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TAR Lombardia, Milano, sez. III, 10/12/2008 n. 5759
E' legittimo un affidamento in house anche nel caso di una partecipazione esigua di un comune al capitale sociale di una società affidataria di un servizio pubblico.

Sulla verifica della sussistenza del controllo analogo.

L'esiguità della partecipazione al capitale di una società affidataria di un servizio pubblico da parte di un comune non è di per sé indice dell'impossibilità, per il comune, di esercitare sulla predetta società il cd. controllo analogo. Ed invero, nel caso di specie, essendo statutariamente imposto che società affidataria indirizzi la parte più rilevante della propria attività alla collettività degli Enti locali soci, è in tal maniera soddisfatto uno dei due requisiti che la costante giurisprudenza della Corte di Giustizia CE richiede perché si possa ammettere la configurazione di un affidamento in house.

La verifica del controllo analogo non può che effettuarsi sul piano dell'esistenza di previsioni che conferiscano, agli Enti aventi una partecipazione esigua alla società affidataria, dei poteri di controllo nell'ambito in cui si esplica l'attività decisionale della società tramite gli organi di questa: poteri che si esplichino non solo in forma propulsiva, sub specie di proposte da portare all'ordine del giorno di detti organi, ma anche e principalmente di poteri di inibizione di iniziative o decisioni che contrastino con gli interessi dell'Ente locale nel cui territorio si esplica il servizio, quali rappresentati dall'Ente stesso con le suindicate proposte. Occorre, inoltre, che i predetti poteri inibitivi siano esercitabili dall'Ente pubblico come tale, a prescindere dalla misura della partecipazione di esso al capitale della società affidataria, ma per il semplice fatto che l'Ente, nel cui territorio si svolge il servizio, consideri le deliberazioni o le attività societarie contrastanti con i propri interessi ed abbia per tal ragione il potere di paralizzare le suddette deliberazioni e attività.
La giurisprudenza ha in particolare rinvenuto l'esistenza del controllo analogo in presenza di clausole, contenute nello statuto societario e nel contratto di servizio, attributive all'Ente locale affidante delle seguenti prerogative, che l'Ente stesso può esercitare, ai fini del controllo sul servizio, indipendentemente dalla quota di capitale posseduta:
- potere dell'Ente di effettuare nei confronti dell'organo amministrativo proposte di iniziative attuative del contratto di servizio;
- diritto di veto sulle deliberazioni assunte in modo difforme dal contenuto delle proposte;
- diritto di recesso dalla società, con revoca dell'affidamento del servizio, qualora il Comune abbia diritto di far valere la risoluzione o comunque lo scioglimento del contratto di servizio, nonché nel caso di violazione delle competenze assembleari, quando cioè l'organo amministrativo assuma iniziative rientranti nelle competenze dell'assemblea senza l'autorizzazione di questa.
A ciò si sono poi aggiunte la riserva all'assemblea ordinaria del potere di trattare argomenti inerenti a pretese o diritti delle società sugli Enti locali nascenti dal contratto di servizio e il diritto di veto di ogni Ente locale interessato sulle relative determinazioni. Nel caso di specie, sussistono un complesso di elementi sufficiente, per quantità ed importanza, a configurare il cd. controllo analogo e, per l'effetto, a far rientrare la fattispecie stessa nell'in house providing, essendo fuori discussione l'altro requisito prescritto (cioè lo svolgimento, da parte della società, della parte più importante della propria attività con l'Ente o gli Enti pubblici che ne detengono il capitale: Corte di Giustizia CE, 17 luglio 2008, in C-371/05).

Materia: servizi pubblici / affidamento e modalità di gestione

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LOMBARDIA (Sezione III)

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

sul ricorso con motivi aggiunti R.G. n. 585/2006, proposto dalla Pizzamiglio Andrea S.r.l., in persona del suo Amministratore Unico, sig.ra Maria Luisa Pizzamiglio, rappresentata e difesa dagli avv.ti Costantino Ruscigno, Francesco Basile e Pierluigi Mantini e con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Milano via Morigi n. 2/A

 

contro il

Comune di Landriano, non costituito in giudizio

 

e contro la

A.S.M. Pavia S.p.A., in persona del Direttore Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Martino Colucci e con domicilio eletto presso la Segreteria del T.A.R., in Milano, via del Conservatorio 13

a) quanto al ricorso originario

 

per l’annullamento

- della deliberazione del Consiglio Comunale di Landriano n. 57 del 29 novembre 2005, pubblicata all’Albo Pretorio comunale dal 15 al 30 dicembre 2005, avente ad oggetto la partecipazione del Comune ad A.S.M. per l’affidamento diretto dei servizi pubblici previsti dalla normativa vigente;

- di ogni altro atto preordinato, conseguente o comunque connesso.

 

b) quanto ai motivi aggiunti, depositati il 12 maggio 2008

 

per l’annullamento

- della deliberazione del Consiglio Comunale di Landriano n. 4 del 6 marzo 2008, recante approvazione di una modifica allo statuto dell’A.S.M. Pavia S.p.A. e della convenzione costitutiva dell’organismo comune, nonché affidamento del servizio di igiene urbana;

- di ogni altro atto preordinato, conseguente e comunque connesso

 

e per la condanna

dell’Amministrazione comunale al risarcimento del danno subito dalla ricorrente, in forma specifica o, in via subordinata, per equivalente.

VISTO il ricorso con i relativi allegati;

VISTO l’atto di costituzione in giudizio dell’A.S.M. Pavia S.p.A.;

VISTO il ricorso per motivi aggiunti depositato il 12 maggio 2008;

VISTE le memorie ed i documenti depositati dalle parti a sostegno delle rispettive tesi e difese;

VISTI gli atti tutti della causa;

NOMINATO relatore alla pubblica udienza del 3 luglio 2008 il Referendario dr. Pietro De Berardinis ed udito lo stesso;

UDITI, altresì, i difensori presenti delle parti costituite, come da verbale;

RITENUTO in fatto e considerato in diritto quanto segue

 

FATTO

La ricorrente, Pizzamiglio Andrea S.r.l., espone di essere una società esercitante la propria attività nel settore dei servizi di raccolta, trasporto e smaltimento rifiuti, e di avere la titolarità di diversi contratti di appalto per la gestione di tali servizi in vari Comuni della Provincia di Pavia.

