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Consiglio di Stato, Sez. V, 11/5/2009 n. 2882
Costituisce un preciso dovere delle stazioni appaltanti, volto a garantire anche la posizione dei partecipanti alle pubbliche gare, la previa definizione dell'oggetto della gara.

Sulla proroga dei contratti pubblici.

La pubblica amministrazione, al pari di qualsiasi altro contraente, allorché si rivolge al mercato (impegnandosi nei confronti dei soggetti che vi operano) deve aver preventivamente chiarito l'ambito dei bisogni da soddisfare. Ciò tanto più ove si consideri che il meccanismo privilegiato di scelta del contraente (la gara aperta) non consente aggiustamenti della domanda nel corso della procedura ed è anzi presidiato dal principio di immodificabilità dell'offerta, che ovviamente presuppone altrettanta tendenziale rigidità sul piano della domanda. Pertanto, non v'è dubbio che quello della previa definizione dell'oggetto della gara sia un preciso dovere delle stazioni appaltanti, volto a garantire anche la posizione dei partecipanti alle pubbliche gare. Ciò ovviamente non significa che sia radicalmente esclusa la possibilità di revoca in ragione di superiori (e normalmente sopravvenute) esigenze di interesse pubblico. Vuol dire soltanto che il sistema impone che la revoca (costituendo un evento non conforme alla fisiologia del contrarre) costituisca davvero un'eccezione alla regola, il che non può appunto essere se il mutamento di avviso ha luogo a causa di una non meditata previa definizione dell'oggetto del contrarre.

La proroga dei contratti proprio per la sua potenziale nocività nei confronti dei principi dell'evidenza pubblica e della salvaguardia della concorrenza non è un istituto stabile dell'ordinamento ma è stata prevista dall'art. 23 della l. 62/2005 soltanto nella fase transitoria successiva all'abrogazione dell'istituto del rinnovo (ed anche in tale fase risultava circondata da particolari garanzie, come la durata non superiore a sei mesi e la celere pubblicazione del bando di gara) sicché oggi essa risulta persino priva della necessaria base normativa. La conseguenza è che questa è teorizzabile, ancorandola al principio di continuità dell'azione amministrativa (art. 97 Cost.), nei soli, limitati ed eccezionali, casi in cui per ragioni obiettivamente non dipendenti dall'Amministrazione vi sia l'effettiva necessità di assicurare precariamente il servizio nelle more del reperimento di un nuovo contraente.

Materia: appalti / disciplina

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale,Quinta Sezione            

ha pronunciato la seguente

 

DECISIONE

Sul ricorso in appello n. 5691/2008 del 10/07/2008, proposto dall’AZIENDA ULSS N. 16 DI PADOVA, rappresentato e difeso dagli Avv.ti ALBERTO CARTIA e ANDREA MANZI con domicilio eletto in Roma, VIA F. CONFALONIERI, 5 presso ANDREA MANZI;

 

contro

TELEKNA SRL IN PR. E N. CAPOGRUPPO COSTITUENDA ATI, rappresentato e difeso dagli Avv.ti ENRICO MINNEI, PAOLO PIVA e STEFANO GATTAMELATA con domicilio elettoin Roma, VIA DI MONTE  FIORE, 22 presso STEFANO GATTAMELATA; 

ESPERIA SPA IN PR. E NQ. MANDANTE COSTITUENDA ATI;

rappresentata e difesa dagli Avv.ti ENRICO MINNEI, PAOLO PIVA e STEFANO GATTAMELATA con domicilio eletto in Roma, VIA DI MONTE FIORE, 22 presso  STEFANO GATTAMELATA; 

AZIENDA OSPEDALIERA DI PADOVA rappresentatae difesa dagli Avv.ti ALBERTO CARTIA e ANDREA MANZI con domicilio eletto in Roma, VIA F. CONFALONIERI, 5 pressoANDREA MANZI;

FELLETTI SPADAZZI SPA, non costituitasi;

COOPERATIVA SOCIALE SOLIDARIETA' A.R.L., non costituitosi;

 

per la riforma

della sentenza del TAR VENETO - VENEZIA: Sezione I n.1547/2008 , resa tra le parti, concernente AFFIDAMENTO  ALL'ESTERNO DEL SERVIZIO DI LOGISTICA DEL MATERIALE SANITARIO ASL;

Visto l’atto di appello con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della TELEKNA SRL IN PR. E N. CAPOGRUPPO COSTITUENDA ATI;

ESPERIA SPA IN PR. E NQ. MANDANTE COSTITUENDA ATI;

AZIENDA OSPEDALIERA DI PADOVA;

Viste le memorie difensive;

Visti gli atti tutti della causa;

Visto l’art. 23 bis comma sesto della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, introdotto dalla legge 21 luglio 2000, n. 205;

Alla pubblica udienza del 16 Dicembre 2008 , relatore il Consigliere Cons. Nicola Russo  ed uditi, altresì, gli avvocati Manzi e Piva;

Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:

 

FATTO

La controversia concerne l’appalto del magazzino farmaceutico destinato a servire sia la Azienda U.l.s.s. 16 di Padova, sia l’Azienda Ospedaliera di Padova.

