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I principi di certezza del diritto e di legittimo affidamento tra Corte Costituzionale, Giudice Amministrativo e Corte di Giustizia
di Sandro Manica e Maria del Carmen Jiménez Plaza 26 novembre 2019
Materia: energia / disciplina

I PRINCIPI DI CERTEZZA DEL DIRITTO E DI LEGITTIMO AFFIDAMENTO TRA CORTE COSTITUZIONALE, GIUDICE AMMINISTRATIVO E CORTE DI GIUSTIZIA: IL CASO DEGLI INCENTIVI AL FOTOVOLTAICO

di

Sandro Manica

e

Maria del Carmen Jiménez Plaza

 

***

1. Come è noto, i regimi di sostegno alla produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile sono stati introdotti, nell’ordinamento nazionale, da appositi atti normativi di recepimento delle relative direttive europee 1, ed hanno previsto, per quanto in questa sede maggiormente interessa, un peculiare sistema di incentivazione, riconosciuto dal Gestore dei servizi energetici ai titolari degli impianti fotovoltaici.

I citati atti normativi hanno quindi demandato ad «uno o più decreti» interministeriali - denominati “conti energia” - la definizione dei criteri di incentivazione, al fine, tra l’altro, di «garantire una equa remunerazione dei costi di investimento e di esercizio» 2.

Sicché, a seguito dell’adozione dei decreti in parola – si tratta, in totale, di ben cinque c.d. “conti energia” 3 - sono state avviate le diverse procedure di accesso alle modalità di incentivazione, dirette a conseguire la c.d. Gride Party, ossia il “punto in cui l’energia elettrica da fotovoltaico ha lo stesso costo produttivo dell’energia tradizionale”4 . Le relative condizioni sono state quindi cristallizzate in specifici atti negoziali, stipulati tra gli operatori ed il G.S.E., variamente denominati “convenzioni”5, ovvero “contratti di diritto privato”6 , ed aventi natura di atti convenzionali accessivi ai presupposti provvedimenti concessori di riconoscimento della tariffa incentivante 7.

In questo contesto, al fine di assicurare agli operatori economici la necessaria stabilità e certezza dell’investimento, è stato previsto che “l’incentivo resta costante per tutto il periodo di diritto e può tener conto del valore economico dell’energia prodotta” (art. 24, comma 2, lett. c), D. lgs. 28/2011).

In particolare, la promessa “stabilità” risultava assicurata “con specifico riferimento (non già all’accesso agli incentivi, ma) alla circostanza che gli stessi, una volta riconosciuti, sarebbero rimasti invariati per l’intera durata del rapporto” 8, fissata in vent’anni, decorrenti dalla data di entrata in esercizio dell’impianto.

Pertanto, nell’impianto originario del sistema d’incentivazione, la cristallizzazione del rapporto, nei termini anzidetti sarebbe rimasta aliena alle successive, eventuali riduzioni degli incentivi - poi effettivamente apportate, progressivamente, dai vari “conti energia”, in seguito approvati, con riferimento alle fattispecie, alle quali i medesimi sarebbero risultati applicabili ratione temporis 9.

2. Il regime di sostegno, così come sopra delineato, è rimasto sostanzialmente immutato sino all’entrata in vigore dell’art. 26 del D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, in legge 11 agosto 2014, n. 116, e recante “Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea” (c.d. “Decreto Competitività”).

Con la citata disposizione - denominata “spalma-incentivi obbligatorio” - il Legislatore, al fine di contenere i costi gravanti sulle tariffe elettriche, è intervenuto, tra l’altro, sul regime di incentivazione per l’elettricità prodotta da impianti fotovoltaici, modificando la modalità di erogazione, e rimodulandone l’importo.

Innanzitutto, la disposizione richiamata ha previsto, al comma 2 10, una modifica delle condizioni contrattuali in essere, sostituendo il criterio della “produzione effettiva” con quello della “producibilità media annua”; misura, questa, che, come è stato rilevato, “comporta un’alterazione dei rapporti giuridici in corso consistente nella ritardata percezione del 10% dell’incentivo spettante, qualificato dalla legge in termini di conguaglio” 11.

In secondo luogo, il medesimo art. 26 del citato decreto, al comma terzo 12, ha introdotto un’ulteriore previsione, espressamente finalizzata ad “ottenere una riduzione annua degli incentivi erogati agli impianti fotovoltaici di grossa taglia” 13.

A tali fini, è stata prescritta, a decorrere dal 1° gennaio 2015, la rimodulazione della tariffa incentivante per l’energia prodotta da impianti fotovoltaici di potenza nominale superiore a 200 kW, offrendo ai fruitori degli incentivi la facoltà di scegliere tra le tre diverse opzioni, ivi contemplate, ossia:

a) la rimodulazione del periodo di incentivazione da 20 a 24 anni, con il conseguente ricalcolo della tariffa;

b) il mantenimento del periodo di erogazione ventennale, con una rimodulazione dell’incentivo su due periodi di fruizione, la previsione di una riduzione dell’incentivo per un primo periodo, e di un corrispondente aumento dello stesso nel secondo periodo;

c) il mantenimento del periodo di erogazione ventennale, con una riduzione percentuale fissa (opzione, quest’ultima, imposta de plano in caso di mancata comunicazione, da parte dell’operatore, di adesione ad una diversa soluzione).

