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I compensi degli amministratori di società pubbliche: una storia infinita giunta al capolinea?
di Roberto Camporesi 11 giugno 2019
Materia: società / partecipazione pubblica

I compensi degli amministratori di società pubbliche: una storia infinita giunta al capolinea?

Dott. Roberto Camporesi

Il Ministero delle Finanze ha comunicato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri la bozza del regolamento (portato da Decreto) sulla determinazione dei limiti dei compensi massimi previsto dall’art. 11 comma 6 del TUSPP, condiviso con il Dipartimento della Ragioneria dello Stato, affinché venga inserito all’ordine del giorno della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano. La relazione illustrativa lo definisce “decreto fasce”.

Qualora la Conferenza unificata approvi il testo, sembra giunga alla fine la storia infinita sui limiti dei compensi degli amministratori delle società a controllo pubblico, a circa tre anni dalla approvazione del TUSPP. Il periodo di vacatio, imposto dall’assenza dal decreto, ha di fatto consolidato un regime transitorio che, se un effetto sicuramente ha prodotto, è stato quello di depauperare di capacità manageriale le società pubbliche a causa dei risibili compensi riconoscibili. Ciò non ha fatto certamente bene alle società a partecipazione pubbliche e neppure ai soci pubbliche amministrazioni; soprattutto questi ultimi, intenti nei piani di razionalizzazione delle proprie partecipate, sapevano di non potere disporre di manager motivati e disposti ad assumersi le necessarie responsabilità, che la carica richiede, nel momento di attivazione di operazioni straordinarie necessarie proprio per attuare i predetti piani di razionalizzazione.

 Si ricorda che la disciplina dei compensi degli amministratori delle società a controllo pubblico è contenuta nelle seguenti disposizioni di cui all’art. 11 del TUSPP. Disciplina che si caratterizza per una norma a regime ed una a contenuto transitorio:

-          Norma a regime: comma 6 “Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze […] , previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, per le società in controllo pubblico sono definiti indicatori dimensionali quantitativi e qualitativi al fine di individuare fino a cinque fasce per la classificazione delle suddette società. Per le società controllate dalle regioni o dagli enti locali, il decreto di cui al primo periodo è adottato previa intesa in Conferenza unificata ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo 28 Agosto 1997, n. 281. Per ciascuna fascia è determinato, in proporzione, il limite dei compensi massimi al quale gli organi di dette società devono fare riferimento, secondo criteri oggettivi e trasparenti, per la determinazione del trattamento economico annuo omnicomprensivo da corrispondere agli amministratori, ai titolari e componenti dell'organo di controllo, ai dirigenti e ai dipendenti, che non potrà comunque eccedere il limite massimo di euro 240.000 annui al lordo dei contributi previdenziali e assistenziali e degli oneri fiscali a carico del beneficiario, tenuto conto anche dei compensi corrisposti da altre pubbliche amministrazioni o da altre società a controllo pubblico. Le stesse società verificano il rispetto del limite massimo del trattamento economico annuo onnicomprensivo dei propri amministratori e dipendenti fissato con il suddetto decreto. Sono in ogni caso fatte salve le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono limiti ai compensi inferiori a quelli previsti dal decreto di cui al presente comma. Il decreto stabilisce altresì i criteri di determinazione della parte variabile della remunerazione, commisurata ai risultati di bilancio raggiunti dalla società nel corso dell'esercizio precedente. In caso di risultati negativi attribuibili alla responsabilità dell'amministratore, la parte variabile non può essere corrisposta.”;

-          Norma transitoria: comma 7: “Fino all'emanazione del decreto di cui al comma 6 restano in vigore le disposizioni di cui all'articolo 4, comma 4, secondo periodo, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, e successive modificazioni, e al decreto del ministero dell'Economia del 24 dicembre 2013, n. 166.”

