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Consiglio di Stato, Sez. V, 8/2/2011 n. 854
La decisione di un Comune di ricorrere ad una società "in house" invece che ad un soggetto terzo deve essere effettuata, previa valutazione comparativa dei rispettivi servizi offerti.

La scelta di un Comune di non trasferire ad un soggetto terzo la funzione amministrativa atta a soddisfare la domanda relativa ad un pubblico servizio costituisce per la P.A. una facoltà legittima (come previsto dal Trattato CE), ciò non esclude che comunque la decisione di ricorrere ad una società "in house" invece che ad un soggetto terzo debba essere effettuata, previa valutazione comparativa dei rispettivi servizi offerti. Posto che l'art. 113, V c., del D. Lgs. n. 267 del 2000, prevede che la gestione dei servizi pubblici locali avvenga secondo una delle alternative modalità ivi contemplate, tra cui quella che si sostanzia nel conferire il servizio a società a capitale interamente pubblico, e che il ricorso all'affidamento diretto è sempre consentito, alla sola condizione che sussistano i requisiti indicati nella lett. c) di detto quinto comma, può convenirsi che non sia necessaria un'apposita ed approfondita motivazione di tale scelta, ma solo dopo che sia stata dimostrata non solo la sussistenza dei presupposti richiesti per l'autoproduzione, ma anche la convenienza rispetto all'affidamento della gestione del servizio a soggetti terzi, perché, in difetto, la scelta sarebbe del tutto immotivata e contraria al principio di buona amministrazione cui deve conformarsi l'operato della P.A..
Il principio che la scelta della forma di gestione per ciascun servizio deve essere effettuata previa valutazione comparativa tra le diverse forme di gestione previste dalle disposizioni in materia è applicabile non solo, nel caso di specie, nel Comune di Ceriale perché previsto dallo statuto, ma in generale ed ovunque ogni qualvolta debba essere effettuata la scelta tra il ricorso alle due forme di gestione di cui trattasi, anche se non espressamente previsto dall'art. 113 del D. Lgs. n. 267 del 2000, in ossequio al principio di buon andamento costituzionalmente previsto.

Materia: servizi pubblici / affidamento e modalità di gestione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

 

DECISIONE

sul ricorso numero di registro generale 1668 del 2010, proposto da:

Comune di Ceriale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Diego Vaiano e Mauro Vallerga, con domicilio eletto presso il primo, in Roma, Lungotevere Marzio n. 3;

 

contro

I.L.C.E. s.p.a, in persona del legale rappresentante pro tempore, anche ricorrente incidentale, rappresentato e difeso dall'avv. Piergiorgio Alberti, con domicilio eletto in Roma, via Carducci 4;

Società Servizi Ambientali S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;

 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Liguria, Genova, Sezione II, n. 2974 del 2009, resa tra le parti, di parziale accoglimento del ricorso proposto per l’annullamento della deliberazione n. 65 del 2008 del Consiglio comunale di Ceriale (di affidamento del servizio di distribuzione dell'acqua irrigua nel territorio), degli atti presupposti (in particolare della deliberazione di costituzione della s.p.a. Servizi Sociali e di approvazione dello statuto) e, a seguito di motivi aggiunti, della deliberazione della Giunta comunale di Ceriale 12 dicembre 2008 n. 204 (avente ad oggetto specifiche in merito all’assegnazione a detta s.p.a. della gestione del servizio dell’acquedotto irriguo), nonché per la declaratoria di nullità o inefficacia del contratto di servizio eventualmente stipulato tra il Comune citato e detta società, e la condanna del Comune stesso al risarcimento del danno ingiusto subito da I.L.C.E. s.p.a., anche mediante reintegrazione in forma specifica;

inoltre, a seguito di appello incidentale di I.L.C.E. s.p.a., per la reiezione dell’appello principale, ovvero per la riforma della sentenza suddetta nei termini indicati nell’atto di appello incidentale;

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio e l’appello incidentale di I.L.C.E. S.p.A.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 giugno 2010 il Cons. Antonio Amicuzzi e uditi per le parti gli avvocati Vaiano e Alberti;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

 

FATTO

Il Comune di Ceriale, che ha una partecipazione azionaria del 7,7% del capitale sociale della s.p.a. Servizi Ambientali, società a capitale interamente pubblico detenuto da Comuni del “Ponente Savonese”, dopo aver conferito a detta società nell’anno 2004 la gestione della rete fognante e del servizio di depurazione delle acque reflue, ha avviato una trattativa con la società stessa al fine di stipulare una convenzione per la gestione del locale acquedotto irriguo, conclusasi con la adozione della deliberazione n. 65 del 2 settembre 2008 del Consiglio comunale (di affidamento del servizio di distribuzione dell'acqua irrigua nel territorio comunale alla società stessa), nonché con la deliberazione della Giunta comunale di Ceriale 12 dicembre 2008 n. 204 (avente ad oggetto specifiche in merito all’assegnazione alla Servizi Ambientali s.p.a. della gestione del servizio dell’acquedotto irriguo), cui ha fatto seguito la stipula del contratto di servizio in data 17.4.2009.