La relativa procedura concorsuale viene indetta con delibera n. 1226 del 31.12.2004, la quale reca anche proroga dei pregressi (ma, almeno in parte, scaduti) rapporti già in essere per assicurare i servizi posti in gara.

Parallelamente, viene indetta anche una procedura per l’affidamento all’esterno del magazzino economale.

            Trascorre oltre un anno senza che nulla si sappia della procedura per l’affidamento del magazzino farmaceutico. Nel marzo 2006 (quando sono passati quindici mesi dalla indizione della gara), la partecipante Ati Telekna s.r.l. effettua il previsto sopralluogo in contraddittorio con la stazione appaltante. Dopo altri sette mesi di silenzio, la stessa Ati Telekna s.r.l., in data 24.10.2006, si rivolge formalmente alla stazione appaltante per aver notizie ufficiali circa lo svolgimento della procedura concorsuale.

            Circa due mesi dopo (la nota è del 27.12.2006) la stazione appaltante comunica che l’appalto è stato revocato con delibera n. 1035 del 20.12.2006 e che, contestualmente, è stata ancora una volta disposta la proroga dei rapporti già esistenti. Tale proroga (che già dura da almeno due anni) viene così ulteriormente a perpetuarsi.

            Revoca dell’appalto e proroga dei rapporti scaduti vengono impugnati da Ati Telekna davanti al TAR Veneto. Messa ivi in risalto la singolare connessione tra revoca e proroga (la prima viene infatti a risolversi in un mezzo per agevolare la prosecuzione della seconda), la legittimità della proroga è contestata a partire dal divieto di rinnovo dei contratti pubblici stabilito dal diritto interno. Quanto alla revoca, premessa la violazione del diritto al contraddittorio, ne viene contestata la mancanza di una reale motivazione e, pertanto, anche la violazione del principio di buona amministrazione. Viene chiesto il risarcimento dei danni subiti anche in via equitativa.

            Costituitasi in giudizio, la stazione appaltante nega che le proroghe disposte possano essere qualificate alla stregua di rinnovi: osserva che si tratta di atti volti a consentire precariamente, in pendenza della gara, la prosecuzione di un servizio non eludibile. Circa la revoca, essendo essa intervenuta prima ancora dell’apertura dell’offerta economica, è respinta ogni ipotesi di illegittimità del ripensamento, anche perché la motivazione fornita (non conformità del capitolato alle effettive esigenze della stazione appaltante) porta con sé la dimostrazione della conformità dell’azione amministrativa al superiore interesse pubblico. Quanto alla domanda di danni, ogni plausibilità in proposito sarebbe esclusa dalla clausola  contenuta nel capitolato (peraltro impugnata dal ricorrente) a mente della quale la stazione appaltante si riserva “la facoltà di sospendere, revocare, modificare, rinviare o annullare totalmente o parzialmente, in qualsiasi momento, la gara e (…) di non pervenire ad alcuna aggiudicazione, senza che i soggetti invitati possano vantare pretese o diritti di sorta” (capitolato, pag. 15).

            In corso di causa, delibata dal TAR l’illegittimità della proroga (ordinanza n. 208/2007), viene prodotta la delibera (dell’agosto 2007) con la quale la stazione appaltante approva uno studio di fattibilità per la realizzazione di un unico magazzino esterno interaziendale, con contestuale, ennesima proroga del pregresso (e scaduto) rapporto.

            Anche detti atti vengono gravati (con motivi aggiunti) da Ati Telekna. La proroga sarebbe illegittima perché, oltre a contrastare con i principi in tema di rinnovo enunciati nel ricorso, non ha tenuto conto del punto di vista espresso, sia pure in sede cautelare, da parte del TAR. Quanto allo studio di fattibilità, questo sarebbe illegittimo perché varrebbe a confermare l’agire confuso della stazione appaltante.

            Con sentenza 23 maggio 2008, n. 1547, il TAR Veneto, Prima Sezione, ha accolto il gravame di Ati Telekna. In particolare, il TAR ha ritenuto illegittime le proroghe disposte in parallelo alla gara poi revocata e le ha lette (appunto, insieme alla illegittima revoca) “nel contesto del complessivo comportamento tenuto dalla stazione appaltante”. Un contesto, sempre secondo il TAR, nel quale, fin dal bando la stazione appaltante non era affatto convinta di voler davvero procedere all’affidamento all’esterno del magazzino e che appare confermato dalla circostanza che la motivazione della revoca (disposta senza alcun previo contraddittorio) fa persino riferimento ad osservazioni della Commissione aggiudicatrice sulla supposta incongruenza della gara rispetto ai bisogni della stazione appaltante che neppure figurano nell’unico verbale acquisito in fase istruttoria.