Pertanto, con detta previsione il Legislatore ha sostanzialmente imposto il passaggio ad un diverso sistema tariffario, rimodulato in base alle varie opzioni previste. E quel che più conta è che si è trattato, in tutte le ipotesi contemplate, di opzioni comunque idonee ad incidere in senso deteriore sulla posizione dei beneficiari “come stabilita nelle convenzioni di incentivazione stipulate con il Gse, esplicando un effetto novativo sugli elementi della durata o dell’importo delle tariffe incentivanti o su entrambi”14.

3. Come era prevedibile, la novella legislativa, ed i successivi atti attuativi, hanno determinato l’insorgere di un alluvionale contenzioso, avviato mediante la proposizione di molteplici ricorsi dinanzi al Giudice Amministrativo - nello specifico, il T.A.R. per il Lazio - da parte dei titolari degli impianti fotovoltaici, che avevano stipulato le relative convenzioni ventennali con il G.S.E.

Giocoforza, i giudizi si sono incentrati, tutti, su plurime questioni di legittimità costituzionale e di compatibilità comunitaria della disciplina in esame - sulla base della quale erano stati adottati i relativi decreti attuativi, impugnati in sede giudiziaria - ed hanno originato una singolare “navetta” giudiziaria che, allo stato, non si è ancora definitivamente conclusa.

Come si vedrà, infatti - dopo che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 16/2017, ha ritenuto non fondati i rilievi di incostituzionalità, prospettati dal T.A.R. adito nelle relative (ben sessantrè!) ordinanze di rimessione - quest’ultimo ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione europea un’articolata questione pregiudiziale, dubitando della conformità della disciplina in parola con i principi generali del diritto eurounitario, nonché con il diritto derivato in materia di promozione delle energie rinnovabili.

Ma andiamo con ordine. 

4. Nelle ordinanze di rimessione della quaestio legitimitatis, il Giudice Amministrativo ha avanzato alcuni dubbi di costituzionalità della disciplina de qua, sub specie, in particolare, di violazione del “principio di legittimo affidamento (cui è sotteso quello della certezza del diritto)…in relazione al quale è stato elaborato il criterio dell’operatore economico “prudente a accorto” (o dell’applicazione prevedibile”) 15, nonché del principio di proporzionalità.

Secondo il Giudice remittente, infatti, il Legislatore, mediante una specifica “legge-provvedimento” 16, avrebbe introdotto una rimodulazione riduttiva di incentivi contrattualizzati, in maniera del tutto improvvisa ed imprevedibile, posto che non erano mai emersi, in precedenza, elementi “alla stregua dei quali un operatore “prudente e accorto” avrebbe potuto prevedere (…) l’adozione da parte delle autorità pubbliche di misure lesive del diritto agli incentivi stessi”; sicché, la rimodulazione degli incentivi, individuati e predeterminati in un contratto, avrebbe inciso “ingiustificatamente sulle posizioni di vantaggio consolidate”, riconosciute ai relativi fruitori, i quali non avrebbero potuto “prevedere la sopravvenuta modifica peggiorativa del rapporto di durata precedentemente concluso con il GSE. E, con ciò, contravvenendo alle garanzie di stabilità dei regimi incentivanti già in corso e mantenute in occasione delle pregresse rimodulazioni, con fisiologica ripercussione degli effetti negativi sulle scelte (ispirate al canone di “prudenza ed accortezza”) di libera iniziativa economica imprenditoriale dei titolari degli impianti…non adeguatamente compensati da un idoneo meccanismo statale in grado di coprire le prevedibili perdite finanziarie future”.

Inoltre, sempre secondo il Giudice a quo, la sottrazione, in parte, dei crediti spettanti ai produttori fotovoltaici in virtù delle convenzioni già stipulate con il GSE sarebbe altresì “lesiva del principio di proporzionalità, non risultando l’intervento della pubblica autorità adeguatamente bilanciato dalla finalità di diminuire le tariffe elettriche in favore di alcune categorie di consumatori”.

 

Sennonché, le argomentazioni illustrate dal Giudice a quo non sono state condivise dalla Consulta, la quale - con la sentenza 24 gennaio 2017, n. 16, come già sopra rilevato - ha ritenuto non fondata la quaestio legitimitatis proposta.

In primo luogo, il Giudice delle Leggi - pur ribadendo la fondamentale importanza dell’affidamento del cittadino nella “sicurezza giuridica”, quale irrinunciabile elemento cardine dello Stato di diritto - ha confermato, sulla scorta dei consolidati approdi della giurisprudenza costituzionale, che la tutela dell’affidamento non preclude affatto al Legislatore di adottare disposizioni idonee a modificare “sfavorevolmente la disciplina dei rapporti di durata”.

 E’ stato anzi rilevato che siffatte misure legislative possono intervenire, anche qualora incidano su “diritti soggettivi perfetti” - sia pure fermo restando un duplice ordine di limitazioni: a) qualora si tratti di disposizioni retroattive, dovrà essere osservato “il limite costituzionale della materia penale (art. 25, secondo comma, Cost.)”; b) dovrà essere in ogni caso scongiurata l’introduzione di disposizioni che, in ipotesi, trasmodino “in un regolamento irrazionale” ed imprevedibile, e vadano quindi arbitrariamente ad incidere “sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, frustrando così anche l’affidamento del cittadino nella sicurezza pubblica[recte: giuridica]”.

