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TAR Campania, Napoli, Sez. I, 10/7/2014 n. 3850
La regione Campania approvando direttamente le tariffe per la cessione dell'acqua all'ingrosso e per la raccolta - depurazione per il 2013 ha invaso illegittimamente la sfera di attribuzioni riservata all'AEEG.

Deve essere annullata la deliberazione della Giunta regionale della Campania n. 805 del 21.12.2012, nella parte in cui ha approvato la proposta di aggiornamento delle tariffe per la cessione dell'acqua all'ingrosso e per la raccolta - depurazione per l'anno 2013 e nella parte in cui ha demandato a ciascun soggetto gestore degli acquedotti comunali di determinare un'eventuale aliquota aggiuntiva della tariffa per depurazione, da far gravare sugli utenti finali, in relazione ai costi sostenuti per l'attività di riscossione. Nel caso di specie, infatti, la regione Campania è incompetente a disporre per l'anno 2013 in materia di tariffe per il servizio idrico, dal momento che l'Autorità per l'energia elettrica e il gas (AEEG) è subentrata nella relativa potestà anche per le gestioni già regolate con il cd. metodo tariffario CIPE. Pertanto con la citata deliberazione n. 805 del 2012 la Regione Campania approvando direttamente le tariffe per il 2013 ha invaso illegittimamente la sfera di attribuzioni riservata all'AEEG. Per le stesse ragioni deve essere annullata la delibera in questione laddove ha demandato a ciascun soggetto gestore degli acquedotti comunali di determinare un'eventuale aliquota aggiuntiva della tariffa per depurazione, da far gravare sugli utenti finali, in relazione ai costi sostenuti per l'attività di riscossione. Invero, posto che le spese per la riscossione delle tariffe di depurazione costituiscono di per sé un costo per il gestore dei relativi impianti, è evidente che gli stessi devono trovare integrale copertura finanziaria in sede di determinazione delle stesse tariffe e, come tali, rientrano anch'esse nella sfera di attribuzioni della citata Autorità.

Deve essere annullato il decreto dirigenziale n. 632 del 30.12.2013, con cui è stata quantificata nella misura del 4% dell'incassato la percentuale da riconoscere ai gestori degli acquedotti comunali, per il periodo sino al 2012, a titolo di spese di riscossione delle tariffe di depurazione e fognatura, in quanto non è stato preceduto da un'adeguata attività istruttoria, idonea a fornire all'autorità emanante gli elementi idonei ad un corretto esercizio della potestà pubblica.

Materia: acqua / tariffe

N. 03850/2014 REG.PROV.COLL.

 

N. 01343/2013 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1343 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da:

Società Acquedotti S.C.P.A., in persona del suo amministratore delegato arch. Pasquale De Gennaro, rappresentata e difesa dagli avv.ti Bruno Cimadomo, Assunta Attanasio e Francesco Cerulli, presso i quali è domiciliata in Napoli, alla via F. Lomonaco n. 3;

 

contro

Regione Campania, in persona del Presidente p.t. della Giunta, rappresentata e difesa dall'avv. Massimo Consoli dell’Avvocatura regionale, presso la quale è domiciliata in Napoli, alla via S. Lucia n. 81;

Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas, non costituita;

 

per l'annullamento

- della deliberazione della Giunta Regionale della Campania n. 805 del 21.12.2012, avente ad oggetto "adeguamento della tariffa per la cessione dell'acqua all'ingrosso e la raccolta - depurazione per l'anno 2013, secondo il metodo tariffario normalizzato (MTN) transitorio emanato dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas", impugnata con il ricorso introduttivo;

- del decreto dirigenziale n. 229 del 29.3.2013 dell’A.G.C.5 della Regione Campania – Settore 9 Ciclo integrato delle acque, gravato con motivi aggiunti, avente ad oggetto “adeguamento della tariffa per la cessione dell'acqua all'ingrosso e la raccolta - depurazione per l'anno 2013 secondo il metodo tariffario transitorio per le gestioni ex-CIPE emanato dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas”;

- del decreto dirigenziale n. 632 del 30.12.2013 del Dipartimento della Salute e delle Risorse naturali della Regione Campania, impugnato con secondi motivi aggiunti, con cui si quantifica nella misura del 4% dell’incassato la percentuale da riconoscere a titolo di spese di riscossione delle tariffe di depurazione e fognatura ai gestori degli acquedotti comunali che hanno riscosso i relativi canoni per il periodo sino al 2012.

