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I servizi pubblici locali
Camera dei deputati - Dossier di documentazione n. 100
di Camera dei deputati 21 febbraio 2020
Materia: servizi pubblici / disciplina
Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Finanze
Titolo: I servizi pubblici locali
Serie: Documentazione e ricerche   Numero: 100
Data: 21/02/2020
Organi della Camera: VI Finanze


 

Camera dei deputati

XVIII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

I servizi pubblici locali

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 100

 

 

 

21 febbraio 2020

 


Servizio responsabile:

SERVIZIO STUDI – Dipartimento Finanze

( 066760-9496 – * st_finanze@camera.it - Twitter_logo_blue.png @CD_finanze

 

 

 

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File: FI0130.docx

 



LA DISCIPLINA DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI

Nel nostro ordinamento la disciplina dei servizi pubblici locali di interesse economico generale ha subito numerose modifiche, dovute anche alla necessità di armonizzare la normativa nazionale con i principi comunitari. Negli ultimi anni gli interventi del legislatore si sono concentrati sull'assetto organizzativo per lo svolgimento dei servizi di interesse economico generale. In particolare, è stato introdotto l'obbligo per gli enti locali di partecipare agli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali ed è intervenuta la legge Delrio che ha riconosciuto in capo alle città metropolitane la titolarità, quale funzione fondamentale, dei compiti di organizzazione dei servizi di interesse generale di ambito metropolitano. Inoltre con il nuovo Codice appalti è stata rielaborata la disciplina in materia di affidamenti in house per adeguarla alle direttive europee del 2014 in materia di concessioni e appalti dei settori ordinari e speciali.

L'affidamento dei servizi pubblici locali

Sulle modalità di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali (SPL) di rilevanza economica si sono succedute diverse discipline, specie nel corso della XVI legislatura, nella cui successione temporale si sono inserite sia un'abrogazione referendaria (2011) sia una pronuncia di illegittimità costituzionale (2012). Tali interventi si sono succeduti in un ristretto contesto temporale e sono stati adottati, per lo più, con provvedimenti d'urgenza.

In particolare, il riferimento generale per la disciplina applicabile nell'ordinamento italiano in materia di affidamento del servizio è rappresentato dalla normativa europea (direttamente applicabile) relativa alle regole concorrenziali minime per le gare ad evidenza pubblica che affidano la gestione di servizi pubblici di rilevanza economica (Corte cost., sentenza n. 24 del 2011).

 

La sentenza n. 199 del 2012 della Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, (conv. L. n. 148/2011), nella parte in cui tale disposizione, rubricata come «Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum   popolare e alla normativa dall'Unione europea», detta la nuova disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica in luogo dell'art. 23- bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, abrogato a seguito del referendum del 12 e 13 giugno 2011. Secondo la Corte, infatti, costituisce effettivamente ripristino della normativa abrogata, considerato che essa introduce una nuova disciplina della materia, «senza modificare né i principi ispiratori della complessiva disciplina normativa preesistente né i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti», in palese contrasto, quindi, con l'intento perseguito mediante il referendum abrogativo.

 

Secondo la normativa dell'Unione europea gli enti locali possono procedere ad affidare la gestione dei servizi pubblici locali attraverso:

§  esternalizzazione a terzi mediante procedure ad evidenza pubblica, secondo le disposizioni in materia di appalti e concessioni di servizi;

§  società mista pubblico-privata, la cui selezione del socio privato avvenga mediante gara a doppio oggetto;

§  gestione diretta da parte dell'ente locale, cosiddetta gestione "in house", purché sussistano i requisiti previsti dall'ordinamento comunitario, e vi sia il rispetto dei vincoli normativi vigenti. In particolare, la giurisprudenza europea consente la gestione diretta del servizio pubblico da parte dell'ente locale, allorquando l'applicazione delle regole di concorrenza ostacoli, in diritto o in fatto, la «speciale missione» dell'ente pubblico (art. 106 TFUE), alle sole condizioni del capitale totalmente pubblico della società affidataria, del cosiddetto controllo "analogo" (il controllo esercitato dall'aggiudicante sull'affidatario deve essere di "contenuto analogo" a quello esercitato dall'aggiudicante sui propri uffici) ed infine dello svolgimento della parte più importante dell'attività dell'affidatario in favore dell'aggiudicante.

Per i servizi a rete di rilevanza economica il soggetto che affida il servizio deve tener conto sia della disciplina europea sia delle norme nazionali settoriali.

La scelta delle modalità di affidamento del servizio è rimessa dalla normativa vigente all'ente di governo dell'ambito o bacino territoriale, al quale partecipano obbligatoriamente gli enti locali, sulla base di una relazione, da rendere pubblica sul sito internet dell'ente stesso, che deve dare conto "delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche (se previste)" (art. 34, co. 20-25, del D.L. n. 179 del 2012, convertito da L. n. 221/2012).

Obiettivi dell'obbligo di pubblicare la relazione sono:

§  il rispetto della disciplina europea;

§  la parità tra gli operatori;

§  l'economicità della gestione;

§  l'adeguata informazione della collettività di riferimento.

Pertanto, la scelta della modalità di affidamento risulta rimessa alla valutazione dell'ente locale, nel presupposto che la discrezionalità in merito sia esercitata nel rispetto dei principi europei; di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi. Da tale disciplina sono stati espressamente esclusi i servizi di distribuzione di gas naturale e di distribuzione di energia elettrica, nonché quelli di gestione delle farmacie comunali.

Gli enti di governo sono tenuti ad inviare le relazioni all'Osservatorio per i servizi pubblici locali, istituito presso il Ministero dello sviluppo economico (MISE), che provvede a pubblicarle nel proprio portale telematico contenente dati concernenti l'applicazione della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica sul territorio (art. 13, co. 25-bis, D.L. 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 9/2014).

 

La normativa richiamata aveva previsto anche una disciplina transitoria (art. 34, co. 21), disponendo che gli affidamenti in essere alla data di entrata in vigore del decreto non conformi ai requisiti previsti dalla normativa europea, dovevano essere adeguati entro il 31 dicembre 2013. Per gli affidamenti in cui non è prevista una data di scadenza, gli enti competenti provvedono contestualmente ad inserire nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto un termine di scadenza dell'affidamento, prescrivendo, comunque, che il mancato adempimento degli obblighi previsti determina la cessazione dell'affidamento alla data del 31 dicembre 2013. In deroga a quanto previsto dalla disposizione originaria, nel corso della XVII legislatura è stata disposta la proroga della durata degli affidamenti in essere alla data di entrata in vigore del D.L. n. 179/2012 (18 ottobre 2012) fino al subentro del nuovo gestore e comunque non oltre il 31 dicembre 2014 (art. 13, co. 1, D.L. n. 150/2013, conv. dalla L. n. 15/2014). Inoltre, si è stabilito che la mancata deliberazione dell'affidamento entro il termine del 30 giugno 2014 comporta l'esercizio dei poteri sostitutivi da parte del Prefetto competente per territorio, le cui spese sono a carico dell'ente inadempiente, che provvede agli adempimenti necessari al completamento della procedura di affidamento entro il 31 dicembre 2014. Il mancato rispetto del termine comporta la cessazione degli affidamenti non conformi ai requisiti previsti dalla normativa europea alla data del 31 dicembre 2014.

 

Disposizioni particolari sono state stabilite per gli "affidamenti diretti" (cioè senza gara) in essere alla data di entrata in vigore del D.L. n. 179/2012 (18 ottobre 2012), anche se non conformi alla normativa europea. Per questi era inizialmente previsto che cessassero alla scadenza prevista nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto; mentre gli affidamenti che non prevedevano una data di scadenza sarebbero cessati il 31 dicembre 2020 (art. 34, co. 22). Tale particolare regime veniva previsto solo a condizione che gli affidamenti: fossero stati assentiti alla data del 1º ottobre 2003; riguardassero società a partecipazione pubblica già quotate in borsa alla data del 1° ottobre 2003 ovvero società da esse controllate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile.