Con specifico riferimento al caso di specie, la Corte ha quindi ritenuto che “l’esame della ratio e del contenuto della norma impugnata induce ad escludere che questa abbia inciso all’interno dei rapporti di durata (…) in modo irragionevole, arbitrario e imprevedibile, così da ledere (…) il principio evocato”. In particolare, l’insussistenza di qualsivoglia “irragionevolezza” ed “arbitrarietà” emergerebbe dagli obiettivi sottesi all’intervento legislativo, consistenti nel perseguimento di finalità perequative, nell’ottica di contemperare il regime di supporto alle energie rinnovabili con “la maggiore sostenibilità dei costi correlativi a carico degli utenti finali dell’energia elettrica”; ciò, tenuto conto del crescente peso degli incentivi sui consumatori finali, chiamati a sostenere i relativi oneri nella bolletta elettrica, e dell’interesse pubblico a diminuire detti oneri, e ridurre conseguentemente le tariffe 17.

D’altra parte, l’intervento legislativo recante la rimodulazione riduttiva degli incentivi non potrebbe nemmeno ritenersi “improvviso” né imprevedibile, e pertanto in contrasto con il principio dell’affidamento, come invece ritenuto dal Giudice remittente.

Difatti, secondo la Corte - se è pur  “vero che, nel contesto di tale complessivo quadro normativo, l’introduzione del regime di sostegno delle energie rinnovabili si presenta assistito da caratteristiche di stabilità a lungo termine per rispondere all’esigenza di creare certezza per gli investitori (…)” -  è altrettanto vero che “la garanzia di costanza dell’incentivo per tutto il periodo di diritto non implica però(…) che la correlativa misura debba rimanere, per venti anni, immutata e del tutto impermeabile alle variazioni proprie dei rapporti di durata”.

Al contrario, la Corte rileva che “nella sequenza evolutiva della normativa di settore non mancano, del resto, indicazioni di segno contrario alla pretesa consolidazione di un “diritto quesito” dei fruitori dell’incentivo a conservarne immutata la misura originaria per l’intero ventennio di convenuta durata del rapporto” 18. In particolare, la pronunzia richiama, sul punto, plurime disposizioni intervenute in materia che, sin dal 2011 19, avrebbero chiaramente prospettato un’evoluzione normativa potenzialmente suscettibile di determinare una futura rideterminazione in peius degli incentivi; pertanto, di detta eventualità avrebbe pianamente dovuto tenere conto un operatore economico effettivamente prudente ed accorto, “considerate le caratteristiche di temporaneità e mutevolezza dei regimi di sostegno”; ed in vero - come evidenziato dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea nella sentenza Plantanol GmbH & Co KG c. Hauptzollamt Darmstadt (C-201/08 del 10 settembre 2009) – l’abolizione anticipata di un regime di favore rientra nel potere discrezionale delle Autorità nazionali, incontrando ostacolo solo nell’affidamento, che nel mantenimento dello stesso potrebbe porre l’«operatore economico prudente e accorto»”. Considerazioni, queste, che la Corte ha ritenuto idonee ad escludere qualsivoglia profilo di lesione del principio del legittimo affidamento, anche sotto i lamentati profili di contrasto con il diritto eurounitario.

5. La citata pronunzia della Corte costituzionale sembrava aver definitivamente risolto la vexata quaestio, nel senso di escludere qualsivoglia profilo di eventuale incostituzionalità - e pure, per il vero, di incompatibilità con il diritto europeo - della disciplina indubbiata. 

Sicché, è con una certa sorpresa che si è appreso che, sempre con riferimento alla disciplina de qua, con l’ordinanza n. 11206/2018, pubblicata il 20 novembre 2018, il medesimo TAR Lazio, Sez. III-ter - dopo aver premesso di ritenere “irrisolti alcuni profili non oggetto della sentenza della Corte costituzionale” – ha ritenuto “comunque necessario…ottenere una pronuncia della Corte di Giustizia sulla compatibilità delle descritte previsioni nazionali con il diritto europeo”.  

In particolare, il Giudice amministrativo ha dubitato che il Legislatore nazionale, anche a fronte di una “diversa e sopravvenuta valutazione degli interessi in gioco che pure possa portare a un “equo bilanciamento” tra gli stessi”, possa legittimamente intervenire su “situazioni già consolidate” in forza di provvedimenti di ammissione agli incentivi, e delle relative convenzioni accessive stipulate con la parte pubblica.

Richiamando plurime pronunzie della Corte di Giustizia, il T.A.R. ha evidenziato il potenziale contrasto della disciplina in esame con i principi generali dell’ordinamento dell’Unione Europea, e, in particolare, con i principi del legittimo affidamento e della certezza del diritto, in ragione della modifica unilaterale, da parte dell’intervento normativo nazionale, delle “condizioni giuridiche sulle quali le imprese ricorrenti avevano impostato la propria attività economica”.