Con ricorso al T.A.R. Liguria, integrato da motivi aggiunti, la società I.L.C.E. s.p.a. ha chiesto l’annullamento di dette deliberazioni e degli atti presupposti, nonché la declaratoria di nullità o inefficacia del contratto di servizio eventualmente stipulato tra il Comune citato e detta società e la condanna del Comune stesso al risarcimento del danno ingiusto subito da I.L.C.E. s.p.a., anche mediante reintegrazione in forma specifica.

Con sentenza n. 2974/2009, la seconda Sezione di detto T.A.R. ha accolto il ricorso ed i motivi aggiunti e, per l’effetto, ha annullato gli atti impugnati, ha dichiarato inammissibile la domanda di annullamento della deliberazione di costituzione della società Servizi Ambientali s.p.a. e di approvazione del relativo statuto, ha dichiarato inammissibile la domanda di nullità/inefficacia del contratto di servizio tra Servizi Ambientali s.p.a. e il Comune di Ceriale, nonché ha respinto la domanda risarcitoria.

Con il ricorso in appello in epigrafe indicato il Comune di Ceriale ha chiesto l’annullamento o la riforma della citata sentenza del T.A.R. , deducendo i seguenti motivi:

 

1.- Nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 del c.p.c. e del divieto di ultra petizione. Violazione e falsa applicazione del principio del contraddittorio di cui all’art. 111, II c., della Costituzione.

Né il motivo di ricorso accolto (con il quale erano state formulate le censure di difetto di istruttoria e di motivazione, nonché violazione dell’art. 97 Costituzione, né alcun altro atto di causa contenevano la censura di violazione dell’obbligo di motivazione in relazione all’art. 42, punti 2 e 3, dello Statuto comunale.

A nulla varrebbe l’assunto del Giudice di prime cure che, ai fini dell'individuazione dei motivi di ricorso, non sarebbe stata rilevante l'omessa indicazione delle norme violate, perché altro sarebbe ritenere fondato un motivo di ricorso in funzione delle considerazioni di diritto ivi esposte e altro sarebbe rilevare la sostanziale infondatezza del motivo di ricorso per come è stato dedotto e poi accogliere la censura con riferimento a norme di cui non solo non è stata dedotta la violazione ma è stata anche prospettata una interpretazione difforme da un consolidato indirizzo.

 

2.- Violazione e falsa applicazione dell’art. 45 del Trattato C.E. (ora art. 51 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea). Violazione falsa applicazione dell’art. 113 del D.Lgs. n. 267 del 2000 e S.M.I.. Violazione e falsa applicazione dell’art. 244 del Trattato C.E. (oggi art. 280 T.F.U.E.) per manifesto travisamento e disapplicazione dei principi elaborati dalla Corte di Giustizia in tema di “in house providing”.

L’art. 42 dello statuto comunale non sarebbe stato neppure correttamente interpretato perché esso si limita a ricalcare e trasporre a livello statutario il quadro normativo che ha regolato l’affidamento di servizi pubblici di rilevanza economica fino all’entrata in vigore dell’art. 23 bis, cioè l’art. 113 del D. Lgs n. 267 del 2000, sicché l’obbligo di valutazione comparativa sussisterebbe solo se il Comune decidesse di affidare la gestione ad un soggetto terzo esterno alla propria struttura, e non quando decidesse di avvalersi della autoproduzione in house.

 

3.- Violazione e falsa applicazione dell’art. 117, II c., lettera e), della Costituzione e della relativa riserva di legge in materia di tutela della concorrenza.

La interpretazione che il T.A.R. ha dato all’art. 42 dello Statuto comunale sarebbe in contrasto con le norme costituzionali (art. 117, II c, lett. 2) che riservano la tutela della concorrenza alla legislazione esclusiva di rango statale, perché verrebbe ad essere integrato l’apparato normativo vigente (art. 113, V c., del TUEL) e il detto criterio sarebbe applicabile solo nel Comune di Ceriale.

 

4.- Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della L. n. 241 del 1990. Difetto di presupposto ed illogicità della motivazione. Travisamento.

Non è stato considerato che il provvedimento consiliare aveva puntualmente motivato circa il ricorso alla auto produzione, come da trascrizione della relazione introduttiva alla delibera e dal conseguente dibattito consiliare, il che poteva integrare la motivazione del provvedimento.

 

5.- Infondatezza del terzo motivo di ricorso di primo grado, con il quale era stata denunciata la violazione dell’art. 113 del D. Lgs. n. 267 del 2000, degli artt. 43, 49 e 86 del trattato CE e della direttiva 200/18/CE, in quanto la maggior parte del fatturato della società Servizi Ambientali s.p.a. (che è una società a capitale interamente pubblico detenuto in quote diverse da vari Comuni, tra i quali Loano) non sarebbe svolto a favore degli enti controllanti. Detta società realizzerebbe una percentuale pari al 37 % del proprio fatturato per conto di soggetti non soci (due acquedotti ed un consorzio).

L’Acquedotto S. Lazzaro, concessionario del servizio acquedottistico del Comune di Loano, si limiterebbe invece a riscuotere il corrispettivo dovuto dal detto comune alla società Servizi Ambientali, che è affidataria del servizio di depurazione e fognatura, mentre il 37% di detto fatturato sarebbe in realtà realizzato con il Comune di Loano che partecipa al capitale della Servizi Ambientali s.p.a., limitandosi detto acquedotto a ad effettuare il materiale versamento di quanto dovuto alla società in house dal Comune socio.

