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TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 5/12/2008 n. 21241
Sulla possibilità di affidare in via diretta ed esclusiva ad una società all'uopo costituita, la gestione di tutti i servizi riguardanti la nautica da diporto da prestarsi con riferimento all'utilizzo dei beni del demanio marittimo siti nel comune.

La regola-base, in tema di concessioni demaniali marittime, è quella della loro attribuzione ad una controparte privata mediante espletamento di una procedura che debba essere rispettosa dei principi comunitari. Costituisce eccezione a tale regola la possibilità, per il concedente ente di diritto pubblico, di operare mediante il sistema del cd. "in house providing"; ovvero di servirsi per la gestione del servizio pubblico locale (nella specie quello avente ad oggetto le attività collegate alla nautica da diporto, per cui è necessario il possesso di beni del demanio marittimo; a sua volta conseguibile esclusivamente attraverso un atto concessorio), di un soggetto giuridico soltanto formalmente distinto da sé, ma nella sostanza costituente, in presenza di determinati e stringenti indici, una sua derivazione o longa manus.

E' illegittimo il diniego opposto da un comune alla richiesta di una società volta a conseguire un ampliamento della concessione demaniale marittima di cui è già titolare; diniego oppostole sull'assunto che il comune avrebbe deciso di svolgere in proprio una serie di attività economiche a supporto della nautica da diporto e connesse allo sfruttamento di tutti i porti turistici, gli approdi e gli specchi d'acqua utilizzabili per ormeggio ubicati nel suo territorio, e ciò mediante un modulo organizzativo peculiare, incentrato sulla costituzione di una società ad hoc (avente quale unico socio il comune), in quanto non sono ravvisabili, nel caso di specie, nella società all'uopo costituita i requisiti (controllo analogo e prevalenza dell'attività) perché questa possa essere destinataria di un affidamento cd. "in house" da parte del comune del servizio pubblico di gestione delle attività a supporto della nautica da diporto nel territorio comunale, e, quindi, titolare di una "esclusiva" per le necessarie concessioni sui beni demaniali marittimi siti nel comune.

Materia: servizi pubblici / affidamento e modalità di gestione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania Sede di Napoli-Sezione settima

composto dai signori :

     Dott. Francesco Guerriero                     Presidente

     Dott. Michelangelo Maria Liguori       Consigliere rel.

     Dott. Carlo Polidori                                Primo Referendario

ha pronunciato la seguente 

 

S E N T E N Z A

sul ricorso R.G. n° 5863 dell’anno 2005, proposto dalla SOCIETA’ COOPERATIVA ISCHIA BARCHE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Lorenzo Bruno Molinaro e Antonio Iacono e con gli stessi legalmente domiciliata in Napoli, presso la Segreteria del T.A.R.;

 

CONTRO

COMUNE di ISCHIA, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Vincenzo Molino e con lo stesso legalmente  domiciliato in Napoli, presso la Segreteria del Tar,

 

e nei confronti

di ISCHIA RISORSA MARE srl – Società Unipersonale, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Biagio Iacono, con il quale è legalmente domiciliata in Napoli, presso la Segreteria del T.A.R.;

 

per l’annullamento

del  provvedimento del 16 maggio 2005, n° 11887, a firma del responsabile dell’Ufficio Demanio del Comune di Ischia, con il quale è stata rigettata la richiesta di concessione demaniale marittima acquisita al protocollo del Comune di Ischia in data 1.10.2001, n° 23234, avente ad oggetto l’ampliamento dello specchio acqueo in Ischia antistante vico Marina (zona “Mandra”);

di tutti gli altri atti preordinati, connessi e consequenziali, comunque lesivi della posizione soggettiva del ricorrente.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Ischia e della Ischia Risorsa Mare s.r.l.;

Viste le memorie e i documenti prodotti dalle parti a sostegno delle rispettive posizioni;

Viste le ordinanze collegiali n° 376/2007, n° 621/2007 e n° 195/2008, con le quali sono stati disposti nei confronti dell’Amministrazione comunale di Ischia incombenti istruttori;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del 15 ottobre 2008 il Consigliere Dott. Michelangelo Maria Liguori e uditi i difensori delle parti, presenti come da verbale di udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

 

FATTO

Con  il gravame in esame, la Cooperativa  ricorrente riferisce che in data 1° ottobre 2001, prot.23234, la stessa ha chiesto al Comune di Ischia il rilascio della concessione demaniale  avente ad oggetto l’ampliamento dello specchio acqueo antistante vico Marina (zona “Mandra”).

L’Amministrazione comunale con nota 13 giugno 2002, prot. n° 12830/2002 ha comunicato l’avvio di accertamenti per la verifica dello stato dei luoghi rappresentando la necessità di acquisire l’autorizzazione ex art. 19 D.Lgs. n° 374/1990, presso la Circoscrizione doganale di Napoli.

In data 27 maggio 2004, con nota prot. n° 13621 la società ha chiesto al Comune di conoscere lo stato della pratica senza però avere alcun riscontro.

 

Lamenta la Cooperativa ricorrente che con provvedimento del 16 maggio 2005, prot. n° 11897, il responsabile dell’Ufficio Demanio del Comune di Ischia ha rigettato l’istanza con motivazione del seguente tenore: premesso che la Regione Campania nelle “Linee Programmatiche per lo Sviluppo del Sistema Integrato della Portualità Turistica”, relativamente al Porto di Ischia, ne ha subordinato l’adeguamento ad un più complessivo Piano di recupero dell’intera area portuale che dovrà prevedere la  riorganizzazione degli spazi in ragione della coesistenza di una molteplicità di funzioni quali: diporto nautico (stanziale, stagionale e in transito), vie del mare, commercio e pesca, sport nautici, emergenza e sicurezza ed inoltre, interventi da programmarsi a terra in relazione alla riorganizzazione delle attività cantieristiche, alla dotazione di aree di parcheggio, di terminal dei trasporti, di aree attrezzate per l’imbarco dei veicoli; che con delibera di G.C. n°129 del 26.05.2004 veniva costituita la Società Ischia Risorsa Mare a r.l., alla quale venivano demandate “le attività di gestione dei porti turistici e commerciali nonché approdi e specchi d’acqua per l’ormeggio natanti, navi ed imbarcazioni da diporto ect.; considerato che è evidente chiaro l’intendimento dell’Amministrazione di conferire alla soc. Ischia Risorsa Mare a r.l. la gestione delle aree e degli specchi acquei idonei allo svolgimento di porti turistici, commerciali nonché di approdi di specchi d’acqua per l’ormeggio natanti; visto che la domanda di rilascio di Concessione Demaniale Marittima prot. n.23234 del 01/10/01, rientra tra le attività gestionali della società Ischia Risorsa Mare a r. la…istanza è rigettata .