Sul punto - è la considerazione sembra assumere indubbio interesse, come si vedrà - viene espressamente segnalato, tra l’altro, che la modifica legislativa non interviene esclusivamente sulla disciplina generale, applicabile all’impresa, bensì risulta altresì idonea ad incidere negativamente, prima della relativa scadenza, sugli atti negoziali già stipulati con il GSE.

Sicché, il Giudice remittente ritiene necessario che la Corte di Giustizia chiarisca se la “prevedibilità” di una misura legislativa, osservata dal cono visuale dell’operatore economico “prudente e accorto”, possa essere tout court integrata da una diversa, e sopravvenuta, valutazione degli interessi in gioco da parte del Legislatore – pur in difetto di circostanze eccezionali, ed a fronte di atti negoziali già stipulati. Ciò anche alla stregua degli ulteriori parametri, integrati dagli articoli 16 (libertà d’impresa) e 17 (diritto di proprietà) della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

In fine, il TAR ha altresì ventilato il possibile contrasto della disciplina de qua con il diritto europeo derivato, e in particolare con la direttiva 2009/28/CE, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, la quale aveva evidenziato “i necessari caratteri di stabilità e certezza giuridica” dei regimi nazionali di sostegno alla produzione di energia rinnovabile - fondamentali per il perseguimento della primaria finalità di “creare certezza per gli investitori”. Sicché, una disciplina nazionale idonea ad incidere in senso peggiorativo sui regimi di sostegno, che dovrebbero essere caratterizzati da una ragionevole cifra di stabilità, oltre a danneggiare economicamente gli investitori, rischia nel contempo di pregiudicare gli “obiettivi di politica energetica della direttiva 2009/28/CE, frustrandone l’effetto utile e compromettendo il risultato prescritto dalla direttiva stessa”.

Da qui, la rimessione della relativa questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia, alla quale spetterà pertanto l’ultima parola sulla controversa questione 20.

6. In attesa della decisione del Supremo Giudice europeo, non resta che illustrare, in questa sede, alcune, brevi considerazioni conclusive.

In vero, appare evidente che i nodi tuttora irrisolti si connettano alla difficoltà di dipanare, e fissare con esattezza, i confini dei principi della certezza del diritto e della tutela dell’affidamento, per verificare sino a che punto i diritti acquisiti degli operatori economici possano ritenersi, o meno, al riparo da interventi del Legislatore, che scaturiscano da rinnovate, e divergenti, valutazioni degli interessi pubblici sottesi. 

Sul punto, la Corte di Giustizia ha già tracciato alcune, chiare coordinate, anche con recenti pronunzie, rese proprio all’esito di giudizi, scaturiti da domande pregiudiziali proposte da Giudici italiani 21.

In merito, la Corte ha evidenziato che il principio di certezza del diritto - che ha come corollario quello della tutela del legittimo affidamento - impone, innanzitutto, che le norme giuridiche siano chiare e precise 22, in modo che la loro applicazione “sia prevedibile per i soggetti dell’ordinamento, in particolare quando possono avere sugli individui e sulle imprese conseguenze sfavorevoli”; ciò in quanto gli interessati debbono essere posti in condizione di conoscere con esattezza e “senza ambiguità” i loro diritti ed obblighi.

È stato altresì rilevato che la reale ed effettiva prevedibilità di una misura peggiorativa da parte di un operatore economico prudente ed avveduto non consente di invocare la violazione dei predetti principi, in quanto “gli operatori economici non possono fare legittimamente affidamento sul mantenimento di una situazione esistente che può essere modificata nell’ambito del potere discrezionale delle autorità nazionali (…). Così come è stato evidenziato che “un operatore economico non può basare il suo affidamento sulla mancanza totale di modifiche normative, ma unicamente mettere in questione le modalità applicative di siffatte modifiche” 23; difatti, “il principio del rispetto del legittimo affidamento non può giustificare l’intangibilità di una normativa, e ciò in particolare in settori (…) in cui è necessario, e di conseguenza ragionevolmente prevedibile, che le norme in vigore vengano continuamente adeguate alle variazioni della congiuntura economica” 24, né esso può postulare “l’assenza di modifiche legislative, ma richiede piuttosto che il legislatore tenga conto delle situazioni particolari degli operatori economici e preveda, eventualmente, adattamenti all’applicazione delle nuove norme giuridiche”.

In fine, la Corte ha precisato che le misure peggiorative non debbono assumere, di norma, carattere retroattivo, salvo casi eccezionali 25; e che, comunque, dette misure dovrebbero contestualmente prevedere adeguati contrappesi, in grado di limitarne gli effetti pregiudizievoli – sub specie, ad esempio, di misure transitorie, dirette ad attenuare l’impatto negativo della nuova disciplina.

In sostanza, la certezza del diritto e la tutela dell’affidamento possono cedere di fronte all’esercizio del potere discrezionale delle Autorità nazionali, allorquando le misure pregiudizievoli, pur se retroattive, siano debitamente motivate, risultino giustificate da circostanze eccezionali e la loro introduzione sia dovuta dalla necessità di perseguire uno scopo di interesse generale, e purché la loro introduzione sia “prevedibile” per i destinatari della misura.

