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Consiglio di Stato, Sez. V, 17/5/2006 n. 2837
Sulla sussistenza della legittimazione a ricorrere dei cittadini residenti in un comune in dissesto finanziario avverso la delibera che ha dichiarato il dissesto.

Sussiste la legittimazione a ricorrere di tutte le singole persone fisiche residenti nel comune nel caso di dichiarazione di dissesto finanziario del comune in quanto tale dichiarazione costituisce la premessa per ulteriori provvedimenti sfavorevoli, contro i quali esse non avrebbero poi modo di difendersi: riduzione dei servizi offerti dal comune alla cittadinanza, aumento delle tariffe dei restanti servizi, aumento dell'aliquota dell'imposta comunale sugl'immobili. Tali ulteriori provvedimenti possono certamente rendersi necessari se veramente sussiste lo stato di dissesto; ma appare ragionevole consentire ai residenti d'impugnare la dichiarazione di dissesto quando ne neghino il presupposto stesso, per esempio lamentando che si siano tralasciate poste attive o computate poste passive inesistenti o che le valutazioni finanziarie siano state altrimenti errate.

Materia: enti locali / attività

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta  Sezione         

ha pronunciato la seguente

 

decisione

sul ricorso in appello proposto dal comune di PONTINIA, in persona del sindaco, dottor Giuseppe Mochi, difeso dall’avvocato Corrado de Simone e domiciliato in Roma, viale Regina Margherita 290, presso l’avvocato Adriano Casellato;

 

contro

i signori Giovanni FABRIS, Luigi SUBIACO, Eligio TOMBOLILLO, Alfonso MIGLIORELLI, Argeo PERFILI, Luigino DE ANGELIS, Giorgio LIBRALATO, tutti residenti in Pontinia, costituitisi in giudizio con l’avvocato Angelo Clarizia e domiciliati presso di lui in Roma, via Principessa Clotilde 2;

 

e nei confronti

del signor Massimo FRANCIA, nato a Roma il 14 novembre 1974 e residente in Pontinia, costituitosi in giudizio con l’avvocato Francesco Di Ciollo e domiciliato in Roma, via Principessa Clotilde 2, presso l’avvocato Angelo Clarizia;

 

per la riforma

della sentenza 12 febbraio 2005 n. 239, con la quale il tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione staccata di Latina, ha annullato le deliberazioni 17 maggio 2004 n. 20 e 17 dicembre 2004 n. 43, contenenti dichiarazione dello stato di dissesto finanziario del comune.

Visto il ricorso in appello, notificato l’11 e depositato il 23 marzo 2005;

visto il controricorso dei signori Farris, Subiaco, Tombolillo, Migliorelli, Perfili e Angelis e Libralato, depositato il 30 marzo 2005;

visto il controricorso del signor Francia, depositato il 24 maggio 2005;

vista la propria ordinanza 24 maggio 2005 n. 2499, con la quale è stata sospesa l’esecutività della sentenza impugnata;

viste le memorie difensive presentate dalle parti;

visti gli atti tutti della causa;

relatore, all’udienza del 22 novembre 2005, il consigliere Raffaele Carboni, e uditi altresì gli avvocati De Simone, Clarizia e Di Ciollo;

ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

 

FATTO

Il Consiglio comunale di Pontinia con la deliberazione n. 20 del 2004 ha dichiarato lo stato di dissesto finanziario del comune, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 244 del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267, contenente il nuovo testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali. Alla decisione il Consiglio era giunto sulla base di una relazione del collegio dei revisori, dando atto di un rilevante squilibrio di bilancio cagionato, dal 1998 in poi, dalla sistematica copertura delle spese correnti mediante l’utilizzazione dell’avanzo di amministrazione, dalla sistematica utilizzazione di entrate ordinarie per far fronte alle spese correnti stabilizzate, dalla riduzione degli estimi catastali e dalla riduzione dell’aliquota d’imposta, che avevano ridotto il gettito dell’imposta comunale sugl’immobili (ICI), dal mancato rispetto del “patto di stabilità” con conseguente maggior ricorso alle anticipazioni di cassa, dalla stabilizzazione di impiegati a tempo determinato (per i “lavori socialmente utili”) e dal conseguente venir meno del contributo statale erogato per la loro assunzione a tempo determinato, dall’aumento delle spese di gestione della società appaltatrice di vari servizi comunali, della quale il comune era socio al sessanta per cento, dal forte indebitamento a medio e a lungo termine, dall’esistenza di debiti fuori bilancio per complessivi euro 10.644.633,21, dall’esistenza di un saldo negativo di euro 42.034,92 nella gestione fuori bilancio. Nel dichiarare lo stato di dissesto, il Consiglio comunale ha dato atto che, se si fosse ridotta la spesa corrente di quanto era necessario per ottenere il pareggio finanziario, non si sarebbe potuto espletare i servizi indispensabili individuati dal decreto del ministro dell’Interno 28 maggio 1993 (contenente “Individuazione, ai fini della non assoggettabilità ad esecuzione forzata, dei servizi locali indispensabili dei comuni, delle province e delle comunità montane” e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 23 giugno 1993 n. 145).