Avverso detto provvedimento la società Cooperativa ha proposto ricorso a questo Tribunale amministrativo deducendo i seguenti motivi:

Violazione artt.7 e 10 bis della L. n.241 del 1990 - Violazione del giusto procedimento.: l’atto impugnato sarebbe illegittimo atteso che l’Amministrazione avrebbe dovuto comunicare i motivi ostativi all’accoglimento della domanda, ai sensi dell’art.10 bis della legge n.241 del 1990.

Carenza assoluta di motivazione. Violazione art.3 Legge n.241 del 1990. Travisamento. Omessa ponderazione della situazione contemplata. Falso scopo. Violazione e falsa applicazione artt.36 e 37 Codice della navigazione e della Legge n.88 del 2001. Violazione del giusto procedimento: il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo in quanto carente di motivazione e viziato da palese travisamento atteso che non risulterebbe che la società Ischia Risorse Mare s.r.l. abbia presentato istanza di concessione del medesimo bene demaniale, né si potrebbe pensare ad un rilascio automatico alla stessa, eludendo le regole degli artt.36 e 37 del codice della navigazione; una eventuale assegnazione diretta della concessione alla detta società risulterebbe in violazione delle regole di concorrenza.

Violazione dell’art.3 della L. n.241 del 1990 sotto altro aspetto: mancherebbero nell’atto impugnato le indicazioni del termine entro il quale proporre ricorso e l’Autorità a cui proporlo.

Si è costituito ritualmente in giudizio il Comune di Ischia  per resistere al ricorso e ha controdedotto alle censure proposte sostenendo che non sussisterebbe la violazione dell’art. 10 bis con riferimento all’omesso  preavviso di rigetto, posto che la stessa appartiene alla categoria dei vizi emendabili ai sensi dell’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990, come modificato dalla legge n. 15 del 2005. Infatti, anche se il Comune avesse comunicato i motivi ostativi all’accoglimento della domanda, l’atto avrebbe avuto il medesimo contenuto provvedimentale negativo per l’interessato, in quanto con delibera di G.C. n. 129 del 26.5.2004, successivamente integrata con la deliberazione n. 15 del 9.7.2004, il Comune di Ischia ha approvato lo schema di atto costitutivo della società Ischia Risorsa Mare s.r.l., della quale il Comune è unico socio, avente ad oggetto l’attività di gestione di tutti i porti turistici e commerciali insistenti sul territorio comunale nonché degli approdi e specchi d’acqua per l’ormeggio dei natanti, navi e imbarcazioni. In tal senso sarebbe inequivocabile la deliberazione di G.C. n. 59 del 23.2.2006 che, dando mandato al  Dirigente dell’UTC - Settore Demanio, di non rilasciare nuove concessione demaniali a privati, darebbe atto che le stesse andrebbero rilasciate esclusivamente al Comune o alla Ischia Risorsa Mare s.r.l..

Riguardo alla presunta violazione dell’art. 3 della L. 241/1990 il Comune controdeduce la sufficienza della motivazione del provvedimento impugnato e il rilievo che l’omissione del termine entro il quale proporre ricorso e dell’Autorità da adire potrebbe implicare il riconoscimento dell’errore scusabile. Infine, non sussisterebbe il mancato confronto concorrenziale riguardo l’attribuzione dell’attività di gestione e della mancata partecipazione alla relativa contrattazione da parte delle imprese interessate, in quanto il modulo gestorio adottato dal Comune rientrerebbe in quello disciplinato dall’art. 113 del D.Lgs. n. 267 del 2000, quindi gestione diretta del servizio da parte  dell’ente locale. Pertanto, la difesa comunale sulla base delle richiamate posizioni insiste per la reiezione del ricorso.

Alla pubblica udienza del 23 maggio 2007, è stata pronunciata l’ordinanza collegiale n° 376/2007, con la quale sono stati disposti nei confronti  dell’Amministrazione comunale incombenti istruttori.

La difesa comunale ha depositato in data 13 settembre 2007 documentazione in esecuzione della predetta ordinanza n° 376/2007.

Il 28 settembre successivo parte ricorrente ha depositato una memoria, dopo  che, in precedenza, aveva prodotto documentazione.

Con ordinanza collegiale n° 621/2007, pronunziata all’esito dell’udienza pubblica del 10 ottobre 2007, sono stati disposti ulteriori incombenti istruttori a carico del Comune di Ischia, ai quali quest’ultimo ha dato adempimento depositando documentazione in data 18 gennaio 2008.

In prossimità dell’udienza pubblica di discussione del ricorso (il 28 dicembre 2007) la società ricorrente ha depositato un’istanza con la quale, dopo aver precisato di essere venuta a conoscenza del rilascio a terzi, da parte del Comune di Ischia, nelle more del giudizio, di numerose concessioni demaniali marittime di contenuto analogo a quella oggetto dell’impugnato diniego (mentre altre simili istanze erano state poste in istruttoria dall’ufficio competente), nonché della circostanza che la Ischia Risorsa Mare s.r.l. non gestirebbe direttamente le concessioni demaniali marittime rilasciatele, bensì lo farebbe per il tramite di altro soggetto, totalmente privato (e con tariffe improntate ad una logica imprenditoriale di profitto), ha chiesto disporsi ulteriori accertamenti istruttori al fine di acquisire:

copia delle concessioni demaniali marittime rilasciate a privati dopo la proposizione del giudizio;

elenco delle istanze presentate dai privati per conseguire concessioni del medesimo genere, con precisazione delle modalità del loro esame;

copia dei contratti stipulati tra la Ischia Risorsa Mare s.r.l. e la Cooperativa Porto d’Ischia a r.l.;

copia delle tariffe applicate dalla Ischia Risorsa Mare per l’ormeggio di imbarcazioni da diporto, nonché copia dei bilanci di esercizio e delle fatture emesse;

copia delle istanze, volte al rilascio di concessioni demaniali marittime, presentate dalla Ischia Risorsa Mare s.r.l. precedentemente all’adozione del provvedimento impugnato.

In data 30 gennaio 2008 si è costituita la Ischia Risorsa Mare s.r.l., contestando la fondatezza degli avversi assunti e depositando documentazione.

Con ordinanza n° 195/2008, il Tribunale, in accoglimento della suddetta istanza di parte ricorrente, ha disposto ulteriori adempimenti istruttori, ad evasione dei quali il Comune di Ischia ha depositato altra documentazione in data 13 maggio 2008.

Alla pubblica udienza del 15 ottobre 2008 il ricorso è stato nuovamente trattenuto per la decisione.