Ciò posto, e venendo al caso di specie, sembra acquisire particolare interesse lo scrutinio della Corte di Giustizia, diretto a valutare la compatibilità della disciplina indubbiata con le sopra richiamate coordinate, soprattutto sotto uno specifico angolo visuale - non a caso, enfatizzato dal Giudice remittente: nell’ipotesi in esame - al contrario che in altre fattispecie, già sottoposte al giudizio della Corte - la normativa sopravvenuta risulta idonea ad incidere sensibilmente non solo sulla disciplina generale dell’attività, bensì anche sui contenuti degli specifici atti negoziali, già stipulati con la Parte pubblica, con i quali erano stati precisamente e concretamente definiti i termini dell’incentivazione.

Sicché, nel caso, la valutazione in punto di eventuale lesione del principio di certezza del diritto e di tutela dell’affidamento potrebbe assumere sfumature diverse, posto che l’intervento non ha riguardato esclusivamente gli incentivi, e gli investimenti, futuri, bensì anche quelli già consolidati nelle predette convenzioni. Parimenti, andrà verificato se la misura legislativa de qua – tenuto conto dei modi e dei tempi di approvazione (disciplina introdotta con decretazione d’urgenza, e priva, in sede di presentazione del disegno di legge di conversione, delle apposite relazioni sull’analisi tecnico-normativa - ATN, e sull’analisi di impatto della regolamentazione - AIR) 26, nonché dei relativi contenuti (“legge provvedimento”) – possa essere ritenuta conforme alle coordinate sopra richiamate, con particolare riferimento ai caratteri di “prevedibilità”, in concreto, della misura, e di “non retroattività”, salvo ipotesi eccezionali, dell’intervento.

Il tutto, senza ovviamente trascurare che, sul punto, è già intervenuta la Corte costituzionale, per cui sarà interessante verificare l’emergere di eventuali sensibilità diverse, o, al contrario, pienamente convergenti, nella definizione dei confini applicativi dei principi in parola.

 

* Sandro Manica, Avvocato, PhD, docente di Diritto dell’Energia presso l’Università degli Studi di Trento;

Maria del Carmen Jiménez Plaza, Doctora en Derecho Administrativo.

Il presente contributo, frutto della collaborazione tra i due autori, è da attribuirsi, nello specifico, quanto ai paragrafi 1-3 a Maria del Carmen Jiménez Plaza, e quanto ai paragrafi 4-6 a Sandro Manica.

 

Note:

1) Si tratta del D. lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 (“Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità”), e, in seguito, del D. lgs. 3 marzo 2011, n. 28 (“Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE”).

2) Cfr. l’art. 7 del citato D.lgs. n. 387/2003, rubricato «Disposizioni specifiche per il solare», ed ora abrogato.

3) V. i Decreti interministeriali del 28/07/2005 e del 06/02/2006 (I° Conto Energia); D.M. 19/02/2007 (II° Conto Energia) D.M. 06/08/2010 (III° Conto Energia), D.M. 05/05/2011 (IV° Conto Energia); e D.M. 05/07/2012 (quinto Conto Energia). 

4) Cfr. www.nextville.it (Quinto Conto energia: Tempi, budget e meccanismo generale).

5) Cfr. I primi tre “conti energia”.

6) Come è stato osservato, “si tratta di atti aventi la medesima natura. Tanto la “convenzione” quanto il “contratto” hanno infatti lo scopo di regolamentare il rapporto giuridico tra il GSE e il soggetto responsabile dell’impianto, secondo il consueto modello dei rapporti concessori, nei quali accanto al provvedimento di concessione l’amministrazione concedente e il privato concessionario concludono un contratto (c.d. accessivo) per la disciplina delle rispettive obbligazioni” (Cfr. TAR Lazio, Sez. III, ordinanza 3 luglio 2015, n. 294).

7) TAR Lazio, Sez. III, sentenza 11 novembre 2015, n. 12812.

8) TAR Lazio, Sez. III, ordinanza 3 luglio 2015, n. 294.

9) Si evidenzia che già il III° conto energia (decreto ministeriale 6 agosto 2010) aveva rilevato la necessità di “intervenire al fine di aggiornare le tariffe incentivanti, alla luce della positiva decrescita dei costi della tecnologia fotovoltaica, al fine di rispettare il principio di equa remunerazione dei costi" e "di stimolare l’innovazione e l'ulteriore riduzione dei costi"; in particolare, la progressiva diminuzione delle tariffe, da un lato, avrebbe mirato all’allineamento graduale verso gli attuali costi delle tecnologie, e, dall’altro, avrebbe dovuto mantenere stabilità e certezza sul mercato.

10) Per l’esattezza, la citata disposizione stabilisce che “a decorrere dal secondo semestre 2014, il Gestore dei servizi energetici S.p.A. eroga le tariffe incentivanti di cui al comma 1, con rate mensili costanti, in misura pari al 90 per cento della producibilità media annua stimata di ciascun impianto, nell’anno solare di produzione ed effettua il conguaglio, in relazione alla produzione effettiva, entro il 30 giugno dell’anno successivo.  Le modalità operative sono definite dal GSE entro quindici giorni dalla pubblicazione del presente decreto e approvate con decreto del Ministro dello sviluppo economico.".

11) TAR Lazio, Sez. III, ordinanza 20 novembre 2018, n. 11206.