            Disposto l’annullamento degli atti impugnati, il TAR ha anche accordato il risarcimento del danno. Ritenuta irrilevante (ed anzi corroboratrice della colpa della stazione appaltante) la clausola de dolo non petendo unilateralmente imposta dalla p.a., la sentenza ha in particolare osservato che la risposta in forma specifica non potesse dirsi pienamente satisfattiva della domanda di ristoro proposta dalla parte: l’obbligo di indire seriamente e finalmente una gara in sede di conformazione anche per rimuovere gli effetti delle reiterate proroghe, non comportava infatti un dovere di affidamento nei confronti del ricorrente; perciò, ritenuta sussistente, alla stregua del contesto, la violazione del principio di cui all’art. 1337 cod. civ., la sentenza ha condannato la stazione appaltante al pagamento dei danni. La misura di questi, esclusa qualsiasi perdita di chance, è stata circoscritta a parte delle spese sostenute per la partecipazione alla gara e la relativa de-terminazione è stata rimessa all’accordo delle parti ai sensi dell’art. 35, secondo comma, del d.lgs. 80/98.

            La sentenza del TAR Veneto è appellata dalla Azienda U.l.s.s. 16 di Padova. Con il primo motivo, la stazione appaltante censura l’intervenuto annullamento delle proroghe dei rapporti pregressi. Sostiene che, nella presente fattispecie, non si può parlare di rinnovo poiché quelle disposte non sarebbero che “mera proroga tecnica dei contratti in essere”. D’altronde, anche a voler ragionare alla stregua del paradigma del rinnovo, la fattispecie sarebbe legittima alla luce dell’art. 57, lett. b), del codice dei contratti. Aggiunge che quella seguita sarebbe una strada obbligata posto che sussisteva l’obiettiva necessità di garantire un servizio pubblico essenziale.

Con il secondo motivo contesta che la fase nella quale si trovava la procedura (apertura delle sole offerte tecniche) potesse comportare, essendo tuttora assente l’aggiudicazione definitiva, un qualsivoglia limite al potere di revoca da parte della stazione appaltante. Quanto al merito del provvedimento di revoca, sostiene che la scelta di non proseguire nel percorso tracciato dalla delibera di indizione sarebbe stata più che motivata dall’obiettiva necessità di rivedere la modulazione del servizio.

Con il terzo motivo afferma che il primo giudice sarebbe incorso in errore nella parte in cui ha attribuito rilevanza alla mancata celebrazione di un procedimento di revoca partecipato posto che le ragioni della revoca (tutte funzionali al miglior perseguimento dell’interesse pubblico) non consentivano alcun apporto significativo ad opera del privato pretermesso.

Con il quarto motivo l’appellante concentra la sua attenzione sui presupposti della domanda di risarcimento proposta dalla parte. Le considerazioni sono svolte sia per l’ipotesi di rigetto dei motivi di appello riguardanti l’azione amministrativa sia nell’ottica della affermata possibilità di responsabilità precontrattuale anche nel caso di revoca legittima (Cons. Stato, Sez. V, 6 dicembre 2006, n. 7194). In questa prospettiva, rammentata la clausola recante esenzione di responsabilità presente nel capitolato, l’appellante insiste nel relegare la responsabilità contrattuale alla sola fase successiva all’aggiudicazione e conforta tale tesi con riferimento all’art. 21 quinquies, comma 1 bis, della l. 241/90 (il quale limiterebbe l’indennizzabilità ai soli rapporti ne-goziali in essere). Contesta infine le voci di danno risarcibile, chiedendo che siano escluse le voci di costo imputabili a libere scelte imprenditoriali. Nega infine che possa esser accordata una qualsiasi somma per perdita di chance.

Il quinto motivo è dedicato alla confutazione del capo relativo alla condanna sulle spese.

Nei termini ha proposto appello incidentale (improprio) l’Azienda ospedaliera di Padova, la quale sostanzialmente pone censure identiche a quelle prospettate dall’appellante principale.

L’a.t.i. Telekna ha replicato con controricorso e ricorso incidentale. Circa la questione delle proroghe ritiene che non si possa seriamente parlare di proroga tecnica in relazione ad un rapporto che avrebbe dovuto scadere il 30 giugno 2002 (quello con la controinteressata Felletti Spadazzi s.p.a.) e che invece non è ancora cessato. Contrasta poi l’applicabilità dell’art. 57 del codice degli appalti perché non si tratta di appalto la cui rinnovabilità sia stata computata all’epoca della gara in termini di importo e di requisiti di qualificazione.