 

6.- Infondatezza del quarto motivo di ricorso di primo grado con il quale è stata denunciata violazione dell’art. 113 del D. Lgs. n. 267 del 2000, degli artt. 43, 49 e 86 del Trattato CE e della Direttiva 200/18/CE, sotto altro profilo, in quanto gli Enti controllanti non eserciterebbero su Servizi Ambientali s.p.a. il controllo analogo, come richiesto dalla normativa in materia, per insufficienza dei meccanismi di controllo di cui agli artt. 7 e 7 bis dello Statuto.

La censura non sarebbe condivisibile perché esso Statuto prevede l’indefettibile partecipazione pubblica totalitaria, l’ubicazione degli enti soci solo nella Provincia di Savona e l’esercizio da parte di essi di stringenti poteri di controllo, con possibilità di impartire agli amministratori indirizzi vincolanti, il che soddisferebbe le condizioni che la giurisprudenza individua quali indicatori del controllo analogo, che, dovendo essere esercitato congiuntamente dagli Enti soci, è comunque necessariamente attenuato.

Con atto depositato l’1.4.2010 si è costituita in giudizio la I.L.C.E. s.p.a., che ha chiesto che l’appello sia dichiarato inammissibile, irricevibile o improcedibile e, comunque, che sia respinto perché infondato nel merito.

Con atto notificato il 2.4.2010, depositato il 6.4.2010, la I.L.C.E. s.p.a. ha proposto appello incidentale, deducendo i seguenti motivi:

 

1.- Sul capo della sentenza che non ha ritenuto applicabile alla fattispecie l’art. 23 bis della L. n. 133 del 2008, respingendo il primo motivo del ricorso di primo grado, è stato osservato che la clausola di salvaguardia prevista dal comma XII di detto art. 23 bis, in quanto finalizzata a tenere salvi gli affidamenti non conformi alle previsioni di legge, va intesa in senso restrittivo e va applicata solo se vi sia una formale deliberazione adottata dall’organo competente prima della entrata in vigore della L. n. 133 del 2008.

Nella materia della gestione dei servizi pubblici la competenza spetta in via generale al Consiglio comunale ex art. 42, II c, lettera e), del D.Lgs n. 267 del 2000 e nel caso che occupa l’unico atto di tale organo è stato adottato dopo la entrata in vigore della L. n. 133 del 2008, avvenuta il 22.8.2008, e precisamente il 2.9.2008.

Il T.A.R. non ha considerato adeguatamente che ai dirigenti compete soltanto l’attuazione degli indirizzi dettati dagli organi politici e non è loro consentito disporre l’affidamento dei servizi.

La nota n. 24305 del 16 luglio 2008 del Funzionario Uffici espropri costituirebbe mera comunicazione interna, né potrebbe essere qualificata determinazione a contrarre ex art. 192 del D.Lgs 267 del 2000, perché non è stata adottata dal responsabile del procedimento di spesa, non conteneva la indicazione del fine da conseguire con il contratto e non individuava o approvava l’oggetto del contratto, la sua forma e le clausole ritenute essenziali.

E’ stato quindi riproposto il primo motivo di ricorso deducendo:

A) violazione dell’art. 23 bis della L. 6 agosto 2008 n. 133, nonché difetto di istruttoria e di motivazione, in quanto la norma rubricata, entrata in vigore prima dell’adozione del provvedimento impugnato, ha imposto l’affidamento dei servizi pubblici locali tramite gara e solo nel caso di particolari situazioni locali (di cui deve essere data adeguata motivazione sulla base dei risultati di un’analisi di mercato), mentre nel caso di specie l’affidamento diretto è avvenuto senza l’espletamento delle suddette formalità

Sono stati riproposti anche i motivi aggiunti di primo grado, deducendo:

 

B.1.- Sviamento. La Giunta comunale anziché rimuovere la deliberazione del Consiglio comunale ha tenuto fermo l’affidamento dalla Servizi Ambientali s.p.a. sostenendo al non immediata vincolatività dell’art. 23 bis.

B.2.- Contraddittorietà. La Giunta comunale ha deciso di avviare l’analisi tecnica ed economica volta ad illustrare le ragioni economiche, così ammettendo che esse, cui fa riferimento il III c. dell’art. 23 bis, mancavano, mentre poi sono state ritenute sussistenti.

Sarebbe errato l’assunto che detto articolo avrebbe imposto solo per il futuro di giustificare all’Autorità di vigilanza la esistenza di peculiari caratteristiche.

 

2.- Con riguardo al capo della sentenza che ha dichiarato inammissibile la domanda di declaratoria di nullità o inefficacia del contratto di servizio è stato dedotto che sarebbe errato in base al contenuto della Direttiva Comunitaria n. 66 del 2007 ed ex sentenza della Cassazione, Sezioni Unite, n. 2906 del 2010.

 

3.- Con riferimento alla parte della sentenza recante reiezione della domanda di risarcimento del danno (nell’assunto che non sarebbe in futuro precluso l’annullamento della deliberazione l’affidamento del servizio alla odierna affidataria, previa osservanza dell'art. 23 bis), ne è stata dedotta la non condivisibilità perché la domanda risarcitoria va valutata con riferimento alla lesione cagionata dagli atti impugnati e non ha rilievo la futura adozione di provvedimenti di analogo contenuto e non risulta che in base a detto art. 23 bis il servizio sarebbe stato da aggiudicare alla Servizi Ambientali s.p.a..