 

DIRITTO

Va preliminarmente preso atto della documentazione depositata dal Comune di Ischia a seguito delle ordinanze collegiali n° 376/2007, n° 621/2007 e n° 195/2008.

Il presente giudizio ha ad oggetto il diniego opposto dal Comune di Ischia alla richiesta della società ricorrente volta a conseguire un ampliamento della concessione demaniale marittima di cui è già titolare (riguardante lo specchio acqueo antistante vico Marina, in zona “Mandra”); diniego oppostole sull’assunto che il Comune avrebbe deciso di svolgere in proprio una serie di attività economiche a supporto della nautica da diporto e connesse allo sfruttamento di tutti i porti turistici, gli approdi e gli specchi d’acqua utilizzabili per ormeggio ubicati nel suo territorio, e ciò mediante un modulo organizzativo peculiare, incentrato sulla costituzione di una società ad hoc (la “Ischia Risorsa Mare s.r.l.”, avente quale unico socio il Comune di Ischia), alla quale rimarrebbe perciò, in definitiva, riservato l’utilizzo di ogni bene demaniale marittimo sito nel territorio comunale, in quanto strumentale rispetto al detto fine.

La proposta impugnazione si articola su tre motivi di doglianza, e specificamente con il secondo di questi, utilizzando come veicolo la censura di difetto di motivazione, la ricorrente contesta, sotto vari profili, che sia possibile per l’intimato Comune riconoscere alla società Ischia Risorsa Mare l’esclusiva nel chiedere ed ottenere concessioni demaniali marittime nel territorio comunale, così da determinare, in favore di questa, una sostanziale riserva di sfruttamento dei beni demaniali interessati.

Va segnalato che, con atto n° 20 del 23.7.2003, il Consiglio Comunale di Ischia già aveva deliberato di “dare mandato al Sindaco, all’Amministrazione, ed all’Ente comunale di Ischia di non rilasciare concessioni demaniali per alcun tratto di spiaggia, costa o scogliere attualmente libere”; che, con successivo atto n° 16 del 14.2.2008, lo stesso Consiglio ha, poi, modificato il precedente deliberato nel senso di “dare mandato al Sindaco, all’Amministrazione, ed all’Ente comunale di Ischia di non rilasciare concessioni demaniali per alcun tratto di spiaggia, costa o scogliere attualmente libere, salvo casi in cui la concessione demaniale non rivesta carattere di pubblico interesse”; che, con atto n° 59 del 23.2.2006, la Giunta Municipale di Ischia, dopo aver approvato “il progetto definitivo-esecutivo redatto dall’Ing. Michele Di Scala…relativo all’utilizzo degli specchi acquei”, analogamente ha deliberato di “dare mandato al Dirigente U.T.C., Settore Demanio, di non rilasciare nuove concessioni demaniali a privati”, essendo “volontà dell’Amministrazione di assumere in proprio la gestione del servizio di assistenza e ormeggio dei natanti per gli specchi acquei di pertinenza del Comune di Ischia”: l’esistenza di tali atti (dei quali soltanto la delibera di G.C. n° 59/2006 è stata oggetto di impugnativa da parte della società ricorrente, mediante proposizione di un ricorso straordinario al Capo dello Stato) risulta, però, a giudizio del Collegio, ininfluente sul presente giudizio, essendo essi meramente programmatici e non dotati di autonoma lesività in riferimento agli interessi in questa sede in discussione, stante la mancanza di un atto che ne abbia costituito specifica applicazione (posto che quello qui impugnato è antecedente rispetto alle due ultime citate determinazioni, né contiene alcun espresso richiamo alla prima e più antica di esse).

Così sommariamente delineate le posizioni delle parti, va evidenziato che, a prescindere dal primo e dal terzo dei motivi proposti (involgenti esclusivamente questioni formali-procedimentali), in realtà il punto centrale del presente giudizio risulta costituito dalla verifica della possibilità di affidare, secondo lo schema dello ”in house providing”, in via diretta ed esclusiva alla s.r.l. Ischia Risorsa Mare (società all’uopo costituita dal Comune di Ischia, e di cui è attualmente unico socio) la gestione di tutti i servizi riguardanti la nautica da diporto (in sostanza individuati quale “servizio pubblico locale” ai sensi dell’art. 112 Decr. Leg.vo 267/2000) da prestarsi con riferimento all’utilizzo dei beni del demanio marittimo siti nel Comune in questione.

In proposito, va per prima cosa rilevato che appare corretta, alla luce dell’ampia formulazione dell’art. 112 Decr. Leg.vo 267/2000, la qualificazione dell’attività in questione (caratterizzata dalla prestazione di servizi a supporto della nautica da diporto) come uno dei “servizi pubblici locali” gestibili da un Comune, così da rimanere assoggettata al regime giuridico all’uopo predisposto dall’ordinamento (cfr. Cons. di Stato sez. V, n° 7369 del 13.12.2006; T.A.R. Lazio-Latina n° 310 del 5.5.2006).

In secondo luogo, va osservato che lo sfruttamento dei beni del demanio marittimo (a mezzo di apposite concessioni), viene ad essere un presupposto necessario e prodromico per la detta gestione; ragione per la quale il Comune di Ischia sostiene che dovrebbe rimanere anch’esso riservato, parimenti in esclusiva, alla Ischia Risorsa Mare s.r.l..

Ecco allora, che il primo nodo da sciogliere riguarda il tipo di modulo procedimentale a mezzo del quale è possibile attribuire una concessione demaniale marittima, con particolare riguardo alla necessità – o meno - di sottoporlo ai principi dell’evidenza pubblica, onde garantire condizioni effettive di concorrenza in relazione ad una situazione che, in definitiva, costituisce un’occasione di guadagno per soggetti operanti sul mercato.

Su quest’ultimo punto, il Collegio ritiene di condividere appieno quanto di recente affermato dalla giurisprudenza amministrativa (dal Cons. di Stato sez. VI, con le decisioni n° 168 del 25.1.2005; n° 7616 del 30.12.2005, n° 362 del 30.1.2007; nonché dal T.A.R. Lazio-Latina con la sentenza n° 610 dell’8.9.2006), e, da ultimo, ribadito dall’Ad. Plen. del Cons. di Stato n° 1 del 3.3.2008.

In particolare, nelle citate pronunzie è stato posto in evidenza che, anche nelle ipotesi in cui non si versi in materia di appalti di servizi e/o di concessione di servizi pubblici, devono comunque trovare applicazione i principi di derivazione comunitaria i quali impongono che il sistema di scelta del contraente sia ispirato a criteri di parità di trattamento, di non discriminazione e di trasparenza.