Quanto alla revoca, esalta il legame di questa con le proroghe e ne ravvisa il carattere illecito: la revoca (con proroga dei rapporti in essere) di una gara che dura da due anni (e la cui indizione è già accompagnata da un’ulteriore proroga), tanto più perché non accompagnata che da pretesti, “appare determinata in realtà dalla volontà di prorogare contratti scaduti dal 2002”.

Insiste nella conferma della condanna ai danni e, a questo proposito, propone appello incidentale insistendo per la condanna anche a titolo di perdita di chance, ricordando che un equo risarcimento è imposto anche dal diritto comunitario.

Nelle more della trattazione l’appellante ha prodotto la deliberazione U.l.s.s. 16 di Padova n. 880 del 10 novembre 2008 con la quale, da un lato, si annulla in via di autotutela la revoca impugnata in primo grado e si dispone o la conferma delle offerte o la presentazione di nuove offerte ad opera dei concorrenti; dall’altro lato, pur dandosi atto “che i contratti di gestione del magazzino di farmacia della Ulss 16 e di supporto al magazzino generale delle due aziende sono ampiamente scaduti e sono impossibili ulteriori proroghe”, si dispone retroattivamente l’ennesima proroga di tali rapporti fino al 31 gennaio 2009 e si procede, anche qui retroattivamente, all’adeguamento dei relativi compensi.

Le parti hanno ulteriormente illustrato le rispettive posi-zioni con memoria. In particolare, a partire dall’annullamento della revoca impugnata in primo grado, gli appellanti chiedono che si faccia luogo a declaratoria di improcedibilità e che si dichiari che l’annullamento in autotutela già di per sé comporta pieno risarcimento dell’ati appellata. Insistono nelle altre domande.

L’appellata ha replicato che l’unico fine dell’annullamento sopravvenuto sarebbe quello di celare le illegittimità plateali del complessivo procedimento e che comunque residuerebbe il suo diritto al risarcimento anche per equivalente.

            La causa è passata in decisione all’udienza del 16 dicembre 2008.

 

DIRITTO

            La delibera n. 880/2008, certamente esaminabile dal Collegio in quanto documento sopravvenuto non colpito dal divieto di nuove prove sancito dall’art. 345 c.p.c., non determina, come chiedono gli appellanti, la cessazione della materia del contendere. Una tale ipotesi si realizza infatti solo allorché la pretesa fatta valere in giudizio sia stata pienamente soddisfatta da determinazioni della p.a. successive alla instaurazione della lite (Cons. Stato, Sez. VI, 30 maggio 2008, n. 2618). Viceversa, pur avendo l’atto sopravvenuto disposto l’annullamento dell’atto impugnato in primo grado, è certo che quest’ultimo (finché non è stato espunto dall’ordinamento) ha disciplinato la fattispecie considerata ed ha, secondo la prospettazione del ricorrente in primo grado, prodotto un danno risarcibile, anche per la spropositata durata del procedimento concorsuale.

            Osserva, peraltro, il Collegio, nell’esercizio del potere-dovere di qualificazione della domanda, che l’annullamento in via di autotutela della revoca gravata in primo grado comporta, per la parte considerata, l’improcedibilità degli appelli per difetto di interesse, l’operato dell’amministrazione (rimozione in via di autotutela dell’atto impugnato) essendo incompatibile con la domanda di ripristino in via giurisdizionale dell’atto a suo tempo adottato, nonché, sempre nella parte considerata, l’improcedibilità della originaria domanda di annullamento (non essendo annullabile ciò che oggi non esiste).

            E’ peraltro pacifico che  la domanda di risarcimento non risulta preclusa dalla sopravvenuta impossibilità di procedere all’eliminazione giurisdizionale della revoca (Cons. Stato, Sez. VI, 14 marzo 2005, n. 1047), tanto più che il Giudice della giurisdizione ha anche recentissimamente ribadito la tesi della non necessaria impugnazione dell’atto ai fini del risarcimento (Cass. Sez. Un. 23 dicembre 2008, n. 30254).

Da questo punto di vista, ritiene il Collegio che la vicenda dedotta dall’a.t.i. ricorrente (soprattutto se letta nel suo complesso) conduca comunque a ritenere corretta la soluzione prescelta dalla sentenza impugnata: né la revoca della gara, né la proroga ad essa connessa (e quelle che l’hanno preceduta e seguita) corrispondono infatti ai relativi paradigmi di riferimento.