L’esponente rappresenta che, con atto del 7 ottobre 2003, i Comuni convenzionati della Bassa Pavese, tra cui il Comune di Landriano, bandivano una gara di appalto – per pubblico incanto – per l’affidamento del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani, della raccolta differenziata, e dei servizi complementari, nel loro territorio, per il triennio 15 gennaio 2004 – 15 gennaio 2007.

Aggiudicataria della gara risultava essere l’A.S.M. Pavia S.p.A., società a capitale interamente pubblico.

Con successiva deliberazione del Consiglio Comunale n. 57, in data 29 novembre 2005, il Comune di Landriano stabiliva di acquisire una partecipazione al capitale dell’A.S.M. Pavia S.p.A., con lo scopo specifico di procedere in un secondo tempo ad affidare direttamente a tale società, ai sensi dell’art. 113 del d.lgs. n. 267/2000, la gestione dei servizi di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e delle attività connesse. A tal fine il Consiglio Comunale autorizzava il Sindaco a sottoscrivere, in occasione di un preannunciato aumento di capitale dell’A.S.M. Pavia, una partecipazione azionaria pari all’importo di € 15.000,00, riservando a successivi atti la regolamentazione dell’affidamento diretto senza gara ad A.S.M. Pavia S.p.A. dei servizi di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e delle attività connesse.

L’esponente evidenzia il carattere lesivo per i propri interessi di tale deliberazione, la quale, disponendo il prossimo affidamento in house dei predetti servizi all’A.S.M. Pavia, pregiudica chiaramente la facoltà della medesima esponente di partecipare a future gare di appalto.

Ciò premesso, con il ricorso in epigrafe la Pizzamiglio Andrea S.r.l. ha impugnato la deliberazione consiliare n. 57 del 2005, chiedendone l’annullamento.

A supporto del gravame la società ha dedotto, con un unico motivo, le censure di:

- violazione dell’art. 113, comma 5, n. 3 del d.lgs. n. 267/2000, nonché dell’art. 6 della direttiva comunitaria n. 92/50 e dell’art. 49, primo comma, del Trattato CE, in quanto, in estrema sintesi, nel caso di specie non sussisterebbero le condizioni per procedere all’affidamento diretto del servizio secondo il modello dell’in house providing ed in particolare non sussisterebbe il cd. controllo analogo.

Si è costituita in giudizio l’A.S.M. Pavia S.p.A. con atto di costituzione formale.

Il Comune di Landriano, sebbene ritualmente evocato, non si è invece costituito in giudizio.

Con ricorso per motivi aggiunti depositato in data 12 maggio 2008 la Pizzamiglio Andrea S.r.l. ha impugnato la deliberazione del Consiglio Comunale di Landriano n. 4 del 6 marzo 2008.

La deliberazione gravata recava l’approvazione di modifiche allo statuto societario dell’A.S.M. Pavia S.p.A. e della convenzione costitutiva dell’organismo comune ex art. 30 del d.lgs. n. 267/2000, nonché l’affidamento diretto alla predetta A.S.M. Pavia del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e dei servizi complementari fino al 31 dicembre 2012.

A supporto dei motivi aggiunti la società ha formulato, con un unico motivo di gravame, le doglianze di:

- violazione dell’art. 113, comma 5, n. 3, del d.lgs. n. 267/2000, nonché dell’art. 6 della direttiva n. 92/50/CEE e dell’art. 49, primo comma, del Trattato, ed eccesso di potere nelle sue varie figure sintomatiche, in quanto le modifiche statutarie e la adesione alla convenzione costitutiva di uno speciale organismo – l’Assemblea di coordinamento e controllo intercomunale – non sarebbero sufficienti a costituire il requisito del “controllo analogo”, necessario per giustificare l’affidamento diretto ai sensi dell’art. 113, comma 5, del d.lgs. n. 267/2000.

In vista dell’udienza di merito, le parti hanno presentato memorie.

In particolare, mentre la ricorrente ha insistito nelle proprie tesi, l’A.S.M. Pavia ha richiamato le difese depositate in ricorso di analogo tenore (R.G. n. 2928/2005), in ragione dell’identità delle questioni trattate, insistendo peraltro sulla sopravvenuta carenza di interesse a ricorrere in relazione al gravame originario.

All’udienza pubblica del 3 luglio 2008 la causa è stata riservata per la decisione.

 

DIRITTO

Il ricorso in epigrafe attiene alla complessa vicenda dell’affidamento, da parte del Comune di Landriano, del servizio di igiene urbana (comprensivo della raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani, e dei servizi complementari) fino al 31 dicembre 2012, senza effettuazione di gara. Ciò, giacché l’Amministrazione ritiene di ravvisare nella fattispecie gli estremi del cd. in house providing, di cui all’art. 113, comma 5, lett. c), del d.lgs. n. 267/2000.

Iniziando l’analisi dal ricorso originario, va in primo luogo esaminata l’eccezione di sopravvenuta carenza di interesse, sollevata dalla controinteressata.

Rileva in particolare la difesa dell’A.S.M. Pavia che l’affidamento in house è stato disposto dal Comune di Landriano con deliberazione consiliare n. 4 del 6 marzo 2008, la quale ha integralmente rinnovato, alla luce del nuovo assetto societario ed istituzionale della medesima A.S.M. Pavia, la decisione politico–organizzativa di svolgere i servizi tramite la società partecipata.

Ne deriverebbe che la deliberazione consiliare originaria (la n. 57 del 29 dicembre 2005), gravata con il ricorso originario, è ormai venuta meno, senza avere avuto medio tempore alcuna concreta applicazione. Di essa rimarrebbe in vita soltanto il mero acquisto, da parte del Comune di Landriano, di una quota del capitale sociale della società affidataria: ma la giurisprudenza sarebbe costante nell’escludere che sussista un interesse ad agire nei riguardi del mero acquisto. Donde l’eccezione di sopravvenuta carenza di interesse.

L’eccezione non può essere condivisa, pur se con le precisazioni che di seguito si vanno ad esporre.