I signori Farris, Subiaco, Tombolillo, Migliorelli, Perfili e Angelis e Libralato, nelle qualità, alcuni di cittadini residenti nel comune, altri di consiglieri comunali di Pontinia, con ricorso al tribunale amministrativo regionale per il Lazio notificato il 10 luglio 2004 hanno impugnato la deliberazione. Con un unico motivo, rubricato come violazione degli articoli 244 e 246 del citato decreto legislativo, violazione dell’obbligo di motivazione sancito dall’articolo 3 della legge 7 agosto 1990 n. 241, sviamento di potere, carenza di presupposti fattuali e giuridici, errata valutazione dei presupposti medesimi, illogicità, omessa ponderazione d’interessi, difetto d’istruttoria, ingiustizia errore e travisamento dei fatti e motivazione contraddittoria, i ricorrenti hanno dedotto che mancavano i presupposti per la dichiarazione dello stato di dissesto, e hanno sostenuto invece che le entrate ordinarie consentivano al comune di assolvere alle funzioni e ai servizi essenziali e che non esistevano crediti liquidi ed esigibili di terzi nei confronti del comune, ai quali non si potesse far fronte correntemente. I ricorrenti hanno altresì chiesto, con il medesimo ricorso, la sospensione cautelare dell’atto impugnato, allegando che esso danneggiava la collettività locale, l’ente comunale e i relativi creditori.

Il comune, costituitosi in giudizio, ha eccepito la carenza di giurisdizione del giudice amministrativo (sussistendo, secondo il comune, quella della corte dei conti) nonché l’inammissibilità del ricorso perché i ricorrenti non avevano indicato il loro specifico interesse all’impugnazione, quanto meno sotto il profilo del pregiudizio; in particolare ha sostenuto che i consiglieri comunali non sono, come tali, legittimati ad impugnare le deliberazioni del Consiglio e che legittimare il consigliere comunale all’impugnazione di deliberazioni del Consiglio (che non siano lesive del suo status e delle sue prerogative) costituirebbe un’aberrazione giuridica e una sovversione dei principi democratici.

Acquisite consulenze tecniche, il tribunale amministrativo regionale con ordinanza 19 novembre 2004 n. 809 ha sospeso, ai fini dei riesame, l’esecutività della deliberazione impugnata. Il Consiglio comunale con la deliberazione n. 43 ha riesaminato la deliberazione n. 20 e confermato la dichiarazione di stato di dissesto, e i ricorrenti con atto di motivi aggiunti notificato il 27 dicembre 2004 hanno impugnato anche la nuova deliberazione, con unico motivo rubricato come quello del ricorso e confutando nuovamente le asserzioni e i calcoli contenuti nella deliberazione consiliare.

Centonovantatre persone, qualificandosi come persone residenti nel comune, con atto notificato il 4 gennaio 2005 hanno spiegato intervento a favore dell’accoglimento del ricorso.

In corso di causa il comune ha proposto regolamento di giurisdizione, che il tribunale amministrativo regionale con ordinanza 9 novembre 2004 n. 783 ha ritenuto manifestamente infondata, disponendo la prosecuzione del processo (articolo 367 del codice di procedura civile).

Infine il tribunale amministrativo regionale ha definito il giudizio con la sentenza indicata in epigrafe: ha innanzitutto respinto l’eccezione di carenza di legittimazione all’impugnazione, affermando che, sebbene sia valido in astratto il principio che i conflitti interorganici trovano composizione in sede amministrativa e non già in sede giurisdizionale, nel caso in esame i consiglieri comunali agivano a tutela della loro onorabilità di politici e della loro immagine politica, «dato che il verificarsi delle cause del dissesto viene fatto risalire al periodo in cui tali ricorrenti costituivano la maggioranza consiliare». Ha poi accolto le impugnazioni e annullato la dichiarazione di stato di dissesto, con la motivazione che il comune aveva mantenuto due categorie di servizi (assistenza scolastica nonché assistenza, beneficienza e servizi alla persona) non qualificati come indispensabili dal citato decreto ministeriale, sicché, per ciò stesso, non poteva dirsi che il comune non fosse in condizione di prestare i servizi indispensabili; e che erano stati conteggiati crediti, non ancora liquidi o esigibili, per i quali non c’era stata valutazione «sull’effettivo correlato debito del comune da soddisfare senz’altro nel corso del 2004», e ad alcuni dei quali, per la loro entità, si poteva senz’altro far fronte mediante riduzione delle spese per servizi non indispensabili. Infine il tribunale amministrativo ha compensato le spese (legali) di giudizio e posto a carico del comune 15.972,33 euro per le consulenze tecniche d’ufficio.

