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Conflitto di interessi tra stazione appaltante e operatore economico partecipato dall'amministrazione che indice la gara. Note (critiche) a TAR Campania, Salerno, Sez. I, 6 aprile 2018, n. 524
di Giorgio Lezzi e Angelo Maria Quintieri 19 aprile 2018
Materia: appalti / disciplina

Conflitto di interessi tra stazione appaltante e operatore economico partecipato dall’amministrazione che indice la gara. Note (critiche) a TAR Campania, Salerno, Sez. I, 6 aprile 2018, n. 524

 

di Giorgio Lezzi e Angelo Maria Quintieri[1]

 

Ha recentemente suscitato clamore (e perplessità fra gli operatori del settore) il contenuto della sentenza del TAR Campania, Salerno, Sez. I, 6 aprile 2018, n. 524, nella parte in cui – in termini del tutto innovativi – è stato affermato che la sola sussistenza di una cointeressenza societaria tra la stazione appaltante e un’impresa partecipante alla procedura di gara bandita dalla prima sarebbe di per sé tale da configurare un conflitto di interessi di cui all’art. 42 (“Conflitto di interesse”) del d.lg. n. 50/2016 (di seguito, “Codice”), ove è stabilito che “Si ha conflitto d'interesse quando il personale di una stazione appaltante o di un prestatore di servizi che, anche per conto della stazione appaltante, interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni o può influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione. In particolare, costituiscono situazione di conflitto di interesse quelle che determinano l'obbligo di astensione previste dall'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, 62”.

In particolare, nella sentenza in questione il Collegio ha affermato che nel caso di specie –in cui la cointeressenza societaria consiste nella circostanza per cui sia la stazione appaltante, in via indiretta e attraverso una propria controllata, sia una società controllante l’impresa partecipante alla procedura di gara - si verserebbe in un’ipotesi di conflitto di interesse da ritenersi addirittura “non risolvibile” a termini dell’art. 80, c. 5 del Codice (ove è precisato che “le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d'appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni, anche riferita a un suo subappaltatore nei casi di cui all'articolo 105, comma 6, qualora: [..] d) la partecipazione dell'operatore economico determini una situazione di conflitto di interesse ai sensi dell'articolo 42, comma 2, non diversamente risolvibile”), e quindi di per sé idonea a determinare l’immediata esclusione della predetta impresa concorrente dalla procedura di gara indetta dalla citata stazione appaltante.

Le argomentazioni adoperate dalla pronuncia in commento – secondo cui “Sono, dunque, le dichiarate finalità della norma che mira a sterilizzare le ipotesi di conflitto di interesse – i.e. a evitare il pericolo di distorsioni della concorrenza e/o di violazioni della parità di trattamento di tutti gli operatori economici – a riempire di significato la nozione stessa [di conflitto di interessi]. Sicché se acquistano rilevanza tutte le ipotesi di “contaminazione” della posizione dei dipendenti, o di coloro che in base a un qualunque titolo giuridico (di fonte normativa o contrattuale) siano in grado di impegnare validamente l’Amministrazione nei confronti dei terzi, o di coloro che comunque rivestano (di fatto o di diritto) un ruolo tale da poter obiettivamente influenzare l’attività esterna della Stazione appaltante, o dei componenti degli organi di amministrazione e controllo – vale a dire dei soggetti che in qualunque modo contribuiscano a formare la volontà dell’Ente e/o ne siano legittimi portatori, in quanto legati allo stesso da un rapporto di identificazione organica – non vi è modo di negare che le medesime cautele debbano essere poste in atto ogni qualvolta un “conflitto di interessi” tale da mettere in pericolo la perfetta concorrenzialità della procedura e l’imparzialità dell’azione amministrativa si appunti immediatamente in capo al soggetto giuridico che riveste il ruolo di Stazione appaltante” – condurrebbero a sanzionare con l’esclusione dalla procedura di gara, in ragione della pretesa configurazione di un’automatica situazione di “conflitto di interessi”, anche l’operatore economico partecipato, direttamente o indirettamente, dalla medesima stazione appaltante che bandisce la gara.