A seguito delle procedure di infrazione UE n. 2012/2050 e 2011/4003, nel 2015 il legislatore è nuovamente intervenuto sulla questione, disponendo che: 

a) siano salvi gli affidamenti diretti assentiti a società a partecipazione pubblica già quotate in mercati regolamentati prima del 31 dicembre 2004 e a quelle da esse controllate. Tali affidamenti, come già previsto, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto, oppure entro il 31 dicembre 2020, se gli affidamenti non prevedono una data di scadenza, improrogabilmente e senza necessità di apposita deliberazione dell'ente affidante;

b) gli affidamenti diretti a società poste, dopo il 31 dicembre 2004, sotto il controllo di società quotate, a seguito di operazioni societarie effettuate in assenza di procedure conformi alle disposizioni dell'Unione europea, cessano improrogabilmente, e senza necessità di apposita deliberazione dell'ente affidante, il 31 dicembre 2018, oppure alla scadenza prevista nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto, se anteriore al 31 dicembre 2018 (art. 8, L. n. 115/2015, che ha sostituito l'art. 34, co. 22, del D.L. n. 179/2012).

 

Non è invece giunto a conclusione il tentativo di riordinare in modo organico le disposizioni vigenti in modo da rendere intellegibili le regole applicabili in materia per le amministrazioni e gli operatori del settore. Infatti, la norma di delega per l'adozione di un Testo unico dei servizi pubblici locali (art. 19, L. 124 del 2015) non ha concluso il proprio iter nel corso della XVII legislatura, anche alla luce della sopravvenuta giurisprudenza costituzionale sulle forme di coinvolgimento delle regioni nel percorso istitutivo.

 

Il nuovo codice appalti e le previsioni sull'affidamento in house

Con il nuovo Codice appalti (D.Lgs. n. 50/2016), così come modificato dal decreto correttivo (D.Lgs. n. 56/2017), sono state recepite le disposizioni in materia di affidamenti in house contenute nelle direttive europee in materia di concessioni e appalti dei settori ordinari e speciali (acqua, energia, trasporti e servizi postali).

 

Si tratta dell'art. 17 della direttiva 2014/23/UE (Concessioni tra enti nell'ambito del settore pubblico), dell'art. 12 della direttiva 2014/24/UE (Appalti pubblici tra enti nell'ambito del settore pubblico), dell'art. 28 della direttiva 2014/25/UE (Appalti tra amministrazioni aggiudicatrici), i quali - con identiche disposizioni - disciplinano tipologie di concessioni e di appalti che presentano caratteristiche tali da poter essere escluse dall'ambito di applicazione della normativa europea in materia di procedure di affidamento dei contratti pubblici e da consentire il ricorso all'affidamento in house. Tra le disposizioni europee richiamate, la previsione di cui all'art. 12 della direttiva 2014/24/UE, che disciplina l'in house nei settori classici, può essere assunta a paradigma anche per l'in house nell'ambito delle concessioni e dei settori speciali, vista l'identità dei testi normativi specifici. Il citato art. 12 ha definito le condizioni che necessitano ai fini dell'esclusione, dall'ambito di applicazione della direttiva stessa, di un appalto pubblico aggiudicato da un'amministrazione a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato.

 

Già prima della codificazione normativa europea, la giurisprudenza europea e quella nazionale avevano avuto modo di elaborare indici identificativi da utilizzare per verificare la legittimità del ricorso all'in house providing: la totale partecipazione pubblica; il controllo analogo, anche congiunto nel caso di affidamento in house in favore di società partecipata da più enti pubblici; la prevalenza dell'attività con l'ente affidante. La formulazione della disciplina dell'in house recata dalle citate direttive ha recepito la giurisprudenza della Corte di Giustizia sui requisiti dell'in house, introducendo, tuttavia, alcune innovazioni, che sono state diffusamente illustrate, tra gli altri, nel parere del Consiglio di Stato n. 298/2015.

Il nuovo Codice, recependo i presupposti elaborati nel corso degli anni dalla giurisprudenza comunitaria in materia di affidamenti diretti e i princìpi contenuti nelle citate Direttive, disciplina tutti i presupposti per gli affidamenti in house (art. 5). Accanto a ciò il Codice prevede che, per poter legittimamente affidare un contratto con modalità in house, avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, le stazioni appaltanti devono effettuare preventivamente una valutazione della congruità economica dell'offerta formulata del soggetto in house, avendo riguardo all'oggetto e al valore della prestazione (art. 192).

 

Inoltre è disposta l'istituzione presso l'ANAC dell'elenco delle stazioni appaltanti che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house. L'iscrizione in tale elenco deve avvenire secondo le modalità e i criteri definiti dall'ANAC e consente di procedere mediante affidamenti diretti dei contratti. Le linee guida adottate dall'Autorità prevedono anche che, con riferimento ai servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, gli enti di governo degli ambiti ottimali istituiti devono richiedere l'iscrizione nell'Elenco, indicando nella domanda di iscrizione gli enti locali partecipanti.

L'organizzazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica

Per rendere più efficiente la gestione dei servizi e favorire i processi di aggregazione dei gestori, il legislatore è intervenuto a dettare una disciplina in materia di organizzazione per lo svolgimento dei servizi pubblici locali (art. 3-bis, D.L. n. 138/2011, introdotto dall'art. 25, co. 1, del D.L. n 1/2012). In base a tale disciplina - che si applica solo ai servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica - spetta alle Regioni e alle province autonome il compito di:

·       individuare ambiti o bacini territoriali che consentano di sfruttare economie di scala e di differenziazione. Gli ambiti devono essere: ottimali, omogenei, di dimensione normalmente non inferiore a quella del territorio provinciale. È riconosciuta alle Regioni la possibilità di derogare alla dimensione provinciale, individuando ambiti di dimensione diversa. Ciò purché la scelta sia motivata in base a criteri di differenziazione territoriale e socio economica e rispetto a specifiche caratteristiche del servizio;

·       istituire o designare gli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali. Ad essi la legge riserva in via esclusiva le seguenti funzioni: organizzazione del servizio; scelta della forma di gestione; affidamento della gestione; controllo della gestione; determinazione delle tariffe all'utenza per quanto di competenza (art. 3-bis, comma 1-bis, del D.L. n. 138/2011, introdotto dall'art. 34 del D.L. n. 179/2012).

È, in ogni caso, fatta salva l'organizzazione per ambiti di singoli servizi già prevista da normative di settore e da disposizioni regionali e già avviata mediante costituzione di bacini di dimensioni non inferiori alla dimensione provinciale, anche sulla base di direttive europee.

In base al testo originario del decreto, le regioni avrebbero dovuto provvedere alla definizione del perimetro degli ambiti e alla designazione dei relativi enti di governo entro il 30 giugno 2012, termine la cui inutile decorrenza autorizzava il Consiglio dei Ministri ad esercitare i poteri sostitutivi di cui all'art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 a tutela dell'unità giuridica ed economica.

Nel corso della XVII legislatura, su tale disciplina sono intervenute alcune modifiche. Dapprima il legislatore ha previsto, in caso di mancata istituzione o designazione dell'ente di governo dell'ambito territoriale ottimale, l'esercizio di poteri sostitutivi da parte del prefetto, in modo da provvedere al compimento degli adempimenti necessari al completamento della procedura di affidamento entro il 31 dicembre 2014 (art. 13, co. 2, D.L. n. 150/2013).

Successivamente è stato introdotto l'obbligo per gli enti locali di partecipare agli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali o omogenei (art. 1, co. 609, L. n. 190/2014). In caso di inottemperanza è attribuito al Presidente della Regione l'esercizio dei poteri sostituitivi, previa diffida all'ente locale ad adempiere entro il termine di trenta giorni. La predisposizione della relazione richiesta dalla legislazione vigente per l'affidamento del servizio viene quindi posta in capo ai suddetti enti di governo; nella relazione è ricompreso anche un piano economico finanziario.