Testualmente, l’Ad. Plen. n° 1/2008 così si esprime sul punto: “I principi generali del Trattato valgono comunque anche per i contratti e le fattispecie diverse da quelle concretamente contemplate; quali, (oltre alla concessione di servizi) gli appalti sottosoglia e i contratti diversi dagli appalti tali da suscitare l’interesse concorrenziale delle imprese e dei professionisti (ad esempio, le concessioni di beni pubblici di rilevanza economica; da ultimo Cons. di Stato sez. VI, 30 gennaio 2007 n° 362).

E appunto sul piano delle norme e dei principi comunitari va detto che in base alla “comunicazione della Commissione europea del 12.4.2000, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. C 121 del 29.04.2000, richiamata e sviluppata dalla circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento per le politiche Comunitarie n° 945 dell’1.3.2002”, i principi di evidenza pubblica, da attuare in modo proporzionato e congruo all’importanza della fattispecie in rilievo vanno applicati, in quanto dettati in via diretta e self-executing dal Trattato, anche alle fattispecie non interessate da specifiche disposizioni comunitarie volte a dare la stura ad una procedura competitiva puntualmente regolata.

La circolare ha puntualizzato che “a prescindere dall’applicabilità di specifici regimi, tutte le concessioni (quindi anche quelle demaniali marittime - n.d.r.) ricadono nel campo di applicazione delle disposizioni degli articoli da 28 a 30 (ex articoli da 30 a 36), da 43 a 55 (ex articoli da 52 a 66) del Trattato o dei principi sanciti dalla giurisprudenza della Corte. Si tratta in particolare dei principi di non discriminazione, di parità di trattamento, di trasparenza, di mutuo riconoscimento e proporzionalità così come risultano dalla costante tradizione giurisprudenziale della Corte europea che si è posta all’avanguardia nella loro elaborazione”.

Segnatamente “il principio di trasparenza è strettamente legato a quello di non discriminazione, poiché garantisce condizioni di concorrenza non falsate ed esige che le amministrazioni concedenti rendano pubblica, con appropriati mezzi di pubblicità, la loro intenzione di ricorrere ad una concessione. Secondo le indicazioni della Commissione europea (cfr. il punto 3.1.2 della Comunicazione interpretativa) tali forme di pubblicità dovranno contenere le informazioni necessarie affinché potenziali concessionari siano in grado di valutare il loro interesse a partecipare alla procedura quali l’indicazione dei criteri di selezione ed attribuzione, l’oggetto della concessione e delle prestazioni attese dal concessionario. Spetterà poi in particolare ai giudici nazionali valutare se tali obblighi siano stati osservati attraverso l’adozione di appropriate regole o prassi amministrative.”.

A sua volta, “il principio di parità di trattamento implica che le amministrazioni concedenti pur essendo libere di scegliere la procedura di aggiudicazione più appropriata alle caratteristiche del settore interessato e di stabilire i requisiti che i candidati devono soddisfare durante le varie fasi della procedura, debbano poi garantire che la scelta del candidato avvenga in base a criteri obiettivi e che la procedura si svolga rispettando le regole e i requisiti inizialmente stabiliti (cfr. Corte di Giustizia, sentenza 25 aprile 1996, causa C-87/94 Bus Wallons, punto 54). La sottoposizione delle concessioni al principio di non discriminazione, in particolare in base alla nazionalità, è stato recentemente confermato anche dalla giurisprudenza comunitaria, che ha precisato come l’obbligo di trasparenza a cui sono tenute le amministrazioni consiste nel garantire, in favore di ogni potenziale offerente, un adeguato livello di pubblicità che consenta l’apertura degli appalti alla concorrenza nonché il controllo sull’imparzialità delle procedure di aggiudicazione (Corte di giustizia, sentenza 7 dicembre 2000, causa C-324/98, cit., considerato n. 62)”.

La circostanza che le direttive comunitarie in materia di appalti siano attuative dell’art. 81 del Trattato porta in sostanza a ritenere che queste norme siano puramente applicative, con riferimento a determinati  appalti, di principi generali che, essendo sanciti in modo universale dal Trattato, sono ovviamente valevoli anche per contratti e fattispecie diverse da quelle concretamente contemplate. Donde l’immediata operatività dei principi, sopra esposti con riferimento alla concessione di servizi come di beni, nonché agli affidamenti sottosoglia (si veda la circolare del Dipartimento per le Politiche comunitarie del 30.6.2002 ove si richiama l’ordinanza  3 dicembre 2001, in C-59/00, e sentenza 7 dicembre 2000, causa C-324, Teleaustria c. Post & Telekom Austria, rese dalla Corte di Giustizia), ed ai contratti diversi dagli appalti tali da suscitare l’interesse concorrenziale delle imprese e dei professionisti e, infine, alle stesse concessioni di beni pubblici di rilevanza economica La Corte di giustizia ha in particolare statuito che “sebbene le direttive comunitarie che coordinano le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici si applichino soltanto ai contratti il cui valore supera un determinato limite previsto espressamente in ciascuna delle dette direttive, il solo fatto che il legislatore comunitario abbia considerato che le procedure particolari e rigorose previste in tali direttive non sono adeguate allorché si tratta di appalti pubblici di scarso valore, non significa che questi ultimi siano esclusi dall'ambito di applicazione del diritto comunitario” (cfr., in tal senso, ordinanza 3 dicembre 2001, in C-59/00, punto 19). Ma già in precedenza il giudice comunitario aveva sottolineato la necessità del rispetto del principio di trasparenza anche per gli appalti non rientranti espressamente nella sfera di applicazione di una direttiva, ricordando che “nonostante il fatto che siffatti contratti, allo stadio attuale del diritto comunitario, siano esclusi dalla sfera di applicazione della direttiva 93/38, gli enti aggiudicatori che li stipulano sono ciò nondimeno tenuti a rispettare i principi fondamentali del Trattato in generale, e il principio di non discriminazione in base alla nazionalità in particolare” (sentenza 7 dicembre, 2000, in C-324/98, Teleaustria c. Post & Telekom Austria, punto 60).

Peraltro, già da tempo il Consiglio di Stato, nel riconoscere la giurisdizione del giudice amministrativo in un appalto di servizi di importo inferiore a quello previsto dalla disciplina comunitaria, ai sensi dell’articolo 33, lettera d), nel testo attuale del Decr.. Leg.vo 80/1998 e dell’articolo 6, comma 1, L. 205/2000, ha richiamato e condiviso gli orientamenti della Corte di Giustizia, puntualizzando che norme comunitarie vincolanti ben possono imporsi oltre il ristretto ambito applicativo delle direttive sugli appalti e che i sistemi di scelta del contraente ispirati alla par condicio presentano sempre i medesimi requisiti strutturali e richiedono, sul fronte del contenzioso, le medesime tecniche di indagine e giudizio (cfr. Cons. di Stato, sezione IV, n° 934 del 15 febbraio 2002). In un’altra precedente decisione i giudici di Palazzo Spada avevano già esteso la giurisdizione del giudice amministrativo alle controversie pertinenti a gare ad evidenza pubblica di importo inferiore alla soglia comunitaria espletate da una società avente i caratteri sostanziali dell’organismo di diritto pubblico (cfr. Cons. di Stato, sezione VI, n° 1206 del 2 marzo 2001).