 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Campania;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 giugno 2014 il dott. Pierluigi Russo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con l’atto introduttivo del giudizio, notificato il 12 marzo 2013 e depositato il 22 seguente, la Società Acquedotti S.C.P.A., premesso di essere affidataria del servizio di distribuzione di acqua potabile per i Comuni di Melito, Qualiano, Grumo Nevano, Acerra, Orta di Atella e Casandrino, ha impugnato la deliberazione della Giunta Regionale della Campania n. 805 del 21.12.2012 sia nella parte in cui ha approvato l’aggiornamento della tariffa per la cessione dell'acqua all'ingrosso e per la raccolta - depurazione per l'anno 2013 sia nella parte in cui ha demandato a ciascun soggetto gestore degli acquedotti comunali di determinare un’eventuale aliquota aggiuntiva della tariffa per depurazione, da far gravare sugli utenti finali, in relazione ai costi sostenuti per la riscossione.

Avverso la prima parte dispositiva del provvedimento ha dedotto tre motivi di diritto così rubricati:

1) violazione e falsa applicazione dell’art. 21, commi 13 e 19, del d.l. 6.12.2001, n. 201, dell’art. 10 del d.l. n. 70/2011, degli artt. 2 e 3 del d.p.c.m. 20.7.2012 e dell’art. 154 del d.lgs. n. 152/2006 – nullità ex art. 21-septies l. 7.8.1990, n. 241 – incompetenza – contraddittorietà manifesta – difetto di istruttoria;

2) violazione e falsa applicazione di legge – violazione dei principi costituzionali di riparto delle competenze in materia di concorrenza e ambiente – violazione dell’art. 117, comma 2, lettere e) e s) Cost.;

3) violazione e falsa applicazione dell’art. 3 l. 7.8.1990, n. 241 – difetto di motivazione e di istruttoria – eccesso di potere – incompetenza.

Con riguardo alla restante parte del deliberato (lettere v, w, x) ha prospettato anche la violazione degli artt. 152 e 156 del d.lgs. n. 152/2006 ed il vizio di eccesso di potere per carenza di motivazione.

Si è costituita in resistenza la Regione Campania, la quale ha preliminarmente eccepito la tardività dell’azione, stante la pubblicazione della delibera in contestazione sul B.U.R.C. del 9 gennaio 2013, concludendo comunque con richiesta di reiezione anche nel merito per l’infondatezza delle censure sollevate.

A seguito del deposito in giudizio da parte dell’Avvocatura regionale del decreto dirigenziale n. 229 del 29.3.2013 dell’A.G.C.5, Settore 9 Ciclo integrato delle acque – avente ad oggetto “la proposta” di aggiornamento della tariffa per la cessione dell'acqua all'ingrosso e per la raccolta - depurazione per l'anno 2013, da trasmettere all'Autorità per l'energia elettrica e il gas per la definitiva “approvazione” – la società ricorrente ha proposto una prima serie di motivi aggiunti, con cui ha dedotto, oltre al vizio di invalidità derivata, quattro motivi così articolati:

1) nullità per difetto assoluto di attribuzione – nullità ex art. 21-septies l. 7.8.1990, n. 241 – incompetenza – violazione e falsa applicazione dell’art. 21, commi 13 e 19, del d.l. 6.12.2001, n. 201, dell’art. 10 del d.l. n. 70/2011, degli artt. 2 e 3 del d.p.c.m. 20.7.2012 – violazione della deliberazione dell’AEEG n. 88 del 28.2.2013 – difetto di istruttoria;

2) violazione del giusto procedimento e del principio del contrarius actus;

3) violazione della deliberazione dell’AEEG n. 88 del 28.2.2013;

4) violazione e falsa applicazione di legge – violazione dei principi costituzionali di riparto delle competenze in materia di concorrenza e ambiente – violazione dell’art. 117, comma 2, lettere e) e s) Cost..