Per quanto riguarda il ruolo degli enti locali, la c.d. legge Delrio, che ha dettato la riforma amministrativo-istituzionale degli enti territoriali, disciplina le funzioni dei "nuovi" enti, alcune delle quali interessano anche i servizi pubblici locali di rilevanza economica. In particolare, le città metropolitane hanno la funzione fondamentale di organizzazione dei servizi di interesse generale di ambito metropolitano, inclusi quelli a rete di rilevanza economica (L. 56/2014, art. 1 co. 44). La legge Delrio impone, inoltre, allo Stato o alle Regioni, in funzione della materia, la soppressione di enti o agenzie (consorzi, società in house) alle quali siano state attribuite funzioni di organizzazione dei servizi pubblici di rilevanza economica in ambito provinciale o sub-provinciale, con contestuale riattribuzione di tali funzioni alle province (art. 1, co. 90).

 

L'ambito di applicazione della disciplina in materia di organizzazione per lo svolgimento dei SPL e, più in generale, delle disposizioni in materia di SPL a rete di rilevanza economica comprende anche il settore dei rifiuti urbani ed i settori sottoposti alla regolazione da parte di un'Autorità indipendente, salvo deroghe espresse (art. 3-bis, co. 6-bis, D.L. 138/2011, introdotto dalla legge di stabilità 2015).


 

LE SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA NEL SETTORE DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI

 

Per quanto riguarda, in via generale, le società a partecipazione pubblica, si ricorda che la materia è stata da ultimo disciplinata dal Testo unico approvato con il decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 il quale, oltre a riassumere in un quadro organico le disposizioni in materia già vigenti, contiene anche disposizioni volte alla razionalizzazione del fenomeno della partecipazione pubblica, con l'obiettivo di assicurarne una più efficiente gestione e di contribuire al contenimento della spesa pubblica.

Il Testo Unico prevede condizioni e limiti per la costituzione di società partecipate da enti pubblici, nonché per l’acquisto, il mantenimento e la gestione di partecipazioni, introducendo un principio generale secondo il quale “le amministrazioni pubbliche non possono, direttamente o indirettamente, costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né acquisire o mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in tali società”. È previsto inoltre l’obbligo di razionalizzazione, sotto forma di alienazione, delle partecipazioni detenute in società prive dei requisiti indicati dalla legge.

Il MEF ha pubblicato un Rapporto sugli esiti della revisione straordinaria delle partecipazioni (2019). La Corte dei conti ha presentato al Parlamento la Relazione 2019 - Gli organismi partecipati dagli enti territoriali e sanitari.

 

La Corte dei conti nell’ultima Relazione sugli organismi partecipati dagli enti territoriali e sanitari (2019) ha evidenziato che 1.367 società degli enti territoriali, pari al 27% del totale, versano in condizioni tali da richiedere interventi di razionalizzazione da parte delle amministrazioni socie. Situazioni di criticità sono state rilevate dalle Sezioni regionali di controllo che hanno, inoltre, evidenziato come la governance non sia sempre esercitata in modo consapevole da parte degli enti proprietari, i quali, talora, hanno spostato il potere decisionale dall’organo politico al sistema delle holding.

Nel confronto tra i risultati conseguiti dalle società degli enti territoriali interamente pubbliche (n. 1.804) con il totale esaminato (n. 4.326), sono più frequenti, per le prime, situazioni di prevalenza delle perdite di esercizio sugli utili. Nel complesso, i debiti delle società partecipate ammontano a 91,9 miliardi, di cui quasi il 40% è attribuibile alle partecipazioni totalitarie.

Rispetto all’insieme delle società osservate (4.326 società con bilancio 2017 approvato, su un totale di 5.283) le società esercenti servizi pubblici locali (SPL) rappresentano il 40% del totale (1.763 società); il restante 60% è costituito da società che prestano servizi strumentali (60%). Le società che esercitano SPL rappresentano una parte maggioritaria del valore della produzione (il 71% dell’importo complessivo).

 

Le società che svolgono servizi pubblici locali d’interesse generale (SPL) sono suddivise in quattro fondamentali settori di attività: a) fornitura di acqua, reti fognarie, attività di gestione dei rifiuti e risanamento; b) fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata; c) trasporto e magazzinaggio; d) sanità e assistenza sociale. Le società che prestano SPL si concentrano nelle prime tre linee di attività, risultando più numerose nel settore “Fornitura di acqua; reti fognarie, attività di gestione dei rifiuti e risanamento” con il 15,21% di numerosità ed una incidenza del 20,07% sul valore della produzione; incidenza economica che risulta inferiore a quella della “Fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata”, pari al 33,46%, a fronte di una numerosità più ridotta (12,23%).

Il numero delle società operanti nei servizi pubblici è ridotto rispetto all’insieme delle attività prevalenti censite, ma rilevante sia per forza lavoro impiegata sia per fatturato. Mentre nei servizi pubblici locali meno di un quinto degli organismi è in perdita, nei servizi strumentali, le perdite coinvolgono oltre un terzo degli organismi.

 

 

Con riferimento all’insieme delle società partecipate (non è specificato il dato relativo ai SPL), il numero di partecipazioni detenute da tutti gli enti territoriali che hanno fornito le informazioni ammonta complessivamente a 116.003, per la maggior parte (111.879, oltre il 96%) detenute dai Comuni. Gli enti del Nord, complessivamente, fanno registrare circa il 76% del totale delle partecipazioni. Tra le grandi aree regionali si rileva che negli enti del Lazio (seconda Regione per popolazione) si riscontra uno dei valori più bassi (996 partecipazioni in totale).

 


 

ACQUA E RIFIUTI

Lo stato dei servizi di gestione dei rifiuti

Il settore dei rifiuti è organizzato secondo un modello di governance multilivello disciplinato dalla parte IV del D.Lgs. 152/2006, che dedica un intero capo alla definizione delle competenze statali, regionali, provinciali e comunali nell’attività di gestione dei rifiuti urbani e, più nello specifico, assegna allo Stato le funzioni di indirizzo e di coordinamento, alle Regioni quelle di pianificazione (piani regionali di gestione dei rifiuti) e di controllo, alle Province il controllo di esercizio, ai Comuni la regolamentazione operativa attraverso l’approvazione del regolamento comunale per la gestione dei rifiuti. Il citato decreto legislativo prevede altresì un livello intercomunale (gli Ambiti Territoriali Ottimali, ATO), in cui operano gli Enti di Governo dell’ATO (EGATO), che provvedono all’organizzazione dei servizi, alla scelta della modalità di gestione, alla determinazione delle tariffe, all’affidamento della gestione, alla stipula del contratto di servizio e alla relativa gestione e controllo. L’attribuzione dei poteri di regolazione all’ARERA avvenuta con la legge n. 205/2017, si inserisce in tale assetto composito di governance.

Nell’ultima relazione annuale dell’ARERA (diffusa nel luglio 2019) viene sottolineata l’esigenza di un riordino organico della legislazione in materia previgente alla legge 205/2017, al fine di tener conto adeguatamente delle funzioni regolatorie attribuite all’ARERA dalla medesima legge.

La stessa Autorità evidenzia “come il modello di aggregazione intercomunale tramite ATO sia stato prescelto dalle Province autonome di Trento e Bolzano e da tutte le Regioni italiane, a eccezione della Lombardia, che si avvale della facoltà di adottare il modello in deroga” (previsto dall’art. 200 del D.Lgs. 152/2006).

Con riferimento alla perimetrazione degli ATO, l’ARERA sottolinea “come un fondamentale elemento di forte eterogeneità, a livello nazionale, della governance territoriale emerga dalla diversificata ampiezza degli ambiti” e che “il processo di individuazione degli EGATO risulta compiuto per tutti gli assetti territoriali definiti, fatta eccezione per la Provincia autonoma di Bolzano e gli ATO di Lazio, Molise e Sardegna” e anche che l’adesione degli enti locali agli EGATO non è completa nella totalità delle Regioni.

L’ARERA osserva inoltre che il settore è caratterizzato da “un elevato livello di complessità e di disomogeneità gestionale” e ricorda che “il 53% dei Comuni italiani è attualmente gestito da società partecipate dagli enti locali, e di queste il 40% gestisce un solo Comune e il 50% gestisce meno di quattro Comuni, mentre nel restante 47% sono ancora numerose le gestioni dirette da parte dei Comuni”. Viene altresì sottolineato che il settore presenta “un disomogeneo grado di integrazione a monte e a valle della filiera”.