In particolare, ad avviso del Collegio, l’eventuale configurabilità, nella fattispecie de qua, del requisito del cd. controllo analogo, necessario perché si possa disporre legittimamente l’affidamento in house, non può in alcun modo prescindere dalla esistenza, in capo al Comune di Landriano, della qualità di socio dell’affidataria del servizio. Ciò, giacché tale qualità è il presupposto per l’esercizio di quei poteri – di cui si discorrerà più oltre – che dovrebbero confermare, nel quadro difensivo della stessa controinteressata, la sussistenza del controllo analogo.

Invero, è solo grazie al fatto di essere socio della società affidataria, in forza della deliberazione consiliare n. 57/2005 ed in disparte dalla misura della partecipazione azionaria, che il Comune di Landriano può esercitare i poteri previsti nello statuto di detta società, nel contratto di servizio con quest’ultima, e nella convenzione per l’istituzione di un organismo comune ex art. 30 del d.lgs. n. 267/2000. Ma questi sono proprio i poteri, in virtù dei quali la deliberazione di affidamento (impugnata con i motivi aggiunti) e poi, in sede processuale, la difesa dell’affidataria, hanno sostenuto che il Comune di Landriano eserciti, nei riguardi dell’affidataria stessa, un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi.

In altre parole, anche se si sostiene che i suddetti poteri sono esercitati dal Comune di Landriano in veste istituzionale (cioè come Comune affidante il servizio e non come socio dell’A.S.M. Pavia S.p.A.), risulterà tuttavia indiscutibile nel prosieguo della trattazione che tali poteri non potrebbero mai essere esercitati dal suindicato Comune se, oltre ad aver affidato il servizio, non avesse anche una partecipazione, pur se minima, nel capitale dell’affidataria.

Ne deriva che, anche a voler aderire alla tesi della difesa dell’A.S.M. Pavia, per la quale la deliberazione n. 57/2005, impugnata con il ricorso originario, non avrebbe ormai altro effetto tranne quello di avere sancito l’acquisto, ad opera del Comune, della partecipazione nella stessa A.S.M., si deve concludere che il permanere di un simile effetto giustifichi già di per sé la sopravvivenza di un interesse a ricorrere in capo alla Pizzamiglio Andrea S.r.l..

A ciò aggiungasi che, ove si addivenisse all’accoglimento del ricorso per motivi aggiunti, non potrebbe non esserne travolta anche la deliberazione impugnata con il ricorso originario.

In questa, infatti – diversamente da altre fattispecie analoghe concernenti l’A.S.M. Pavia, dove l’affidamento diretto del servizio successivamente all’acquisto della partecipazione societaria viene configurato dal Comune interessato come semplice eventualità – la decisione di acquisire una partecipazione azionaria nell’A.S.M. Pavia S.p.A. è direttamente finalizzata all’unico scopo del successivo affidamento diretto alla predetta società del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento rifiuti e delle attività connesse. Il che comporta, tra l’altro, la correttezza della scelta della ricorrente di impugnare immediatamente la deliberazione n. 57/2005, senza attenderne l’attuazione con l’atto conseguente di affidamento diretto del servizio (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 12 maggio 2004, n. 1685).

L’eccezione pregiudiziale formulata dalla difesa della società deve essere, dunque, respinta.

Occorre, però, aggiungere che, proprio perché l’unico effetto attuale riconducibile alla deliberazione consiliare n. 57/2005 è quello di aver determinato l’acquisto, in capo al Comune di Landriano, di una quota del capitale dell’A.S.M. Pavia e quindi di aver realizzato un presupposto della fattispecie complessivamente configurabile come “controllo analogo”, la suddetta deliberazione deve essere esaminata insieme agli altri elementi che comporrebbero ad oggi il quadro di tale controllo.

Si vuole dire, in altre parole, che l’analisi della deliberazione consiliare n. 57/2005 non può essere disgiunta dall’analisi del provvedimento impugnato con il ricorso per motivi aggiunti, ma che, al contrario, alla luce del nuovo assetto societario ed istituzionale dell’A.S.M. Pavia, le due deliberazioni (quella che forma oggetto del gravame originario e quella gravata con i motivi aggiunti) devono esser esaminate congiuntamente.

Del resto, si deve sottolineare che tanto nel ricorso originario, quanto in quello per motivi aggiunti, la questione controversa attiene alla sussistenza, nella fattispecie per cui è causa, dei requisiti necessari affinché il Comune di Landriano potesse procedere al cd. affidamento in house ai sensi dell’art. 113, comma 5, lett. c), del d.lgs. n. 267/2000.

In particolare, ciò che la ricorrente contesta, tanto nel gravame originario, quanto in quello per motivi aggiunti, è l’esistenza di un controllo, da parte del Comune de quo nei confronti dell’A.S.M. Pavia, analogo a quello che il Comune medesimo esercita rispetto ai propri servizi.

È chiaro, tuttavia, che le doglianze debbono essere giudicate nel differente quadro istituzionale discendente dalle modifiche apportate allo statuto dell’A.S.M. Pavia e dall’approvazione della convenzione, tra i Comuni soci, per l’istituzione del cd. organismo comune ex art. 30 del d.lgs. n. 267/2000.

Si fa riferimento alla deliberazione consiliare n. 4/2008, impugnata con il ricorso per motivi aggiunti, nella parte di essa relativa non all’affidamento diretto, ma alla approvazione delle suddette modifiche e della citata convenzione.

Nello specifico, la ricorrente osserva preliminarmente che il servizio non è gestito in forma consortile, ma mediante singoli e distinti affidamenti per ciascun Comune interessato.

Pone in evidenza, poi, che la partecipazione del Comune di Landriano al capitale dell’A.S.M. Pavia S.p.A. è così ridotta da rendere impossibile la configurazione di tale società come un servizio analogo ai servizi propri di detto Comune.

Una partecipazione tanto esigua (di soli € 15.000) non potrebbe, infatti, consentire mai al Comune di influire concretamente sulle scelte e le politiche della società e ciò tanto più, di fronte alla partecipazione quasi totalitaria al capitale di A.S.M. Pavia S.p.A. da parte del Comune di Pavia, il quale sarebbe quindi l’unico Ente ad avere un potere effettivo e condizionante sulle strategie aziendali.