            Circa la gara (revocata perché dichiaratamente non più ritenuta confacente con le esigenze della stazione appaltante e tuttavia successivamente ripristinata “al fine di prevenire eventuali effetti sfavorevoli della pronuncia innanzi al Consiglio di Stato”, così la citata delibera n. 880/2008), il Collegio rammenta che dal sistema normativo di riferimento si trae la regola che le amministrazioni si determinano a contrarre solo dopo meditata ponderazione degli “elementi essenziali del contratto” (così, con disposizione di carattere ricognitivo e quindi destinata a valere anche nella fattispecie considerata, l’art. 11 del codice dei contratti pubblici). Dal che si ricava che, al pari di qualsiasi altro contraente, allorché si rivolge al mercato (impegnandosi nei confronti dei soggetti che vi operano) la pubblica amministrazione deve aver preventivamente chiarito l’ambito dei bisogni da soddisfare. Ciò tanto più ove si consideri che il meccanismo privilegiato di scelta del contraente (la gara aperta) non consente aggiustamenti della domanda nel corso della procedura ed è anzi presidiato dal principio di immodificabilità dell’offerta, che ovviamente presuppone altrettanta tendenziale rigidità sul piano della domanda.

            Non v’è quindi dubbio che quello della previa definizione dell’oggetto della gara sia un preciso dovere delle stazioni appaltanti, volto a garantire anche la posizione dei partecipanti alle pubbliche gare. Ciò ovviamente non significa che sia radicalmente esclusa la possibilità di revoca in ragione di superiori (e normalmente sopravvenute) esigenze di interesse pubblico. Vuol dire soltanto che il sistema impone che la revoca (costituendo un evento non conforme alla fisiologia del contrarre) costituisca davvero un’eccezione alla regola, il che non può appunto essere se il mutamento di avviso ha luogo a causa di una non meditata previa definizione dell’oggetto del contrarre.

Va da sé che, nella fattispecie considerata, la stazione appaltante non si è attenuta ad un tale modo di operare. Essa ha dapprima (nel bando e nel capitolato) ritenuto utile esternalizzare e mantenere separati (in ragione della diversità e complessità dei due corrispondenti servizi) due magazzini ed ha quindi indetto una gara in tal senso. Indi, nel corso della procedura (e dopo aver preso piena cognizione delle offerte tecniche), ha mutato idea prestando assenso ad “alcuni rilievi emersi nel corso dei lavori delle commissioni” (come se le commissioni di gara avessero loro il compito di stabilire il fabbisogno della stazione appaltante) ed ha ritenuto opportuno mantenere all’interno la gestione di un solo magazzino accorpato. Quindi, dopo la revoca (e non prima), ha approvato uno studio di fattibilità in tal senso. Infine, con la delibera n. 880/08, è tornata sui propri passi, ripristinando l’originaria scelta di esternalizzare due magazzini.

Si vede bene, dunque, che la revoca, in violazione del paradigma legale di riferimento, è nella specie l’effetto di una non meditata scelta (anteriore alla gara) circa l’effettivo fabbisogno da soddisfare.

Né, nella motivazione dell’atto (che non richiama minimamente gli atti regionali indicati dalle Aziende Ulss in sede di appello, i quali sarebbero comunque irrilevanti ai fini del decidere posto che la disposta revoca non è la mera sospensione suggerita a livello regionale), si rinvengono obiettive ragioni di interesse pubblico capaci di giustificare la revoca della gara. Se ne ricava soltanto, come correttamente rilevato dal primo giudice, una perplessità dell’azione amministrativa nonché la singolarità di attribuire rilievo ad appunti che proverrebbero dalle commissioni di gara, delle quali non vi è peraltro traccia nell’unico verbale acquisito a seguito di istruttoria.

Il tutto in un contesto (necessariamente destinatario di una valutazione unitaria) nel quale è mancato qualsiasi contraddittorio con i soggetti che avevano diligentemente risposto alla domanda di contrarre della stazione appaltante e, nel quale, nel frattempo, i servizi messi in gara continuavano (e continuano) ad esser svolti (meglio, continuavano e continuano a poter esser svolti) in virtù di rapporti pregressi proprio e soltanto a causa della peculiare gestione della gara.

Va dunque ribadita la contrarietà della revoca della gara ai corrispondenti principi, i quali la consentono solo ove siano documentate obiettive esigenze di interesse pubblico e non anche in presenza di non decisive perplessità circa la strada intrapresa (le quali vanno risolte in sede di definizione dell’oggetto del contrarre).

Del pari, va ribadita l’illegittimità della impugnata proroga dei rapporti già in essere per l’esecuzione dei servizi messi a gara.

Nella specie, la proroga dei rapporti pregressi è, in punto di fatto, pacifica. La stazione appaltante ritiene peraltro che in ciò non sia ravvisabile alcun profilo di illegittimità vuoi perché non si tratta di rinnovo ma di proroga tecnica in pendenza di gara, vuoi perché, anche a voler ragionare in termini di rinnovo, questo sarebbe consentito dall’art. 57 del codice dei contratti pubblici, vuoi, infine, perché quella considerata sarebbe stata una scelta obbligata per far fronte ad ineludibili esigenze pubbliche.