A livello di risultati, nell’ultimo rapporto rifiuti dell’ISPRA (pubblicato nel dicembre 2019) viene evidenziato, con riferimento alla raccolta differenziata (per il quale la normativa ha previsto un obiettivo del 65%, da raggiungere entro il 2012), che “nel Nord, la raccolta complessiva si colloca a circa 9,7 milioni di tonnellate, nel Sud a quasi 4,3 milioni di tonnellate e nel Centro a 3,6 milioni di tonnellate. Tali valori si traducono in percentuali, calcolate rispetto alla produzione totale dei rifiuti urbani di ciascuna macroarea, pari al 67,7% per le regioni settentrionali, al 54,1% per quelle del Centro e al 46,1% per le regioni del Mezzogiorno”.

Nello stesso rapporto si legge che “analizzando i dati relativi alle diverse forme di gestione messe in atto a livello regionale si evidenzia che, laddove esiste un ciclo integrato dei rifiuti grazie ad un parco impiantistico sviluppato, viene ridotto significativamente l’utilizzo della discarica” e che nelle stesse regioni la raccolta differenziata è circa il 70% e “consistenti quote di rifiuti vengono trattate in impianti di incenerimento con recupero di energia. Vi sono regioni in cui il quadro impiantistico è molto carente o del tutto inadeguato; è il caso della Sicilia, dove i rifiuti urbani smaltiti in discarica rappresentano ancora il 69% del totale dei rifiuti prodotti, ma anche del Lazio e della Campania, che non riescono a chiudere il ciclo all’interno del territorio regionale” e che “a livello territoriale il costo totale annuo pro capite, del servizio (di igiene urbana, n.d.r.), risulta pari a 153,13 euro/abitante per anno al Nord, a 213,59 euro/abitante per anno al Centro ed a 181,97 euro/abitante per anno al Sud”.

Nello stesso rapporto viene evidenziato però, relativamente allo smaltimento in discarica, una diminuzione al Sud del 9% “da ascrivere ai miglioramenti in termini di raccolta differenziata nelle stesse aree”.

Tali dati sono sintetizzati anche nel Rapporto SUD della SVIMEZ, ove si legge che “Dal punto di vista gestionale, il Meridione evidenzia un livello di disaggregazione territoriale superiore ad altre aree del Paese, caratterizzato da una scarsa presenza di società partecipate dal pubblico – attive prevalentemente nei capoluoghi - e da un’elevata presenza di soggetti privati e gestioni in economia. Il panorama impiantistico denota una scarsa presenza di impianti (…) e, per converso, un ricorso prevalente alla discarica, a cui si accompagnano frequenti esportazioni verso altri territori, che determinano extra-costi rintracciabili in una spesa media familiare superiore a quella riscontrata nel resto del Paese, nonostante livelli qualitativi del servizio generalmente inferiori” e che “il livello di morosità (…) nel Sud raggiunge i valori massimi, determinando una situazione di cronica criticità per il mantenimento dell’equilibrio economico-finanziario e quindi una difficoltà nel reperire risorse per gli investimenti che sarebbero necessari a colmare il gap infrastrutturale e dei livelli di servizio”.

Nello stesso rapporto si legge che “per superare le criticità connesse alla gestione del ciclo dei rifiuti urbani, sia sul fronte dell’assetto impiantistico che in riferimento all’efficienza dei servizi di raccolta, si è stimato un fabbisogno di investimenti pari a 4 miliardi a livello nazionale”, oltre la metà dei quali sarebbero destinati alle aree del Mezzogiorno.

Occorre infine considerare che la normativa nazionale in materia sarà a breve sottoposta a revisione in virtù del necessario adeguamento alle nuove direttive europee su rifiuti e discariche del pacchetto dell’UE sull’economia circolare.

I principali obiettivi introdotti riguardano il riciclaggio entro il 2025 per almeno il 55% dei rifiuti urbani (60% entro il 2030 e 65% entro il 2035); la riduzione dello smaltimento in discarica, che dovrà scendere al 10% entro il 2035; nonché il riciclaggio del 65% degli imballaggi entro il 2025 e del 70% entro il 2030.

La delega per il recepimento delle citate direttive e i relativi principi e criteri direttivi sono contenuti negli articoli 14, 15 e 16 della legge di delegazione europea 2018 (legge 4 ottobre 2019, n. 117).

Per una sintesi dell’evoluzione normativa e dell’attività parlamentare relativa alla legislatura in corso si rinvia alla scheda web “Rifiuti e discariche”.

 

Lo stato dei servizi idrici

In merito allo stato dei servizi idrici in Italia, nonché in relazione agli investimenti previsti nel periodo 2016-2019, nell’ultima relazione annuale sullo stato dei servizi e sull’attività svolta dell’ARERA, pubblicata a luglio 2019, sono presentati e analizzati i macro-indicatori, definiti dalla RQTI (si ricorda che con la Delibera n. 917/2017 del 27 dicembre 2017, è stata approvata la disciplina di Regolazione della Qualità Tecnica del servizio Idrico integrato, stabilendo prerequisiti, standard specifici e standard generali validi a livello nazionale).

 

I macro-indicatori definiti dalla RQTI:

•  M1 contenimento delle perdite idriche nelle reti e impianti di acquedotto;

•  M2 mantenimento della continuità del servizio idropotabile, sulla base della    misura della frequenza delle Interruzioni del servizio;

•  M3 adeguatezza della qualità dell’acqua erogata;

• M4 minimizzazione dell’impatto ambientale derivante dal convogliamento delle acque reflue, misurata sulla base del grado di adeguatezza del sistema fognario;

• M5 minimizzazione dell’impatto ambientale collegato allo smaltimento dei fanghi derivanti dalla depurazione delle acque reflue;

• M6 minimizzazione dell’impatto ambientale associato allo smaltimento dei reflui in uscita dai trattamenti depurativi.

 

Prima di analizzare i dati relativi agli indicatori della qualità tecnica del servizio idrico integrato (SII), si evidenzia che in Europa è il settore dell’agricoltura che occupa la quota maggiore di risorsa prelevata (circa il 42%), seguita dalla produzione di energia elettrica (28%), dall’uso industriale (18%) e dagli usi domestici e servizi (12%).

Secondo lo studio International Comparisons of Water Sector Performance, il costo pro capite annuo del servizio idrico integrato italiano è il più basso (156,39 euro, contro un costo pari a 343,40 euro in Germania ed a 521,47 euro in Francia, considerato il più caro tra tutti i paesi considerati), con una crescita in termini percentuali dell’82,27 (la più alta crescita tra i paesi considerati, a partire dal 1990).

Con riferimento ad un campione di 103 gestioni (che erogano il servizio a oltre 40 milioni di abitanti), si rileva che, per l’annualità 2018, la spesa media annua sostenuta da un’utenza domestica residente tipo (famiglia di 3 persone, con consumo annuo pari a 150 m3) ammonta a 306 euro/anno a livello nazionale (303 euro/anno nel 2017).

I valori medi nazionali registrati per le perdite idriche (indicatore M1 - “Perdite idriche”), lineari e percentuali, risultano, rispettivamente, pari a 23,1 m3/km/gg ed al 42,4%, con valori di perdite più contenuti al Nord e valori medi molto elevati al Centro e nel Sud e Isole, dove circa la metà della risorsa idrica immessa nei sistemi di acquedotto viene dispersa.

Nello specifico, il Sud e le Isole presentano perdite idriche pari a 38,8 m3/km/gg ed al 51,3%.

 

Relativamente alle interruzioni di servizio (indicatore M2 - “Interruzioni del servizio”) si sono registrati valori mediamente pari a 36,05 ore/anno, dato fortemente condizionato da talune situazioni critiche a livello territoriale (specie nel Centro e nel Sud e Isole). In particolare, si osservano valori mediamente bassi nel Nord Ovest (0,49 ore/anno) e nel Nord Est (1,39 ore/anno), valori significativamente superiori nel Centro (45,37 ore/anno) e ancora più elevati nel Sud e Isole (105,51 ore/anno).