1. Il regime transitorio che cesserà con l’entrata in vigore del decreto

La norma richiamata dal comma 7, contenuta in ciò che residua dell’art. 4, dopo le abrogazioni operate dal TUSPP, dispone:” 4. (primo periodo abrogato dal d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175). “A decorrere dal 1º gennaio 2015, il costo annuale sostenuto per i compensi degli amministratori di tali società, ivi compresa la remunerazione di quelli investiti di particolari cariche, non può superare l'80 per cento del costo complessivamente sostenuto nell'anno 2013”. (ultimo periodo abrogato dal d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175). 

La mancata approvazione del decreto ha quindi reso applicabile la norma transitoria che, tuttavia, non può essere interpretata secondo il proprio tenore letterale perché non è dato sapere, dopo l’abrogazione dei commi precedenti e degli stessi periodi contenuti nel comma 4, quali siano “tali società”. In tale incertezza, e considerato che si sta trattando di norme eccezionali e derogatorie del codice civile, ci si è chiesto se si poteva fare ricorso ai principi generali del codice, ovvero di quelli del comma 6 dell’art. 11, ai quali si devono informare gli uffici ministeriali per il relativo decreto.

In tale confusione si sono affacciate più tesi interpretative, le quali, chi più chi meno, hanno effettuato esegesi di tipo teleologico. Le sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti si sono più volte pronunciate al riguardo. In ordine di tempo le ultime deliberazioni delle Corti regionali sono state: (i)  Sardegna con la Deliberazione n. 20/2018/PAR  - che conferma le tesi più rigorose e restrittive -  e (ii) Veneto con la Deliberazione n. 31/2018/PAR che invece si pone in modo più dialettico sulla relazione fra norme pubblicistiche e quelle codicistiche, quando non vi è il riferimento al costo sostenuto al 2013, introducendo concetti quali verifica della “spesa strettamente necessaria” e “ in ogni caso, del canone guida di «utilità e ragionevolezza» che deve ispirare ogni spesa di enti statali e locali e dal quale non può esimersi la determinazione dei compensi degli amministratori pagati con risorse pubbliche   

Gli orientamenti del Giudice Contabile si sono basati su questi principi:

-          Il calcolo del limite dei compensi viene effettuato su ogni singola società;

-          Il compenso è omni comprensivo e comprende anche gli speciali incarichi di cui all’art. 2389 cod. civ. (diversamente da come si interpreta la norma secondo la giurisprudenza commerciale che considera gli speciali incarichi come attività da remunerare al di fuori del rapporto di amministratore);

-          L’indennità di risultato che spetta solo nel caso di produzione di utili e in misura comunque non superiore al doppio del compenso onnicomprensivo di cui al primo periodo.

Seguendo quindi i principi assunti dalla Corte dei Conti emerge che, nel regime transitorio, il soggetto sul quale calcolare il limite è la società che da l’incarico di amministratore o meglio la società che sostiene il costo infatti:

o   Va determinato preventivamente il costo complessivamente sostenuto nel 2013. Per costo sostenuto deve considerarsi il componente negativo di reddito risultante dal conto economico del bilancio di esercizio 2013 (manifestazione economica) nonché l’effettiva corresponsione del compenso (manifestazione numeraria). Per quanto attiene la manifestazione numeraria questa va comunque considerata come condizione che si è avverata, anche se verificatasi dopo la chiusura dell’esercizio nel quale è stato imputato il costo; così come spesso accade;

o   Va assunto il valore per il compenso determinato dall’assemblea dei soci. Il valore è “omnicomprensivo”. L’orientamento della Corte fa riferimento a ogni voce di compenso (remunerazione per la carica sia esso fisso o variabile nella misura in cui può essere determinato un compenso di risultato). L’accezione pubblicistica induce a ritenere che esso equivalga al “limite di spesa” sostenibile e quindi debba contenere anche oneri impliciti (contributi ecc.) la cui somma non potrà superare detto limite. Sembrerebbero esclusi i rimborsi per le spese sostenute per l’esercizio della carica. Si dovrebbe trattare di un valore c.d. “lordo”, nel senso che la società non potrà superare tale valore di spesa a prescindere dal diverso titolo afferente il compenso (in questo senso l’art. 11 comma 6 quando, tuttavia, fa riferimento al tetto massimo di euro 240.000,00).

o    Determinato tale valore “complessivo” va confrontato con il costo per il compenso dell’amministratore deliberato dall’assemblea dei soci, ovvero quell’importo che si è tramutato nel costo complessivamente sostenuto nell’esercizio per i compensi degli amministratori.