E’ stato poi emanato dal Dipartimento della Salute e delle Risorse naturali della Regione Campania il decreto dirigenziale n. 632 del 30.12.2013, con cui è stata quantificata nella misura del 4% dell’incassato la percentuale da riconoscere a titolo di spese di riscossione delle tariffe di depurazione e fognatura ai gestori degli acquedotti comunali per il periodo sino al 2012. Il provvedimento è stato impugnato con secondi motivi aggiunti, depositati il 28 marzo 2014, affidati, oltre al vizio di illegittimità derivata, alle seguenti doglianze:

1-2) violazione e falsa applicazione dell’art. 156 del d.lgs. n. 152/2006 – violazione della convenzione stipulata il 27.11.2006 – nullità per difetto assoluto di attribuzione – nullità ex art. 21-septies L. n. 241/1990 – incompetenza – eccesso di potere per carenza assoluta di istruttoria e di motivazione;

3) violazione del principio di irretroattività dei provvedimenti amministrativi – ingiustizia manifesta;

4) violazione dell’art. 156 del d.lgs. n. 152/2006 sotto diverso profilo – carenza assoluta di istruttoria e di motivazione – ingiustizia manifesta – sproporzione;

5) violazione dell’art. 11 L. n. 241/1990 e degli artt. 1362, 1363, 1366, 1372 e 1375 c.c. – conflitto di interessi – eccesso di potere in relazione alla discrezionalità tecnica esercitata.

Le parti hanno depositato memorie e documenti, insistendo nelle rispettive richieste.

Alla pubblica udienza del 25 giugno 2014, sentiti i difensori delle parti presenti, come da verbale, la causa è passata in decisione

 

DIRITTO

1. Come si è anticipato nella premessa in fatto, la Società Acquedotti S.C.P.A. ha impugnato nell’ordine, con l’atto introduttivo del giudizio e con due distinte serie di motivi aggiunti, i seguenti atti :

a) deliberazione della Giunta Regionale della Campania n. 805 del 21.12.2012, nella parte in cui ha approvato la proposta di aggiornamento delle tariffe per la cessione dell'acqua all'ingrosso (€ 0,2373/mc) e per la raccolta - depurazione (€ 0,3573), per l'anno 2013, e nella parte in cui ha demandato a ciascun soggetto gestore degli acquedotti comunali di determinare un’eventuale aliquota aggiuntiva della tariffa per depurazione, da far gravare sugli utenti finali, in relazione ai costi sostenuti per l’attività di riscossione;

b) decreto dirigenziale n. 229 del 29.3.2013, avente ad oggetto “la proposta” di aggiornamento della tariffa per la cessione dell'acqua all'ingrosso e per la raccolta - depurazione per l'anno 2013;

c) decreto dirigenziale n. 632 del 30.12.2013, con cui è stata quantificata nella misura del 4% dell’incassato la percentuale da riconoscere ai gestori degli acquedotti comunali, per il periodo sino al 2012, a titolo di spese di riscossione delle tariffe di depurazione e fognatura.

2. Va preliminarmente disattesa l’eccezione di tardività del ricorso introduttivo.

Invero, ai sensi dell’art.41, secondo comma, del c.p.a., il termine per l’impugnazione della suindicata delibera regionale, per i soggetti direttamente contemplati nell’atto o immediatamente incisi dai suoi effetti – tra i quali rientra senza dubbio la ricorrente, in quanto affidataria del servizio di distribuzione di acqua potabile per i Comuni di Melito, Qualiano, Grumo Nevano, Acerra, Orta di Atella e Casandrino – non decorre dalla pubblicazione ma dalla notificazione o comunicazione individuale ovvero, in mancanza, come nel caso di specie, dal momento in cui gli stessi ne abbiano avuto piena conoscenza.

3. Oltre che ricevibile, la domanda è anche fondata, meritando accoglimento la censura con cui è stata dedotta l’incompetenza della Regione Campania a disporre per l’anno 2013 in materia di tariffe per il servizio idrico, dovendo reputarsi che l'Autorità per l'energia elettrica e il gas è subentrata nella relativa potestà anche per le gestioni già regolate con il cd. metodo tariffario CIPE.

3.1. Giova premettere al riguardo una sintetica ricostruzione del quadro normativo di riferimento dello specifico settore.

Gli articoli 13, 14 e 15 della legge n. 36 del 1994 (c.d. legge Galli) hanno introdotto il “servizio idrico integrato” (SII), costituito dall'insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua per usi civici, di fognatura e depurazione delle acque reflue.