Né in proposito avrebbero alcun rilievo le modifiche introdotte nello statuto della società e l’istituzione, tramite convenzione, di un organismo speciale, denominato Assemblea di coordinamento e controllo intercomunale.

In realtà il Comune di Pavia sarebbe il solo dotato di poteri effettivi e vincolanti, come dimostrato anche dagli art. 5, comma 1 e 6, comma 1, lett. a) dello Statuto: il primo stabilisce che la partecipazione del Comune di Pavia al capitale sociale con diritto di voto non può essere inferiore al 51%, o comunque ad una misura tale da assicurare il controllo e che la perdita del controllo da parte del suddetto Comune costituisce causa di scioglimento della società. Il secondo, che l’approvazione del piano industriale da parte dell’Assemblea si ha quando sul piano si esprimono in senso favorevole il rappresentante del Comune di Pavia ed almeno la maggioranza dei Comuni soci che abbiano affidato servizi alla società.

Quindi il consenso del Comune di Pavia sarebbe in ogni caso indispensabile, non potendo essere superato nemmeno dalla maggioranza dei Comuni aventi affidato il servizio ad A.S.M. Pavia S.p.A.; inoltre, il Comune di Landriano non può bloccare un piano sgradito se la maggioranza degli altri Comuni si schiera in senso opposto (con il Comune di Pavia, beninteso). Ancora, il Comune di Pavia nomina, tramite il Sindaco, un numero di amministratori – tra i quali dovrà essere individuato il Presidente dell’Assemblea – proporzionale alla propria partecipazione e comunque non inferiore a tre (su un totale di cinque).

Nemmeno l’aver istituito l’Assemblea di controllo e coordinamento intercomunale basterebbe a garantire al Comune affidante il controllo analogo:

a) perché tale organismo avrebbe solamente funzione di controllo ed iniziativa nei confronti degli organi statutari dell’A.S.M. Pavia;

b) perché, all’interno dell’Assemblea intercomunale, nessun vero e proprio potere di controllo spetterebbe ai singoli Comuni, dovendo essi operare secondo le regole della maggioranza, per concorrere a scelte comunque residuali e non vincolanti per gli organi societari, in effetti sotto il controllo del solo Comune di Pavia.

Quanto alla previsione dell’art. 1, comma 6, lett. c), dello statuto, per la quale ogni Comune ha il potere di presentare al consiglio di amministrazione delle proposte di specifiche iniziative in merito all’esecuzione del contratto di servizio stipulato, ed un potere di veto sulle deliberazioni specificamente concernenti l’attuazione del contratto di servizio, che si discostino dalle predette proposte, essa configurerebbe un potere del Comune limitato alla verifica del servizio svolto sul suo territorio. In realtà, i poteri di cui l’Ente locale dispone avrebbero natura meramente negoziale, essendo conferiti dal contratto di servizio; perciò, essi non potrebbero configurare alcun controllo analogo.

Soprattutto, la concreta gestione della società affidataria sarebbe nelle mani del solo consiglio di amministrazione, dominato dal Comune di Pavia e nel quale gli altri Comuni possono esercitare una limitata attività d’indirizzo collettivamente e, in ogni caso, mai in contrasto con il Comune di Pavia.

Sotto questo profilo, la ricorrente contesta che l’utilizzo del plurale “Enti pubblici” nella lettera dell’art. 113, comma 5, lett. c), del d.lgs. n. 267/2000 renda legittimo l’affidamento diretto per il semplice fatto della partecipazione dell’Ente affidante al capitale della società affidataria, giacché con tale plurale il Legislatore avrebbe inteso indicare agli Enti locali, specie ai piccoli Comuni, forme di cd. partenariato istituzionale orizzontale (consorzi, unioni di Comuni, ecc.), per coniugare gestione dei servizi e contenimento della spesa.

In questo quadro, l’affidamento in house conserverebbe in linea generale un ruolo meramente eccezionale e residuale e comunque non sarebbe rinvenibile nel caso di specie.

Nella memoria da ultimo depositata la società ribadisce che, anche dopo le recenti modifiche statutarie, il Comune di Landriano non ha alcun controllo sull’attività di gestione dell’A.S.M. Pavia S.p.A., non avendo a questo riguardo alcun valore le previsioni dell’art. 7 del contratto di servizio (le quali richiamano l’art. 1, comma 6, dello statuto dell’A.S.M. Pavia).

In particolare, il potere di veto, previsto a favore del Comune per le deliberazioni del consiglio di amministrazione che si discostino dalle proposte comunali, non influirebbe sul potere del consiglio stesso di definire le modalità di gestione del servizio.

Quanto poi al potere del Comune di vigilare sull’osservanza delle disposizioni del contratto, la fonte del potere comunale sarebbe in ogni caso pattizia e non di tipo ordinamentale, come vuole la giurisprudenza comunitaria. Solo qualora la società fosse tenuta in via ordinamentale (e non contrattuale) ad eseguire gli incarichi che le affidano gli Enti locali che hanno in essa partecipazioni infinitesime e qualora la società non potesse stabilire liberamente il costo delle sue prestazioni, solo in tale evenienza – conclude la ricorrente alla luce della sentenza della Corte di Giustizia “TRAGSA”, resa in causa C-295/05 del 19 aprile 2007 – potrebbe configurarsi il controllo analogo, nonostante l’indicato carattere irrisorio della partecipazione del Comune al capitale dell’affidataria.

Le doglianze ora sintetizzate non possono essere accolte.

In primo luogo va osservato che, nel nuovo quadro societario ed istituzionale, la A.S.M. Pavia S.p.A. risulta essere società a capitale totalmente pubblico, dove non è più ammessa – ed è anzi esplicitamente esclusa (art. 1, comma 4, dello statuto) – la presenza di soci privati.

Ha affermato al riguardo la più recente giurisprudenza che tale situazione consente già di per sé di superare i rilievi che si basano sull’esiguità della partecipazione del Comune affidante al capitale della società affidataria del servizio (v. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 16 ottobre 2007, n. 9988).