Il comune appella deducendo i motivi che qui di séguito vengono riassunti.

1) Carenza di giurisdizione del giudice amministrativo.

2) Invasione dei poteri riservati agli organi, elettivi e non elettivi, dell’ente locale.

3) Inammissibilità del ricorso di primo grado per omessa notificazione ad almeno uno dei controinteressati (l’argomento è il seguente: se è vero che i consiglieri comunali ricorrenti sono legittimati al giudizio a tutela della loro “immagine politica”, allora i consiglieri comunali che hanno votato a favore del dissesto sono controinteressati all’annullamento delle relative deliberazioni).

4) Immotivato rigetto della domanda di sospensione del processo in séguito alla proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione).

5) Violazione degli articoli 21, decimo comma, e 26, quarto comma, della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 sui tribunali amministrativi, come modificata dalla legge 21 luglio 2000 n. 205, perché è stata pronunciata la sentenza immediata (vale a dire, a séguito della camera di consiglio fissata per l’esame dell’istanza di sospensiva della deliberazione n. 43 del 2004) fuori dei casi in cui ciò è consentito.

6) e 7) Inammissibilità del ricorso perché né i consiglieri comunali né i cittadini erano legittimati all’impugnazione.

8) e 9) Omesso rilievo dell’inammissibilità del motivo aggiunto ed erroneità del capo della sentenza che aveva annullato la deliberazione n. 43, la quale non era in contrasto con l’ordinanza cautelare n. 809 del 2004 del tribunale amministrativo.

10) Con questo ultimo motivo l’appellante sottopone a critica la motivazione della sentenza relativa all’insussistenza dei presupposti per la dichiarazione dello stato di dissesto; in particolare rilevando che la l’individuazione dei serivizi indispensabili, contenuta nel decreto del ministro dell’Interno del 28 maggio 1993, non ha nulla a vedere con lo stato di dissesto finanziario.

Si sono costituiti i ricorrenti di primo grado nonché il signor Francia, primo dei centonovantatre intervenienti, il quale ha eccepito l’improcedibilità dell’appello, notificato a lui solo e non anche agli altri intervenienti.

 

DIRITTO

Il giudizio d’appello è stato ritualmente instaurato dal comune con la notificazione del ricorso in appello agli originari ricorrenti, e non necessita di notificazione a coloro che nel giudizio di primo grado erano intervenuti (a sostegno del ricorso): nel giudizio amministrativo l’appello va notificato a tutte (e solo) le parti necessarie già ricorrenti o intimate in primo grado, ossia, a seconda di chi sia la parte soccombente, al ricorrente, all’autorità emanante e agli eventuali controinteressati. Tenendo presente che nel giudizio amministrativo l’intervento non può esser dispiegato da chi abbia un interesse tale da essere esso stesso legittimato all’impugnazione dell’atto amministrativo (perché altrimenti verrebbero eluso l’onere d’impugnare gli atti amministrativi entro un termine di decadenza), l’interveniente è, per definizione, una parte facoltativa, e l’intervento in giudizio non può far sorgere, a carico della parte necessaria soccombente nel giudizio di primo grado, l’onere di notificargli l’appello.

L’atto impugnato è una deliberazione del Consiglio comunale contenente dichiarazione dello stato di dissesto finanziario del comune, e i ricorrenti di primo grado sono alcuni consiglieri comunali e alcune persone residenti nel comune.

Occorre ricordare che, per proporre una domanda giurisdizionale, è necessario avervi interesse (articolo 100 del codice di procedura civile), nel senso di perseguire un’utilità giuridicamente apprezzabile e non altrimenti conseguibile che con l’intervento del giudice, ovvero nel senso che, senza l’intervento del giudice, il soggetto subirebbe un danno; e che danno e vantaggio debbono essere personali, ossia inerire a una posizione propria, tutelata dall’ordinamento, che processualmente è qualificata come legittimazione. Questo principio fondamentale, della legittimazione al giudizio (vedasi anche l’articolo 81 del codice di procedura civile, secondo cui nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui), significa, nell’essenziale, che il processo non dev’essere distolto dalla funzione sua propria, che è quella di rendere giustizia, e quindi non deve prestarsi né ad usi distorti né, specie per quanto riguarda il processo amministrativo - il quale serve a tutelare gli amministrati contro le illegittimità che possano esser consumate in loro danno dalle pubbliche autorità - ad intervenire in conflitti d’interessi non giuridici.

