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Il piano di razionalizzazione presuppone l'analisi delle funzioni esternalizzate
di Michele Nico 29 novembre 2018
Materia: società / disciplina

IL PIANO DI RAZIONALIZZAZIONE PRESUPPONE L’ANALISI DELLE FUNZIONI ESTERNALIZZATE

In vista del piano di razionalizzazione previsto dall’articolo 20 del dlgs 175/2016 (testo unico sulle società a partecipazione pubblica) da adottarsi entro il 31 dicembre, molti enti stanno valutando i sistemi di verifica e le metodologie più appropriate per dare corso ad adempimenti che, nella maggior parte dei casi, presentano una notevole complessità.

Sotto il profilo strettamente operativo, il reperimento delle informazioni da inserire nella relazione tecnica a corredo del piano presuppone non soltanto un accurato lavoro di raccolta dati da parte del socio pubblico, ma anche un ruolo di fattiva collaborazione delle società partecipate, specie ove queste – come accade nelle amministrazioni locali di maggiori dimensioni – detengano a loro volta quote in altre società le quali, in quanto partecipazioni indirette dell’ente socio, rientrano a pieno titolo nella platea degli organismi strumentali da considerare nella ricognizione imposta dal processo di razionalizzazione.

Ma al di là del metodo di lavoro, la parte più delicata dell’istruttoria è legata ai criteri previsti dall’articolo 20, comma 2, del testo unico, sulla base dei quali ogni ente dovrà eseguire l’analisi delle proprie partecipazioni predisponendo, all’occorrenza, “un piano di riassetto per la loro razionalizzazione, fusione o soppressione, anche mediante messa in liquidazione o cessione”.

Mentre vi sono alcuni criteri la cui applicazione presuppone un certo automatismo – si vedano, al comma 2, i requisiti di cui alla lettera b) (società prive di dipendenti o che abbiano più amministratori che dipendenti) o lettera d) (partecipazioni in società che, nel triennio precedente, non abbiano conseguito un fatturato medio superiore alla soglia minima prescritta) – altri criteri richiedono invece l’esercizio di indagine ben più approfondita, che presenta sicuramente un carattere di elevata complessità.

È questo il caso di cui alla lettera c) del comma 2, secondo il quale l’ente è tenuto a rilevare le “partecipazioni in società che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici strumentali”, in vista di un intervento di razionalizzazione che punti a una riduzione degli asset societari e a un conseguente risparmio di spesa.

Tale criterio, in buona sostanza, punta al taglio dei rami secchi mediante l’eliminazione delle società “doppione”, in esito a un’accurata analisi delle funzioni esternalizzate da cui risulti la possibilità per l’ente di semplificare l’articolazione organizzativa preposta all’esercizio delle attività e dei servizi di pubblico interesse.

Non si tratta, evidentemente, di un mero restyling dell’oggetto sociale degli statuti degli organismi partecipati, bensì di un vaglio afferente le funzioni da essi svolte sulla base dei vari contratti di servizio stipulati con l’ente.

Si consideri che, per questo aspetto, l’ente socio è tenuto a prendere in esame non solo le società partecipate, ma anche gli organismi privi di natura societaria operanti sul territorio, come le aziende speciali, le istituzioni e le fondazioni.

La disamina dovrebbe occuparsi in concreto dell’attività svolta da ogni organismo strumentale, considerando le prestazioni svolte, gli obiettivi perseguiti e i risultati attesi, per poi individuare il modulo organizzativo da mantenere alla luce del miglior rapporto costi/benefici.

Di qui la decisione di procedere alla cessione, dismissione o liquidazione degli organismi partecipati meno funzionali, con l’indicazione delle motivazioni, delle tempistiche e delle azioni di contenimento dei costi che hanno motivato la scelta dell’ente.

Tale scelta, fondata su idonee valutazioni comparative per dimostrare l’efficienza del modello organizzativo prescelto, non potrà ignorare il delicato problema dei dipendenti dell’organismo da dismettere, che l’ente locale è in grado di assorbire, in caso di reinternalizzazione di servizi, soltanto entro i limiti di cui all’articolo 19, comma 8, del dlgs 175/2016.

È fuor di dubbio che siffatti interventi di riordino e razionalizzazione richiedono un forte impegno di risorse umane e un considerevole arco di tempo in preparazione del piano da adottarsi entro la scadenza di fine anno.

D’altra parte va tenuto presente che il processo di razionalizzazione imposto a cadenza periodica dal dlgs 175/2016 non solo è soggetto al vaglio sia della Corte dei Conti, sia della struttura di controllo del Mef, ma risulta presidiato da pesanti sanzioni, tanto che la mancata adozione del piano può comportare il pagamento di una somma da un minimo di euro 5.000 a un massimo di euro 500.000, oltre all’eventuale danno erariale (articolo 20, comma 7, del dlgs 175/2016).

Né il piano di razionalizzazione può limitarsi a descrivere genericamente le future azioni da intraprendere o il modo con cui si intenderà analizzare le relative partecipazioni societarie, dacché l’ente, come ha più volte affermato la Corte dei Conti, deve svolgere in concreto tale analisi, puntando a ridurre le partecipazioni e contenere i costi di funzionamento dei soggetti societari, entro tempi certi e con risparmi effettivi da conseguire (ex multis: Sez. di controllo Piemonte, delibera n. 25/2016/VSG).

 

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