Nelle citate decisioni, i giudici amministrativi hanno richiamato la posizione della Commissione UE, secondo la quale, anche nei casi in cui non trova applicazione la direttiva sugli appalti di servizi (in particolare, nel caso delle concessioni di pubblici servizi) la scelta del contraente incontra i limiti indicati dalle norme del Trattato in materia di libera prestazione di servizi e dai principi generali del diritto comunitario, tra cui la non discriminazione, la parità di trattamento, la trasparenza. Si impone così una scelta ispirata a criteri obiettivi e trasparenti, tali da assicurare in ogni caso la concorrenza tra i soggetti interessati (v. i progetti di comunicazione interpretativa della Commissione del 24.2.1999 e del 12.4.2000; v. anche, per l’affermazione dei medesimi principi e per la rilevanza generale degli obblighi di trasparenza nella scelta dei contraenti, specie quando si tratta di servizi pubblici, Corte di Giustizia CE, 7 dicembre 2000, C-324/98).

La giurisprudenza amministrativa, pur citando principi espressi dalla Corte di Giustizia con riferimento alle concessioni di servizi pubblici, che è figura diversa dall’appalto di servizi, ha riconosciuto agli stessi “una portata generale che può adattarsi ad ogni fattispecie che sia estranea all’immediato ambito applicativo delle direttive sugli appalti. Del resto, è utile ricordare che la tradizione dell’ordinamento interno è sempre stata quella di favorire la libera scelta del concessionario, introducendo ampie deroghe al regime dell’evidenza pubblica, e di considerare con maggior rigore, all’opposto, proprio la scelta del contraente appaltatore” (dec. n. 934/2002 cit.).

Si è, in particolare, chiarito che “la normativa europea in tema di appalti pubblici, in particolare di servizi, non trova applicazione (e pertanto l'affidamento diretto della gestione del servizio è consentito anche senza ricorrere alle procedure di evidenza pubblica prescritte dalle norme comunitarie) solo quando manchi un vero e proprio rapporto giuridico tra l’ente pubblico e il soggetto gestore, come nel caso, secondo la terminologia della Corte di Giustizia, di delegazione interorganica o di servizio affidato, in via eccezionale, "in house" (cfr. Corte di Giustizia, sentenza del 18 novembre 1999, causa C-107/98, Teckal).  In altri termini, quando un contratto sia stipulato tra un ente locale ed una persona giuridica distinta, l’applicazione delle direttive comunitarie può essere esclusa soltanto nel caso in cui l’ente locale eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e questa persona (giuridica) realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti locali che la controllano. Segnatamente, ad avviso delle istituzioni comunitarie per controllo analogo s'intende un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell’ente pubblico sull’ente societario. In detta evenienza, pertanto, l’affidamento diretto della gestione del servizio è consentito senza ricorrere alle procedure di evidenza pubblica prescritte dalle disposizioni comunitarie innanzi citate”.

Le esposte coordinate, ad avviso del Collegio, e in conformità ai già ricordati dicta sul punto dell’Ad. Plen. del Cons. di Stato (decisione n° 1 del 3.3.2008), della sez. VI del Supremo Consesso amministrativo (decisioni n° 362 del 30.1.2007, n° 7616 del 30.12.2005, e n° 168 del del 25.1.2005), nonché del T.A.R. Lazio-Latina (sent. n° 610 dell’8.9.2006), sono applicabili anche alle concessioni demaniali marittime, fungendo da parametro di interpretazione e limitazione del disposto di cui all’articolo 36 del codice della navigazione.

Ed invero, come chiarito da Consiglio di Stato (sez. VI, n° 168/2005), “sotto il primo punto di vista, l’indifferenza comunitaria al nomen della fattispecie, e quindi alla sua riqualificazione interna in termini pubblicistici o privatistici, fa sì che la sottoposizione ai principi di evidenza trovi il suo presupposto sufficiente nella circostanza che con la concessione di area demaniale marittima si fornisce un’occasione di guadagno a soggetti operanti  sul mercato, tale da imporre una procedura competitiva ispirata ai ricordati principi di trasparenza e non discriminazione. Né si può ritenere che la tradizionale idea della concessione senza gara possa trovare giustificazione nell’art. 45 del Trattato, secondo cui sono escluse dall’applicazione delle disposizioni del presente capo, le attività che nello Stato nazionale partecipino, sia pure occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri. Secondo l’opzione preferibile la norma va interpretata in senso restrittivo, dovendo venire all’uopo in rilievo un trasferimento di potere pubblicistico autoritativo non ravvisabile con riferimento all’istituto della concessione che, ai fini comunitari, si distingue dall’appalto essenzialmente con riguardo alle modalità di remunerazione dell’opera del concessionario”.

Or dunque, in ordine alla scelta del concessionario di cui all’articolo 37, comma 1, del codice della navigazione, occorre adottare un’interpretazione comunitariamente orientata di detto istituto, la quale induce ad affermare che detta scelta deve rimanere subordinata al rispetto di idonea pubblicizzazione della procedura concessoria, in guisa da consentire, ad altre imprese eventualmente interessate, la conoscenza del presupposto notiziale necessario al fine di esplicare, in una logica di par condicio effettiva, le proprie chance concorrenziali: in tal senso, del resto, si è già espressa questa sezione con la sentenza n° 10326 del 31.10.2007, in cui , tra l’altro, è affermato che “L’affidamento in concessione di beni demaniali suscettibili di sfruttamento economico deve essere sempre preceduto dall’instaurazione di un confronto concorrenziale, anche in assenza di una specifica prescrizione normativa che lo imponga, e ciò indipendentemente dalla circostanza che il relativo procedimento abbia avuto inizio per volontà dell’Amministrazione o su richiesta di un soggetto interessato”.

In tale ottica, deve allora affermarsi che il rispetto dei soli adempimenti di cui agli artt. 18 D.P.R. 328/1952 e 4 D.P.R. 509/1997 (ovvero la vigente normativa riferibile alla fattispecie in commento), non lascerebbe comunque soddisfatte le esigenze testé evidenziate, attesa la limitatezza dei mezzi di pubblicità in ivi previsti: il punto specifico in ordine a quale sia la disciplina da applicarsi sì da dare una pubblicità adeguata al procedimento non interessa, però, direttamente la vertenza qui in discussione, per cui in proposito è possibile limitarsi a rinviare a quanto precisato nelle sentenze fin qui citate (e segnatamente in T.A.R. Lazio-Latina n° 610 dell’8.9.2006).