12) La norma in esame prevede che "a decorrere dal 1° gennaio 2015, la tariffa incentivante per l'energia prodotta dagli impianti di potenza nominale superiore a 200 kW è rimodulata, a scelta dell'operatore, sulla base di una delle seguenti opzioni da comunicare al GSE entro il 30 novembre 2014:

      a) la tariffa è erogata per un periodo di 24 anni, decorrente dall'entrata in esercizio degli impianti, ed è conseguentemente ricalcolata secondo la percentuale di riduzione indicata nella tabella di cui all'allegato 2 al presente decreto;

      b) fermo restando il periodo di erogazione ventennale, la tariffa è rimodulata prevedendo un primo periodo di fruizione di un incentivo ridotto rispetto all’attuale e un secondo periodo di fruizione di un incentivo incrementato in ugual misura. Le percentuali di rimodulazione sono stabilite con decreto del Ministro dello sviluppo economico, sentita l’Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, da emanare entro il 1° ottobre 2014 in modo da consentire, nel caso di adesione di tutti gli aventi titolo all'opzione, un risparmio di almeno 600 milioni di euro all'anno per il periodo 2015/2019, rispetto all’erogazione prevista con le tariffe vigenti;

      c) fermo restando il periodo di erogazione ventennale, la tariffa è ridotta di una quota percentuale dell'incentivo riconosciuto alla data di entrata in vigore del presente decreto, per la durata residua del periodo di incentivazione, secondo le seguenti quantità:

        1) 6 per cento per gli impianti aventi potenza nominale superiore a 200 kW e fino alla potenza nominale di 500 kW;

        2) 7 per cento per gli impianti aventi potenza nominale superiore a 500 kW e fino alla potenza nominale di 900 kW;

        3) 8 per cento per gli impianti aventi potenza nominale superiore a 900 kW.

    In assenza di comunicazione da parte dell’operatore il GSE applica l'opzione di cui alla lettera c)."

13) Cfr. CAMERA DEI DEPUTATI (XVII LEGISLATURA). Documentazione per l’esame di Progetti di legge “Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universitaria (D.L Competitività) D.L. 91//2014 – A.C. 2568. Schede di lettura n. 209. 29 luglio 2014, p. 356.

14) Cfr. TAR Lazio, Sez. III, ordinanza 20 novembre 2018, n. 11206. Ed in vero, anche la seconda opzione proposta risulta peggiorativa per gli operatori, posto che, come è stato osservato, essa “non tiene conto del fisiologico invecchiamento degli impianti, assoggettati nel corso del tempo a una diminuzione di produttività, sicché, venendo l’incentivo determinato in funzione della produzione, la riduzione che intervenga in un periodo di maggiore efficienza degli impianti stessi (2015-2019), non potrà essere compensata con gli incrementi delle tariffe riferibili al periodo successivo (nel quale gli impianti stessi hanno minore efficienza)”.

15) TAR Lazio Sez. III, Ordinanza 3 luglio 2015, n. 294.

16) TAR Lazio Sez. III, Ordinanza 3 luglio 2015, n. 294. Sul punto, il Giudice rileva che “si è precisato che nella fattispecie in esame l’esigenza di tutela giurisdizionale è qualificata dal fatto che la posizione della parte istante è incisa da una “legge-provvedimento”(…)”detta qualificazione è stata desunta non soltanto dalla finalità dell’intervento (“ottimizzare la gestione dei tempi di raccolta ed erogazione degli incentivi e favorire una migliore sostenibilità nella politica di supporto alle energie rinnovabili”) ma , soprattutto, dal meccanismo di operatività della rimodulazione, atteso che la norma (…) concerne i soli titolari di impianti fotovoltaici di potenza nominale superiore a 200 kW(…)”. “La qualificazione in termini di legge -provvedimento dell’art. 26, comma 3, cit. costituisce ulteriore argomento ai fini dell’ammissibilità (dell’azione di accertamento) sia perché gli obblighi lesivi per la parte ricorrente sono direttamente riconducibili alla norma primaria sia perché questo tipo di azione costituisce il necessario strumento per poter accedere alla tecnica d tutela tipica (sindacato di legittimità costituzionale) dell’atto (legge-provvedimento) pregiudizievole per il destinatario”.

17) “Il legislatore del 2014 è intervenuto, infatti, in un contesto congiunturale nel quale – a fronte della remuneratività delle tariffe incentivanti (…) era venuto specularmente in rilievo il crescente peso economico di tali incentivi sui consumatori finali di energia elettrica (…). Ed ha operato, con logica perequativa, al dichiarato fine di «favorire una migliore sostenibilità nella politica di supporto alle energie rinnovabili» (art. 26, comma 1, d.l. n. 91 del 2014) e di «pervenire ad una più equa distribuzione degli oneri tariffari fra le diverse categorie di consumatori elettrici», prevedendo a tal proposito che i minori oneri per l’utenza derivanti dalla rimodulazione degli incentivi per gli impianti fotovoltaici siano, appunto, «destinati alla riduzione delle tariffe elettriche dei clienti di energia elettrica in media tensione e di quelli in bassa tensione […]» (art. 23 d.l. citato)” Corte Costituzionale 24 gennaio 2017, n. 16/2017.

18) Corte Costituzionale 24 gennaio 2017, n. 16.