Con memoria depositata il 9.6.2010 il Comune di Ceriale ha eccepito la inammissibilità per tardività dell’appello incidentale e ne ha dedotto la infondatezza; inoltre ha ribadito tesi e richieste.

Con memoria depositata il 9.6.2010 la I.L.C.E. s.p.a. ha ribadito tesi e richieste.

Con note di udienza depositate il 15.6.2010 la I.L.C.E. s.p.a. ha contestato le avverse eccezioni e deduzioni ed ha ribadito tesi e richieste.

Alla pubblica udienza del 15.6.2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti come da verbale di causa agli atti del giudizio.

 

DIRITTO

1.- Con sentenza n. 2974 del 2009, la seconda Sezione del T.A.R. Liguria ha accolto il ricorso ed i motivi aggiunti proposti dalla società ILCE s.p.a. per ottenere l’annullamento della deliberazione del Consiglio comunale di Ceriale del 2 settembre 2008 n. 65 (con la quale è stato disposto l’affidamento diretto alla Servizi Ambientali s.p.a. del servizio di distribuzione dell’acqua irrigua nel territorio comunale), degli atti collegati e, in particolare, della deliberazione della Giunta comunale del 12 dicembre 2008 n. 204 (avente ad oggetto specifiche in merito all’assegnazione alla citata Servizi Ambientali s.p.a. della gestione del servizio dell’acquedotto irriguo), nonché per ottenere la declaratoria di nullità, invalidità, o inefficacia del contratto di servizio eventualmente stipulato e la condanna del Comune di Ceriale al risarcimento del danno.

Il TAR, respinto il motivo di ricorso della I.L.C.E. s.p.a. con cui è stata dedotta la violazione dell’art. 23 bis della L. 6 agosto 2008 n. 133 (che ha imposto l’affidamento dei servizi pubblici locali tramite a gara e solo nel caso di particolari situazioni locali di cui deve essere data adeguata motivazione sulla base dei risultati di un’analisi di mercato), ha ritento comunque insufficiente la motivazione della deliberazione 2 settembre 2008 (perché si limitava a dare conto della sussistenza delle condizioni per l’affidamento in house senza specificare le ragioni per le quali tale affidamento sarebbe stato preferibile rispetto alle altre modalità) ed ha conseguentemente annullato gli atti impugnati, ha dichiarato inammissibile la domanda di annullamento della deliberazione di costituzione della società Servizi Ambientali s.p.a. e di approvazione del relativo statuto, ha dichiarato inammissibile la domanda di nullità/inefficacia del contratto di servizio tra Servizi Ambientali s.p.a. e il Comune di Ceriale, nonché ha respinto la domanda risarcitoria.

Con il ricorso in appello, in epigrafe specificato, il Comune di Ceriale ha chiesto l'annullamento di detta sentenza. Con appello incidentale la I.L.C.E. s.p.a., ha chiesto la reiezione dell’appello principale, ovvero la riforma della sentenza suddetta nella parte in cui non ha ritenuto applicabile alla fattispecie l’art. 23 bis della L. n. 133 del 2008, nella parte in cui ha dichiarato inammissibile la domanda di declaratoria di nullità o inefficacia del contratto di servizio e nella parte in cui ha respinto la domanda di risarcimento del danno (per difetto di prova in ordine alla sussistenza del danno lamentato dalla ricorrente, non precludendo l’annullamento delle deliberazioni impugnate un nuovo affidamento del servizio all’odierna affidataria previa osservanza delle condizioni e dei moduli procedurali di cui all’art.23 bis l.133/08),

 

2.- L’appello principale è infondato.

 

2.1.- E’ stata sostenuta con il primo motivo di appello la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 del c.p.c. e del divieto di ultra petizione, nonché per violazione e falsa applicazione del principio del contraddittorio, di cui all’art. 111, II c., della Costituzione. Ciò in quanto né il motivo di ricorso accolto (con il quale erano state formulate le censure di difetto di istruttoria e di motivazione, nonché violazione dell’art. 97 Costituzione, in quanto l’Amministrazione comunale non avrebbe adeguatamente motivato in ordine alla sussistenza dei presupposti per ricorrere all’affidamento in house), né in alcun altro atto di causa si sarebbe formulata la censura di violazione dell’obbligo di motivazione in relazione all’art. 42, punti 2 e 3, dello Statuto comunale.

A nulla varrebbe l’assunto del Giudice di prime cure che, ai fini dell'individuazione dei motivi di ricorso, non sarebbe stata rilevante l'omessa indicazione delle norme violate, perché altro sarebbe ritenere fondato un motivo di ricorso in funzione delle considerazioni di diritto ivi esposte (anche se in base ad una norma non espressamente menzionata) e altro sarebbe rilevare la sostanziale infondatezza del motivo di ricorso per come è stato dedotto e poi accogliere la censura con riferimento a norme di cui, non solo non è stata dedotta la violazione, ma è stata anche prospettata una interpretazione difforme da un consolidato indirizzo in materia, peraltro in violazione del diritto di difesa del Comune.

