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TARIP, corrispettivo o tributo? Ovvero, dell’incertezza del diritto.
di Matteo Morando 9 novembre 2017
Materia: ambiente / rifiuti

TARIP, corrispettivo o tributo? Ovvero, dell’incertezza del diritto.

 

A pochi mesi dalla pubblicazione della pronuncia Cass. SS.UU. n. 17113/2017, si ritiene utile svolgere alcune riflessioni in merito all’eventuale, possibile, natura tributaria in capo alla “tariffa corrispettiva” (c.d. TARIP), di cui all’art. 1, commi 667 e 668, Legge 147/2013.

Prima di procedere – ed al fine di non far sobbalzare alcuno dei lettori – si ritiene necessario precisare che lo scrivente è ben consapevole del fatto che, nell’Ordinamento Italiano, il Potere Giudiziario dovrebbe applicare le Leggi approvate dal Potere Legislativo; così come quest’ultimo dovrebbe maggiormente considerare gli autorevoli suggerimenti, de iure condendo, della Giurisprudenza.

Eppure, come si vedrà, in materia di tasse/tariffe rifiuti, la Suprema Corte darebbe  l’impressione di disapplicare norme che riterrebbe dotate di una struttura giuridica contrastante con le norme più generali dell’Ordinamento; mentre, il Legislatore darebbe l’impressione di non tenere debitamente conto delle (giuste) osservazioni formulate, negli anni, dalla Giurisprudenza.

La situazione di incertezza che si viene, così, a determinare complica non poco l’attività degli operatori del settore, in quanto, dall’esatta determinazione della natura della TARIP, discendono conseguenze non trascurabili per quanto attiene, ad esempio, al regime IVA; alla titolarità di tariffa e morosità (vale a dire a chi e cosa iscrive nel bilancio);  nonché all’individuazione delle opportune procedure di recupero coattivo (avviso di accertamento piuttosto che decreto ingiuntivo).

Esaurite le premesse, veniamo al tema.

Come, sopra anticipato tra le righe, dall’analisi della recente pronuncia delle Sezioni Unite. n. 17113/2017 parrebbe lecito oltre che legittimo nutrire il dubbio che, nonostante l’utilizzo dell’aggettivo “corrispettiva”, la c.d. TARIP, di cui all’art. 1, commi 667 e 668, Legge 147/2013, sia un tributo a tutti gli effetti.

Un primo indizio, a sostegno della possibile natura tributaria della TARIP, è contenuto in un passaggio della pronuncia sopra citata che, pur nel dirimere una vertenza in materia di TIA 2, parrebbe disapplicare la norma di cui all’art. 14, comma 33, D.L. n. 78/2010 per cui “Le disposizioni di cui all'articolo 238 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si interpretano nel senso che la natura della tariffa ivi prevista non è tributaria”.

Nelle motivazioni delle Sezioni Unite si legge, infatti, che "[...] la TIA2 ha carattere innovativo, o - meglio - istituisce una tariffa che nell'intenzione del legislatore dovrebbe essere ontologicamente diversa rispetto alla prima Tia. Tuttavia, sia la TIA1 che la Tia 2 che la Tari (anch'essa ha natura pubblica anche se riscossa dal gestore, per la natura autoritativa e pubblica del prelievo) sono tutte caratterizzate dai medesimi presupposti: a) mancanza di nesso diretto tra prestazione e corrispettivo; b) il compenso ricevuto dal prestatore dei servizi non e' il controvalore effettivo del servizio prestato al destinatario”.

In altre parole, stando alle Sezioni Unite, nonostante esista una norma che definisca la c.d. TIA2 come tariffa non tributaria, quest’ultima, in base al complesso di norme che la regolamentano e a prescindere dal nomen iuris utilizzato dal Legislatore, debba essere intesa come un tributo.

Una simile conclusione vale anche per la TARIP?

Ad onor di verità, sebbene la pronuncia SS.UU. n. 17113/2017 non menzioni la TARIP ma la TARI, un Autore (Pasquale Mirto, Il Sole 24 Ore, 24.07.2017) lascerebbe intendere che, anche se non espressamente richiamata, detto inciso sarebbe da riferire alla “tariffa corrispettiva”.

Effettivamente, essendo “TARI” l’acronimo della “Tassa Rifiuti” e tenuto conto delle norme che la regolano, non vi sarebbe alcuna novità nell’affermare la sua natura tributaria in quanto essa non è messa in dubbio da alcuno.

Diversamente, focalizzare le proprie attenzione sulla TARIP (al pari dell’Autore citato) parrebbe sensato in quanto essa presenta numerose, non trascurabili coincidenze con la vicenda della TIA 2 sulla quale si sono espresse le Sezioni Unite.