Ritiene viceversa il Collegio che le proroghe in questione, oltre a violare il disposto dell’art. 23 della l. n. 65/2005, contraddicano al generale principio dell’evidenza pubblica, il cui rispetto è imposto anche dal dovere di preservare il diritto alla libera concorrenza, garantito a livello comunitario in materia di appalti pubblici. Una volta espunta dall’ordinamento la disposizione che, a determinate condizioni, consentiva il rinnovo espresso dei contratti (art. 6, secondo comma, della l. 537/1993), il sistema non prevede infatti altra via che quella del reperimento del contraente secondo le regole dell’evidenza pubblica (Cons. Stato, Sez. V, 8 luglio 2008, n. 3391).

Ciò comporta, a livello ermeneutico, un vincolo in sede di interpretazione di ogni altro strumento o disposizione che possano, in linea teorica, raggiungere un effetto sostanzialmente identico a quello del rinnovo: si vuol dire che la stessa logica che presiede al divieto di rinnovo esclude che ad un effetto simile (ed altrettanto pregiudizievole per il principio di concorrenza) possa legittimamente pervenirsi attraverso la proroga dei rapporti già in essere.

D’altronde, la proroga dei contratti (proprio per la sua potenziale nocività nei confronti dei principi dell’evidenza pubblica e della salvaguardia della concorrenza) non è un istituto stabile dell’ordinamento ma è stata prevista dall’art. 23 della l. 62/2005 soltanto nella fase transitoria successiva all’abrogazione dell’istituto del rinnovo (ed anche in tale fase risultava circondata da particolari garanzie, come la durata non superiore a sei mesi e la celere pubblicazione del bando di gara) sicché oggi essa risulta persino priva della necessaria base normativa.

La conseguenza è che questa è teorizzabile, ancorandola al principio di continuità dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.), nei soli, limitati ed eccezionali, casi in cui (per ragioni obiettivamente non dipendenti dall’Amministrazione) vi sia l’effettiva necessità di assicurare precariamente il servizio nelle more del reperimento di un nuovo contraente.

Non vi è quindi bisogno di notare come nella fattispecie ciò che si vorrebbe qualificare come mera proroga tecnica coincide perfettamente con la fenomenica del rinnovo giacché questa si è risolta in una indeterminata prosecuzione dei precedenti rapporti, con durata complessiva del rapporto persino superiore a quella massima ordinariamente presa in considerazione dal diritto comunitario.

Non condivisibile risulta poi il richiamo all’art. 57 del codice dei contratti. Da questo punto di vista, va innanzitutto premesso che anche tale disposizione va interpretata in senso restrittivo e ciò proprio per evitare che questa possa risolversi in uno strumento per aggirare l’ormai pacifico divieto di rinnovo (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 31 ottobre 2006, n. 6457, resa con riferimento alla previgente, analoga disciplina dettata dall’art. 7, comma 2, lett. f, del d.lgs. 157/95). Va poi notato che mentre il rinnovo del contratto si sostanzia nella riedizione del rapporto pregresso (generalmente in virtù di una clausola già contenuta nella relativa disciplina), la ripetizione di servizi analoghi di cui parla l’art. 57 del codice postula una nuova aggiudicazione (sia pure in forma negoziata) alla stregua di un progetto di base. Si tratta, dunque, di due istituti profondamente distinti: mentre il rinnovo risultava applicabile a qualsiasi rapporto e comportava una ripetizione delle prestazioni per una durata pari a quella originariamente fissata nel contratto rinnovando, la ripetizione dei servizi analoghi comporta un nuovo e diverso vincolo contrattuale, con un diverso oggetto, come a tacer d’altro si ricava dal dato che la ripetizione può aver luogo solo nel triennio successivo alla stipula dell’appalto iniziale (vale a dire persino in pendenza del contratto originario, il quale può generalmente durare fino a quarantotto mesi).

Rinnovo (vietato) e ripetizione dei servizi analoghi (am-messa a certe condizioni dal diritto di derivazione comunitaria) non sono pertanto istituti sovrapponibili.

Ciò premesso a livello generale, un’attenta analisi dell’art. 57 conferma che questo non è indifferenziatamente applicabile a tutte le ipotesi in cui si tratti della “ripetizione di servizi analoghi”.

Dal punto di vista letterale (a parte gli altri vincoli ai quali la ripetizione è subordinata) non deve infatti sfuggire che l’art. 57 del codice dei contratti (analogamente alla corrispondente disposizione della direttiva 2008/14/CE) ha come oggetto una nuova aggiudicazione (sia pure in forma negoziata e senza previa pubblicazione di un bando) di “nuovi servizi”. La disposizione si riferisce, cioè, a servizi la cui esecuzione, al momento della indizione della gara originaria, è presa in considerazione solo a livello di mera eventualità perché, a quell’epoca, il relativo bisogno non esiste. E’ questa la ragione per la quale la disposizione, dal punto di vista letterale, parla di “nuovi servizi”: si tratta, appunto, di servizi in relazione ai quali il bisogno è eventuale e può sorgere solo successivamente alla gara originaria. Ed è per questo che la stazione appaltante, pur prendendoli in considerazione nel bando, non li assegna all’esito della corrispondente procedura concorsuale ma si riserva la facoltà di farlo nel triennio dalla stipula del contratto.