Gli articoli 141 e ss. del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (codice dell’ambiente) hanno sostituito la citata legge 5 gennaio 1994, n. 36. Con specifico riferimento ai criteri da seguire nella determinazione della tariffa, l'art. 154, comma 1, d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, prevedeva, prima del referendum popolare svoltosi in data 12 e 13 giugno 2011, che “la tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell'entità dei costi di gestione delle opere, dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento dell'Autorità d'ambito, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio 'chi inquina paga'. Tutte le quote della tariffa del servizio idrico integrato hanno natura di corrispettivo”.

Gli esiti della richiamata consultazione referendaria sono stati proclamati con il d.P.R. 18 luglio 2011, n. 116, che ha determinato l'abrogazione parziale dell'art. 154, comma 1, d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, a far data dal 21 luglio 2011, nella parte in cui prevedeva, tra i criteri per la determinazione della tariffa per il servizio idrico integrato, “l'adeguatezza della remunerazione del capitale investito”.

Giova osservare che il comma 2 del medesimo art. 154 demanda l'attuazione di tali criteri tariffari ad un apposito decreto ministeriale (sino ad oggi non emanato), disponendo che: “il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, su proposta dell'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, tenuto conto della necessità di recuperare i costi ambientali anche secondo il principio 'chi inquina paga', definisce con decreto le componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell'acqua”.

L'art. 170, comma 3, lett. l), del medesimo d. lgs. n. 152/2006, stabilisce infine che “fino all'emanazione del decreto di cui all'art. 154, comma 2, continua ad applicarsi il D.M. 1° agosto 1996”.

L'articolo l0, comma 14, lett. d), del d. l. 13 maggio 2011, n. 70, conv., con modificazioni, dalla l. 12 luglio 2011, n. 106, ha poi istituito l'Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua, assegnando a tale organismo, tra le altre, la funzione di “predispo[ rre] il metodo tariffario per la determinazione, con riguardo a ciascuna delle quote in cui tale corrispettivo si articola, della tariffa del servizio idrico integrato, sulla base della valutazione dei costi e dei benefici dell'utilizzo delle risorse idriche e tenendo conto, in conformità ai principi sanciti dalla normativa comunitaria, sia del costo finanziario della fornitura del servizio che dei relativi costi ambientali e delle risorse, affinché siano pienamente attuati il principio del recupero dei costi ed il principio 'chi inquina paga'”.

Successivamente l'articolo 21, d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, conv. con l. 22 dicembre 2011, n. 214, ha disposto la soppressione dell'Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua (comma 13) ed ha assegnato le funzioni di regolazione e controllo dei servizi idrici all'Autorità per l'energia elettrica e il gas (comma 19), precisando che le stesse vengono esercitate con i medesimi poteri attribuiti all'Autorità stessa dalla legge 14 novembre 1995, n. 481.

A tal proposito, l'articolo 2, comma 12, lett. e), della legge n. 481 del 1995 – il cui ambito di applicazione è stato esteso al settore dei servizi idrici per effetto del richiamato art. 21, comma 19, d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 – prevede che l'Autorità “stabilisce e aggiorna, in relazione all'andamento del mercato, la tariffa base, i parametri e gli altri elementi di riferimento per determinare le tariffe (..), nonché le modalità per il recupero dei costi eventualmente sostenuti nell'interesse generale in modo da assicurare la qualità, l'efficienza del servizio e l'adeguata diffusione del medesimo sul territorio nazionale, nonché la realizzazione degli obiettivi generali di carattere sociale, di tutela ambientale e di uso efficiente delle risorse di cui al comma l dell'articolo 1, tenendo separato dalla tariffa qualsiasi tributo od onere improprio”.

Da ultimo, l'art. 3, comma 1, del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 20 luglio 2012 prevede che l'Autorità “definisce le componenti di costo - inclusi i costi finanziari degli investimenti e della gestione - per la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato, ovvero di ciascuno dei singoli servizi che lo compongono compresi i servizi di captazione e adduzione a usi multipli e i servizi di depurazione ad usi misti civili e industriali, per i vari settori di impiego (..)” e “predispone e rivede periodicamente il metodo tariffario per la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato, ovvero di ciascuno dei singoli servizi che lo compongono compresi i servizi di captazione e adduzione a usi multipli e i servizi di depurazione ad usi misti civili e industriali, di cui alla precedente lettera c) sulla base del riconoscimento dei costi efficienti di investimento e di esercizio sostenuti dai gestori”.