 Secondo il canone interpretativo utilizzato emerge che ciò che rileva è il soggetto che sostiene il costo (la società) e non rilevano, ai fini del calcolo del limite di legge (e non ai fini della corresponsione), profili del soggetto percipiente (l’amministratore) e ciò in perfetta aderenza al principio di finanza pubblica: il soggetto che eroga e sostiene il costo è colui che è chiamato a rispettare il limite di legge.

2. Il decreto ex art. 11 comma 6 del TUSPP

Il regolamento (“decreto fasce”) esordisce facendo una rassegna delle disposizioni cui si ispira che si vanno ad aggiungere ai principi di cui all’art. 11 comma 6 e così riprende:

-          L’art. 23 bis del d.l. 6/11/2011 convertito con modifiche dalla l. 22/12/2011 n. 124, che in parte si sovrappone con il sopracitato comma 11 dell’art. 11 del TUSPP in quanto anch’esso contiene criteri e principi per la determinazione dei compensi e per l’informativa dell’assemblea dei soci in un’ottica di trasparenza [1] e che non è stato abrogato quindi dal TUSPP;

-          Il regolamento di cui al decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze 23/12/2013 che ha classato in tre fasce di complessità le società a partecipazione statale, che ai sensi dell’art. 11 comma 7 del TUSPP continuerà ad applicarsi fino all’entrata in vigore del presente regolamento;

-          Il d.lgs 24/02/1998 n. 58 che contiene la disciplina delle società di gestione collettiva del risparmio;

-          Il regolamento Banca Italia e Consob sulla disciplina delle politiche di remunerazione incentivanti degli amministratori delle società che gestiscono fondi investimento alternativi;

-          L’art. 38 del Codice dei contratti che qualifica le stazioni appaltanti e le centrali di committenza.

Tutto ciò  richiamati i precedenti legislativi,  nella premessa del regolamento si è ritenuto necessario tenere presente anche i seguenti principi contenuti nella miglior prassi comune ai mercati finanziari che prevede che la remunerazione a) degli amministratori e dei componenti degli organi di controllo è commisurata all’impegno richiesto, alla rilevanza del ruolo ricoperto, nonché alle caratteristiche dimensionali e settoriali dell’impresa; b) degli amministratori esecutivi e dei dirigenti e dipendenti sia definita in modo tale da allineare i loro interessi con il perseguimento dell’obiettivo della creazione di valore per i soci; c) sia adeguata e coerente con la struttura organizzativa secondo criteri oggettivi che tengano conto del ruolo e delle funzioni definite all’interno dell’azienda.

Fa un certo effetto leggere tali principi, tipici delle miglior prassi che presiedono all’ambito motivazionale del management e delle migliori politiche di remunerazione della scienza aziendale, dopo che per oltre due anni l’unico criterio per la definizione del compenso degli amministratori delle società pubbliche è stato quello del c.d. “taglio lineare” basato sul limite invalicabile del costo sostenuto al 2013 ridotto del 80%.

La struttura del regolamento si rifà a pochi principi, di fatto, contenuti in 5 articoli.