Questa impostazione è confermata a livello sistematico. Se l’art. 57 del codice dei contratti si riferisse a prestazioni della cui ripetizione vi fosse certezza sin dal momento della indizione della gara originaria (e quindi se la ripetizione in parola fosse indifferenziatamente applicabile a tutti i servizi), i relativi bandi dovrebbero prenderne in considerazione il valore anche dal punto di vista dei requisiti di qualificazione, mentre la disposizione in esame (al pari della corrispondente disposizione recata a livello comunitario) ne prevede il computo ai soli fini del principio di infrazionabilità surrettizia della soglia dell’appalto. I requisiti di partecipazione, anche in caso di possibile ripetizione ex art. 57, vengono dunque tarati solo sul valore certo dell’appalto (quello per il quale la gara è effettivamente celebrata) proprio perché la ripetizione, al momento della gara, non è affatto certa ma solo eventuale e destinata a conseguire ad una nuova, distinta (ed altrettanto eventuale) aggiudicazione (sia pure all’esito di una procedura negoziata). Se fosse diversamente, d’altronde, si darebbe luogo ad una restrizione del possibile novero dei partecipanti contraria al principio di proporzionalità poiché i requisiti di ammissione verrebbero a risultare inaspriti in funzione di un innalzamento dell’importo della gara che è invece solo eventuale (perché eventuale è la successiva assegnazione della ripetizione dei servizi analoghi).

L’art. 57 del codice dei contratti non fonda dunque una nuova ipotesi di generale rinnovabilità dei contratti di servizi consistente nella ripetizione di servizi analoghi a quelli affidati all’esito di una gara ma si riferisce soltanto ad eventuali esigenze di servizi analoghi (distinti dai servizi complementari) sopravvenute nel triennio successivo alla stipula del contratto.

Ipotesi, questa, che manifestamente non ricorre nel caso esaminato, nel quale l’esigenza di disporre di un servizio di magazzino era comunque certamente presente alla stazione appaltante al momento della stipula del contratto originario.

D’altronde, assorbente risulta il rilievo che la plurima prorogabilità dei rapporti in questione (recte, rinnovabilità) non era stata prevista nel bando originario e che le proroghe delle quali si discute, lungi dal risultare conformi ad un progetto di base, non hanno comunque avuto luogo entro i tre anni dalla stipulazione del contratto iniziale (nella specie, quello relativo alla controinteressata Felletti Spadazzi è del luglio 2001).

Alcun rilievo ha, infine, la circostanza che quella seguita fosse, secondo gli appellanti, una strada obbligata per assicurare l’espletamento di servizi essenziali. Basta al riguardo notare che il codice dei contratti pubblici (con disposizione anche qui avente carattere ricognitivo e quindi applicabile alla fattispecie in esame) stabilisce che le circostanze di estrema urgenza adducibili a giustificazione di una procedura negoziata senza gara “non devono essere imputabili alle stazioni appaltanti” (art. 57, secondo comma, lett. c).

Ciò vuol dire che se una stazione appaltante non si dà un’adeguata programmazione e non decide per tempo come sostituire alla scadenza un rapporto di appalto, non per questo è autorizzata a procedere (a più riprese) a trattativa privata.

In conclusione, revoca della gara (per quanto rileva ai fini della domanda risarcitoria proposta dall’ati appellante incidentale) e proroghe dei contratti in essere risultano illegittimi.

Ribadita l’illegittimità degli atti impugnati in primo grado, il Collegio, per quanto riguarda la domanda risarcitoria, ritiene che il primo giudice abbia fatto corretta applicazione del principio di cui all’art. 1337 cod. civ., ormai pacificamente applicabile anche alle pubbliche amministrazioni allorché risulti, come nella specie è ampiamente provato, che queste abbiano contravvenuto al principio di bona fides in contrahendo (Cons. Stato, 17 dicem-bre 2008, n. 6264) relativamente a soggetti che, essendo stati ammessi alla procedura, hanno assunto una posizione qualificata rispetto alla generalità degli operatori.

Né è condivisibile l’assunto degli appellanti che, revocata la revoca, non vi sarebbe più alcun danno da risarcire. Fermo infatti che, a causa del comportamento della stazione appaltante, la gara ha avuto una durata patologica, con la conseguenza che il tempo trascorso dalla sua indizione è stato ingiustamente sottratto alla possibilità di concorrere effettivamente all’aggiudicazione del servizio, sta di fatto che quella disposta dalla revoca (che non a caso prevede la possibilità di presentare una nuova offerta economica) è, agli effetti da considerare in punto di risarcimento del danno, una nuova gara. D’altronde, non solo la revoca, ma anche le proroghe illegittime (per il periodo corrispondente alla gara) hanno precluso alla ricorrente la possibilità di pervenire alla possibile esecuzione del servizio.