3.2. Ebbene, l'AEEG, sulla base del descritto quadro normativo, ha avviato il procedimento per l'esercizio del potere tariffario assegnatole in materia di servizi idrici ed in specie per l'adozione del provvedimento tariffario transitorio a valere dal 1° gennaio 2012 ma con effetto sulle tariffe degli utenti finali a decorrere dal 1° gennaio 2013: provvedimento da applicarsi nelle more dell'adozione del metodo definitivo (cfr. C.d.S., II, parere 25 gennaio 2013 n. 267).

3.3. Nelle more, la disciplina delle tariffe è stata altresì interessata da una fase transitoria riconducibile alle delibere adottate dal Cipe ai sensi dell’art. 5 del d.p.r. 20 aprile 1994, n. 373 (di trasferimento a quest’ultimo dei poteri di indirizzo già spettanti al Cip) per gli anni 1995, 1996, 1997, 1998, 1999, 2000, 2001 e 2002.

La giurisprudenza amministrativa (cfr. Tar Lazio, Roma, n. 9661 del 2008) ha ritenuto che perdurasse in capo al CIPE l’obbligo di provvedere, in via transitoria e con cadenza annuale, in materia di adeguamento delle tariffe per i servizi di cui trattasi per gli anni dal 2003 al 2007.

A fondamento di tale conclusione è stato posto il seguente quadro normativo:

- il comma 3 dell’art. 2 del d.l. 17 marzo 1995, n. 79 (convertito, con modificazioni, dalla l. 17 maggio 1995, n. 172), sostitutivo del comma 2 dell'art. 17 della l. 10 maggio 1976, n. 319 (come inserito dall'art. 25, comma 4, del d.l. 28 febbraio 1983, n. 55, convertito, con modificazioni, dalla l. 26 aprile 1983, n. 131), secondo cui “in caso di mancata elaborazione entro il 31 luglio 1995 del metodo normalizzato di cui all'art. 13, comma 3, della legge 5 gennaio 1994, n. 36, e fino all'elaborazione dello stesso, i criteri, i parametri ed i limiti per la determinazione e l'adeguamento delle tariffe del servizio idrico ai sensi degli articoli 13, 14 e 15 della citata legge n. 36 del 1994, sono fissati dal CIPE, con particolare riferimento alle quote di tariffe riferite al servizio di fognatura e di depurazione; per l'anno 1995 la deliberazione del CIPE è adottata entro il 30 settembre 1995. In conformità ai predetti parametri, criteri e limiti, gli enti gestori del servizio, con apposita deliberazione, da adottare entro il 30 ottobre di ciascun anno per l'anno successivo, possono elevare le tariffe per le acque provenienti da insediamenti civili e produttivi per adeguarle ai maggiori costi di esercizio e di investimento, al fine di migliorare il controllo e la depurazione degli scarichi e la tutela dei corpi idrici ricettori, tenendo conto, per le utenze industriali, della qualità e della quantità delle acque reflue scaricate”;

- l'art. 31, comma 29, della l. 23 dicembre 1998, n. 448, secondo il quale “fino all'entrata in vigore del metodo normalizzato di cui all'articolo 13, comma 3, della legge 5 gennaio 1994, n. 36, e fermo restando che l'applicazione del metodo potrà avvenire anche per ambiti successivi non appena definita da parte dei competenti enti locali la relativa tariffa ai sensi del comma 5 del medesimo articolo 13, i criteri, i parametri ed i limiti per la determinazione e l'adeguamento delle tariffe del servizio acquedottistico, del servizio di fognatura e per l'adeguamento del servizio di depurazione … sono fissati con deliberazione CIPE”.

Successivamente l’articolo 10, comma 28, del d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, ha fornito l’interpretazione autentica dell’art. 23-bis, comma 8, del d.l. n. 112 del 2008, disponendo che “L'articolo 23-bis, comma 8, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, come modificato dall'articolo 15 del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, si interpreta nel senso che, a decorrere dalla entrata in vigore di quest'ultimo, è da considerarsi cessato il regime transitorio di cui all'articolo 2, comma 3, del decreto-legge 17 marzo 1995, n. 79, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 maggio 1995, n. 172”.