Il primo articolo traccia l’ambito soggettivo e non vi è nulla di diverso rispetto alle disposizioni contenute dal TUSPP. Basti osservare che sono incisi dal regolamento le società a controllo pubblico, con esclusione di quelle quotate e da quelle da queste ultime controllate, ai sensi del TUSPP. Non è questa la sede per definire la nozione di società a controllo pubblico prevista dal TUSPP, che atteggiandosi a terzo genus fra controllo ex art. 2359 del cod. civ e “controllo analogo congiunto”, vede una recente presa di posizione del MEF [2] che prende atto della sentenza del Consiglio di Stato Cons. Stato, sez. V, sent. 23 gennaio 2019, n. 578 in merito alla necessità di patti parasociali in forma scritta, affinché sia data prova del controllo e il rinvio alla sezione dell’Autonomie di Roma, da parte della Corte dei Conti dell’Umbria[3] che ravvisa divergenze nelle opinioni espresse, al riguardo, dalla sezioni regionali di controllo. Inoltre in questa sede occorre osservare che il regolamento ha effetto anche ai sensi dell’art. 11 ultimo comma che prevede: “Nelle società a partecipazione pubblica ma non a controllo pubblico, l'amministrazione pubblica che sia titolare di una partecipazione pubblica superiore al dieci per cento del capitale propone agli organi societari l'introduzione di misure analoghe a quelle di cui ai commi 6 e 10.” Norma che coinvolge le società non ha controllo pubblico, sottoponendole a principi di “moral suasion”, attraverso i quali i soci (pubbliche amministrazioni) si devono fare carico, laddove detengono una partecipazione superiore al 10%, al fine di applicare il regolamento in commento. La norma non prevede alcuna sanzione in caso di inosservanza da parte del socio – che non si è fatto parte diligente di prevedere negli atti di governance della società i principi di questo regolamento – ma al contempo non si può escludere una colposa inadempienza del socio – pubblica amministrazione locale – che non si è attivato per rispettare tale principio, ai sensi dell’art. 147 quater del testo unico leggi enti locali (d.lgs 267/2000).

Il secondo articolo definisce le fasce all’interno delle quali devono essere classificate le società a controllo pubblico. La tabella n. 1 individua 5 classi distinte in base al “Valore della produzione”, “totale dell’attivo patrimoniale e fondi gestiti per conto terzi” e “Numero dei dipendenti” (unità). Gli indicatori sono assunti dai relativi valori di bilancio approvati sulla base della media aritmetica dell’ultimo triennio e, ove sussista il bilancio consolidato, vanno assunti i dati desunti da quest’ultimo. Pertanto le holding di partecipazione, come previsto dall’art. 4 comma 5, ultimo periodo del TUSPP, prenderanno a riferimento il bilancio consolidato e non quello di esercizio. Ogni società a controllo pubblico deve avere almeno due requisiti per individuare la propria classe: Così precisa la Relazione illustrativa “Per considerare una società appartenente ad una delle fasce da n. 1 a n. 4 è necessario che la stessa società rispecchi almeno due dei parametri indicati nella stessa fascia (comma 2) ”.  E’ previsto un meccanismo di correzione, quando la società, pur ricadendo nelle fasce sub 3 e sub 4 abbia un patrimonio netto superiore a 100 milioni, in automatico la società viene inserita nella classe n. 2. Viene dunque riconosciuto un nesso di causa ed effetto fra valore patrimonio e compenso: ad un maggior patrimonio netto deve corrispondere un maggior compenso se non altro per le maggior responsabilità che ciò potrebbe comportare.  Il regolamento poi impone alla PA, che intende costituire una società ex novo, di prevedere nell’atto deliberativo, necessario ai sensi dell’art. 7 del TUSPP, di indicare fra gli elementi essenziali dell’atto costitutivo la fascia della tabella n.1 nella quale ricadrà la neo costituita società.

L’articolo 3 prevede i limiti massimi dei trattamenti economici facendo una grande distinzione. Da un lato vi sono i limiti dei trattamenti economici dell’organo ammnistrativo di cui rilevano: l’amministratore unico e l’amministratore delegato[4]. Si tratta dei c.d. amministratori executive cioè quelli che hanno i poteri di gestione e di rappresentanza. In tale gruppo poi confluiscono anche i dirigenti ed i dipendenti. Per tutti questi soggetti i limiti massimi dei trattamenti economici annuali sono indicati nella tabella n. 2 con le seguenti precisazioni:

-          Il trattamento economico previsto in tabella comprende ogni forma di emolumento, anche in forma non monetaria ma suscettibile di valutazione economica, compreso vitto e alloggio per quanto riconducibile a componenti che concorrono alla formazione del reddito imponibile, secondo la normativa e prassi interpretativa vigente: sono in ogni caso escluse le spese di trasferta;

-          In ogni caso  non può essere superato il tetto massimo di euro 240.000,00 tenuto conto anche dei compensi corrisposti (i) da altre pubbliche amministrazioni ovvero  (ii) da altre società a controllo pubblico. È importo da considerarsi lordo comprensivo quindi dei contributi previdenziali assistenziali e gli oneri fiscali a carico del beneficiario.