Osserva in proposito il Collegio che la I.L.C.E. s.p.a. aveva proposto con il ricorso di primo grado la censura di difetto di istruttoria e di motivazione, nonché di violazione dell’art. 97 Costituzione, in quanto l’Amministrazione comunale non avrebbe adeguatamente motivato in ordine alla sussistenza dei presupposti per ricorrere all’affidamento in house.

Il Giudice di primo grado ha ritenuto illegittimo il provvedimento impugnato avuto riguardo a detta censura, ritenendo inapplicabile al caso di specie l’assunto delle resistenti secondo cui l’affidamento in house, non costituendo deroga al trattato UE, non necessiterebbe di particolare motivazione, essendo a tal fine sufficiente dare conto della sussistenza delle condizioni per ricorrere all’in house stesso. Ha considerato detto Giudice che “Invero occorre rilevare come l’art. 113 d.lgs. 267/00 più volte modificato configurasse come alternative le modalità di gestione dei servizi pubblici locali con conseguente obbligo derivante dai principi generali dell’azione amministrativa di operare una valutazione comparativa con adeguata motivazione delle ragioni per le quali si è scelto di utilizzare una modalità di gestione piuttosto che un’altra. Pur non ignorando l’orientamento della giurisprudenza amministrativa secondo la quale la necessità della motivazione sussisterebbe solo in presenza di affidamento del servizio a terzi, il T.A.R. ha ritenuto che nel caso di specie necessitasse comunque una valutazione comparativa e la conseguente motivazione in base alle disposizioni statutarie, che si impongono al Giudice in forza del principio “iura novit curia”, considerato anche che, ai fini dell'individuazione dei motivi di ricorso, non è rilevante l'omessa indicazione delle norme violate.

Premette al riguardo la Sezione che i motivi di ricorso possono essere considerati muniti di adeguata consistenza e specificazione quando indicano le ragioni che vengono poste a base di siffatte conclusioni e danno dimostrazione, secondo l'intendimento del ricorrente, del titolo e della causa delle richieste e delle norme che le giustificano, fermo restando che, in presenza di motivi generici, non può essere invocato il principio “iura novit curia”, perché la conoscenza che il Giudice ha e deve avere delle norme dell'ordinamento non esonera il ricorrente dallo specificare adeguatamente le sue richieste, né il principio può essere interpretato nel senso che il Giudice debba prestare la sua opera ovviando con la sua attività all'incapacità delle parti di reperire un qualunque fondamento per le loro pretese.

Non incorre tuttavia nel vizio di ultrapetizione la sentenza la quale utilizzi parametri normativi di riferimento o considerazioni diverse da quelle indicate dal ricorrente, atteso che il motivo di ricorso individua il vizio e gli elementi contenutistici che lo caratterizzano, mentre il Giudice - muovendo dal contenuto sostanziale della domanda di annullamento - può assumere, nella valutazione della fondatezza della censura, parametri diversi da quelli indicati, purché restino fermi l'identificazione e la qualificazione del vizio dedotto (Cons. St., Sez. VI, 14 agosto 2007, n. 4455 e 27 marzo 2001, n. 1770) negli elementi sostanziali che lo caratterizzano (Consiglio Stato, sez. IV, 07 maggio 2004, n. 2874).

Costituisce infatti regola generale quella per cui il Giudice debba concretamente esercitare il potere giurisdizionale nell'ambito della esatta corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, ai sensi dell'art. 112 c.p.c., pacificamente applicabile al processo amministrativo, sicché può concludersi che sussiste il vizio di ultrapetizione solo se il Giudice abbia esaminato e accolto il ricorso per un motivo non prospettato dalle parti (Consiglio Stato, sez. VI, 12 dicembre 2008, n. 6169) oppure abbia pronunciato oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti, ovvero su questioni estranee all'oggetto del giudizio e non rilevabili d'ufficio.

In conclusione il ricorrente è tenuto ad esporre la questione giuridica nei suoi termini essenziali, ma non ha l'onere di indicare tutte le norme che interessano la fattispecie e neppure specificare quelle che sarebbero violate (Consiglio Stato, sez. IV, 10 dicembre 2003, n. 8117).

Nella specie il T.A.R. si è limitato a procedere all'esatta individuazione del quadro normativo di riferimento, restando aderente al contenuto della domanda diretta a contestare l'inosservanza dell’obbligo di motivazione prospettato dalla parte ricorrente in primo grado.

La censura in esame non può quindi essere condivisa.

 

2.2.- Con il secondo motivo di appello è stata dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 45 del Trattato C.E. (ora art. 51 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea), nonché violazione e falsa applicazione dell’113 del D.Lgs. n. 267 del 2000 e S.M.I.; inoltre violazione e falsa applicazione dell’art. 244 del Trattato C.E. (oggi art. 280 T.F.U.E.) per manifesto travisamento e disapplicazione dei principi elaborati dalla Corte di Giustizia in tema di “in house providing”.

L’art. 42 dello statuto comunale non sarebbe stato correttamente interpretato dal Giudice di prime cure nel senso che impone, nell’affidare un servizio di rilevanza economica, di valutare la convenienza di utilizzare il ricorso al mercato, perché i punti 2 (in cui è previsto che la scelta della forma di gestione per ciascun servizio deve essere effettuata previa valutazione comparativa tra le diverse forme di gestione previste dalla legge e dallo Statuto) e 3 sono seguiti da una norma di chiusura (VII comma di detto art. 42), per la quale sono comunque salve ed applicabili ulteriori forme di gestione, individuate dalla normativa vigente, benché non individuate nello Statuto stesso.