Infatti, in tale ultima fattispecie, a voler seguire l’iter logico espresso dal TAR Campania, la contiguità tra gli interessi perseguiti dalla stazione appaltante in veste di soggetto che mira, tramite l’esperimento della procedura a evidenza pubblica, all’approvvigionamento delle prestazioni necessitate e quale detentore di (anche quota parte) del capitale dell’operatore economico partecipante alla procedura stessa, sarebbe astrattamente “più conflittuale” dell’asserita commistione tra interessi riconosciuta dal Giudice Amministrativo nella sentenza in esame.  

Tuttavia, non può non rilevarsi come una siffatta conclusione contrasta con il consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi in tema di legittima contendibilità dei contratti pubblici da parte di operatori economici partecipati dalla medesima stazione appaltante che esperisce la procedura di gara e non trova neppure automatico riscontro nella disciplina contenuta nel Codice (su cui il Collegio fonda la legittimità della decisione qui in commento).  

A tal proposito, sotto un primo profilo, va segnalato che il Consiglio di Stato, Sez. V, con sentenza in data 27 settembre 2004, n. 6325, ha avuto modo di chiarire che “Il decisum del Giudice di primo grado si incentra nella valorizzazione dello stato giuridico differenziato delle società de quibus [vale a dire: società partecipate dalla stazione appaltante], stato giuridico asseritamene idoneo a favorirle nel confronto con le imprese private, sì da escludere in radice la possibilità stessa di partecipare alle gare pubbliche, in considerazione della natura del rapporto che lega le prefate società alla stazione appaltante.

Va tuttavia osservato che il Trattato di Roma (art. 86) e la direttiva CEE 92/50 art. 1, lett. C), prevedono però che le Società pubbliche possano agire in regime di parità di trattamento con le imprese private e che tra i prestatori di servizi sono inclusi i soggetti pubblici che forniscono servizi, con il che è esclusa ogni limitazione alla facoltà dei soggetti pubblici fornitori di servizi di partecipare alle gare pubbliche.

[…]

Il Collegio condivide, altresì, l’orientamento del Consiglio di Giustizia amministrativa per la regione siciliana, espresso nella decisione n. 692/2002, secondo cui la circostanza che una delle imprese associate al raggruppamento (escluso dalla gara, nella vicenda esaminata dal C.G.A.R.S.) è partecipata in ragione del 51% del capitale sociale dalla stessa amministrazione appaltante è irrilevante non essendo contemplata da alcuna norma come elemento ostativo alla partecipazione ad una pubblica gara d’appalto indetta dall’ente titolare della partecipazione di maggioranza; né, in difetto, a tale risultato può pervenirsi in diretta applicazione dei principi costituzionali di imparzialità e trasparenza dell’azione amministrativa nonché dei principi generali di concorrenzialità e par condicio nelle procedure ad evidenza pubblica, o ancora in base ad una pretesa applicazione (estensiva o analogica) di principi di diritto - in particolare quello relativo al divieto di partecipazione contemporanea ad una medesima gara di imprese legate fra loro da un rapporto di collegamento o di controllo ex art. 2359 c.c.- pertinenti a fattispecie del tutto eterogenee rispetto a quella oggetto di giudizio, e volti a tutelare interessi qualitativamente diversi da quello posto a fondamento dall’impugnato provvedimento di esclusione (tale, in particolare, l’esigenza di garantire la segretezza delle offerte e di evitare la presentazione di offerte tra loro concordate). Al fine di confutare tale impostazione logica, è sufficiente constatare come, in presenza della costituzione di una società mista a partecipazione pubblica maggioritaria, l’esperimento di una procedura di gara ai fini dell’aggiudicazione di un servizio inerente all’oggetto sociale rappresenta già di per sé una garanzia aggiuntiva rispetto alla possibilità, espressamente riconosciuta dall’ordinamento e del resto logicamente sottesa alla scelta dell’amministrazione relativa alle modalità di organizzazione e gestione del servizio di cui trattasi, di affidamento diretto del medesimo alla società all’uopo costituita>> (Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 24 dicembre 2002, n. 692)”.