 

La qualità dell’acqua distribuita (M3 - “Qualità dell’acqua erogata”), mostra che il 10% della popolazione si trova in condizioni ottimali, circa la metà del campione si colloca in una situazione intermedia e il restante 40% circa è in situazione critica. Le situazioni di maggiore criticità sono rappresentate nel Sud e Isole (dove il 66% della popolazione ricade in situazione critica) e nel Centro (per il 47%).

 

In materia di trattamento delle acque reflue (M4 - “Adeguatezza del sistema fognario”), si rileva la frequenza degli allagamenti e sversamenti da fognatura, mediamente pari a 11 ogni 100 km di rete fognaria (con un picco di 21,6/100 km nel Sud e Isole), con il 23% degli scaricatori di piena[1] da adeguare alla normativa vigente e il 33% degli scaricatori di piena non controllati.

 

Il dato medio nazionale riferito alla quota di fanghi smaltiti in discarica (M5 - “Smaltimento fanghi in discarica”), pari al 20%, rivela livelli differenziati tra le diverse aree geografiche; a fronte di un valore medio molto contenuto al Nord-ovest (circa 4%) e allineato alla media nazionale per il Nord-est (19%), più di un terzo è smaltito in discarica al Centro (35,4%), con le regioni del Sud e Isole al 28,8%. A livello nazionale, più dell’80% dei fanghi prodotti è destinato quindi a un’operazione di riuso o recupero di risorse e la destinazione agricola risulta l’opzione prevalente (sia come spandimento diretto sui terreni sia indirettamente tramite la produzione di ammendanti di origine organica - compost), mentre residuale resta l’operazione di recupero energetico in impianti quali inceneritori o cementifici, confinata quasi esclusivamente nelle regioni settentrionali.

Il tasso di superamento dei limiti nei campioni di acqua reflua scaricata (M6 - “Qualità dell’acqua depurata”) è pari in media al 12,8%, dove le regioni meridionali e insulari presentano un valore (28,6%) superiore a più del doppio del dato nazionale.  

Nel rapporto SVIMEZ 2019 (Cap. X, par. 2.4) si sottolinea come le regioni meridionali presentino cronici problemi di erogazione dell’acqua, peggiorati ulteriormente nell’ultimo anno.

Nel 2018, il 21,2% delle famiglie meridionali ha denunciato irregolarità nell’erogazione del servizio a fronte del 5,3% delle famiglie del Centro-Nord, raggiungendo il massimo livello di insoddisfazione in Calabria e Sicilia (39,6% e 29,3% rispettivamente).

Gli investimenti

Considerando un campione di 148 gestori che erogano il servizio a 50,6 milioni di abitanti, il valore della spesa per investimenti pro capite si attesta, considerando l’intero quadriennio 2016-2019, a 178 euro/abitante a livello nazionale (corrispondenti a 44,5 euro/abitante/anno), con valori che oscillano tra 225 euro/abitante nel Centro a 171 euro/abitante nel Nord-Ovest.

Da rilevare, invece, le risorse più contenute destinate dalla tariffa agli interventi infrastrutturali nel Sud e nelle Isole, aree in cui, nel quadriennio considerato, il valore si attesa a 142 euro/abitante.

Con riferimento al medesimo campione, gli investimenti programmati per il quadriennio 2016-2019 – al lordo delle previsioni in ordine alla disponibilità di finanziamenti pubblici per la realizzazione di infrastrutture idriche – risultano, in termini pro capite, pari a 235 euro/abitante a livello nazionale (corrispondenti a una spesa annuale per investimenti di 59 euro/abitante), potendosi distinguere il valore più elevato nel Sud e Isole, con 281 euro/abitante per il quadriennio 2016-2019. Tenuto conto delle citate previsioni in ordine alla disponibilità di fondi pubblici, la spesa per investimenti, in termini assoluti, ammonta complessivamente (per il medesimo campione di riferimento) a 11,9 miliardi di euro per il quadriennio, passando da 2,2 miliardi di euro nel 2016, 2,8 miliardi di euro nel 2017-2018 a circa 3,5 e 3,4 miliardi di euro nelle rispettive annualità 2018 e 2019. Estendendo l’analisi sulla base della popolazione residente in Italia, il fabbisogno di investimenti per il comparto idrico nel periodo 2016-2019 è stimabile pari a 13,7 miliardi di euro (corrispondenti a circa 3,4 miliardi di euro in ciascuna annualità del quadriennio).


 

IL TRASPORTO PUBBLICO LOCALE NEL MEZZOGIORNO

Il trasporto pubblico locale è finanziato dal Fondo per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario, che è stato istituito dalla legge n. 228/2012 (articolo 1, comma 301, che ha sostituito l'art. 16-bis del precedente D.L. n. 95/2012). Lo stanziamento del Fondo nel Bilancio triennale 2020-2022 ammonta a 4.875,554 milioni di euro per il 2020 ed a 4.874,554 milioni € per ciascuno degli anni 2021 e 2022.

Il Fondo è tuttora ripartito sulla base dei criteri definiti nel DPCM 26 maggio 2017, in base ai quali il 90% il Fondo viene assegnato alle regioni ordinarie sulla base delle percentuali fissate nella Tabella 1 allegata al decreto e per il residuo 10%, sempre in base alle medesime percentuali, ma subordinatamente alla verifica del raggiungimento di specifici obiettivi di efficientamento.

 

Le percentuali di ripartizione regionali (Tabella allegata al DM trasporti 11 novembre 2014 e al DPCM 26 maggio 2017, che modifica la precedente tabella allegata al DPCM del 2013) sono le seguenti:

Abruzzo: 2,69%

Basilicata: 1,55%

Calabria: 4,28%

Campania: 11,07%

Emilia-Romagna: 7,38%

Lazio: 11,67%

Liguria: 4,08%

Lombardia: 17,36%

Marche: 2,17%

Molise: 0,71%

Piemonte: 9,83%

Puglia: 8,09%

Toscana: 8,83%

Umbria: 2,03%

Veneto: 8,27%

 

 

Per l'anno 2019 l'anticipazione dell'80% del Fondo è stata concessa con decreto MIT-MEF n. 82 del 5 marzo 2019 che ripartisce risorse per 3.898.668.289,2 euro (su un totale di 4.874,554 milioni stanziati per il 2019).

Qui la tabella di ripartizione tra le Regioni dell'anticipazione del Fondo per il 2019.

Il decreto legge n. 50/2017 (articolo 27, comma 2), ha previsto nuovi criteri di riparto del Fondo, che dovrebbero essere applicati dall’anno 2020 (anziché dal 2018 come inizialmente previsto), per far sì che i servizi di trasporto pubblico locale e regionale vengano sempre più affidati con procedure ad evidenza pubblica: si prevedono infatti penalizzazioni nella ripartizione del fondo, applicabili dal 2021 in base alle modifiche della legge di Bilancio 2019, per le regioni e gli enti locali che non procedano all'espletamento delle gare, nonché parametri volti a incentivare il perseguimento degli obiettivi di efficienza e di centralità dell'utenza nell'erogazione del servizio.

Con Il decreto-legge n.124 del 2019 (c. d. "decreto fiscale") sono state introdotte modifiche alle modalità di attribuzione delle risorse del Fondo nazionale per il Trasporto pubblico locale, precisandosi che nella ripartizione del Fondo si dovrà tenere annualmente conto delle variazioni per ciascuna Regione, in incremento o decremento rispetto al 2017, dei costi del canone di accesso all'infrastruttura ferroviaria introdotte dalla società Rete ferroviaria italiana Spa, con decorrenza dal 1° gennaio 2018, in ottemperanza ai criteri stabiliti dall'Autorità di Regolazione dei Trasporti.