Va soggiunto, in ogni caso, che con l’introduzione della norma di cui all’art. 27 co. 1° del Decr. Leg.vo 163/2006 (per la quale “L’affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi forniture, esclusi, in tutto o in parte, dall’applicazione del presente codice, avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità. L’affidamento deve essere preceduto da invito ad almeno cinque concorrenti, se compatibile con l’oggetto del contratto”), lo stesso legislatore è venuto a porsi nel solco tracciato dalla già ricordata giurisprudenza, fornendo avallo alla stessa.

Va, altresì, sottolineato che, quale elemento a conforto dell’impostazione qui accolta, deve annoverarsi la recentissima normativa introdotta con l’art. 23 bis D.L. 112/2008, posto che ai primi quattro commi si prevede che:

“1. Le disposizioni del presente articolo disciplinano l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, in applicazione della disciplina comunitaria e al fine di favorire la piu' ampia diffusione dei principi di concorrenza, di liberta' di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale, nonche' di garantire il diritto di tutti gli utenti alla universalita' ed accessibilita' dei servizi pubblici locali ed al livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettere e) e m), della Costituzione, assicurando un adeguato livello di tutela degli utenti, secondo i principi di sussidiarieta', proporzionalita' e leale cooperazione. Le disposizioni contenute nel presente articolo si applicano a tutti i servizi pubblici locali e prevalgono sulle relative discipline di settore con esse incompatibili.  2. Il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria, a favore di imprenditori o di societa' in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunita' Europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicita', efficacia, imparzialita', trasparenza, adeguata pubblicita', non discriminazione, parita' di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalita'.

3. In deroga alle modalita' di affidamento ordinario di cui al comma 2, per situazioni che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato, l'affidamento puo' avvenire nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria.

4. Nei casi di cui al comma 3, l'ente affidante deve dare adeguata pubblicita' alla scelta, motivandola in base ad un'analisi del mercato e contestualmente trasmettere una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all'Autorita' garante della concorrenza e del mercato e alle autorita' di regolazione del settore, ove costituite, per l'espressione di un parere sui profili di competenza da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della predetta relazione.”;

mentre, al successivo comma 11, significativamente si afferma che “L'articolo 113 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, e' abrogato nelle parti incompatibili con le disposizioni di cui al presente articolo.” .

Così stabilito che la regola-base, in tema di concessioni demaniali marittime, è quella della loro attribuzione ad una controparte privata mediante espletamento di una procedura che debba essere rispettosa dei ricordati principi comunitari, consegue, per converso, che costituisce eccezione a tale regola la già accennata possibilità, per il concedente ente di diritto pubblico, di operare mediante il sistema del cd. “in house providing”; ovvero di servirsi per la gestione del servizio pubblico locale (nella specie quello avente ad oggetto le attività collegate alla nautica da diporto, per cui è necessario il possesso di beni del demanio marittimo; a sua volta conseguibile esclusivamente attraverso un atto concessorio), di un soggetto giuridico soltanto formalmente distinto da sé, ma nella sostanza costituente, in presenza di determinati e stringenti indici, una sua derivazione o longa manus.

Occorre allora verificare se, nel caso qui in esame, sussistano (secondo la prospettazione del Comune di Ischia), o meno (come viceversa sostenuto dalla ricorrente), i presupposti necessari per potersi far luogo appunto ad un affidamento “in house”, in favore della Ischia Risorsa Mare s.r.l., sia del servizio pubblico in discussione, sia – in particolare - delle necessarie e connesse concessioni demaniali marittime; e, di conseguenza, se possa, o meno, dirsi in tal senso motivato in modo idoneo il diniego in questa sede impugnato.

Occorre dire che la giurisprudenza amministrativa si è ripetutamente interessata di specificare, alla luce della disciplina posta dall’art. 113 Decr. Leg.vo 267/2000 e sulla scorta delle pronunzie rese dagli organi comunitari, quali siano i casi in cui, rispetto ad un soggetto il quale sia formalmente terzo rispetto all’ente locale e affidatario di un servizio pubblico, possa parlarsi invece di sostanziale immedesimazione con l’ente stesso, e perciò sia configurabile il modello dello “in house providing”.

In sostanza è stata ritenuta necessaria (cfr. Cons. di Stato sez. V, n° 2932 dell’1.6.2007; Cons. di Stato sez. VI, n° 1514 del 3.4.2007; T.A.R. Campania-Napoli n° 6479 del 4.7.2007; T.A.R. Puglia-Bari n° 362 dell’8.2.2007) la concorrenza dei seguenti due requisiti:

che l’Amministrazione eserciti sul soggetto affidatario un “controllo analogo” a quello esercitato sui propri servizi;

che il soggetto affidatario svolga la maggior parte della propria attività in favore dell’ente pubblico di appartenenza.

Precisazioni sono state poi fatte in relazione al quando possano dirsi sussistenti tali requisiti.

Quanto al primo è stato chiarito che la partecipazione pubblica totalitaria costituisce elemento necessario ma non sufficiente ad integrare l’elemento del “controllo analogo”, poiché si è affermata la necessità che siano presenti strumenti di controllo dell’ente pubblico partecipante più intensi di quelli previsti da diritto civile; dovendo l’ente stesso poter esercitare maggiori poteri rispetto a quelli che il diritto societario riconosce alla maggioranza assembleare, e quindi, per converso, non potendo il Consiglio di amministrazione di una s.p.a. “in house” avere rilevanti poteri gestionali (cfr. Cons. di Stato sez. V, n° 2932 dell’1.6.2007; Cons. di Stato sez. VI, n° 1514 del 3.4.2007; T.A.R. Campania-Napoli n° 6479 del 4.7.2007; T.A.R. Puglia-Lecce n° 3436 del 4.10.2007). A quest’ultimo proposito, si è, in particolare, sostenuto (cfr. T.A.R, Lazio-Roma n° 9988 del 16.10.2007) che dallo statuto della società e dal “contratto di servizio” dovrebbero essere riconosciuti agli enti locali partecipanti, un ruolo propulsivo nei confronti degli amministratori dell’organo amministrativo societario (come la possibilità di formulare proposte per l’attuazione del “contratto di servizio”); un diritto di “veto” sulle deliberazioni assunte in modo difforme dal contenuto delle proposte; la riserva all’assemblea ordinaria della trattazione di argomenti inerenti a pretese o diritti della società sugli stessi enti locali, nascenti dal contratto di servizio (e corrispondente diritto di “veto” di ciascun ente locale interessato sulle relative determinazioni); il diritto di recesso dalla società (con conseguente revoca dell’affidamento del servizio) nei casi in cui ciascun ente locale partecipante abbia diritto a far valere la risoluzione o, comunque, lo scioglimento del contratto di servizio, ed altresì nel caso di violazione di competenze.