19) Sul punto, la Consulta rileva, in particolare che l’articolo 23, comma 1, del D.lgs. n. 28/2011 coniugava espressamente l’obiettivo della «stabilità nel tempo dei sistemi di incentivazione» con quelli di «armonizzazione con altri strumenti di analoga finalità e […] riduzione degli oneri di sostegno specifici in capo ai consumatori» Anche il “terzo conto energia” “richiamava la necessità di intervenire al fine di adeguare le tariffe incentivanti alla luce della decrescita dei costi della tecnica fotovoltaica per rispettare il principio di equa remunerazione degli investimenti; il quarto conto energia “prevedeva, a sua volta, la possibilità di rivedere le modalità di incentivazione”, e addirittura “nella Convenzione-tipo, approvata con delibera dell’AEEG del 6 dicembre 2012, si legge poi, testualmente (sub art. 17, punto 17.3), che «Il GSE si riserva di modificare unilateralmente le clausole della presente Convenzione che, per effetto di eventuali evoluzioni normative e regolamentari, siano in contrasto con il vigente quadro di riferimento»”. “E il decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145 (…), convertito con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2014, n. 9, immediatamente precedente alla normativa censurata, ancora una volta sottolineava, in premessa, la «straordinaria necessità ed urgenza di emanare misure per l’avvio del piano “Destinazione Italia”, per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas», quali fattori essenziali di rilancio della competitività delle imprese e di attrazione di investimenti nel nostro Paese”.

20) Il quesito sottoposto alla Corte è esattamente il seguente: “Se il diritto dell’Unione europea osti all’applicazione di una disposizione nazionale, come quella di cui all’art. 26, commi 2 e 3, del d.l. n. 91/2014, come convertito dalla legge 116/2014, che riduce ovvero ritarda in modo significativo la corresponsione degli incentivi già concessi per legge e definiti in base ad apposite convenzioni sottoscritte dai produttori di energia elettrica da conversione fotovoltaica con il Gestore dei servizi energetici S.p.A., società pubblica a tal funzione preposta; in particolare se tale disposizione nazionale sia compatibile con i principi generali del diritto dell’Unione europea di legittimo affidamento, di certezza del diritto, di leale collaborazione ed effetto utile; con gli artt. 16 e 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; con la direttiva n. 2009/28/CE e con la disciplina dei regimi di sostegno ivi prevista; con l’art. 216, par. 2, TFUE, in particolare in rapporto al Trattato sulla Carta europea dell’energia”.

21) Corte di Giustizia UE, sentenza 11 luglio 2019, Agrenergy Srl.- Fusignano Due Srl/MISE (cause riunite C-180/18, C-286/18 e C- 287/19), aventi ad oggetto tre domande di pronunzia pregiudiziale, proposte dal Consiglio di Stato

Nei procedimenti principali, i ricorrenti avevano impugnato il c.d. “quinto conto energia”, che aveva disposto una consistente riduzione degli incentivi, chiedendo di poter fruire della tariffa incentivante più vantaggiosa, prevista dal quarto conto energia. Il giudice remittente ha quindi sottoposto alla Corte di Giustizia il seguente quesito: “se l’art. 3, comma 3, lett a) della Direttiva 2009/28 debba essere interpretato – anche alla luce del generale principio di tutela del legittimo affidamento e del complessivo assetto della regolazione apprestata dalla Direttiva in punto di incentivazione della produzione di energia da fonti rinnovabili – nel senso di escludere la compatibilità con il diritto UE di una normativa nazionale che consenta al Governo italiano di disporre, con successivi decreti attuativi, la riduzione o, financo, l’azzeramento delle tariffe incentivanti in precedenza stabilite”.

Nel caso, la Corte ha escluso qualsivoglia contrasto del quadro normativo nazionale con il diritto europeo.

In primo luogo, ha ritenuto che “gli Stati membri non sono affatto obbligati, al fine di promuovere l’uso dell’energia da fonti rinnovabili, ad adottare regimi di sostegno. Essi godono quindi di un potere discrezionale quanto alle misure che ritengono necessarie per raggiungere gli obiettivi nazionali generali obbligatori fissati (…). Un tale potere discrezionale implica che gli Stati membri sono liberi di adottare, modificare o sopprimere regimi di sostegno purché, in particolare, tali obiettivi siano raggiunti”.

Peraltro, il principio di certezza del diritto, che ha come corollario quello della tutela del legittimo affidamento, impone, da un lato, che le norme di diritto siano chiare e precise e, dall’altro, che la loro applicazione sia prevedibile per i soggetti dell’ordinamento, in particolare quando possono avere sugli individui e sulle imprese conseguenze sfavorevoli. In particolare, detto principio impone che una normativa consenta agli interessati di conoscere con esattezza la portata degli obblighi che essa impone loro e che questi ultimi possano conoscere senza ambiguità i loro diritti e i loro obblighi e regolarsi di conseguenza…Per quanto riguarda il principio di tutela del legittimo affidamento, da una giurisprudenza costante della Corte risulta che la possibilità di far valere quest’ultimo è prevista per ogni operatore economico nei cui confronti un’autorità nazionale abbia fatto sorgere fondate aspettative. Tuttavia, qualora un operatore economico prudente ed avveduto sia in grado di prevedere l’adozione di un provvedimento idoneo a ledere i suoi interessi, esso non può invocare detto principio nel caso in cui il provvedimento venga adottato. Inoltre, gli operatori economici non possono fare legittimamente affidamento sul mantenimento di una situazione esistente che può essere modificata nell’ambito del potere discrezionale delle autorità nazionali (…).