Nello stesso senso si è espresso il Consiglio di Stato, Sez. VI, 11 luglio 2008, n. 3499, il quale ha affermato che “è legittima la partecipazione di una società mista [ma lo stesso è a dirsi in relazione ad una società a totale partecipazione pubblica] alla gara bandita (nel caso di specie, per l’affidamento della concessione del servizio di distribuzione del gas) dalla stessa amministrazione aggiudicatrice che ne è socia. La giurisprudenza sia nazionale che comunitaria ha affermato in più occasioni che la compartecipazione societaria dell’amministrazione aggiudicatrice alla società concorrente non determina alcuna automatica violazione dei principi concorrenziali e di parità di trattamento. Una limitazione a carico delle società miste a partecipazione pubblica alle gare si porrebbe, anzi, in contrasto con i principi dell’ordinamento comunitario, il quale esige che le imprese pubbliche abbiano possibilità di agire in regime di parità di trattamento con la imprese private. Le garanzie offerte dalla procedura dell’evidenza pubblica valgono, infatti, ad escludere che la partecipazione all’interno della società da parte dell’ente pubblico che bandisce la gara possa rappresentare, di per sé, un fattore distorsivo della concorrenza e, quindi, offrire alla società partecipata un illegittimo vantaggio a scapito delle altre imprese. Pertanto, in assenza di prove in ordine a specifiche violazione delle regole di evidenza pubblica, deve escludersi che la mera partecipazione dell’ente pubblico ad una società concorrente rappresenti un elemento tale da pregiudicare la regolarità della gara”.

Alla medesima conclusione è pervenuto, più di recente, anche il Giudice amministrativo lombardo, che ha ribadito come “La compartecipazione societaria dell’amministrazione aggiudicatrice alla società concorrente non determina alcuna automatica violazione dei principi concorrenziali e di parità di trattamento” (così TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 10 febbraio 2012, n. 458).

In particolare, i principi sin qui esposti sono stati ancor più analiticamente elaborati dal TAR Puglia, Lecce, Sez. III, 8 aprile 2013, n. 801, che ha ribadito che “La partecipazione dell'Amministrazione aggiudicatrice ad una società concorrente non determina l'automatica violazione dei principi di concorrenza e par condicio, laddove, al contrario argomentando e, dunque, ponendo una limitazione alla partecipazione predetta, si finirebbe per contrastare con i principi dell'ordinamento comunitario, il quale esige che le imprese pubbliche abbiano possibilità di agire in regime di parità di trattamento con la imprese private.

Nel caso di specie, infatti, in merito al preteso rischio di un conflitto di interessi tra concorrente e stazione appaltante, il Collegio ha escluso che in via di principio la partecipazione dell’amministrazione aggiudicatrice ad una società concorrente determini l’automatica violazione dei principi di concorrenza e par condicio.

I giudici amministrativi pugliesi, in particolare, hanno ritenuto di doversi conformare all’indirizzo giurisprudenziale secondo cui proprio la limitazione alla partecipazione risulterebbe in contrasto con i principi dell'ordinamento comunitario, il quale richiede che le imprese pubbliche abbiano possibilità di agire in regime di parità di trattamento con la imprese private, tenendo conto del fatto che le ipotesi in cui l'ordinamento, a tutela della concorrenza, impone a determinate imprese a capitale pubblico divieti di partecipazione alle gare sono infatti da ritenersi tassative, e fra queste non rientra il caso in cui il capitale della società partecipante alla gara sia di proprietà della stazione appaltante.