Quanto, invece, al secondo degli individuati requisiti, si è affermato che l’impresa non deve aver acquisito una vocazione commerciale, sì da rendere precario il controllo dell’ente pubblico partecipante, come nel caso dell’avvenuto ampliamento dell’oggetto sociale, nell’apertura obbligatoria della società ad altri capitali, nell’espansione territoriale dell’attività della società a tutto il territorio nazionale o all’estero (cfr. Cons. di Stato sez. V, n° 2932 dell’1.6.2007; Cons. di Stato sez. VI, n° 1514 del 3.4.2007; T.A.R. Campania-Napoli n° 6479 del 4.7.2007; T.A.R. Puglia-Lecce n° 3436 del 4.10.2007).

Distinto dall’affidamento cd. “in house” è stato, peraltro, tenuto il modello di gestione di un servizio pubblico locale a mezzo di una società a capitale misto pubblico-privato, alla quale potrebbe essere affidato un servizio pubblico soltanto all’esito di una procedura ad evidenza (posto che l’assenza di partecipazione pubblica totalitaria alla compagine escluderebbe “in radice” la possibilità di configurare il requisito del controllo analogo): tuttavia, talune pronunzie (cfr. Cons. di Stato sez. II, n° 456 del 18.4.2007; T.A.R. Valle D’Aosta n° 163 del 13.12.2007) hanno affermato che l’affidamento diretto ad una società mista sarebbe possibile quando sia stata in precedenza esperita una gara non solo finalizzata alla scelta del socio privato, ma anche proprio all’affidamento dell’attività da svolgere (con definizione, in particolare, dell’oggetto e dei limiti di tempo della collaborazione), trattandosi di fattispecie riconducibile al fenomeno del partenariato pubblico-privato quale modalità organizzativa con la quale l’Amministrazione viene appunto a controllare l’affidamento disposto, con gara, al socio “operativo” della società.

 

Da ultimo sono state rimesse all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (da Cons. di Stato sez. V, n° 5587 del 23.10.2007) le seguenti questioni:

 

quali siano i requisiti concreti del “controllo analogo” a quello operato sui propri servizi interni, esercitato dall’Amministrazione committente sulla società attuatrice del servizio pubblico, tali da giustificare l’affidamento di questo senza gara, secondo il modulo operativo e gestionale riconducibile alla formula del legittimo “in house providing” delineato dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale;

se sia o meno legittimo l’affidamento di servizi, senza gara, a società miste prive del requisito della sottoposizione al controllo dell’Amministrazione affidante, secondo le coordinate proprie dell’ “in house providing”, ma nell’ambito dei quali la scelta dei soci privati di minoranza sia stata effettuata mediante gare ad evidenza pubblica.

Con pronunzia n° 1 del 3.3.2008, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha quindi affermato che:

l'affidamento diretto (in house) di un servizio pubblico viene consentito tutte le volte in cui un ente pubblico decida di affidare la gestione del servizio, al di fuori del sistema della gara, avvalendosi di una società esterna (ossia, soggettivamente separata) che presenti caratteristiche tali da poterla qualificare come una « derivazione », o una longa manus, dell'ente stesso;

in particolare, in ragione del cd. “controllo analogo”, che richiede non solo la necessaria partecipazione pubblica totalitaria (posto che la partecipazione, pur minoritaria, di un'impresa privata al capitale di una società, alla quale partecipi anche l'amministrazione aggiudicatrice, esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare sulla medesima un controllo analogo a quello che essa svolge sui propri servizi) e la presenza di strumenti di controllo da parte dell'ente più incisivi rispetto a quelli previsti dal diritto civile (non deve essere statutariamente consentito che una quota del capitale sociale, anche minoritaria, possa essere alienata a soggetti privati; il consiglio di amministrazione della società deve essere privo di rilevanti poteri gestionali; all'ente pubblico controllante deve essere consentito l'esercizio di poteri maggiori rispetto a quelli che il diritto societario riconosce normalmente alla maggioranza sociale; l'impresa non deve acquisire una vocazione commerciale che renda precario il controllo dell'ente pubblico, con la conseguente apertura obbligatoria della società ad altri capitali, fino all'espansione territoriale dell'attività a tutta l'Italia e all'estero; le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell'ente affidante) e della cd. “destinazione prevalente dell'attività” (cioè il rapporto di stretta strumentalità fra le attività dell'impresa e le esigenze pubbliche che l'ente controllante è chiamato a soddisfare), l'ente “in house” non può ritenersi terzo rispetto all'amministrazione controllante, ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell'amministrazione stessa;

deve escludersi, in via generale, la riconducibilità del modello organizzativo della società mista a quello dell’ “in house providing”, posto che il fenomeno delle società miste rientra nel concetto di partenariato pubblico-privato (la cui codificazione risale al libro verde della Commissione CE relativo al partenariato pubblico-privato e al diritto comunitario degli appalto e delle concessioni);

i requisiti dell’ “in house providing” (controllo analogo e strumentalità del rapporto fra attività d’impresa ed esigenze pubbliche) vanno interpretati restrittivamente, e la sussistenza del controllo analogo è esclusa in presenza di un socio privato;

la partecipazione pubblica totalitaria è condizione necessaria ma non sufficiente per la sussistenza del “controllo analogo”, occorrendo anche l’influenza determinante del socio pubblico, sia sugli obiettivi strategici, sia sulle decisioni importanti della società partecipata;

con riguardo alle società a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle Amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti in funzione della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali, l'art. 13 commi 1 e 2 D.L. 223/2006, convertito, con modificazioni, dalla L. 248/2006 (così detto decreto Bersani), nel disporre che le stesse: 1) devono operare « esclusivamente » con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti (viene fissata, quindi, la regola dell'esclusività, in luogo di quella della prevalenza); 2) non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara, 3) non possono partecipare ad altre società o enti; 4) sono a oggetto sociale « esclusivo »; non fa divieto alla costituzione delle società così dette « multiutilities », ma rafforza la regola dell'esclusività evitando che dopo l'affidamento dette società possano andare a fare altro;

anche nell'ambito dei servizi pubblici deve essere assicurata l'apertura alla concorrenza, per cui ogni interessato ha diritto di avere accesso alle informazioni adeguate prima che venga attribuito un servizio pubblico, di modo che, se lo avesse desiderato, sarebbe stato in grado di manifestare il proprio interesse a conseguirlo; e ciò oltre al fatto che trasparenza e pubblicità devono essere date alla notizia dell'indizione della procedura di affidamento, di cui imparzialità o non discriminatorietà devono costituire regole di conduzione;

è controversa e richiede l'intervento del giudice comunitario la questione relativa alla possibilità di affidare direttamente la gestione del servizio a società partecipate dall'ente pubblico, nel caso in cui le esigenze di tutela della concorrenza siano state rispettate solo a monte, col previo esperimento della gara pubblica indetta per l'individuazione del partner (modalità quest'ultima ormai acquisita nell'ordinamento interno), costituendo il modello società mista elaborato dalla sez. II del Consiglio di Stato, con il parere del 17 aprile 2007 n. 456, una delle possibili soluzioni delle problematiche connesse alla costituzione di tali società e all'affidamento del servizio alle stesse.