Tanto comporterebbe che detto art. 42 si limita a ricalcare e trasporre a livello statutario il quadro normativo che ha regolato l’affidamento di servizi pubblici di rilevanza economica fino all’entrata in vigore dell’art. 23 bis, cioè l’art. 113 del D. Lgs. n. 267 del 2000, che prevede tre modalità di gestione di detti servizi, di cui due che si sostanziano nell’affidamento a soggetti terzi ed una che prevede l’auto produzione in house.

Quindi l’obbligo di valutazione comparativa sussisterebbe solo se il Comune decidesse di affidare la gestione ad un soggetto terzo esterno alla propria struttura, e non quando decidesse di avvalersi della autoproduzione in house, nel qual caso dovrebbe dare conto della sussistenza delle condizioni legittimanti tale assetto gestionale ma non sarebbe da effettuare alcuna valutazione comparativa circa la convenienza di fare ricorso al mercato.

Osserva al riguardo il Collegio che non appaiono condivisibili le argomentazioni poste a base del motivo di appello in esame, considerato che la previsione contenuta nel secondo comma di detto art. 42 circa l’obbligo di scelta della forma di gestione previa valutazione comparativa tra quelle previste dalla legge (coordinata con la previsione di cui al settimo comma, che fa salve ed applicabili ulteriori forme di gestione, individuate dalla normativa vigente), benché non individuate nello Statuto stesso, non porta necessariamente alla conclusione, caldeggiata nell’atto di appello, che l’obbligo di comparazione sussisterebbe solo con riguardo a forme di gestione non in house, atteso che la previsione della valutazione comparativa cui al secondo comma appare evidentemente riferita a qualsiasi forma di gestione, esterna od interna, in linea, peraltro, con il principio generale di buona amministrazione, che impone la scelta più consona agli interessi dell’Amministrazione all’atto della adozione di atti comportanti una scelta tra più opportunità, a prescindere dalla circostanza che la gestione non "in house" è riferita ad un soggetto giuridico formalmente e sostanzialmente distinto dall'ente locale, cui la lega un rapporto di terzietà e non di immedesimazione, non potendosi escludere a priori che il ricorso a tale soggetto terzo sia più conveniente sotto tutti i punti di vista dal ricorso ad una società “in house”.

Se è vero infatti, come sostenuto nel motivo in esame, che la scelta di non trasferire ad un soggetto terzo la funzione amministrativa atta a soddisfare la domanda relativa ad un pubblico servizio costituisce per la P.A. una facoltà legittima (come previsto dal Trattato CE), ciò non esclude che comunque la decisione di ricorrere ad una società “in house” invece che ad un soggetto terzo debba essere effettuata, per le ragioni prima evidenziate, previa valutazione comparativa dei rispettivi servizi offerti.

Posto che l’art. 113, V c., del D. Lgs. n. 267 del 2000, prevede che la gestione dei servizi pubblici locali avvenga secondo una delle alternative modalità ivi contemplate, tra cui quella che si sostanzia nel conferire il servizio a società a capitale interamente pubblico, e che il ricorso all'affidamento diretto è sempre consentito, alla sola condizione che sussistano i requisiti indicati nella lett. c) di detto quinto comma, può convenirsi che non sia necessaria un'apposita ed approfondita motivazione di tale scelta, ma solo dopo che sia stata dimostrata non solo la sussistenza dei presupposti richiesti per l'autoproduzione, ma anche la convenienza rispetto all’affidamento della gestione del servizio a soggetti terzi, perché, in difetto, la scelta sarebbe del tutto immotivata e contraria al principio di buona amministrazione cui deve conformarsi l’operato della P.A..

Il motivo in esame non è quindi suscettibile di assenso.

 

2.3.- Con il terzo motivo di appello è stata dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 117, II c., lettera e), della Costituzione e della relativa riserva di legge in materia di tutela della concorrenza.

La interpretazione che il T.A.R. ha dato all’art. 42 dello Statuto comunale di Ceriale sarebbe in contrasto con le norme costituzionali (art. 117, II c, lett. 2), che riservano la tutela della concorrenza alla legislazione esclusiva di rango statale, perché verrebbe ad essere integrato l’apparato normativo vigente (art. 113, V c., del T.U.E.L.) con un precetto (ivi non espressamente previsto) che subordina la possibilità per la P.A. di soddisfare la domanda relativa ai servizi pubblici di natura imprenditoriale, mediante delegazione interorganica, agli esiti di una valutazione comparativa avente ad oggetto la convenienza di utilizzare il ricorso al mercato, e il detto precetto sarebbe applicabile solo nel Comune di Ceriale, con violazione del principio costituzionale volto ad assicurare lo sviluppo omogeneo della concorrenza su tutto il territorio nazionale.

Considera in proposito la Sezione che la censura non è suscettibile di positiva valutazione, atteso che la interpretazione dell’art. 42 di detto statuto comunale non appare affatto interagire con la tutela della concorrenza, prevedendo solo l’obbligo di motivare le ragioni per le quali l’Amministrazione sceglie di far ricorso ad una società “in house” invece che ad un soggetto terzo, previa comparazione dei rispettivi servizi offerti, il che non impinge in materia di tutela della concorrenza, ma del buon andamento dell’azione amministrativa.