-          Per gli amministratori unici ovvero delegati una quota del compenso deve essere determinata in misura variabile, non inferiore al 30% della parte fissa. La parte variabile deve essere commisurata al raggiungimento di obiettivi di performance[5]. L’utilizzo della locuzione “deve” sembrerebbe alludere ad un obbligo: vale dire gli amministratori executive devono essere remunerati, per una quota non inferiore al 30%, su base variabile. La ratio dovrebbe essere quella che afferma che essi sono remunerati in ragione delle performances raggiunte. La Relazione sul punto prevede. “I commi 2 e 3 prevedono che la parte variabile del trattamento economico annuo spettante - che non potrà essere inferiore al 30 per cento della componente fissa - dovrà essere commisurata al raggiungimento di obiettivi di performance”. Dal tenore della Relazione si deduce invece che  l’obbligo risiede unicamente nel quantum (non inferiore al 30%) e non alla necessaria determinazione di tale quota variabile.

-          La parte variabile si atteggia quindi a premio di risultato ed è sottoposta alle seguenti condizioni: (i) è determinabile solo in misura non inferiore al 30% della parte fissa del trattamento economico; (ii) deve essere commisurata ad obiettivi di performance, predeterminabili e “misurabili e collegabili alla creazione di valore per i soci ed al conseguimento di risultati positivi di gestione”. Quindi una finalizzazione che non va solo verso le performance della società ma anche a beneficio dei soci. Per i soci deve trattarsi di un nesso di causa ed effetto con l’attività dell’amministratore e la creazione di valore nell’interesse dei primi. Va compreso cosa debba intendersi “creazione di valore” giacché gli amministratori di società (anche pubbliche) agiscono nell’interesse dalla società e non dei soci. Probabilmente la predetta locuzione potrebbe intendersi che a fronte di migliorate performance della società anche il socio beneficia di un maggior valore conseguito dalla propria partecipata; (iii) può essere corrisposta solo in presenza di un margine operativo lordo positivo[6]

L’art. 3 del decreto fasce si occupa anche di definire le determinazioni del trattamento economico nel caso di amministratore delegato nella persona del presidente, in quanto il TUSPP al riguardo ha previsto una specifica disciplina in tema di riparto delle deleghe di poteri fra gli amministratori. In particolare l’art. 11 comma 9 prevede: “Gli statuti delle società a controllo pubblico prevedono altresì: a) l'attribuzione da parte del consiglio di amministrazione di deleghe di gestione a un solo amministratore, salva l'attribuzione di deleghe al presidente ove preventivamente autorizzata dall'assemblea;”. Pertanto nel caso in cui l’assemblea autorizzi l’attribuzione delle deleghe di potere anche al presidente (diverso dall’amministratore delegato) “il relativo trattamento economico annuo riconosciuto per il loro esercizio non possa essere superiore al 30 per cento del compenso massimo previsto per l'amministratore delegato della rispettiva fascia di appartenenza (comma 4).” [7]

La disciplina del cumulo dei trattamenti economici conferma i principi già previsti dal TUSPP ma ne  introduce anche di nuovi.

Il comma 5 dell’art. 3, in commento dispone che i compensi di presidente e amministratore delegato non possono essere cumulati in capo alla stessa persona.