Va, altresì segnalato che dopo la citata decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, la Corte di Giustizia CE, Grande Sezione, con pronunzia n° 337 dell’8.4.2008, ha statuito che “La partecipazione, anche minoritaria, di un’impresa privata al capitale di una società esclude, in ogni caso, che l’Amministrazione aggiudicatrice abbia su detto ente un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi”; e che il T.A.R. Liguria, con sentenza n° 1013 del 15.5.2008, ha affermato che, “qualora lo statuto di una società mista preveda la possibilità di ingresso di altri soci privati nel capitale sociale e, soprattutto, la libera trasferibilità delle quote di partecipazione, seppure condizionata dal diritto di prelazione degli altri soci e, in difetto, dal loro gradimento, ciò costituisce sintomo ed espressione di una <<vocazione commerciale>> della società, tale da rendere precario il controllo dell’ente affidante sulla stessa, e quindi da escludere l’affidamento diretto (cd. “in house”).

Orbene, posto il descritto quadro di riferimento, ritiene il Tribunale che il ricorso sia fondato e debba essere accolto, non essendo ravvisabili nella Ischia Risorsa Mare s.r.l. i requisiti perché questa possa essere destinataria di un affidamento diretto (cd. “in house”) da parte del Comune di Ischia del servizio pubblico di gestione delle attività a supporto della nautica da diporto nelle aree e specchi d’acqua nel territorio comunale, e, quindi, titolare di una “esclusiva”  per le necessarie concessioni sui beni demaniali marittimi siti nel Comune.

Invero, dalla svolta istruttoria è emerso che, pur essendo attualmente il Comune di Ischia l’unico socio di detta società, lo Statuto di questa comunque prevede, all’art. 9 bis (Trasferimento delle quote) che “Le quote sono liberamente trasferibili a terzi, fermo restando il diritto di prelazione a favore degli altri soci”, e all’art. 10 (Esclusione) che “Non sono previste esclusioni del socio per giusta causa”; con il che risulta evidente che sarebbe possibile in qualunque momento e senza alcuna sostanziale limitazione (tal non potendo dirsi la previsione di un diritto di prelazione per i già soci) l’ingresso di nuovi soci, anche privati, nella compagine societaria.

Altresì, sempre nello Statuto, è previsto, all’art. 14 (Amministratori) che “La società potrà essere amministrata, alternativamente, su decisione dei soci o del socio unico: 1) da un amministratore unico; 2) da un consiglio di amministrazione composto da due a nove membri, secondo al decisione dei soci al momento della nomina. Per organo amministrativo si intende l’amministratore unico, oppure il consiglio di amministrazione. Gli amministratori possono essere anche non soci”; all’art. 18 (Poteri dell’organo amministrativo) che “L’organo amministrativo ha tutti i poteri per l’amministrazione della società. Nel caso di nomina del consiglio di amministrazione questo può delegare tutti o parte dei suoi poteri ad un comitato esecutivo composto da alcuni dei suoi componenti”; dati questi che rendono evidente che i poteri conferiti per l’amministrazione della società (anche a soggetti diversi dai soci, si badi) sono i più ampi possibili, senza previsione di alcuna possibile ingerenza diretta in proposito da parte del Comune di Ischia (a favore del quale, soltanto, l’art. 5 dell’Atto costitutivo prevede che “In caso di nomina di un consiglio di amministrazione, il socio Comune di Ischia ha diritto di nominare la maggioranza degli amministratori”): e ciò acquista una valenza particolarmente significativa se si tiene conto che l’oggetto sociale, come individuato dall’art. 2 dell’Atto costitutivo e dall’art. 3 dello Statuto, oltre a non presentare alcuna limitazione territoriale di operatività, è comunque estremamente ampio, come, in particolare, dimostrato dalla previsione secondo cui “La società potrà assumere il personale necessario per la gestione, dare incarichi professionali di consulenza legale e organizzativa e compiere tutte le operazioni commerciali, industriali e finanziarie, compreso il rilascio di avalli e fideiussioni, garanzie in genere e garanzie ipotecarie sui beni in concessione”.

Tutti gli esposti elementi, quindi, valgono, non solo a dimostrare la sussistenza di una “vocazione commerciale” della Ischia Risorsa Mare s.r.l. (attestata anche dalle concrete modalità di svolgimento del servizio, quali le tariffe praticate e l’affidamento con formula contrattuale a diversa società privata – la Coop. Porto D’Ischia a r.l. - , per tutti gli anni di operatività e con individuazione priva di trasparenza, della concreta attività di  gestione dello specchio d’acqua oggetto di concessione nel porto di Ischia), suscettibile di renderne precario il controllo da parte dell’ente pubblico di riferimento; ma anche a dover proprio escludere in via assoluta la sussistenza di un “controllo analogo” del Comune di Ischia sulla società in questione.

Pertanto, in accoglimento del secondo motivo di ricorso e con assorbimento degli altri motivi proposti, va annullato il diniego impugnato, salvi rimanendo, comunque, gli ulteriori provvedimenti da adottarsi da parte del Comune interessato.

La particolarità della questione rende opportuno compensare integralmente le spese di giudizio tra le parti costituite.

 

PQM

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania – sede di Napoli, sez.VII, definitivamente pronunziando sul ricorso di cui all’epigrafe, proposto dalla Società Cooperativa Ischia Barche, lo accoglie, e, per l’effetto annulla la nota prot. n° 11887 del 16.5.2005, a firma del Responsabile dell’Ufficio Demanio del Comune di Ischia.

Spese compensate.

Ordina che la presente ordinanza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli, nella Camera di Consiglio del 15 ottobre 2008.

Dott. Francesco Guerriero                                 Presidente

Dott. Michelangelo Maria Liguori                    Consigliere Est.

 

Depositata il 05/12/2008

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