Il principio che la scelta della forma di gestione per ciascun servizio deve essere effettuata previa valutazione comparativa tra le diverse forme di gestione previste dalle disposizioni in materia è infatti applicabile non solo in detto Comune perché previsto dallo Statuto, ma in generale ed ovunque ogni qualvolta debba essere effettuata la scelta tra il ricorso alle due forme di gestione di cui trattasi, anche se non espressamente previsto dall’art. 113 del D. Lgs. n. 267 del 2000, in ossequio al principio di buon andamento costituzionalmente previsto.

 

2.4.- Con il quarto motivo di appello sono stati dedotti violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della L. n. 241 del 1990, difetto di presupposto ed illogicità della motivazione, nonché travisamento. Non sarebbe stato considerato dal primo Giudice che il provvedimento consiliare aveva puntualmente motivato circa il ricorso alla auto produzione, come da trascrizione della relazione introduttiva alla delibera e dal conseguente dibattito consiliare, il che poteva integrare la motivazione del provvedimento.

Ritiene il Collegio che la censura non possa essere condivisa, atteso che, per costante e condivisa giurisprudenza, la relazione introduttiva ad una delibera ed il conseguente dibattito consiliare non possono integrare la motivazione dell’atto collegiale perché essi, se pure possono essere utili ad illuminare le ragioni della scelta che si esprime nella votazione, non possono costituire di per sé l'elemento essenziale di un provvedimento amministrativo che è la motivazione dell'atto, perché esprimono essenzialmente orientamenti personali dei singoli consiglieri che vi prendono parte e quindi rendono il senso della scelta deliberativa criptico, non trasparente e dunque inidoneo a dare contezza delle scelte amministrative adottate dall’Organo collegiale e dell'iter formativo della volontà complessiva dell'Organo stesso, espresso attraverso la votazione finale.

 

2.5.- Le considerazioni che precedono, comportanti la reiezione dell'appello principale e la conferma della sentenza impugnata nella parte in cui ha accolto il ricorso di I.L.C.E. s.p.a., comportano la inutilità della disamina degli ulteriori motivi di appello volti a censurare la fondatezza dei motivi di ricorso dichiarati assorbiti dal Giudice di primo grado, nonché delle questioni circa la tempestività e fondatezza dell’appello incidentale (in parte qua proprio), proposto da detta s.p.a. al fine di riaffermare la fondatezza del motivo del ricorso di primo grado respinto dal T.A.R..Quest’ultima istanza risulta comunque assorbita dal rilievo del giudice di prime cure che in vista della rinnovazione procedimentale ha previsto un eventuale nuovo affidamento previa osservanza delle condizioni e dei moduli procedurali di cui all’art.23 bis della legge n.133/2008.

 

3.- Quanto all’appello incidentale (in parte qua improprio) proposto dalla I.L.C.E. s.p.a. ritiene la Sezione di poter prescindere, stante la sua infondatezza, dalla preliminare valutazione della fondatezza della eccezione di inammissibilità dello stesso per tardività formulata dal Comune di Ceriale.

 

3.1.- Con riguardo al capo della sentenza che ha dichiarato inammissibile la domanda di declaratoria di nullità o inefficacia del contratto di servizio è stato dedotto con l’atto di appello che esso sarebbe errato in base al contenuto della Direttiva Comunitaria n. 66 del 2007 ed in base a quanto asserito nella sentenza della Cassazione, Sezioni Unite, n. 2906 del 2010.

Il Giudice di prime cure ha dichiarato inammissibile la domanda di statuizione sul contratto di servizio atteso l’orientamento della Corte di Cassazione “(SS.UU. 28 dicembre n.2007, n. 27169)” e del Consiglio di Stato (C.S. A.P. 30 luglio 2008 n. 9).

Considera la Sezione che, anche se prima della emanazione direttiva 2007/66/Ce, recepita dal D. Lgs. 20 marzo 2010 n. 53, veniva ritenuta dalla giurisprudenza in materia sussistente la giurisdizione del G.O. a conoscere della domanda giurisdizionale del privato concorrente volta a far accertare la sorte del contratto, la cui aggiudicazione in favore di terzi fosse stata annullata su suo ricorso, allo stato questo G.A. può pronunciarsi sulla sorte del contratto applicando la disciplina introdotta da detto D. Lgs., che, in difetto di norme transitorie, è di immediata applicazione ai giudizi in corso.

Dispone l'art. 244, del D.Lgs. n. 163 del 2006, come novellato dal citato D.Lgs. n. 53 del 2010, che il Giudice amministrativo ha giurisdizione esclusiva sulla dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito dell'annullamento dell'aggiudicazione (la disposizione vale a consolidare la giurisdizione del Giudice amministrativo, anche ove in ipotesi si ritenesse che ne fosse privo al momento della introduzione della lite, cfr. Cass., sez. un., 16 aprile 2009 n. 8999, ord.; Cass., sez. un., 19 febbraio 2002 n. 2415).