Ciò premesso, il Collegio ritiene che nel particolare caso della dichiarazione di dissesto finanziario del comune sussista la legittimazione a ricorrere di tutte le singole persone fisiche residenti nel comune; perché la dichiarazione di dissesto costituisce la premessa per ulteriori provvedimenti sfavorevoli, contro i quali esse non avrebbero poi modo di difendersi: riduzione dei servizi offerti dal comune alla cittadinanza, aumento delle tariffe dei restanti servizi, aumento dell’aliquota dell’imposta comunale sugl’immobili. Tali ulteriori provvedimenti possono certamente rendersi necessari se veramente sussiste lo stato di dissesto; ma appare ragionevole consentire ai residenti d’impugnare la dichiarazione di dissesto quando ne neghino il presupposto stesso, per esempio lamentando che si siano tralasciate poste attive o computate poste passive inesistenti o che le valutazioni finanziarie siano state altrimenti errate.

Va perciò respinto il motivo d’appello con cui il comune nega la legittimazione all’impugnazione in capo ai ricorrenti che hanno allegato come titolo di legittimazione la loro qualità di residenti nel comune.

È quindi superfluo stabilire se per i ricorrenti consiglieri comunali (si deve supporre: che hanno votato contro il provvedimento), sussistessero o meno quelle circostanze di fatto che, secondo il giudice di primo grado, nel caso in esame li legittimavano ad impugnare una deliberazione del Consiglio comunale.

Affermata la legittimazione di almeno alcuni dei ricorrenti di primo grado, va però detto che l’impugnazione proposta con il ricorso di primo grado è infondata. Dal parere del dottor Antonio Giuncato, revisore contabile, emerge in modo particolarmente chiaro che il comune non riusciva ad avere una massa di entrate, specie tributarie, pari o superiore al volume delle prevedibili spese; e tale parere conferma le conclusioni di un consulente nominato dal pubblico ministero in un procedimento penale, la relazione degl’ispettori della regioneria generale dello Stato, le consulenze tecniche d’ufficio disposte in primo grado e la proposta di dichiarazione di dissesto formulata dai revisori contabili. Tanto è sufficiente per sorreggere la dichiarazione di dissesto finanziario, mentre la motivazione della sentenza impugnata, sostanzialmente poggiante sull’affermazione che il comune avrebbe potuto o dovuto eliminare o ridurre i servizi non indispensabili (quali sarebbero l’assistenza scolastica e l’assistenza e beneficienza), invade, come lamenta il comune appellante, la sfera delle valutazioni e delle scelte riservate alla pubblica amministrazione.

L’appello del comune, in conclusione, è fondato e va accolto.

Il rigetto dell’eccezione preliminare l’inammissibilità del ricorso, e la novità della relativa questione, costituisce giusto motivo per compensare le spese di giudizio d’ambo i gradi; fuorché le spese delle consulenze tecniche, già liquidate dal giudice di primo grado, che vanno poste a carico degli originari ricorrenti.

            Il 19 gennaio 2006, dopo l’udienza di discussione del 22 dicembre 2005 e dopo la consegna della minuta della presente decisione ai sensi dell’articolo 119 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, avvenuta il 14 dicembre 2005, l’avvocato Francesco Di Ciollo, difensore del signor Massimo Francia, ha presentato istanza di rimessione della causa in ruolo d’udienza perché siano valutate nuove circostanze, successive all’udienza di discussione.

            Si rende pertanto necessario rilevare l’inammissibilità dell’istanza, perché la discussione della causa fissa il limite dei fatti da considerare ai fini della decisione. La rimessione in ruolo, non prevista dall’ordinamento processuale, è possibile – sempre sulla base dei fatti avvenuti e rappresentati alla data della prima discussione – solo quando si verifichino fatti tali da rendere impossibile la decisone o la redazione della sentenza da parte del Collegio presente alla discussione.

 

Per questi motivi

accoglie l’appello indicato in epigrafe, e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso proposto contro le deliberazioni 17 maggio 2004 n. 20 e 17 dicembre 2004 n. 43 del Consiglio comunale di Pontinia. Pone a carico solidale degli originari ricorrenti le spese delle consulenze tecniche già liquidate dal giudice di primo grado, e compensa fra le parti le restanti spese di giudizio.

Così deciso in Roma il 22 novembre 2005 dal collegio costituito dai signori:

Raffaele Iannotta          presidente

Raffaele Carboni          componente, estensore

Paolo Buonvino           componente

Cesare Lamberti          componente

Goffredo Zaccardi       componente

 

L'ESTENSORE                      IL PRESIDENTE

F.to Raffaele Carboni              F.to Raffaele Iannotta

 

IL SEGRETARIO

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 17 maggio 2006

(Art. 55. L. 27/4/1982, n. 186)

 

PER IL  DIRIGENTE

F.to Livia Patroni Griffi

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