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Consiglio di Stato, Sez. V, 28/12/2006 n. 8069
Sull'inapplicabilità della disciplina della revisione dei prezzi ai contratti della p.a. ad esecuzione periodica stipulati anteriormente all'entrata in vigore della l. n. 724/1994.

La disciplina della revisione dei prezzi dei contratti delle amministrazioni pubbliche ad esecuzione periodica o continuativa introdotta dall'art. 44, c. 4 della l. 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure per la razionalizzazione della finanza pubblica), non si applica ai contratti stipulati anteriormente all'entrata in vigore della legge. L'intento del legislatore, con le regole del 1993-1994, è stato quello, con il divieto di rinnovo tacito dei contratti, di introdurre un controllo della utilità dei contratti di durata, in modo che si mantenessero conformi, nel tempo, ai parametri di spesa di riferimento. Tanto che la norma in questione venne, appunto, inizialmente, accompagnata dalla facoltà di recesso della parte pubblica. Una siffatta prescrizione in quanto comportante effetti sfavorevoli per il privato contraente non poteva che essere operante per i soli contratti da stipulare, nei quali il medesimo era reso avvertito della possibilità di un mutamento dei patti originari, ove alla revisione avesse voluto dar corso.

Materia: appalti / contratti

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la seguente

 

DECISIONE

sul ricorso in appello n.r.g. 9380 del 2005, proposto dalla s.r.l. TRADECO, rappresentata e difesa dagli avv. Ernesto Sticchi Damiani e Giuseppe Aedo Ostillio ed elettivamente domiciliata presso lo studio BDL, in Roma, via Bocca di Leone, n. 78,

 

contro

il Comune di Martina Franca, rappresentato e difeso dagli avv. Francesco Flascassovitti e Pierluigi Portaluri ed elettivamente domiciliato presso il sig. Luigi Gardin, in Roma, via L. Mantegazza, n. 24,

 

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia, Sezione staccata di Lecce – sez. II, n. 4280/05, pubblicata il 19 settembre 2005 e notificata in data 12 ottobre 2005.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della parte indicata sopra;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Designato relatore, alla pubblica udienza del 23 giugno 2006, il consigliere Giuseppe Farina ed uditi, altresì, gli avv. Flascassovitti, Portaluri e Sticchi Damiani, come da verbale d’udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

 

FATTO

1. Il ricorso n. 9380 del 2005 è proposto dalla s.r.l. TRADECO. È stato notificato al comune di Martina Franca in data 10 novembre 2005 e depositato il 24 novembre successivo.

2. È chiesta la riforma della sentenza n. 4280/05, notificata il 12 ottobre 2005, del Tribunale amministrativo regionale della Puglia - sede staccata di Lecce, Sez. II.

La pronuncia impugnata ha respinto il ricorso della società per l’annullamento del provvedimento, in data 9 dicembre 2004, col quale il Comune suddetto ha respinto la richiesta di revisione dei prezzi, avanzata ai sensi dell’art. 44 della legge n. 724 del 1994, sul corrispettivo del contratto, sottoscritto il 21 dicembre 1992, per l’appalto decennale della raccolta dei rifiuti solidi urbani.

3. L’appello è affidato a cinque motivi, riguardanti il titolo alla revisione e denuncianti l’erroneità della sentenza del primo giudice.

4. Si è costituito in giudizio, in data 12 gennaio 2006, il Comune intimato. Con memoria del 12 giugno 2006, ha confutato le censure della società ricorrente.

5. All’udienza del 23 giugno 2006, il ricorso è stato chiamato per la discussione e, poi, introitato in decisione.

 

DIRITTO

1.1. La società ricorrente ha chiesto, con atto notificato in data 20 settembre 2004, il riconoscimento, in suo favore, della revisione dei prezzi sul corrispettivo del contratto, stipulato in data 21 dicembre 1992 col Comune di Martina Franca, per il servizio decennale di raccolta dei rifiuti solidi urbani.

La richiesta era basata sull’art. 44 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, sostitutivo dell’art. 6 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, il cui comma 4 recita: “tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili …”.

La domanda riguardava il periodo decorrente dal 1° gennaio 1995, vale a dire dalla data di entrata in vigore della l. n. 724 del 1994. La somma domandata è di 4.717.986 euro, sino al 31 luglio 2000.

1.2. Il Comune, con atto notificato in data 11 dicembre 2004, ha replicato che la richiesta era infondata, perché la disciplina della legge suddetta non è applicabile ai contratti – come quello fra le parti – stipulati antecedentemente, anche se ancora in corso, alla data di entrata in vigore della legge.

1.3. La società ha impugnato il provvedimento ed ha chiesto che si dichiarasse il suo diritto al pagamento della differenza di prezzo, oltre gli accessori.

2. Il Tribunale amministrativo regionale ha respinto, con la sentenza appellata, il ricorso.

3. Con il primo ed il secondo motivo dell’appello, la società critica la decisione del primo giudice ed, al contempo, afferma che la revisione spetta in virtù dell’art. 10 del contratto di appalto, che prevedeva la revisione a norma dell’art. 33 della l. 23 febbraio 1986, n. 41.

Il T.A.R. non ha condiviso le tesi della ricorrente, ritenendo la sua giurisdizione.

Si deve però osservare che, se la pretesa ad un compenso viene fondata su una clausola del contratto stipulato fra le parti, la posizione giuridica del richiedente non può che assumere consistenza di diritto soggettivo. Perciò tutte le argomentazioni della parte riguardanti la perdurante efficacia o validità della clausola di revisione, nonostante l’intervenuta dedotta abrogazione dell’istituto con l’art. 3 del d.l. n. 333 del 1992, esigono l’esame di disposizioni che farebbero concludere per la sussistenza o l’insussistenza di un diritto alla revisione.