Invero, è soltanto la presenza del (per questo Collegio, anche l’apertura al) capitale privato in seno alla società affidataria, che può far emergere il perseguimento di interessi di profitto economico dei capitali investiti, escludendo il perseguimento dell’unico obiettivo della funzionalizzazione del servizio fornito alle esigenze dei relativi bacini di utenza territoriale. Quando tale presenza non sia possibile, appare – in una prospettiva, ovviamente, non patologica – garantito che il perseguimento dell’obiettivo della migliore efficienza del servizio di pubblica utenza non sarà turbato dall’interferenza di altri e diversi interessi, segnatamente di mero profitto, facenti capo agli investitori privati.

Se, quindi, la presenza dei soci privati è esclusa, non riveste poi importanza che il Comune interessato allo svolgimento del servizio nel suo territorio abbia un’esigua partecipazione al capitale della società affidataria, poiché l’art. 113, comma 5, lett. c), del d.lgs. n. 267/2000 menziona “l’Ente o gli Enti pubblici titolari del capitale sociale” e ciò sta a significare (T.A.R. Lazio, Roma, n. 9988/2007, cit.):

a) la non necessarietà del possesso del capitale sociale da parte di un unico Ente pubblico (e in questo senso depone – ad avviso del Collegio – anche la sentenza della Corte di Giustizia “TRAGSA” poc’anzi ricordata);

b) l’irrilevanza della misura percentuale nella compartecipazione plurima di Enti pubblici, purché ricorrano le altre ed imprescindibili condizioni richieste dall’art. 113 cit., lì dove impone che gli Enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società affidataria un controllo analogo a quello che essi esercitano sui propri servizi.

Quindi, una prima conclusione è possibile: contrariamente alle affermazioni della ricorrente, l’esiguità della partecipazione al capitale dell’A.S.M. Pavia da parte del Comune di Landriano non è di per sé indice dell’impossibilità, per il Comune in parola, di esercitare sulla predetta società il cd. controllo analogo.

Ed invero, essendo statutariamente imposto che A.S.M. Pavia S.p.A. indirizzi la parte più rilevante della propria attività alla collettività degli Enti locali soci, è in tal maniera soddisfatto uno dei due requisiti che la costante giurisprudenza della Corte di Giustizia CE richiede perché si possa ammettere la configurazione di un affidamento in house. Rimane, quindi da analizzare il secondo requisito, costituito appunto dal cd. controllo analogo.

Ad avviso del Collegio, il suddetto requisito deve ritenersi sussistente.

Sul punto, si richiamano anzitutto le conclusioni della più recente giurisprudenza interna (T.A.R. Lazio, Roma, n. 9988/2007, cit.), che, in un caso analogo a quello ora in esame, ha affermato che la verifica della sussistenza del controllo analogo va condotta secondo un criterio comunque coerente con le peculiarità della forma societaria, con esclusione di criteri, quale quello della sovraordinazione gerarchica tra controllante e controllato, inconfigurabili nei confronti degli organismi di tipo societario. Inoltre, il controllo da parte dell’Ente pubblico non si può configurare quale diretto controllo sulle operazioni di gestione del servizio, di cui l’Ente locale controllante possa direttamente disporre ogni minima regolamentazione.

La verifica del controllo analogo non può che effettuarsi sul piano dell’esistenza di previsioni che conferiscano, agli Enti aventi una partecipazione esigua alla società affidataria, dei poteri di controllo nell’ambito in cui si esplica l’attività decisionale della società tramite gli organi di questa: poteri che si esplichino non solo in forma propulsiva, sub specie di proposte da portare all’ordine del giorno di detti organi, ma anche – e principalmente – di poteri di inibizione di iniziative o decisioni che contrastino con gli interessi dell’Ente locale nel cui territorio si esplica il servizio, quali rappresentati dall’Ente stesso con le suindicate proposte.

Occorre, inoltre, che i predetti poteri inibitivi siano esercitabili dall’Ente pubblico come tale, a prescindere dalla misura della partecipazione di esso al capitale della società affidataria, ma per il semplice fatto che l’Ente, nel cui territorio si svolge il servizio, consideri le deliberazioni o le attività societarie contrastanti con i propri interessi ed abbia per tal ragione il potere di paralizzare le suddette deliberazioni e attività.

La giurisprudenza ha in particolare rinvenuto l’esistenza del controllo analogo in presenza di clausole, contenute nello statuto societario e nel contratto di servizio, attributive all’Ente locale affidante delle seguenti prerogative, che l’Ente stesso può esercitare, ai fini del controllo sul servizio, indipendentemente dalla quota di capitale posseduta (T.A.R Lazio, Roma, n. 9988/2007, cit.):

- potere dell’Ente di effettuare nei confronti dell’organo amministrativo proposte di iniziative attuative del contratto di servizio;

- diritto di veto sulle deliberazioni assunte in modo difforme dal contenuto delle proposte;

- diritto di recesso dalla società, con revoca dell’affidamento del servizio, qualora il Comune abbia diritto di far valere la risoluzione o comunque lo scioglimento del contratto di servizio, nonché nel caso di violazione delle competenze assembleari, quando cioè l’organo amministrativo assuma iniziative rientranti nelle competenze dell’assemblea senza l’autorizzazione di questa.

A ciò si sono poi aggiunte la riserva all’assemblea ordinaria del potere di trattare argomenti inerenti a pretese o diritti delle società sugli Enti locali nascenti dal contratto di servizio e il diritto di veto di ogni Ente locale interessato sulle relative determinazioni.

Orbene, i suddetti poteri appaiono rinvenibili nel caso ora in esame.

Decisivo risulta, a tal proposito, l’art. 1, comma 6, lett. c) dello statuto di A.S.M. Pavia S.p.A., che attribuisce ad ogni Comune che affida servizi a detta società un potere, nei confronti del consiglio di amministrazione della società medesima, di effettuare proposte di specifiche iniziative concernenti l’esecuzione del contratto di servizio stipulato, nonché un potere di veto sulle deliberazioni, “specificamente rifluenti sull’attuazione del contratto di servizio”, che si discostino dalle succitate proposte.