Tale consolidata ricostruzione giurisprudenziale non può ritenersi superata nel mutato contesto normativo, recato dal d.lg. n. 50/2016, atteso che in esso non è dato riscontrare alcun esplicito divieto di partecipazione alle pubbliche gare per le imprese partecipate dalla stazione appaltante; una siffatta interpretazione, oltre che porsi in chiaro contrasto con il già richiamato principio di par condicio tra imprese pubbliche e imprese private, sarebbe nettamente irrispettosa del principio di tassatività delle cause di esclusione (oggi stabilito, nel contesto del d.lgs. n. 50/2016, dall’art. 83, co. 8), le quali – poiché limitative della libertà di concorrenza – devono essere ritenute di stretta interpretazione, senza possibilità di loro estensione analogica a fattispecie non previste dal dato positivo.

Inoltre, l’adesione alle conclusioni fatte proprie dal TAR Campania – e alle conseguenze che, come illustrato, potrebbero derivarne – non può neppure considerarsi conforme alla ratio dell’art. 42 cit., che, lungi dall’introdurre una causa di immediata esclusione dalle pubbliche gare delle imprese partecipate dalle stazioni appaltanti, stabilisce unicamente che “Si ha conflitto d'interesse quando il personale di una stazione appaltante o di un prestatore di servizi che, anche per conto della stazione appaltante, interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni o può influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione”.

Ebbene, se è vero che “l’espressione «personale», di cui all'art. 42, comma 2 del d.lg. 18 aprile 2016, n. 50, va riferita non solo ai dipendenti in senso stretto (ossia, i lavoratori subordinati) dei soggetti giuridici ivi richiamati, ma anche a quanti, in base ad un valido titolo giuridico (legislativo o contrattuale), siano in grado di validamente impegnare, nei confronti dei terzi, i propri danti causa o comunque rivestano, di fatto o di diritto, un ruolo tale da poterne obiettivamente influenzare l'attività esterna” (così Consiglio di Stato, sez. V, 11/07/2017,  n. 3415), è altrettanto vero che tale previsione non pare immediatamente riferibile ai rapporti intercorrenti fra l’organo politico di un comune/stazione appaltante e i rappresentanti della società partecipata/concorrente, concernendo, al contrario, gli eventuali legami (di natura economica o personale) sussistenti tra chi indice e espleta la gara – dirigente del Comune o RUP – e il soggetto partecipante.

In altre parole, perché possa essere integrato il conflitto di interessi cui fa riferimento l’art. 42 del Codice, occorre che sia in concreto verificata (e non già supposta) la sussistenza di un “interesse finanziario, economico o altro interesse personale” fra RUP e/o dirigente del Comune che cura l’indizione, l’espletamento e l’aggiudicazione di un contratto e la ditta concorrente, non potendosi tale situazione estendersi – per di più in modo “automatico”, senza alcuna prova in merito all’effettiva sussistenza del predetto conflitto – al rapporto intercorrente fra Comune (o suoi amministratori) e ente partecipato.

A tale conclusione pare esser pervenuto, recentemente (e nella vigenza del Codice), anche il TAR Lombardia che, investito della questione in merito alla possibile violazione del principio di imparzialità, concernente l’individuazione, quale promotore, di “una società partecipata dal Comune per il 27,1% del capitale sociale, e rispetto alla quale il Comune ha nominato due componenti del C.d.a. ed il Vicepresidente”, ha avuto modo di precisare che “nel merito tale censura si delinea come generica e inconsistente, non potendosi far derivare da una mera partecipazione azionaria minoritaria in un ente privato non strumentale rispetto all'attività tipica dell'amministrazione procedente - con correlativa espressione in seno alla società privata di poteri di rappresentanza privi di effettiva autonomia decisionale - un'automatica violazione dei principi di cui all'art. 97 della Costituzione, in virtù cioè di un conflitto di interessi insussistente neanche in via meramente ipotetica” (TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 28 febbraio 2018, n. 601).

Peraltro, un’attenta lettura dell’art. 80, co. 5, lett. d), del d.lg. n. 50/2016 impone di evidenziare come l’espulsione del concorrente, la cui partecipazione configuri una situazione di conflitto di interesse ai sensi dell’art. 42, co. 2, del medesimo testo normativo, sia prevista unicamente per il caso in cui il conflitto riscontrato sia “non diversamente risolvibile”.