Dati relativi al Trasporto pubblico locale

A dicembre 2019 è stato pubblicato da Invitalia, nell'ambito del progetto ReOpen sui Servizi Pubblici Locali, su impulso del Dipartimento per gli Affari Regionali e le Autonomie, il Report nazionale sugli aspetti organizzativi e gestionali del trasporto pubblico locale, predisposto sulla base dei risultati dell'attività di monitoraggio e analisi del settore del trasporto pubblico locale italiano, urbano ed extraurbano (incluso quello ferroviario). I dati riferiti agli aspetti gestionali sono stati rilevati fra gennaio e maggio 2019.

Il Report evidenzia, in relazione allo stato del servizio per macroaree geografiche, che:

“si conferma, all’interno delle insoddisfacenti condizioni del quadro nazionale, lo stato di relativa arretratezza del sud e delle isole, sia per offerta (meno della metà della media nazionale) che per passeggeri trasportati (un terzo della media nazionale) a parità di abitanti, sia per velocità commerciale, per vetustà e classe ambientale dei mezzi e delle infrastrutture, sia su gomma che su ferro”.

Circa il numero di passeggeri trasportati annualmente in rapporto al numero dei residenti, “l’area Sud e Isole registra un considerevole svantaggio rispetto alle altre; il dato nazionale è infatti 185,2, mentre quello del Mezzogiorno ammonta a 56,6 (essendo quindi oltre tre volte inferiore). La performance migliore è quella dell’Italia centrale, con un numero di passeggeri trasportati pari a 265,3 Per quanto riguarda le grandi città, Milano conferma la sua posizione di vantaggio con 420,9 passeggeri per abitante, seguita da Roma (404), Torino (282,2) e Napoli (123,4)”.

 

Per quanto riguarda le fonti di finanziamento del TPL dal Report emerge un quadro piuttosto variegato: “i flussi finanziari sono considerevoli e con una quota consistente dedicata agli investimenti di rinnovo del parco rotabile su gomma e su ferro, di cui circa il 60% destinato al sud e alle isole, presupposto per una potenziale inversione di tendenza nella storica arretratezza del settore che caratterizza tali aree. Nella stessa direzione vanno i finanziamenti per l’infrastrutturazione del TPL nelle città (36% a sud e isole) e i progetti cofinanziati con fondi europei con oltre l’81% delle risorse verso la medesima destinazione territoriale. È importante sottolineare che poco meno del 70% dei progetti finanziati è stato già realizzato (con sud e isole nella media nazionale) e i finanziamenti concretamente erogati ammontano a solo il 32%”.

 

Circa lo stato del parco mezzi del TPL urbano, il report evidenzia che: “in tutte le macroaree, come anche la media delle Regioni italiane, oltre la metà degli autobus ha classe ambientale Euro 5 o Euro 6, ad eccezione che nel Sud e nelle Isole, dove la quota di tali mezzi è pari a 45,3%. Sempre nel Mezzogiorno, la percentuale dei mezzi più inquinanti (Euro 0- Euro 1) ammonta al 6,1%, ovvero ad almeno quattro punti percentuali in più che nelle altre aree, e la presenza di mezzi elettrici è nulla. La circolazione di autobus urbani ad alimentazione elettrica è peraltro in generale poco rilevante in Italia, con un valore massimo di solo 1,6% nel Nord Ovest. Le vigenti disposizioni di legge proibiscono, a far data dal 1° gennaio 2019, la circolazione dei mezzi con classificazione ambientale Euro 0 e 1 che, nel 2017, costituivano il 3,4% del totale degli autobus in circolazione in Italia.”

Il DL 124 del 2019 (art. 47, comma 1-bis) ha peraltro derogato al divieto consentendo la circolazione degli autobus inquinanti nelle isole minori con specifiche caratteristiche territoriali, fino al 31 dicembre 2020.

 

Per il rinnovo dei mezzi destinati ai servizi di trasporto pubblico locale è stato istituito a partire dal 2016 ed è divenuto operativo dal 2017 (art. 1, comma 866 della legge n. 208 del 2015 poi modificato dal D.L. n. 50 del 2017, art. 27, comma 12-ter) il c.d. "Fondo mezzi", finalizzato all'acquisto diretto, anche per il tramite di società specializzate, nonché alla riqualificazione elettrica ed energetica o al noleggio dei mezzi adibiti al trasporto pubblico locale e regionale, con l'intento di allineare il parco mezzi destinato al trasporto pubblico locale e regionale agli standard europei. Il Fondo è stato finanziato inizialmente con 50 milioni € per ciascuno degli anni 2017, 2018 e 2019, ripartiti tra le regioni con il decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti n. 25 del 23 gennaio 2017, che prevede il finanziamento diretto da parte del fondo nazionale del 60% del costo di acquisto, mentre per il restante 40% è previsto il cofinanziamento delle Regioni, nonché l’utilizzo della centrale unica di committenza Consip S.p.a.

Successivamente al Fondo sono stati destinati 210 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019 e 2020,130 milioni di euro per l'anno 2021 e 90 milioni di euro per l'anno 2022.

Con Dpcm 30 aprile 2019 è stato adottato il Piano Strategico Nazionale della Mobilità Sostenibile (PNMS), destinato al rinnovo del parco degli autobus dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale, alla promozione e al miglioramento della qualità dell'aria con tecnologie innovative, in attuazione degli accordi internazionali nonché degli orientamenti e della normativa comunitaria. Il Piano, come previsto dalla legge di Bilancio 2016, prevede l'incremento delle risorse attribuite al Fondo mezzi di altri 200 milioni di euro per il 2019 e di 250 milioni per ciascuno degli anni dal 2020 al 2033, per un totale di 3,7 miliardi €, e ne ha esteso le finalità al finanziamento delle infrastrutture tecnologiche di supporto, segnatamente le infrastrutture per la ricarica dei veicoli elettrici.

 

Nella tabella seguente si riepilogano gli stanziamenti confluiti sul Fondo per il rinnovo parco mezzi:

 

(in milioni di €)

Norma

2015

2016

2017

2018

2019

2020

2021

2022

Stanziamento annuo
 dal 2023 al 2033

Co. 83 (l. 147/13) 

50

50

50

50

-

-

-

-

Co. 866 (l. 208/15)

-

-

-

-

210

210

130

90

-

Co. 613  (l. 232/16)

-

-

-

-

200

250

250

250

250

Totale

50

50

50

50

410

460

380

340

250

 

 

Si ricorda il principio del riequilibrio territoriale sancito dall’articolo 7-bis, comma 2 del D.L. n. 243 del 2016, in base al quale il riparto delle risorse dei programmi di spesa in conto capitale finalizzati alla crescita o al sostegno degli investimenti da assegnare sull'intero territorio nazionale, che non abbia criteri o indicatori di attribuzione già individuati, deve essere disposto anche in conformità all'obiettivo di destinare agli interventi nel territorio delle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Calabria, Puglia, Sicilia e Sardegna un volume complessivo di stanziamenti ordinari in conto capitale almeno proporzionale alla popolazione residente.

 

Per quanto riguarda il trasporto locale ferroviario numerosi dati sono contenuti nel “Rapporto Pendolaria 2019” di Legambiente, pubblicato il 3 febbraio 2020, che evidenzia, tra l’altro, come al Sud circoli un numero inferiore di treni, che si sono anche ridotti negli ultimi dieci anni a differenza che nel resto del Paese, inoltre i treni sono più vecchi, con un’età media dei convogli più alta, pari a 19,3 anni e rimasta costante negli ultimi 2 anni, rispetto ai 12,5 anni del Nord e ci siano altresì più linee a binario unico e non elettrificate. Si citano peraltro alcuni elementi di successo nelle regioni del Sud, tra cui il collegamento ferroviario tra la Stazione centrale di Palermo e l’aeroporto di Punta Raisi e le quattro nuove linee di tram nella città di Palermo esistenti da fine 2015, il forte numero di viaggiatori sulla metropolitana di Catania e sul treno che collega l’Aeroporto ‘di Bari-Palese al centro cittadino.