Vero è che l’indicato potere propulsivo deve riguardare iniziative che comunque rispettino l’economicità della gestione del servizio, sicché potrebbe obiettarsi che non è rispettato il requisito specificato dalla Corte di Giustizia CE nella sentenza “Tragsa” (par. 60), secondo cui la società affidataria non deve avere la possibilità di stabilire liberamente il costo dei suoi interventi.

Tuttavia, il profilo non pare dirimente, alla luce dell’incipit dell’art. 28, comma 1, dello statuto dell’A.S.M. Pavia S.p.A.: disposizione, in base alla quale la società non persegue in via principale scopo di lucro, e che non può che essere intesa nel senso di escludere lo scopo di lucro, almeno nel significato di lucro soggettivo (cioè degli utili ripartiti tra i soci: Cass. civ., Sez. I, 6 agosto 1979, n. 4558), dallo svolgimento dei servizi affidati con il cd. in house providing dagli Enti locali soci affidanti. Lo scopo di lucro, in base alla restante disciplina di cui al citato art. 28, comma 1, dovrà quindi avere un’applicazione limitata all’ambito, necessariamente residuale, della partecipazione della società a gare di appalto, prevista dall’art. 4, comma 4, dello statuto.

Una diversa lettura, implicando una rilevante deminutio del potere propositivo che all’Ente locale è riconosciuto dall’art. 1, comma 6, lett. c), dello statuto societario, perché siffatto potere, non potendo esercitarsi in contrasto con l’economicità della gestione del servizio, non potrebbe impedire la fissazione da parte della società di un costo del servizio comprensivo del cd. lucro soggettivo, porterebbe in effetti, in base alle statuizioni della sentenza “Tragsa”, ad escludere che nel caso di specie si rinvengano i presupposti del controllo analogo.

Dal combinato disposto della prima parte dell’art. 28, comma 1, dello statuto, con la previsione del limite al potere propositivo comunale di cui all’art. 1, comma 6, lett. c), si evince, tuttavia, la ben diversa conclusione che si è appena riportata, da cui si desume l’esistenza, nel caso di specie, del controllo analogo: il rispetto della economicità della gestione del servizio, affidato secondo le regole dell’in house providing, non può comportare che questo sia svolto nell’ottica del perseguimento di fini di profitto, ed in particolare del fine del cd. lucro soggettivo.

Quanto poi al potere di veto riconosciuto all’Ente locale, le tesi della ricorrente, secondo cui non si tratterebbe di un ordine di servizio, ma di un’indicazione “quasi vincolante”, rispetto alla quale il consiglio di amministrazione resterebbe libero di decidere e di definire le modalità di gestione del servizio, non possono essere in alcun modo condivise.

Anche se non si tratta di ordine di servizio (richiamo peraltro fuorviante, alla luce di quanto già detto sulle comunque innegabili peculiarità del modello societario), il veto resta tale e pertanto impedisce che la deliberazione rispetto alla quale viene esercitato possa essere portata ad esecuzione. Il che, trattandosi di deliberazione rifluente sull’attuazione del contratto di servizio, implica certamente un’influenza fortissima, se non decisiva, sulle modalità di gestione del servizio.

Va aggiunto sul punto che, ai sensi dell’art. 9, comma 6, del contratto di servizio, il Comune affidante ha diritto alla revoca della gestione del servizio e quindi alla risoluzione del contratto, tra l’altro:

- in caso di ripetute e gravi deficienze nella gestione del servizio, non sanate per effetto della diffida di cui al medesimo art. 9, comma 4 (lett. b));

- in caso di ripetute e gravi inadempienze ai disposti del contratto, a loro volta non sanate a seguito della diffida (lett. d)).

Ora, l’art. 7 del contratto di servizio riproduce, sia pure con qualche lieve variante che però deve ritenersi priva di valore sostanziale, le previsioni dello statuto della A.S.M. Pavia S.p.A. in merito ai poteri propulsivi e di veto del Comune affidante (oltre ad attribuire a quest’ultimo un potere di vigilanza operativa su cui si tornerà infra): ne discende che l’eventuale inosservanza del veto comunale comporterebbe la possibilità, per l’Ente locale, di “revocare” l’affidamento del servizio e risolvere il contratto. In aggiunta comporterebbe, in base all’art. 1, comma 6, lett. c), dello statuto societario (che stabilisce tra l’altro il diritto del Comune di recedere dalla società, ove abbia diritto di far valere la risoluzione del contratto di servizio e la revoca dell’affidamento), la possibilità, per il Comune affidante, di “uscire” dalla società medesima.

Né sembra decisivo ribattere che si tratta di rimedi e poteri di natura contrattuale, perché, a ben vedere, in assenza delle succitate previsioni del contratto di servizio, nel caso di inosservanza del veto l’Ente affidante potrebbe comunque azionare la domanda di risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c., pervenendo, sia pure tramite la via giudiziale, al medesimo risultato di far venir meno l’affidamento in house e, addirittura, di poter uscire dall’A.S.M. Pavia S.p.A..

In altre parole, il rimedio contrattuale doppia un rimedio legale (quello dell’azione generale di risoluzione per inadempimento), ma quest’ultimo appare già di per sé idoneo a portare (sia pure esperendo azione in giudizio) ai medesimi risultati cui mira il rimedio contrattuale.

Quanto alle leggere varianti, cui si è poc’anzi accennato, si tratta essenzialmente della disciplina dell’art. 7, comma 2, del contratto di servizio, lì dove dispone che l’Ente affidante, nell’esercitare il potere di veto, deve individuare espressamente e puntualmente le ragioni per cui la deliberazione del consiglio di amministrazione inerente alla gestione del servizio si discosta dalle proposte dell’Ente medesimo: ragioni delle quali il consiglio di amministrazione dovrà tener conto nell’assumere le decisioni conseguenti.

Orbene, se la necessità di una puntuale motivazione del veto comunale appare del tutto coerente con i principi che governano la fase di esecuzione del contratto (in particolare, con il principio di buona fede ex art. 1375 c.c., cui sono assoggettate anche le Pubbliche Amministrazioni: T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, 2 marzo 2004, n. 1588), un’attenzione maggiore merita l’ulteriore prescrizione, secondo cui delle ragioni manifestate dal Comune “il consiglio di amministrazione deve tener conto nell’assumere le decisioni conseguenti”.