Seguendo il filo logico seguito da queste ultime, appare utile analizzare la struttura normativa della “tariffa corrispettiva”, di cui all’art. 1, commi 667 e 668, Legge 147/2013, disaminando, innanzitutto, le norme che la regolano.

Ai sensi dell’art. 1, comma 667, la TARIP è adottata “a copertura integrale dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati”.

Essa applicata all’«utente», vale a dire a “persona fisica o giuridica che possiede o detiene, a qualsiasi titolo, una o più utenze”, sulla basa del presupposto per cui deve intendersi «utenza» “unità immobiliari, locali o aree scoperte operative, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani e/o assimilati e riferibili, a qualsiasi titolo, ad una persona fisica o giuridica ovvero ad un «utente»” (cfr. art. 2, comma 1, lett. b – c DM 20.04.2017).

La TARIP risulta essere alternativa alla TARI (cfr. art. 1, comma 668, Legge 147/2013) il che indurrebbe a ritenere che i servizi concernenti lo smaltimento dei rifiuti debbano essere obbligatoriamente istituiti dai Comuni, che li gestiscono sulla base di una disciplina regolamentare da essi stessi unilateralmente fissata (cfr. art. 1, comma 668, Legge n. 147/2013; artt. 8, comma 2; 9 comma 1; 10 comma 1, DM 20.04.2017).

In tale contesto, i soggetti tenuti al pagamento dei relativi prelievi (salve tassative ipotesi di esclusione o di agevolazione) non possono sottrarsi a tale obbligo adducendo di non volersi avvalere dei suddetti servizi, al punto che nella Legge non è dato alcun rilievo alla volontà delle parti nel rapporto tra gestore ed utente del servizio. Non a caso l’utente (inteso ai sensi del citato D.M. 20.04.2017) non chiede alcunché al gestore ma diventa tale, “de iure” oltre che di imperio, allorché viene a detenere unità immobiliari, locali o aree scoperte operative, a qualsiasi uso adibiti.

Inoltre, il c.d. contratto di servizio con il gestore, non viene concluso/stipulato dai singoli utenti (come sopra individuati) bensì dai Comuni che, ai sensi del citato art. 1, comma 667, Legge 147/2013, ripartiscono i costi attraverso la TARIP (o la TARI, secondo il caso).

Non deve, poi, essere trascurato il fatto che, ai sensi dell’art. 1, comma 668, Legge n. 147/2013, la tariffa non è commisurata dal soggetto affidatario del servizio di gestione dei rifiuti urbani (come avverrebbe in un normale rapporto di diritto privato tra detto gestore e il cittadino utente) ma dal Comune.

Il fatto, poi, che la TARIP sia applicata e riscossa dal soggetto affidatario del servizio di gestione dei rifiuti urbani non dovrebbe essere sufficiente a escludere la possibile natura autoritativa della tariffa in quanto, già la TIA, riconosciuta come tributo dalla Corte Costituzionale, era analogamente applicata e riscossa. Inoltre, non è inusuale che, come avviene per il settore delle pubbliche affissioni, il tributo sia riscosso direttamente dal soggetto affidatario del servizio.

Sempre, relativamente alla determinazione della TARIP, ai sensi del citato art. 1, comma 668 “il comune nella commisurazione della tariffa può tenere conto dei criteri determinati con il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1999, n. 158” che, per opera dell’art. 49, d.lgs. 22/1997, era utilizzato per determinare la parte fissa e variabile della TIA (che, come è noto, è stata ritenuta un tributo).

In proposito, l’art. 5, comma 2, DPR 158/1999 prevede che “la parte variabile della tariffa è rapportata alla quantità di rifiuti indifferenziati e differenziati, specificata per kg, prodotta da ciascuna utenza” il che, almeno ad una prima, seppur sommaria, analisi, parrebbe rappresentare un’importante analogia con le norme contenute nell’art. 1, commi 667 e 668, Legge n. 147/2013 oltre che nel D.M. 20.04.2017.

Quanto, finora, considerato indurrebbe a ritenere fondata la tesi del commento alla pronuncia delle Sezioni Unite per cui, nella pronuncia n. 17113/2017, dietro la dicitura TARI si nasconderebbe, in realtà, la TARIP.

Ulteriori indizi a sostegno della sua possibile natura tributaria, potrebbero essere individuati in quelle stesse norme, richiamate dalla Legge n. 147/2013 in sede di regolamentazione della TARIP ed indubitabilmente connotate da una natura tributaria quali l’art. 52, D.Lgs. 446/1997 (cfr. art. 1, commi 668 e 691, Legge n. 147/2013) e  l’ articolo 17, d.lgs. 241/1997 (cfr. art. 1, comma 688, Legge n. 147/2013). A fortiori si presti attenzione alla terminologia ivi utilizzata quale “fattispecie imponibili”, “soggetti passivi”, “aliquota massima”, “imposte” e “contribuenti”, tutti chiaramente di derivazione tributaristica ma non privatistica.

