 Corte Costituzionale, sentenza 10 marzo 2016, n. 51.

6 Per un approfondimento circa la potestà legislativa residuale a partire dalla riforma costituzionale del 2001 cfr.:  RUGGIU I., Le “nuove” materie spettanti alle Regioni speciali in virtù dell’art. 10 della legge costituzionale 3/2001, in Le Regioni, 2011; SCACCIA G., Legislazione esclusiva statale e potestà legislativa residuale delle Regioni, in MODUGNO F. – CARNEVALE P. (a cura di), Trasformazioni della funzione legislativa, vol. IV, Ancora in tema di rapporti Stato-Regioni dopo la riforma del titolo V della parte II della Costituzione, Napoli, Jovene, 2007; ARCONZO G., Le materie trasversali nella giurisprudenza della Corte costituzionale dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, in ZANON N. – CONCARO A. (a cura di), L’incerto federalismo, Milano, Giuffré, 2005, pag. 181 ss.; CARLI M., I limiti alla potestà legislativa regionale, in Le Regioni, n. 6, 2002, pag. 1357 ss.; CARETTI P., L’assetto dei rapporti tra competenza legislativa statale e regionale, alla luce del nuovo Titolo V della Costituzione: aspetti problematici, in Le  Regioni, n. 6, 2001, pag. 1227 ss.; MABELLINI S., La legislazione regionale. Tra obblighi esterni e vincoli nazionali, Milano, Giuffrè, 2004; DE SIERVO U., Il sistema delle fonti: il riparto della potestà normativa tra Stato e Regioni, in Le Regioni, n. 6, 2004, pag. 1252 ss.; LUCIANI M., L’autonomia legislativa, in Le Regioni, n. 2-3, 2004, pag. 370; D’ATENA A., Materie legislative e tipologia delle competenze, in Quaderni costituzionali, n. 1, 2003, pag. 15 ss.; PINELLI C., I limiti generali alla potestà legislativa statale e regionale e i rapporti con l’ordinamento internazionale e con l’ordinamento comunitario, in Il Foro italiano, V, 2001, pag. 194 ss.; MANGIAMELI S., La riforma del regionalismo italiano, Torino, Giappichelli, 2002; TORCHIA L., La potestà legislativa residuale delle Regioni, in Le Regioni, n. 2-3, 2002, pag. 354 ss.

7 D’ATENA A., Diritto regionale, III ed., Torino, Giappichelli, 2017, pag. 270 ss.

8 CARRER M., La potestà legislativa residuale delle Regioni: dal riparto per materie all’assetto costituzionale dei rapporti Stato-Regioni, in Osservatorio Costituzionale, Fasc. 2/2016, 19 maggio 2016.

9 Cfr. Corte Costituzionale, sentenza 23 dicembre 2003, n. 370; sentenza 19 dicembre 2003, n. 359.

10 Corte costituzionale, sentenza 20 dicembre 2002, n. 536.

11Corte costituzionale, sentenza 7 aprile 2011, n. 114.

12 SANDULLI A., L’acquedotto pugliese e la gestione del servizio idrico, cit., pag. 828 ss. In particolare, sullo specifico rapporto tra la potestà normativa regionale e la materia della tutela dell’ambiente cfr. MADDALENA P., L’interpretazione dell’art. 117 e dell’art. 118 della Costituzione secondo la recente giurisprudenza costituzionale in tema di tutela e di fruizione dell’ambiente, in www.federalismi.it, 2010; CIVITARESE MATTEUCCI S., Alcune riflessioni sui rapporti tra potestà normativa statale e regionale a margine della recente giurisprudenza costituzionale sulla materia ambiente. L’ambiguo caso delle aree protette regionali, in Giur. cost., 2009, pag. 5132 ss.; CECCHETTI M., La materia “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema” nella giurisprudenza costituzionale: lo stato dell’arte e i nodi ancora irrisolti, in www.federalismi.it, 2009; BENELLI F. – BIN R., La tutela dell’ambiente negli sviluppi della giurisprudenza costituzionale pre e post riforma del Titolo V, in Giur. cost., 2009, pag. 5208 ss.

13 Corte costituzionale, sentenza 17 novembre 2010, n. 325.

14 Cfr. CARAVITA DI TORITTO B., Tutela della concorrenza e Regioni nel nuovo assetto istituzionale dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, in RABITTI BEDOGNI C. – BARUCCI P. (a cura di), 20 anni di antitrust: l'evoluzione dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Torino, Giappichelli, 2010, pag. 229 ss.; CORSO G.., La tutela della concorrenza come limite alla potestà legislativa (delle Regioni e dello Stato), in Dir. pubbl., 2002, pag. 981 e ss.

15 La Corte ha qualificato come costituzionalmente illegittimi, a causa del loro carattere discriminatorio, il differente peso degli oneri previsti dall’impugnata legge regionale siciliana unicamente in capo alle imprese private assegnatarie della gestione del servizio idrico integrato, a norma degli artt. 4., comma VI, ed 11 della l.r. n. 19/2015: sotto un primo profilo, laddove la legge disponeva una riduzione della tariffa del 50% nei casi in cui l’acqua non fosse utilizzabile per fini alimentari e l’erogazione giornaliera destinata a soddisfare il fabbisogno minimo vitale pari ad almeno 50 litri per persona (circa 18 mc/ anno a testa); sotto altro profilo, relativamente ai casi di interruzione del servizio, laddove era stata prevista una risoluzione del contratto di affidamento nel caso di un’interruzione per oltre quattro giorni che coinvolga oltre il 2% della popolazione e, comunque, con la previsione di una penale che il gestore privato sarebbe stato chiamato a sostenere per ciascun giorno di interruzione.

16 Cfr. BASILE R., La “specialità” dell’autonomia siciliana con riguardo al servizio idrico, in www.federalismi.it, n. 14/2016, pag. 14.

17 A mente di quanto evidenziato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea a partire dal caso “Teckal” (C-107/98), le condizioni in ragione delle quali è possibile disporre l’assegnazione del servizio in deroga rispetto a quanto previsto in materia di appalti e concessioni sono rappresentate dai casi in cui: a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita sull’aggiudicatario un “controllo analogo” a quello esercitato sui propri servizi; b) l’aggiudicatario svolge la maggior parte della propria attività in favore dell’amministrazione aggiudicatrice; c) il soggetto aggiudicatario è a capitale totalmente pubblico.

Da ultimo, la disciplina in materia di affidamento c.d. in house ha trovato piena definizione in quanto stabilito dalla Direttiva 2014/25/UE, recentemente recepita dall’ordinamento italiano con il D.lgs. 18 aprile 2016, n. 50.

18 Corte costituzionale, sentenza 17 novembre 2010, n. 325; sentenza 24 luglio 2009, n. 246/2009.

19 Corte costituzionale, sentenza 23 maggio 2008, n. 168; sentenza 14 novembre 2007, n. 378; sentenza 27 aprile 2007, n. 144.

20 Per un riferimento ai dati relativi alla situazione infrastrutturale del servizio idrico siciliano cfr., Laboratorio REF Ricerche, La legge siciliana sul servizio idrico: un'intera Regione ripiomba nel caos, n. 50, in www.refricerche.it (2015).

21 Per una più ampia disamina si rinvia a ARMAO G., Redimibile Sicilia. L’autonomia dissipata e le opportunità dell’insularità, Sovaria Mannelli, Rubettino, 2017.

 

 

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