Affinché si possa parlare di un “controllo analogo”, infatti, ad avviso del Collegio tale prescrizione deve intendersi nel senso che il veto comunale abbia un valore analogo a quello di un parere vincolante: il consiglio di amministrazione dovrà, in ogni caso, uniformare le sue determinazioni all’avviso espresso dal Comune e non potrà discostarsene limitandosi ad indicare, a propria volta, i motivi per cui ritiene di non condividere le affermazioni del Comune.

Qualora, invece, il consiglio di amministrazione potesse superare (esplicitandone le ragioni) il veto comunale, quest’ultimo sarebbe sostanzialmente equiparato ad un parere obbligatorio ma non vincolante, con il corollario dell’esclusione, nella fattispecie considerata, della configurabilità del cd. controllo analogo.

In altri termini, affinché possa parlarsi di un “controllo analogo”, è necessario che l’ultima parola – sulla questione oggetto del veto comunale – spetti all’Ente locale affidante. Ciò, in ragione dell’oggetto del veto stesso, che riguarda le deliberazioni “specificamente rifluenti sull’attuazione del contratto di servizio”, cioè quelle che chiamano direttamente in causa l’esigenza di garantire la migliore efficienza del servizio di pubblica utenza reso sul territorio dell’Ente locale.

Ulteriore elemento significativo, da cui può desumersi la sussistenza nel caso di specie del controllo analogo è dato dall’attribuzione, al Comune affidante, di poteri di vigilanza sull’espletamento del servizio, da esercitarsi, ai sensi dell’art. 7, comma 3, del contratto di servizio, tramite funzionari incaricati.

Tali poteri si traducono nell’effettuazione di controlli in loco e nell’accesso alla documentazione societaria specificamente riferita al servizio svolto, ed implicano, altresì, il potere degli incaricati di impartire disposizioni operative alla società (in caso di urgenza anche in forma orale, salva conferma per iscritto).

Il meccanismo descritto è analogo a quello delineato nella fattispecie concernente il Comune di Mantova, decisa dalla recentissima sentenza della Corte di Giustizia del 17 luglio 2008 (resa in causa C-371/05). In tale vicenda il Comune, che aveva affidato in via diretta la gestione, la manutenzione e lo sviluppo dei propri servizi informatici all’ASI S.p.A. – società il cui capitale, al momento della stipula della convenzione per l’affidamento del servizio, era interamente detenuto dal Comune di Mantova e da quelli limitrofi – si era riservato una serie di poteri di vigilanza, controllo e condizionamento dell’attività della società.

In particolare, il Comune aveva conservato il potere di nominare un funzionario comunale, incaricato di collaborare, stimolare e controllare l’operato della società. Tale elemento, unitamente ad altri compresenti nella fattispecie (e cioè la nomina dei membri degli organi direttivi della società ed il controllo sulla contabilità della stessa), è stato considerato dalla Corte come dimostrativo della sussistenza di un potere di controllo strutturale e funzionale del Comune di Mantova sull’ASI S.p.A. analogo a quello esercitato sui propri servizi.

Sono evidenti le affinità di quanto appena esposto con le previsioni dell’art. 7 del contratto di servizio che – in applicazione dell’ultima parte dell’art. 1, comma 6, lett. c), dello statuto dell’A.S.M. Pavia (lì dove si demanda al predetto contratto la disciplina dell’accesso, da parte del Comune, agli atti societari relativi al servizio affidato, e dell’effettuazione di ispezioni) – ha disciplinato i poteri di vigilanza e di direttiva spettanti all’incaricato del Comune affidante.

Né, ancora una volta, si può obiettare argomentando dalla natura solo contrattuale e non anche ordinamentale dei suddetti poteri dell’incaricato comunale, in quanto, oltre alla ricordata previsione dell’ultima parte dell’art. 1, comma 6, lett. c), dello statuto societario, viene in rilievo l’art. 1, comma 6, lett. a), di questo, secondo cui l’assemblea societaria detta al consiglio di amministrazione indirizzi vincolanti, tra l’altro, in materia di schemi generali dei contratti di servizio: se ne desume che i contenuti deliberati in siffatta sede dovranno essere necessariamente riversati nei contratti che A.S.M. Pavia stipula con i Comuni affidanti.

Passando all’esame dei poteri spettanti all’organismo comune ex art. 1, comma 6, lett. b), dello statuto (“Assemblea di coordinamento e controllo intercomunale”), composto dai Sindaci dei Comuni affidanti (o loro delegati) e nel quale i Comuni sono presenti con ugual peso, cioè a prescindere dalla quota di capitale detenuto, si osserva quanto segue.

All’organismo de quo (regolato anche dalla convenzione conclusa tra i Comuni ai sensi dell’art. 30 del d.lgs. n. 267/2000) spettano:

1) il potere di definire, coerentemente con le decisioni strategiche dell’assemblea sociale, indirizzi operativi sui servizi affidati, cui il consiglio di amministrazione dovrà adattare l’operato delle strutture gestionali della società;

2) il controllo di efficacia complessiva dei servizi affidati dai Comuni, ricevendo a tale scopo rapporti periodici a cura del consiglio di amministrazione sui principali indicatori della società relativi ai servizi stessi;

3)il potere – ove lo richiedano i due terzi dei suoi membri – di sottoporre il piano industriale, predisposto dal consiglio di amministrazione, all’approvazione della assemblea societaria;

4) il potere di chiedere motivatamente la convocazione dell’assemblea societaria, e di definire, in vista dello svolgimento di quest’ultima, delle posizioni comuni tra i soci sulle deliberazioni da assumere.

A dette previsioni la convenzione istitutiva dell’organismo comune, approvata dal Comune di Landriano con la gravata deliberazione n. 4/2008, ha aggiunto (art. 3, comma 1, lett. f)) il potere di esprimere il parere sul regolamento per l’accesso agli atti societari e l’espletamento delle attività ispettive strumentali all’esercizio del controllo di efficacia da parte del suddetto organismo comune (il controllo che si è ora menzionato al n. 2): quindi tali attività ispettive sono diverse ed autonome da quelle attribuite all’incaricato del singolo Comune sulla base dell’art. 7, comma 3, del contratto di servizio, sopra ricordate).