Cosicché, in accoglimento dell’appello incidentale proposto dall’ati Telekna, non solo vanno riconosciute tutte le spese sostenute per la partecipazione (senza possibilità di incidere sulle spese documentate che il concorrente, nell’ambito della sua libertà imprenditoriale, si prefigurava di remunerare attraverso il corrispettivo proposto), ma va anche attribuita, per chance perduta, una quota dell’utile (equitativamente fissata nella misura del 5 per cento del valore delle proroghe illegittime) che l’ati avrebbe potuto conseguire ove (come si doveva) fosse stato messo sul mercato il servizio viceversa fatto gestire a trattativa privata.

Ciò, in reiezione dell’eccezione di novità prospettata dalle appellanti, risulta d’altronde pienamente in linea con la causa petendi e con i fatti costitutivi già prospettati in primo grado, senza che la variazione degli importi (essendo la definitiva statuizione rimessa all’apprezzamento del giudice) possa dar luogo ad una non consentita immutazione del libello, anche perché la parte, ancorché in via subordinata (e dopo aver provveduto ad assolvere all’onere della prova), aveva sollecitato l’uso di poteri equitativi.

Da ultimo, prima di statuire circa il quantum, va negato rilievo alla tesi degli appellanti secondo cui nessun risarcimento sarebbe nella specie dovuto perché le regole di gara contenevano una specifica clausola di irresponsabilità della stazione appaltante per il caso di revoca o non aggiudicazione.

Si tratta infatti di una clausola unilateralmente imposta con la quale la p.a. pretende di reiterare il dogma della irresponsabilità della p.a. per danno ingiusto già superato dalla storica sentenza n. 500/99 della Corte di Cassazione e come tale certamente lesiva della posizione dei concorrenti. Una tale limitazione di responsabilità (nella specie ritualmente impugnata) è ammissibile e legittima, una volta accettata dalla parte privata (il che nella specie non è), solo quando la non aggiudicazione non consegue ad un agire illegittimo della p.a.

Passando alla liquidazione del danno, mantenendosi fermo il percorso già stabilito dalla sentenza impugnata, le Amministrazioni intimate provvederanno nel termine di 120 giorni dalla comunicazione o, se anteriore, dalla pubblicazione della presente sentenza, a proporre ai sensi dell’art. 35, secondo comma, del d.lgs. 80/98 all’Ati Telekna il pagamento di una somma che tenga conto dei seguenti criteri, con l’avvertenza che si farà all’uopo riferimento agli atti versati nel presente procedimento e puntualmente richiamati nel controricorso e ricorso incidentale:

-va rimborsata la somma versta dal concorrente a titolo di deposito cauzionale;

-va rimborsata la somma corrisposta alla S.r.l. EFM per la realizzazione del flusso logistico, fisico ed informativo;

-va liquidata la somma da corrispondere alla EFM s.r.l. per la consulenza ricevuta;

-vanno rimborsati gli oneri per interessi passivi inutilmente sostenuti a causa delle somme versate a Cosecon s.p.a. per l’acquisto di un lotto di terreno in data 25 settembre 2005 e 26 giugno 2007, nonché le relative spese notarili;

-va rimborsata la somma corrisposta alla Gdue Costruzioni s.r.l.;

-va riconosciuta una somma pari al 5% del valore com-plessivo dei contratti prorogati;

-sulle somme va applicato il saggio di interesse legale fino al momento del soddisfo.

Quanto infine alle spese, mentre appare correttamente motivata la condanna statuita in primo grado, il Collegio ritiene che quelle concernenti la fase di appello, attesa anche la complessità della vicenda, possano essere compensate.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunziando, in parte dichiara improcedibili gli appelli ed in parte li respinge. Anche in accoglimento dell’appello incidentale, condanna in solido le Amministrazioni intimate al risarcimento dei danni con obbligo per le medesime di avanzare la proposta prevista dall’art. 35 del d.lgs. 80/98 nei termini e nei sensi di cui in motivazione. Spese del grado compensate.

Così deciso in Roma, addì 16 dicembre 2008, dal Consiglio di Stato in s.g. (sez. V) riunito in camera di consiglio conl’intervento dei seguenti Magistrati:

Domenico La Medica            Presidente

Nicola Russo Consigliere est.

Gabriele Carlotti         Consigliere

Adolfo Metro             Consigliere

Giancarlo Giambartolomei     Consigliere

L'ESTENSORE                                            IL PRESIDENTE

f.to Nicola Russo                                    f.to Domenico La Medica

IL SEGRETARIO

Fto Gaetano Navarra

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 11/05/09

(Art. 55,L. 27/4/1982,n. 186)

P.IL DIRIGENTE

f.to Livia Patroni Griffi

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