La norma interpretativa ha, quindi, chiarito che il regime transitorio di cui all’art. 2, comma 3, del d.l. 79/95 è cessato alla data di entrata in vigore del d.l. 135/2009, ovvero alla data del settembre 2009.

Al riguardo, nessuna modificazione deriva dalla circostanza che l’articolo 23-bis in parola è stato travolto dall’esito del referendum popolare. Ed invero, il d.p.r. 18 luglio 2011, n. 113, ha disposto che l’abrogazione decorre dal giorno successivo a quello della pubblicazione del decreto stesso, per cui lo stesso articolo 23-bis deve ritenersi fino ad allora rimasto vigente, avendo esplicato i suoi effetti vincolanti dalla data della sua adozione alla data di pubblicazione del sopra nominato d.P.R..

Concludendo sul punto, per il periodo antecedente alla pubblicazione del d.P.R. 18 luglio 2011, n. 113, ovvero, specificatamente, per gli anni 2010 e 2011, il regime transitorio in parola non può ritenersi operante, dovendosi comunque tener conto dell’articolo 23-bis, a tale data vigente, nella sua portata normativa sostanziale, come risultante dall’interpretazione autentica conferita dalla norma successiva del 2011.

Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi per l'articolo 31, comma 29, della l. 23 dicembre 1998, n. 448, altra norma che pure la giurisprudenza aveva rinvenuto quale fonte dell’obbligo del Cipe di provvedere con cadenza annuale ed in via transitoria nella materia di cui trattasi (sempre con specifico riferimento agli anni dal 2003 al 2007).

Infatti, se è vero che tale ultima disposizione non è espressamente richiamata dalla norma interpretativa di cui all’art. 10, comma 28, del d.l. 70/2011, è altresì vero che è proprio all’art. 31, comma 29, della l. 448/1998 che va riconosciuto, alla data di adozione della norma interpretativa, il ruolo cardine della competenza transitoria del Cipe in materia di tariffe idriche.

Ciò in quanto l’altra norma “sostanziale” citata nella disposizione interpretativa (ovvero il ridetto art. 2, comma 3, del d.l. 17 marzo 1995, n. 79, convertito, con modificazioni, dalla l. 17 maggio 1995, n. 172, sostitutivo del comma 2 dell'art. 17 della l. 319/1976, come inserito dall'art. 25, comma 4, del d.l. n. 55 del 1983, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 131 del 1983), risulta, a tale data, connotata dalla caratteristica di aver formato oggetto di due disposizioni abrogatrici, l’art. 63, comma 1, del d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152 e l’art. 175, comma 1, del d. lgs. 152/06, entrambe disponenti, con tecnica legislativa non certo commendevole, l’abrogazione di tutte le norme della legge 319/1976 incompatibili con i due decreti legislativi.

3.4. Sulla scorta di tali osservazioni il T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, con sentenza n. 1437 del 2012 (confermata dal Consiglio di Stato con sentenza della sez. IV n. 320 del 22 gennaio 2014), ha condivisibilmente statuito che la norma di interpretazione autentica dell’art. 23-bis, comma 8, del d.l. 112/2008, recata dall’art. 10, comma 28, del d.l. 70/2011 (necessariamente valevole, per come sopra detto, per tutto il periodo di vigenza dell’art. 23-bis oggetto di interpretazione), nell’esporre la cessazione del periodo transitorio in parola al settembre 2009, non può non riferirsi unitariamente al sistema di gestione transitorio che si intende chiarire cessato, e che viene individuato con il richiamo della disposizione che ab origine lo ha contemplato, concludendo nel senso che il CIPE legittimamente non ha provveduto in merito alla determinazione delle tariffe in parola per gli anni 2010 e 2011, in doverosa applicazione della avvenuta cessazione della propria gestione transitoria.