I compiti di accesso agli atti societari ed ispettivi vengono svolti dall’organismo de quo attraverso un Comitato di sorveglianza, composto di cinque suoi membri (art. 3, comma 1, lett. f), cit.).

Orbene, il complesso dei compiti e poteri così affidati all’organismo “comune” dà vita ad un modello che è divergente in misura significativa da quello societario di stampo codicistico e che, tenuto conto di quanto sopra detto circa l’impossibilità di configurare il cd. controllo analogo in termini di sovraordinazione gerarchica tra il controllante ed il controllato (T.A.R. Lazio, Roma, n. 9988/2007, cit.), va ritenuto comunque idoneo a dare vita, unitamente agli altri indici ed elementi surriferiti, al predetto controllo analogo.

Ciò, soprattutto in ragione del fatto che, sia tramite i poteri di controllo ed ispettivi dell’organismo “comune”, sia attraverso quelli spettanti all’incaricato del singolo Ente locale affidante, l’attività dell’A.S.M. Pavia S.p.A. appare sottoposta ad una penetrante congerie di poteri di vigilanza e di controllo, completamente sganciati dalla misura della partecipazione societaria dei singoli Comuni soci. E questo, in aggiunta ai poteri propulsivi e di veto del singolo Comune affidante, che si sono più sopra descritti.

Da ultimo, resta da esaminare la sussistenza o meno di poteri di partecipazione e/o condizionamento del singolo Comune rispetto all’attività decisionale dell’A.S.M. Pavia S.p.A..

Sul punto, vero è che lo statuto prevede che la partecipazione del Comune di Pavia non possa essere inferiore al 51% del capitale avente diritto di voto: donde il ruolo centrale, se non preponderante, assunto dal predetto Comune in sede di decisioni assunte dall’organo assembleare. Nondimeno, si tratta di un ruolo che deve essere esercitato fermo restando, comunque, il perseguimento di finalità comuni a tutti i soci (così l’art. 5, comma 2, dello statuto).

In secondo luogo, se è vero che il Comune di Pavia gioca un ruolo preponderante allorché si tratta dell’approvazione, da parte dell’assemblea sociale, degli indirizzi vincolanti rivolti al consiglio di amministrazione riguardo al piano industriale (v. art. 1, comma 6, lett. a), dello statuto dell’A.S.M. Pavia), perché in questa ipotesi viene in rilievo la detenzione, da parte sua, della maggioranza del capitale sociale con diritto di voto, una situazione diversa si profila quando l’organismo “comune” imponga (cfr. punto 3 della pag. prec.) che il piano industriale sia approvato dalla assemblea societaria (o sociale). In tal caso, infatti, occorre che oltre al Comune di Pavia, si esprima in senso favorevole la maggioranza dei Comuni partecipanti che abbiano affidato servizi all’A.S.M. Pavia. Anche sotto questo profilo, dunque, si ha una rilevante deroga all’ordinario modello societario: deroga che rafforza le prerogative dei singoli Comuni partecipanti, attribuendo ad essi un coinvolgimento nel potere decisionale indipendentemente dalla quota di capitale sottoscritto ed in ragione del loro essere titolari del servizio pubblico dato in affidamento.

In ultima analisi, perciò, va condivisa la riflessione della difesa dell’A.S.M. Pavia S.p.A., secondo cui alla dominanza codicistica spettante al Comune di Pavia, quale detentore della maggioranza del capitale sociale, si contrappone una dominanza istituzionale dei singoli Comuni partecipanti: dominanza istituzionale che questi esprimono sia nel loro insieme, tramite l’ora vista deroga al modello assembleare puro ed i poteri dell’organismo “comune”, sia uti singuli, in base, soprattutto, alla disciplina di cui all’art. 1, comma 6, lett. c), dello statuto societario.

Ne discende la sussistenza, nella fattispecie in esame, di un complesso di elementi sufficiente, per quantità ed importanza, a configurare il cd. controllo analogo e, per l’effetto, a far rientrare la fattispecie stessa nell’in house providing, essendo fuori discussione l’altro requisito prescritto (cioè lo svolgimento, da parte della società, della parte più importante della propria attività con l’Ente o gli Enti pubblici che ne detengono il capitale: Corte di Giustizia CE, 17 luglio 2008, in C-371/05). Lo statuto dell’A.S.M. Pavia S.p.A. prevede, infatti, all’art. 4, comma 4, che “la parte più rilevante della propria attività risulti rivolta alla collettività degli enti locali soci”.

In definitiva, sia il ricorso originario, sia quello per motivi aggiunti, sono infondati e per tal motivo debbono essere respinti.

Quanto alla domanda di risarcimento dei danni, contenuta nel ricorso per motivi aggiunti, la stessa deve essere dichiarata inammissibile, poiché l’azione risarcitoria è ammissibile solo purché sia coltivato con successo il giudizio di annullamento del provvedimento illegittimo, tempestivamente impugnato (cfr., ex multis, C.d.S., A.P., 26 marzo 2003, n. 4). Ad ogni modo, si tratta di domanda formulata in modo del tutto generico, senza che sia addotto dalla ricorrente alcun elemento probatorio a supporto del pregiudizio lamentato, e che, pertanto, dovrebbe comunque essere ritenuta infondata e, per l’effetto, respinta.

Sussistono, comunque, giusti motivi per disporre la compensazione delle spese, in virtù della complessità delle questioni trattate.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Milano, Sezione Terza, così definitivamente pronunciando sul ricorso originario e sul ricorso per motivi aggiunti, li respinge.

Dichiara inammissibile la domanda di risarcimento dei danni.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Milano, dal T.A.R. per la Lombardia, Sezione III^, nella Camera di Consiglio del 3 luglio – 17 settembre 2008, con l’intervento dei signori magistrati:

DOMENICO GIORDANO             Presidente

PIETRO DE BERARDINIS            Ref., estensore

RAFFAELLO GISONDI                 Referendario

 

10 dicembre 2008, n. 5759

 

 

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