Una possibile conferma della congettura, fin qui, sviluppata, potrebbe risiedere nelle motivazioni della nota ordinanza n. 238/2009 della Corte Costituzionale (alla quale si rimanda) ove, nell’affermare la natura tributaria della TIA, la Consulta fonda la propria decisione su parametri identici a quelli sopra evidenziati

Sulla scorta di quanto sopra evidenziato, parafrasando le Sezioni Unite (dalle quali siamo partiti) e la Corte Costituzionale (con la quale abbiamo concluso), non sarebbe illogico ritenere che la TARIP, che nell'intenzione del legislatore avrebbe dovuto essere ontologicamente diversa rispetto alla TARI, ne abbia la medesima natura autoritativa e pubblica essendo riferita a servizi:

- che devono essere obbligatoriamente istituiti dai Comuni, che li gestiscono sulla base di una disciplina regolamentare da essi stessi unilateralmente fissata;

- ove i soggetti tenuti al pagamento dei relativi prelievi (salve tassative ipotesi di esclusione o di agevolazione) non possono sottrarsi a tale obbligo adducendo di non volersi avvalere dei suddetti servizi;

- relativamente ai quali, per i motivi sopra meglio esplicitati, la Legge non dà alcun sostanziale rilievo, genetico o funzionale, alla volontà delle parti nel rapporto tra gestore ed utente del servizio, tanto che gli utenti sono assoggettati alla “tariffa corrispettiva” immediatamente con il venire in essere della disponibilità, a qualunque titolo, di unità immobiliari;

- a copertura integrale dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati (quindi, non solo “interni” cioè prodotti o producibili dal singolo soggetto passivo che può avvalersi del servizio; ma anche “esterni”, cioè rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche e soggette ad uso pubblico).

A questi punti, le evidenti corrispondenze, somiglianze e sovrapposizioni della TARIP con TARSU, TIA 1, TIA 2 e TARI, impongono la massima attenzione agli operatori del settore e, al tempo stesso, rendono tutt’altro che granitica l’impostazione civilistica, frettolosamente, ritenuta pacifica da taluni.

In proposito, c’è chi ritiene che la natura privatistica della TARIP discenderebbe, oltre che dalla terminologia utilizza dal Legislatore, dalla “puntualità” della tariffa (vale a dire dalla proporzionalità tra la tariffa e la quantità di rifiuti indifferenziati prodotti da ciascuna utenza).

Tuttavia, nel fare ciò, omettono di rilevare come già la TIA, dichiarata tributo, prevedeva forme di misurazione dell’effettiva quantità di rifiuto prodotto da parte di ciascun utente (cfr. art. 5, comma 2, d.lgs. 158/1999); che, in ogni caso, continua a mancare l’incontro tra offerta e accettazione, tipico del sinallagma, ed al quale non possono essere ricondotti i concetti di “utente” e “utenza” di cui al D.M. 20.04.2017; che, come già evidenziato, il c.d. contratto di servizio non viene concluso/stipulato dai singoli titolari delle predette utenze ma dai Comuni (veri utenti in senso contrattuale del termine) che, attraverso la TARIP, ripartiscono i costi del servizio tra gli “utenti”, intesi ai sensi del D.M. 20.04.2017.

Tutte le valutazioni sopra esplicitate inducono, quindi, a ipotizzare che, in sede giudiziale, l’espressione “tariffa corrispettiva”, come letteralmente intesa, potrebbe essere oggetto di disapplicazione o, comunque, di interpretazione creativa.

È, quindi, evidente che, a livello di dottrina e giurisprudenza, sarebbe necessario che si facesse, quanto prima chiarezza, così da fornire una soluzione certa alle problematiche, di tipo operativo, con le quali, quotidianamente, si misurano gli operatori del settore.

Parallelamente, ogni incertezza potrebbe essere fugata se il Legislatore, abrogasse, dalla norma, l’aggettivo “corrispettiva”, confermando l’evidente natura tributaristica che traspare dalle norme vigenti; oppure se, realmente, convinto della natura privatistica della TARIP, come più volte indicato dalla giurisprudenza, “ridisegnasse” la tariffa secondo forme (finalmente) libere da ogni potenziale carattere tributario; ad esempio, ispirandosi a quei servizi che, indubitabilmente pubblici, vengono attivati a richiesta dell’utente il quale può rinunciarvi o dai quali può recedere; ma, soprattutto, ove la debenza di un corrispettivo non è automaticamente collegata alla conduzione di unità immobiliari ma - a chiusura del cerchio - all’effettiva domanda (dell’utente) seguita da accettazione (da parte del gestore) e che, come ripetutamente osservato, mancano totalmente anche nel caso della TARIP.

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