Le questioni poste esulano, di conseguenza, dalla cognizione del giudice amministrativo, essendo irrilevante che il giudice ordinario si sia pronunciato, sia pure sotto diverso profilo, sulla questione.

4. Con il terzo motivo, invece, la società assume che il diritto alla revisione le deriva dall’art. 6, comma 4, della l. 24 dicembre 1993, n. 537, come modificato nel 1994 dalla legge n. 724, e del quale si è sopra (al n. 1.1) riportato il testo.

La tesi della società, che approfondisce con dotte e sottili argomentazioni il problema della applicabilità del reinserita formula della revisione dei prezzi ai contratti stipulati anteriormente all’entrata in vigore della legge del 1994, non è da condividere.

Questo Consiglio di Stato ha, invero, già affrontato il problema, ed ha concluso in senso contrario:

a) sia sotto il profilo logico – letterale, in forza del quale l’espressione usata dal legislatore del 1993 e 1994 (tutti i contratti … “debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo”) non si adatta ad essere riferita ai contratti già stipulati, come quello del quale si discute;

b) sia sotto l’aspetto sistematico, giacché l’intento del legislatore, con le regole del 1993-1994, è stato quello, con il divieto di rinnovo tacito dei contratti, recato dal comma 2 dello stesso articolo 6, di introdurre un controllo della utilità dei contratti di durata, in modo che si mantenessero conformi, nel tempo, ai parametri di spesa di riferimento. Tanto che la norma in questione venne, appunto, inizialmente, accompagnata dalla facoltà di recesso della parte pubblica. Una siffatta prescrizione, è stato notato dalla giurisprudenza di questo Consiglio, in quanto comportante effetti sfavorevoli per il privato contraente non poteva che essere operante per i soli contratti da stipulare, nei quali il medesimo era reso avvertito della possibilità di un mutamento dei patti originari, ove alla revisione avesse voluto dar corso (Sez. VI 27 aprile 2001, n. 2434 e Sez. V 17 maggio 2005, n. 2462).

5. Il quarto motivo è inteso a sostenere che la richiesta di revisione dei prezzi risulterebbe fondata “in forza della disciplina contenuta nell’art. 1664 del codice civile”.

La censura è inammissibile.

Invero, la giurisdizione, in materia di diritto alla revisione dei prezzi nei contratti di durata, è stata estesa al giudice amministrativo dall’art. 6, comma 19 della legge 537 del 1993, se derivanti dalla applicazione dell’articolo stesso. E si è ora visto che il comma 4 della norma in esame non è da applicarsi al caso di specie. Ma di certo non è possibile seguire la parte ricorrente, quando afferma che la norma del codice sarebbe riconducibile sotto le previsioni dell’art. 6: per vero sarebbe sufficiente a smentire siffatta tesi l’osservazione che la parte si limita ad una semplice asserzione, non accompagnata dal alcuna argomentazione.

Qui si deve soltanto ribadire che tutte le ipotesi regolate dal suddetto art. 6 riguardano i contratti da stipulare dopo l’entrata in vigore della stessa legge e che, esclusa la norma del comma 4, che si è esaminata, tutte quelle successive riguardano i modi che le pubbliche amministrazioni dovevano seguire per il migliore esercizio dei poteri di spesa. E dunque attività discrezionali e procedimentalizzate della p.a. Perciò, si poteva coerentemente giustificare l’attribuzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo della cognizione sulle predette attività.

La revisione regolata dall’art. 1664 c.c. non trova nessuna correlazione con le ipotesi suddette. Essa, per conseguenza, disciplina le posizioni paritetiche dei due contraenti di un appalto ed esula, per ciò stesso, dalla cognizione del giudice amministrativo.

6. Il quinto motivo denuncia l’illegittimità costituzionale del ripetuto art. 6, comma 4, della l. 537 del 1993, in quanto non si applica ai contratti stipulati anteriormente alla data della entrata in vigore della legge (1° gennaio 1994).

Sul punto, questo Consiglio ha già messo in rilievo, in relazione ad analoga tesi sostenuta in un precedente giudizio (citata Sez. VI n. 2434 del 2001) che non può farsi questione di disparità di trattamento, come ripetutamente affermato dal giudice delle leggi, con riguardo a situazioni maturate in tempi diversi. Qui si può aggiungere che la suindicata completezza del disegno legislativo, con previsione della facoltà di recesso della amministrazione e di procedimenti istruttori ben definiti, dà dimostrazione della diseguaglianza di situazioni e, perciò, della insostenibilità della tesi che sta alla base del dubbio di ingiusto trattamento differenziato di posizioni giuridiche identiche.

7. In conclusione, l’appello deve essere respinto.

8. Vi sono ragioni per disporre la compensazione delle spese del grado.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge l’appello.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), nella camera di consiglio del 23 giugno 2006, con l'intervento dei Signori:

Sergio Santoro             Presidente 

Giuseppe Farina rel. est.          Consigliere 

Corrado Allegretta                   Consigliere 

Aldo Fera                                Consigliere 

Aniello Cerreto                        Consigliere 

L’Estensore                             Il Presidente

 

f.to Giuseppe Farina                f.to Sergio Santoro

Il Segretario

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 28 dicembre 2006

(Art. 55. L. 27/4/1982, n. 186)

 

IL  DIRIGENTE

F.to Antonio Natale

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