Dispone l'art. 245-ter, del D. Lgs. n. 163 del 2006, che fuori dei casi di violazioni gravi (che nella specie non ricorrono), il Giudice che annulla l'aggiudicazione, se il tipo di vizio riscontrato non comporta l'obbligo di rinnovo della gara e dunque se vi sono fondati elementi per ritenere che l'appalto sarebbe stato aggiudicato al ricorrente vittorioso, valuta, avuto riguardo a una serie di elementi di fatto, se privare di effetti il contratto, facendovi subentrare il ricorrente, ovvero accordare il risarcimento del danno solo per equivalente.

Occorre in particolare tener conto dello stato di esecuzione del contratto, della possibilità per il ricorrente di conseguire l'aggiudicazione e subentrare nel contratto, nonché degli interessi di tutte le parti.

Nel caso di specie il vizio riscontrato con la sentenza in questa sede confermata comporta l'obbligo di rinnovo della procedura ed incertezza circa la possibilità della I.L.C.E. s.p.a. di conseguire la aggiudicazione del servizio de quo, sicché non sarebbe comunque possibile disporre il subentro della ricorrente I.L.C.A..

 

3.2.- Con riferimento alla parte della sentenza recante reiezione della domanda di risarcimento del danno nell’assunto che non sarebbe in futuro precluso l’annullamento della deliberazione l’affidamento del servizio alla odierna affidataria, previa osservanza dell'art. 23 bis della L. n. 133 del 2008, essa non sarebbe condivisibile perché la domanda risarcitoria va valutata con riferimento alla lesione cagionata dagli atti impugnati e non ha rilievo la futura adozione di provvedimenti di analogo contenuto e non risulta che, in base a detto art. 23 bis, il servizio sarebbe stato da aggiudicare alla S.A..

Il T.A.R. ha respinto la domanda risarcitoria per difetto di prova in ordine alla sussistenza del danno lamentato dalla ricorrente, non precludendo l’annullamento delle deliberazioni impugnate un nuovo affidamento del servizio all’odierna affidataria, previa osservanza delle condizioni e dei moduli procedurali di cui all’art. 23 bis della L. n. 133 del 2008.

Osserva la Sezione che la domanda di risarcimento dei danni è regolata dal principio dell'onere della prova di cui all'art. 2697 c.c., sicché grava sul danneggiato l'onere di provare, ai sensi del citato articolo, tutti gli elementi costitutivi della domanda di risarcimento del danno per fatto illecito (danno, nesso causale e colpa).

Il risarcimento del danno non è quindi una conseguenza automatica e costante dell'annullamento giurisdizionale, richiedendo la positiva verifica, oltre che della lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall'ordinamento, della sussistenza della colpa o del dolo dell'Amministrazione e del nesso causale tra l'illecito e il danno subito.

Il risarcimento del danno conseguente a lesione di interesse legittimo pretensivo è subordinato, pur in presenza di tutti i requisiti dell'illecito (condotta, colpa, nesso di causalità, evento dannoso), alla dimostrazione, secondo un giudizio di prognosi formulato ex ante, che l'aspirazione al provvedimento fosse destinata nel caso di specie ad esito favorevole, quindi alla dimostrazione, ancorché fondata con il ricorso a presunzioni, della spettanza definitiva del bene collegato a tale interesse, ma siffatto giudizio prognostico non può essere consentito allorché detta spettanza sia caratterizzata da consistenti margini di aleatorietà (Consiglio Stato, sez. V, 15 settembre 2010, n. 6797).

Deve quindi escludersi che l'annullamento di un atto illegittimo per difetto di motivazione possa ex se comportare il diritto al risarcimento dei danni subiti, in quanto tale vizio non esclude (ma, anzi, consente) il riesercizio del potere, con la conseguenza che la domanda di risarcimento non può essere valutata che all'esito nel nuovo eventuale esercizio del potere.

Va dunque respinta la domanda di risarcimento del danno nel caso di accertamento giudiziale dell'illegittimità di un provvedimento, come nel caso che occupa, per difetto di motivazione, nulla potendo evincersi da detta statuizione riguardo alla fondatezza della pretesa fatta valere dall'interessato ed al nesso di causalità tra il danno e la condotta dell'amministrazione,

Comunque sarebbe da escludere la responsabilità della pubblica Amministrazione nel particolare caso di specie, poiché sussistono gli estremi per il riconoscimento della scusabilità dell'errore di diritto, in ragione della novità della questione e della complessità della situazione di fatto.

 

3.3.- L’appello incidentale in esame deve essere quindi essere respinto stante la sua infondatezza.

 

4.- Come da motivazione, l’appello principale deve essere conclusivamente respinto e deve essere confermata la prima decisione; deve essere respinto anche l’appello incidentale improprio .

 

5.- La complessità delle questioni trattate, nonché la peculiarità e la novità del caso, denotano la sussistenza delle circostanze di cui all’art. 92, II c., del c.p.c., come modificato dall’art. 45, XI c., della L. n. 69 del 2009, che costituiscono ragione sufficiente per compensare fra la parti le spese del presente grado di giudizio.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione V, respinge l’appello principale e l’appello incidentale.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 giugno 2010 con l'intervento dei Signori:

Pier Giorgio Trovato, Presidente

Gianpiero Paolo Cirillo, Consigliere

Filoreto D'Agostino, Consigliere

Angelica Dell'Utri, Consigliere

Antonio Amicuzzi, Consigliere, Estensore

 

L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE

   

Il Segretario

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 08/02/2011

 

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