Nel caso di specie, la Corte ha rilevato che le disposizioni regolamentari italiane, che hanno disciplinato la fattispecie de qua, fissando le condizioni per l’accesso alle tariffe incentivanti, rispettivamente, del quarto e del quinto conto energia, erano state debitamente pubblicate ed erano sufficientemente precise, sicché la loro applicazione, in linea di principio, avrebbe dovuto essere ben prevedibile per gli operatori economici interessati. Ed in vero, “siffatte disposizioni erano idonee a indicare subito a operatori economici prudenti e avveduti che il regime di incentivazione applicabile agli impianti solari fotovoltaici poteva essere adeguato, o perfino soppresso, dalle autorità nazionali per tener conto dell’evoluzione di talune circostanze e che, pertanto, le disposizioni della suddetta normativa non potevano dare fondamento ad alcuna certezza in ordine al mantenimento di siffatto regime nel corso di un determinato periodo”.

Sicché, secondo la Corte, la possibilità, concessa agli Stati con la direttiva 2009/28, di introdurre appositi regimi di sostegno per raggiungere gli obiettivi nazionali di produzione di energia elettrica da fonte fotovoltaica “non osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nei procedimenti principali, che consente a uno Stato membro di prevedere la riduzione, o perfino la soppressione, delle tariffe incentivanti in precedenza stabilite per l’energia prodotta da impianti solari fotovoltaici”.

22) Si veda il punto 46 della sentenza della Corte di giustizia del 10 settembre 2009, Plantanol GmbH & Co. KG, C-201/08. Cfr. anche il punto 77 della sentenza della Corte di giustizia 11 giugno 2015, Berlington Hungary, C-98/14.

23) Corte di giustizia, 11 giugno 2015, Berlington Hungary, C-98/14 cit.

24) Corte di giustizia, 23 novembre 1999, Repubblica Portoghese/Consiglio, C-149/96.

25) Corte di giustizia, 13 novembre 1990, The Queen/Ministry of Agriculture, Fisheries and Food, ex parte Fedesa e a., C-331/88, laddove si precisa che “(…) benché in linea di massima il principio della certezza delle situazioni giuridiche osti a che l'efficacia nel tempo di un atto comunitario decorra da una data anteriore alla sua pubblicazione, una deroga è possibile, in via eccezionale, qualora lo esiga lo scopo da raggiungere e purché il legittimo affidamento degli interessati sia debitamente rispettato”. (…). È tuttavia opportuno ricordare che, sebbene secondo questa giurisprudenza l'effetto retroattivo della decisione comunitaria non sia necessariamente escluso, occorre che le decisioni aventi un effetto del genere contengano nella motivazione le considerazioni che giustificano l'effetto retroattivo voluto (…)…Cfr. anche, sempre nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, il punto 49 della sentenza 21 febbraio 1991 (cause riunite C-143/88 e C-92/89) – Zuckerfabrik), nonché i punti 9 e 10 della sentenza 1 aprile 1993 (procedimenti riuniti C-260/91 e C-261/91 – Diversinte SA e Iberlacta SA).

26) “Il decreto-legge, approvato dal Consiglio dei ministri nella riunione del 13 giugno 2014, è stato pubblicato in "Gazzetta ufficiale" e presentato al Senato, in prima lettura, a distanza di 11 giorni, il 24 giugno 2014. Il relativo disegno di legge di conversione non è corredato della relazione sull'analisi tecnico-normativa (ATN); manca altresì la relazione sull'analisi di impatto della regolamentazione (AIR). La relazione illustrativa non contiene nessun riferimento all'esclusione dall'obbligo di redazione dell'AIR.

L'obbligo per il Governo di redigere l'AIR e gli eventuali casi di esclusione sono stabiliti dall'articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246. L'ATN dà conto dell'impatto normativo e della qualità redazionale dei testi sottoposti dal Governo al Parlamento; l'AIR consiste nella preventiva valutazione degli effetti della regolazione sull'ordinamento. Le due relazioni sono disciplinate, rispettivamente, dalla direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri in data 10 settembre 2008 e dal regolamento approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 settembre 2008, n. 170. Quest'ultimo, all'articolo 9, comma 3, prevede che si debba motivare l'eventuale esclusione dall'obbligo di redazione dell'AIR, indicando comunque in maniera sintetica "la necessità ed i previsti effetti dell'intervento normativo sulle attività dei cittadini e delle imprese e sull'organizzazione e sul funzionamento delle pubbliche amministrazioni, dando conto della eventuale comparazione di opzioni regolatorie alternative" (Cfr. CAMERA DEI DEPUTATI. Servizi Studi XVII Legislatura. Documentazione per l’attività consultiva del Comitato per la legislazione. Di Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l'efficientamento energetico dell'edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea D.L. 91/2014 / A.C. 2568 Dossier n° 59 - Elementi di valutazione sulla qualità del testo e su specificità, omogeneità e limiti di contenuto del decreto-legge 31 luglio 2014), p.1 e 2.

 

 

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