ENERGIA ELETTRICA E GAS

Livello di liberalizzazione del mercato elettrico e del gas nelle aree del Paese (Nord, Centro e Sud)

Il 3 dicembre 2019 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha inviato una Segnalazione a Governo e Parlamento nella quale ha richiamato l’attenzione su alcuni aspetti critici inerenti i mercati della vendita dell’energia elettrica e del gas naturale, in vista della rimozione dei regimi di tutela di prezzo a favore dei clienti finali di piccole dimensioni. Nella Segnalazione, l’AGCM espone un quadro del livello di liberalizzazione dei mercati elettrici.

Appare utile segnalare che, all’indomani della Segnalazione, l’articolo 12, comma 3, del Decreto legge cd. “Milleproroghe”, D.L. n. 162/2019, in corso di esame parlamentare fini della sua conversione in legge, ha disposto:

§  la proroga, dal 1° luglio 2020 al 1° gennaio 2022, del termine di cessazione del regime di tutela del prezzo per i clienti finali di piccole dimensioni nel mercato del gas;

§  la proroga del termine di cessazione dello stesso regime nel mercato dell’energia elettrica per le piccole imprese, dal 1° luglio 2020 al 1° gennaio 2021, e, per le micro imprese e per i clienti domestici, dal 1° luglio 2020 al 1° gennaio 2022[2].

La disposizione demanda altresì all’ARERA l’adozione di disposizioni per assicurare un servizio a tutele graduali per i clienti finali senza fornitore di energia elettrica, nonché specifiche misure per prevenire ingiustificati aumenti dei prezzi e alterazioni delle condizioni di fornitura. Detta, infine, disposizioni sulle modalità e i criteri dell’ingresso consapevole nel mercato libero dei clienti finali, nonché sull’Elenco dei soggetti abilitati alla vendita di energia elettrica ai clienti finali, con particolare riferimento ai criteri per la permanenza e l’esclusione dei soggetti dall’Elenco stesso.

 

L’ARERA, con la Segnalazione 515/2019/I/COM, che ha confermato i dati AGCM per il 2019.

I dati seguono quelli già diffusi dall’ARERA, nel Rapporto 527/2019/I/com di monitoraggio dei mercati di vendita al dettaglio dell’energia elettrica e del gas naturale, cd. “Monitoraggio retail”, relativi all’anno 2018. In tale Rapporto, l’analisi è condotta anche per settori del Paese e per regioni.

 

Nel settore elettrico, nell’anno 2018, i clienti Domestici si sono approvvigionati ancora prevalentemente in maggior tutela (56%), sebbene continui ad aumentare la quota dei clienti che scelgono il mercato libero.

 

Elettricità: punti di prelievo serviti nel mercato libero, nel servizio di maggior tutela e nel servizio di salvaguardia – Anni 2012-2019

Fonte: ARERA

 

Il tasso di uscita dal servizio di Maggior tutela si attesta nel 2018 al 4,9% con un incremento di +0,5% rispetto all’anno precedente. Inoltre, come per la clientela BT altri usi, sempre meno clienti rientrano in tutela (cfr. le Tabelle seguenti tratte dal Monitoraggio retail di ARERA) [3].

Come si evince dalla Tabella, elaborata dall’ARERA, nel Monitoraggio retail , per quanto attiene ai clienti domestici i tassi di uscita dal mercato tutelato mediamente più alti si trovano nelle regioni del Nord.

 

Uscite dalla maggior tutela per regione e tipologia di cliente – Anno 2018

Anche nel settore del gas, nonostante la quota di clienti sul libero sia cresciuta di +6 punti percentuali per i clienti domestici, la quota di clienti in servizio di tutela rimane ancora rilevante (circa il 50%) (cfr. le Tabelle seguenti tratte dal Monitoraggio retail di ARERA).

Gas: Punti di riconsegna serviti nel Servizio di tutela e nel mercato libero. Anni 2012-2019

 

 

Ulteriori indagini ARERA (Indagine sulla liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica e del gas, di febbraio 2019) mostrano poi come la conoscenza corretta del mercato tutelato e del mercato libero sia più diffusa nel Centro Nord, rispetto al Sud del Paese (cfr. tabelle successive).

 

 

 

Fonte: ARERA-RESEARCH HUB

 

 

L’indagine ARERA sul mercato retail dell’energia elettrica e del gas tocca poi anche la qualità della vendita, il grado di soddisfazione dei clienti e la morosità. Con riferimento a tale ultimo aspetto, vengono di seguito riportate le Tabelle dell’ARERA che indicano:

·        nel periodo 2012-2018, l’evoluzione delle richieste di sospensione effettive per morosità rispetto al numero di punti serviti nelle tre macro aree geografiche del Paese: Nord, Centro e Sud;

·        l’evoluzione dal 2012 al 2018 dell’efficacia della sospensione nella tutela del credito nelle tre macro aree geografiche: Nord, Centro e Sud. L’efficacia della sospensione nella tutela del credito è distinta per tipologia di cliente e ottenuta dalla somma delle richieste di sospensione revocate per pagamento e delle riattivazioni rapportata alle richieste di sospensioni effettive.

 

ENERGIA ELETTRICA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

GAS

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’applicazione del bonus elettrico e gas per le famiglie in condizioni di disagio economico: risultanze 2018 nelle diverse aree del Paese

 

Il valore del bonus riconosciuto ai cittadini in condizione di disagio economico è costituito da uno sconto sulla spesa di energia elettrica e gas, applicabile sia ad un contratto di mercato libero che di regime tutelato.

Lo sconto non è parametrato alla spesa effettiva, ma alla spesa media di un utente tipo al lordo (elettrico) o al netto (gas) delle imposte a sua volta commisurata alla numerosità familiare e nel caso del gas alla zona climatica di riferimento.

Fatta salva la condizione che ciascun nucleo famigliare agevolato ha diritto ad un solo bonus per ogni tipologia, i diversi bonus sono cumulabili.

Infine, il bonus, con le caratteristiche sopra indicate, è una misura di carattere nazionale, viene cioè applicata a prescindere da eventuali misure, nazionali o locali di sostegno alla vulnerabilità economica.

 

Lo stato di applicazione del bonus elettrico e del gas è oggetto di apposita Relazione annuale al Ministero dello sviluppo economico da parte dell’ARERA. L’ultima relazione - dalla quale sono tratti i dati e le informazioni qui riportate e alla quale, per approfondimenti ulteriori, si rinvia - è la Relazione 279/2019/I/COM del 25 giugno 2019 ed è relativa all’anno 2018.

 

A legislazione vigente, il diritto ad ottenere il bonus elettrico e gas per un nucleo familiare dipende da una condizione di vulnerabilità economica misurata da una determinata soglia di indicatore ISEE, o dall’essere il medesimo nucleo destinatario di una altra misura di contrasto alla povertà come il reddito di cittadinanza o per il solo bonus sociale elettrico, da carta acquisti.

Il potenziale beneficiario inoltre deve essere titolare di un contratto di fornitura di energia elettrica e/o gas naturale o utilizzare una fornitura di gas naturale centralizzata a livello condominiale.  Solo per i clienti elettrici il diritto al bonus è esteso, indipendentemente dal livello di ISEE, ai nuclei familiari caratterizzati dalla presenza di una persona in una grave condizione di salute che necessita dell’uso di apparecchiature elettromedicali salvavita.

 

Il numero di famiglie che ha ottenuto per almeno una volta il bonus, dall’avvio del meccanismo al 31 dicembre 2018 è di 2,9 milioni per l’elettrico e di circa 1,8 milioni per il gas. Il rapporto fra nuclei familiari potenzialmente destinatari del bonus elettrico e gas cosi come individuati sulla base dell’indicatore ISEE e nuclei familiari effettivamente agevolati si è costantemente attestato, fra il 30 % e il 35 % dei potenziali destinatari. nonostante le misure poste in campo dall’Autorità per diffondere l’informazione, tra i potenziali destinatari, con campagne informative e progetti volti a coinvolgere anche altri soggetti che operano con i cittadini vulnerabili.