Inoltre si estende il principio in base al quale, in presenza “di un rapporto di lavoro subordinato con la medesima società presso la quale si svolge l'incarico di consigliere di amministrazione, non vi può essere il cumulo anche parziale dei compensi”. Detto principio meglio esplicita quello contenuto nell’art. 11 comma 12 del TUSPP che prevede che: “coloro che hanno un rapporto di lavoro con società a controllo pubblico e che sono al tempo stesso componenti degli organi di amministrazione della società con cui è instaurato il rapporto di lavoro, sono collocati in aspettativa non retribuita e con sospensione della loro iscrizione ai competenti istituti di previdenza e di assistenza, salvo che rinuncino ai compensi dovuti a qualunque titolo agli amministratori “.

Il decreto fasce traccia la distinzione fra compensi spettanti agli amministratori per le deleghe ricevute e quelli invece stabiliti per l’incarico senza deleghe come risulta chiaro dalla Relazione illustrativa ove si afferma, sempre in tema di divieto di cumulo, che: “viene previsto che non sia possibile cumulare i trattamenti economici percepiti per le deleghe (art. 2389, terzo comma, e.e.) con i compensi assembleari (art. 2389, primo comma, e.e.).” Si introduce una distinzione che rappresenta una novità rispetto la disciplina codicistica. Nella società a controllo pubblico i compensi per la carica di amministratore executive (come determinati secondo il decreto fasce) non possono cumularsi con i compensi che spettano agli amministratori no executive (determinati in misura diversa come in appresso precisato).  La Relazione illustrativa poi precisa che i compensi assembleari sono quelli che spettano agli amministratori non executive ex art. 2389 comma 1 del cod. civ. mentre i compensi per le deleghe sono quelli stabiliti per gli amministratori executive ai sensi dell’art. 2389 comma 3 del cod. civ.. Lettura innovativa dell’art. 2389 comma 3 citato in quanto la dottrina rileva che trattasi di attività diverse da quelle ricadenti nella carica di amministratore per le quali “gli amministratori hanno diritto ad essere pagati a parte per le attività che svolgono a favore della società e che esulano dal rapporto di amministrazione (C02/2861). Si ritiene però che non esulino dal rapporto di amministrazione quanto l’amministratore svolge in funzione della sua carica, anche qualora tale attività comporti una particolare competenza professionale, che anzi può essere stata determinante per la fissazione del compenso (C14/22046; C00/11023)”.[8]

I Limiti massimi dei compensi degli amministratori non executive e quegli dell’organo di controllo – come stabiliti al comma 6 - sono ben diversi rispetto a quelli previsti per gli amministratori executive come risulta dalla tabella (3) che si riporta di seguito.

 

                  

In particolare sono stati ridotti i compensi dell’organo di controllo rispetto quelli desumibili dal D.M. 140/2012.[9] In ogni caso alla società, nei limiti indicati nella tabella 3 per i compensi c.d. “assembleari annui”[10] spettanti agli amministratori che ai componenti dell’organo di controllo è rimessa un certo grado di autonomia in relazione all’impegno richiesto, alla rilevanza del ruolo ricoperto, nonché alle caratteristiche dimensionali e settoriali dell’impresa. Anche per i compensi assembleari annuali trattasi di importo al lordo dei contributi previdenziali e assistenziali e degli oneri fiscali a carico del beneficiario.

La determinazione di tutti i trattamenti economici di cui all’art. 3 del decreto fasce deve considerare i divieti di cui al TUSPP, ricordati dall’art. 3, come segue:

-          La carica di vice presidente, essendo meramente una funzione vicaria, non può dare luogo a riconoscimento di compenso;

-          Sono vietati gettoni di presenza e premi di risultato deliberati ex post nonché la previsione di trattamenti di fine mandato. Per i dirigenti è previsto il divieto di vedersi riconosciute indennità di fine mandato diversi o ulteriori rispetto quelli stabiliti dalla legge o dalla contrattazione collettiva ovvero stipulare patti o accordi di non concorrenza, anche si sensi dell’art. 2125 cod.civ.;