In quest’ottica, la violazione del principio di parità di trattamento non è ex se ravvisabile nella circostanza che un operatore economico partecipato dalla stazione appaltante concorra all’affidamento di un contratto pubblico nell’ambito di una procedura comparativa indetta dalla stazione appaltante medesima, poiché in tali casi l’imparzialità della stazione appaltante è presidiata dalle garanzie procedimentali – non ultime quelle connesse alla pubblicità e all’accessibilità della documentazione versata dai concorrenti nella procedura – da assicurarsi in qualsiasi gara pubblica.

In tale prospettiva, nelle fattispecie esaminate, come segnalato dalla costante giurisprudenza sopra richiamata, i vincoli procedimentali previsti dalla normativa sulla contrattualistica pubblica si traducono in altrettante misure volte alla risoluzione di ipotetici conflitti di interesse e, quindi, tali da tutelare l’imparzialità della stazione appaltante senza che si addivenga all’esclusione (peraltro: automatica) dalla procedura degli operatori dalla stessa partecipati.

A titolo esemplificativo, proprio nel novero di tali misure, si inscrive la nuova disciplina dettata dall’art. 77 del Codice per la selezione dei componenti le commissioni giudicatrici, nell’ambito delle quali è consentito - anche una volta divenuto operativo l’Albo istituito presso l’ANAC -, in caso di affidamento di contratti di servizi e forniture inferiori alle soglie di rilevanza comunitaria e di lavori di importo inferiore a un milione di euro, nominare alcuni componenti interni alla stazione appaltante, nel rispetto del principio di rotazione, escluso il ruolo di Presidente.

In tale contesto, per gli affidamenti di servizi e forniture caratterizzati da elevato contenuto scientifico, tecnologico o innovativo – effettuati nell’ambito di attività di ricerca e sviluppo - i componenti della commissione giudicatrice possono essere selezionati tra gli esperti interni alla stazione appaltante, previa motivata richiesta di quest’ultima (cfr. Linee Guida ANAC n. 5, recanti “Criteri di scelta dei commissari di gara e di iscrizione degli esperti nell’Albo nazionale obbligatorio dei componenti delle commissioni giudicatrici”).

Inoltre, un’ulteriore norma “di chiusura” – evidentemente posta a garanzia del sereno e imparziale svolgimento del confronto concorrenziale – recata dal c. 4 del predetto art. 77, stabilisce che “I commissari non devono aver svolto né possono svolgere alcun'altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta”.

Ciò significa, pertanto, che in ipotesi analoghe a quelle oggetto della decisione qui in commento il Codice prevede espressamente forme di “rimedio” ad eventuali situazioni di conflitto di interesse (che, ad ogni modo, non si ritengono sussistenti nella fattispecie esaminata), che precludono, pertanto, l’assunzione di determinazioni espulsive a carico di operatori economici, e ciò per solo fatto che gli stessi siano partecipati – direttamente o indirettamente – dalla stazione appaltante.

Alla luce di quanto sopra, si può affermare che la predetta sentenza del TAR Campania, a mezzo della quale è stato applicato un principio automatico di esclusione dalle gare di società oggetto di interessenza, anche indiretta, da parte della stazione appaltante, giustificato dalla semplice facoltà dell’amministrazione di nominare l’organo amministrativo dell’operatore economico, e come tale non contemplato dalla vigente normativa di settore, rappresenti un caso del tutto isolato, che difficilmente potrà costituire la base per un orientamento giurisprudenziale in via di affermazione.

In tal senso, pertanto, tale pronuncia – in considerazione delle sue possibili implicazioni argomentative - si pone in posizione del tutto minoritaria rispetto al consolidato orientamento secondo cui è legittima la partecipazione di un operatore economico alla procedura di gara bandita da una stazione appaltante qualora quest’ultima partecipi (direttamente o anche indirettamente), al capitale dell’operatore stesso, destando per l’effetto forti perplessità, anche in vista della propria “tenuta” ad esito di un quanto mai probabile giudizio di appello.



[1] Rispettivamente Partner e Associate dello Studio Lipani Catricalà & Partners

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