 

 

 

 

In termini di allocazione geografica dei bonus elettrici per disagio economico e fisico e dei bonus gas complessivamente erogati, nel 2018, la ripartizione geografica dei nuclei familiari agevolati appare sostanzialmente stabile: in particolare nelle aree Sud e Isole, i beneficiari del bonus gas sono meno presenti rispetto alle macro aree Centro e Nord Ovest e Nord Est[4]; su tale risultato sembrano influire principalmente – afferma l’ARERA - il diverso livello di metanizzazione delle macro aree Sud e Isole ed una minore informazione fra le famiglie interessate sulla disponibilità della agevolazione specifica.

Infatti per effetto della mancata metanizzazione della Sardegna che esclude l’isola dall’accesso al bonus gas, nell’area Sud-Isole, meno della metà delle famiglie (45,3%) ha richiesto sia il bonus elettrico che quello gas, laddove tale rapporto sale all’84,7% nell’area Nord-Est e all’81,2%% nel Nord-Ovest.

A conferma della diversa diffusione geografica dell’informazione sul bonus sociale fra gli aventi diritto, se poi si pone invece in relazione i beneficiari di bonus elettrico con i potenziali beneficiari per l’anno 2016, ultimo anno per cui sono disponibili i dati sull’ISEE, emerge che ad esempio in Campania e in Sardegna, i beneficiari rappresentano rispettivamente il 21,6%, e il 16,8% del totale dei potenziali soggetti agevolabili, mentre tale percentuale sale al 43,7% in Veneto.

 

Livello dei servizi di distribuzione di energia elettrica e gas: divario Nord Sud

Il "Rapporto Sud" della SVIMEZ di febbraio 2019 (cap. 10) - con riferimento ai servizi erogati dalle infrastrutture di rete- evidenzia che la percentuale di persone che denuncia un malfunzionamento del servizio elettrico è ormai bassa in tutta Italia anche se nell’ultimo anno ha ripreso a salire. Il dato delle regioni del Sud rimane però più che doppio rispetto a quello rilevabile nel resto del Paese: nel 2017 a livello nazionale era il 2,1% come media di un 1,4% nel Centro-Nord e di un 3,4% nel Mezzogiorno.

 

Peggiora anche la situazione dell’erogazione del gas. Nel 2017 la quota di utenti che manifesta insoddisfazione nell’erogazione del gas risulta, a livello nazionale, dell’8,5%; era al 6,1% nel 2007.

La qualità del servizio peggiora sia nel Centro-Nord (da 6,4% nel 2007 a 8,3% nel 2017), sia, e in misura più accentuata, nel Mezzogiorno, dal 4,9% al 9%.

In quest’ultima area l’insoddisfazione per il servizio di distribuzione del gas diventa maggiore rispetto al Centro-Nord. Peggioramenti consistenti si rilevano in tutte le regioni del Sud con l’eccezione solo degli utenti residenti in Basilicata, in Calabria e soprattutto in Sardegna dove il grado di insoddisfazione scende dal 21,3% del 2007 al 9,2% del 2017.

Produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili: il Sud trainante

Il 3 dicembre 2019 è stato presentato il presso il Parlamento europeo, il primo “MED & Italian Energy Report”, Rapporto annuale sul settore dell’energia in Italia e nel Mediterraneo.

La ricerca è frutto della collaborazione strutturale nata tra SRM (centro studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo) e l’Energy Security Lab@Energy Center del Politecnico di Torino. La ricerca qualifica il Mezzogiorno come riserva energetica del Paese, ove si produce circa il 50% del totale dell’elettricità da fonti rinnovabili eolica, solare, bioenergie e geotermica.

I dati appaiono coerenti con quelli pubblicati recentemente dal GSE, nel Rapporto FER 2018 (del 30 dicembre 2019). Qui le Tabelle:

 

 



[1]     Gli scaricatori di piena sono manufatti atti a deviare in tempo di pioggia verso i ricettori finali le portate meteoriche eccedenti le portate nere diluite, definite come compatibili con l’efficienza degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane. Durante gli eventi meteorici si verificano diluizioni spinte delle acque convogliate nelle reti miste di drenaggio urbano e diviene possibile, se necessario, smaltire parte delle acque in arrivo nell’emissario più vicino.

[2]     Si ricorda in questa sede, rinviando più approfonditamente al sito istituzionale dell’ARERA, che la legge 4 agosto 2017, n. 124, "Legge annuale per il mercato e la concorrenza"aveva stabilito, dal 1° luglio 2019, la fine della tutela di prezzo fornita dall'Autorità per i settori dell'energia elettrica (per i clienti domestici e le piccole imprese connesse in bassa tensione) e del gas naturale (per i clienti domestici), individuando a tal fine un percorso a beneficio dei clienti finali di piccole dimensioni. Tale scadenza è stata rinviata al 1° luglio 2020 in seguito all'approvazione della Legge di conversione del decreto legge n. 91/2018 (c.d. Milleproroghe) - Legge 108 del 21 settembre 2018. Il decreto legge n. 162/2019 (c.d. Milleproroghe, in corso di conversione) ha previsto un ulteriore rinvio della fine della tutela di prezzo al 1° gennaio 2022. Da tale data l'Autorità cesserà di definire e aggiornare ogni 3 mesi le condizioni economiche (i prezzi) per la fornitura di energia elettrica e di gas naturale dei servizi di tutela per i clienti di piccole dimensioni. Già oggi i clienti finali di piccole dimensioni (quali famiglie e piccole imprese) hanno la facoltà di passare al "mercato libero", dove è il cliente a decidere quale venditore e quale tipo di contratto scegliere, selezionando l'offerta ritenuta più adatta alle proprie esigenze. Dal 1° gennaio 2018, i clienti finali interessati dalla modifica normativa ricevono, secondo le modalità definite dall'Autorità, un'informativa da parte del proprio venditore in relazione al superamento delle tutele di prezzo. Dopo che i servizi di tutela non saranno più disponibili, ai clienti di piccola dimensione che non avranno un venditore nel mercato libero la continuità della fornitura di energia elettrica e/o gas naturale sarà comunque garantita affinché il cliente non subisca alcuna interruzione durante il periodo necessario a trovare un venditore sul mercato libero (con il cd. “servizio di salvaguardia”).

[3]     Ai fini del monitoraggio ARERA rientrano nella definizione di clienti di piccola e media dimensione:

- con riferimento alla vendita al dettaglio di energia elettrica, le tipologie:

i. clienti domestici, pari a poco meno di 30 milioni di punti e poco meno di 58.000 GWh di energia fornita nel 2017;

ii. clienti non domestici connessi in bassa tensione (BT altri usi), esclusa l’illuminazione pubblica, pari a oltre 7 milioni di punti e circa 69.000 GWh di energia fornita;

iii. clienti non domestici connessi in media tensione, esclusa l’illuminazione pubblica (MT altri usi), pari a circa 104.600 punti e oltre circa 98.000 GWh di energia fornita;

- per la vendita al dettaglio di gas naturale, le tipologie:

i. clienti domestici con consumi fino a 200.000 Smc/anno (di seguito: clienti domestici), pari a quasi 20 milioni di punti e circa 15 miliardi di Smc di gas fornito;

ii. condomini uso domestico con consumi fino a 200.000 Smc/anno (condomini uso domestico), che complessivamente corrispondono a 200.000 punti e poco meno di 2,5 miliardi di Smc di gas fornito;

iii. clienti non domestici con consumi fino a 200.000 Smc/anno (clienti altri usi), esclusa la generazione elettrica, che complessivamente corrispondono a circa 1,2 milioni di punti e più di 6,6 miliardi di Smc di gas fornito;

iv. attività di servizio pubblico fino a 200.000 Smc/anno (di seguito: attività di servizio pubblico), pari a 64.000 punti e circa 630 milioni di Smc di energia fornita.

Sono pertanto escluse dal monitoraggio retail le tipologie di clienti “illuminazione pubblica”, nel settore elettrico e “generazione elettrica” nel settore del gas.

[4]     Per approfondimenti sui diversi comportamenti di consumo di energia e gas nelle diverse aree del paese si veda anche la segnalazione dell’A

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