Infine va dato atto che per i trattamenti economici disciplinati per amministratori executive e no executive, dirigenti e dipendenti, entro i limiti previsti dal decreto, viene riconosciuta alla società un grado di discrezionalità nella fissazione degli stessi. In particolare il comma 11 stabilisce che. “Le società, nell'ambito della autonomia gestionale, e nell'ottica di garantire un'adeguata e coerente politica di remunerazione, determinano i trattamenti economici da corrispondere, agli amministratori, ai dirigenti e ai dipendenti, secondo principi oggettivi e trasparenti, tenendo conto dell'ampiezza delle deleghe effettivamente attribuite, della posizione aziendale ricoperta e dei connessi profili di responsabilità gestionale-organizzativa nonché in considerazione del contributo effettivamente apportato all'interno dell'organizzazione, pesando ciascun ruolo e graduando il connesso livello di remunerazione in funzione delle competenze espresse nel concreto assolvimento dei relativi compiti.

Il decreto fasce disciplina con dovizia di particolari l’attività di monitoraggio e verifica della determinazione dei trattamenti economici, chiamando in causa, oltre che lo stesso organo amministrativo e quello di controllo della società, anche gli stessi soci.

L’organo amministrativo della società deve verificare il rispetto del limite massimo del trattamento economico omnicomprensivo degli amministratori, dirigenti e dipendenti e deve fornire ai soci pubblici una informativa sulle politiche di remunerazione ed incentivazione messe in atto.

La informativa si sostanzia in una Relazione redatta dall’organo amministrativo, sentito il collegio sindacale (organo di controllo) da fornire all’assemblea dei soci sulla remunerazione in merito alla politica adottata in materia di trattamento economico annuo omnicomprensivo.

La Relazione, che si atteggia a documento a consuntivo e probabilmente da rendere all’assemblea in sede di approvazione del bilancio aggiungendosi – per la società a controllo pubblico – alla relazione sul governo societario ex art. 6 del TUSPP dovrà contenere:

-          L’illustrazione “del possesso degli indicatori dimensionali e dei requisiti previsti dall'articolo 2 del decreto, ai fini dell'individuazione della fascia di appartenenza, e deve illustrare, a titolo esemplificativo, le finalità perseguite con la politica delle remunerazioni, i princìpi che ne sono alla base, i criteri adottati con riferimento alle componenti fisse e variabili, descrivendo inoltre gli obiettivi di performance, in base ai quali viene corrisposta la parte variabile. La relazione dovrà dare evidenza del trattamento economico annuo deliberato ed erogato, distinto nelle sue diverse componenti: fissa, variabile ed eventuali benefici non monetari, suscettibili di valutazione economica, nonché spese di vitto e alloggio diverse da quelle di trasferta.”;

-          una mappatura dell'organigramma aziendale che evidenzi le posizioni apicali nonché i criteri utilizzati per la pesatura di ciascun ruolo e i corrispondenti livelli retributivi”.

Il decreto fasce, qualora ottenesse il placet della conferenza stato regione e autonomie locali e quindi fosse approvato, registrato alla Corte dei Conti si applicherà ai contratti stipulati e agli atti emanati successivamente alla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.

 

 



[1] Art. 23-bis. (Compensi per gli amministratori e per i dipendenti delle società controllate dalle pubbliche amministrazioni).

1. Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 19, comma 6, del decreto-legge 1º luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro il 30 aprile 2016, sentita la Conferenza unificata per i profili di competenza, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, per le società direttamente o indirettamente controllate da amministrazioni dello Stato e dalle altre amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ad esclusione delle società emittenti strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati e loro controllate, sono definiti indicatori dimensionali quantitativi e qualitativi al fine di individuare fino a cinque fasce per la classificazione delle suddette società. Per ciascuna fascia è determinato, in proporzione, il limite dei compensi massimi al quale i consigli di amministrazione di dette società devono fare riferimento, secondo criteri oggettivi e trasparenti, per la determinazione del trattamento economico annuo onnicomprensivo da corrispondere agli amministratori, ai dirigenti e ai dipendenti, che non potrà comunque eccedere il limite massimo di euro 240.000 annui al lordo dei contributi previdenziali e assistenziali e degli oneri fiscali a carico del beneficiario, tenuto conto anche dei compensi corrisposti da altre pubbliche amministrazioni. Le società di cui al primo periodo verificano il rispetto del limite massimo del trattamento economico annuo onnicomprensivo dei propri amministratori e dipendenti fissato con il decreto di cui al presente comma. Sono in ogni caso fatte salve le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono limiti ai compensi inferiori a quelli previsti dal decreto di cui al presente comma. 2. In considerazione di mutamenti di mercato e in relazione al tasso di inflazione programmato, nel rispetto degli obiettivi di contenimento della spesa pubblica, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze si provvede a rideterminare, almeno ogni tre anni, le fasce di classificazione e l'importo massimo di cui al comma 1. 3. Gli emolumenti determinati ai sensi dell'articolo 2389, terzo comma, del codice civile, possono includere una componente variabile che non puo' risultare inferiore al 30 per cento della componente fissa e che e' corrisposta in misura proporzionale al grado di raggiungimento di obiettivi annuali, oggettivi e specifici, determinati preventivamente dal consiglio di amministrazione. Il Consiglio di amministrazione riferisce all'assemblea convocata ai sensi dell'articolo 2364, secondo comma, del codice civile, in merito alla politica adottata in materia di retribuzione degli amministratori con deleghe, anche in termini di conseguimento degli obiettivi agli stessi affidati con riferimento alla parte variabile della stessa retribuzione. 4. Nella determinazione degli emolumenti da corrispondere, ai sensi dell'articolo 2389, terzo comma, del codice civile, i consigli di amministrazione delle società non quotate, controllate dalle società di cui al comma 1 del presente articolo, non possono superare il limite massimo indicato dal decreto del Ministro dell'economia e delle finanze di cui al predetto comma 1 per la società controllante e, comunque, quello di cui al comma 5-bis e devono in ogni caso attenersi ai medesimi principi di oggettività e trasparenza.

[2] MEF – Dipartimento del Tesoro – struttura ex art. 15 del TUSPP: “Rapporto sugli esiti della revisione straordinaria delle partecipazioni pubbliche  (art. 24 del D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175)”.

[3] Corte dei Conti Umbria, deliberazione n. 41/2019/ PRSP   

 

 

[4]

Fascia

Limite al trattamento economico amministratore unico, amministratore delegato, dirigenti e dipendenti

(% del limite massimo di euro 240.000)

1

240.000 (100%)

2

216.000 (90%)

3

192.000 (80%)

4

168.000 (70%)

5

120.000 (50%)

 

[5] Il regolamento riporta a titolo esemplificativo come tali obiettivi possano essere rappresentati dal miglioramento del risultato operativo, efficientamento della struttura organizzativa e riduzione dei costi di struttura.

[6] Glossario finanziario - margine operativo lordo di Borsa Italiana: definizione - Earnings Before Interest, Taxes, Depreciation and Amortisation (EBITDA) rappresenta una misura di margine operativo lordo. E’ una misura ampiamente utilizzata nel calcolo dei flussi di cassa per l'impresa. EBITDA rappresenta una misura di margine operativo lordo (MOL). EBITDA consente di verificare se la società realizza profitti positivi dalla gestione ordinaria. Sommando a EBIT il valore degli Ammortamenti si perviene alla misura di EBITDA. EBITDA si ottiene rielaborando le voci di Conto Economico nel seguente modo:  Fatturato - Costo del venduto = EBITDA (o Margine Operativo Lordo). EBITDA è impiegato come misura di risultato operativo nel calcolo dei flussi di cassa da attività operative. Sottraendo da tale misura gli investimenti in capitale fisso (CAPEX) si ottiene il valore dei Free cash flow (FCF).

[7] Cfr. relazione illustrativa.

[8] In Commentario breve al Diritto delle società – breviaria juris - Maffei Alberti - IV edizione all’art. 2389 cod. civ. .

 

[9] Per i collegi sindacali, stante l’abrogazione delle tariffe professionali, il compenso è liberamente concordabile tra le parti, tuttavia nella libera determinazione del compenso le parti potrebbero trovare un utile riferimento nei parametri individuati dal D.M. 140/2012.

[10] Cfr art. 3 comma 6 del decreto fasce.

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