3.5. In questa complessa trama normativa, mentre sono sorti dubbi in relazione all’annualità 2012 (cfr. sul punto la già citata sentenza di questo T.A.R. n. 2363/2013), è indiscutibile che a partire dal 1° gennaio 2013 dovevano trovare applicazione le nuove procedure stabilite dall’AEEG con deliberazione n. 88 del 28 febbraio 2013, avente ad oggetto “Approvazione del metodo tariffario transitorio per le gestioni ex-CIPE (MTC) per la determinazione delle tariffe per gli anni 2012 e 2013”. Per quanto d’interesse nel presente giudizio, all’art. 3.2. si stabilisce che: “L’aggiornamento delle tariffe applicate, fino alla definizione del metodo tariffario definitivo, è effettuato in conformità con la metodologia tariffaria transitoria riportata nell’Allegato I alla presente deliberazione di cui forma parte integrante e sostanziale”; all’art. 4.2. si dispone poi che: “Entro il 31 marzo 2013, i soggetti competenti trasmettono all’autorità, e contestualmente all’Ente d’Ambito competente per territorio, la tariffa predisposta”; all’art. 4.5. si prevede infine che “Entro i successivi 3 mesi, fatta salva la necessità di richiedere ulteriori integrazioni […], l’Autorità, con il coinvolgimento dell’Ente d’ambito competente per territorio, approva le tariffe […]”.

Nel caso di specie, come lamentato dalla società ricorrente, con il provvedimento impugnato la Regione Campania ha direttamente approvato le tariffe per il 2013, invadendo così illegittimamente la sfera di attribuzioni riservata dell’AEEG dalla normativa sopra richiamata.

3.6. La fondatezza della doglianza investe, per le stesse ragioni, anche la seconda parte del deliberato (lettere v, w, x) in contestazione, laddove la Giunta Regionale ha demandato a ciascun soggetto gestore degli acquedotti comunali di determinare un’eventuale aliquota aggiuntiva della tariffa per depurazione, da far gravare sugli utenti finali, in relazione ai costi sostenuti per l’attività di riscossione.

Invero, posto che le spese per la riscossione delle tariffe di depurazione costituiscono di per sé un costo per il gestore dei relativi impianti, è evidente che gli stessi devono trovare integrale copertura finanziaria in sede di determinazione delle stesse tariffe e, come tali, rientrano anch’esse nella sfera di attribuzioni della citata Autorità.

3.7. Alla stregua di tutte le considerazioni fin qui svolte il ricorso introduttivo va accolto, restando assorbiti gli ulteriori motivi non scrutinati.

4. Passando al primo ricorso per motivi aggiunti, la domanda è inammissibile per difetto originario dell’interesse a ricorrere in relazione alla natura endoprocedimentale dell’atto gravato (sopra specificato al capo 1., sub lettera b), come tale non immediatamente lesivo e non autonomamente impugnabile.

Invero, come può leggersi nel decreto dirigenziale n. 229 del 29 marzo 2013, la Regione Campania ha inteso dare attuazione alla già citata deliberazione dell’AEEG n. 88 del 28 febbraio 2013 e, pertanto, si è correttamente limitata a predisporre “la proposta” di aggiornamento della tariffa per la cessione dell'acqua all'ingrosso e la raccolta - depurazione per l'anno 2013, “da trasmettere all'Autorità per l'energia elettrica e il gas per la definitiva approvazione” e successivamente da sottoporre alla Giunta Regionale per le determinazioni finali.

Trattasi, dunque, di statuizione non avente natura provvedimentale e non immediatamente operante all’esterno e, dunque, priva di lesività, come tale non autonomamente impugnabile (cfr. T.A.R. Campania, sez. I, 23 novembre 2011, n. 5505).

5. Procedendo oltre, il Collegio ritiene meritevole di accoglimento anche l’azione introdotta coi secondi motivi aggiunti avverso il decreto dirigenziale n. 632 del 30.12.2013 (il cui contenuto è stato già sopra compendiato al capo 1. sub lettera c), palesandosi fondate le censure di difetto di istruttoria e di motivazione, di violazione dell’art. 156 del D. Lgs. n. 152 del 2006 nonché del principio generale di irretroattività.

5.1. Va precisato in fatto che la società ricorrente ha stipulato con Acqua Campania s.p.a., a quel momento mandataria della Regione Campania (giusta delibera di G. R. n. 6887 del 13.10.1998), una convenzione (in data 9-10.ottobre 2006 per il servizio di acquedotto dei Comuni di Orta di Atella, Melito di Napoli e Acerra), in base alle quali si è impegnata, tra l’altro, a svolgere l’attività di accertamento, riscossione e pagamento dei canoni del servizio di depurazione e fognatura di interesse regionale ed a pagare non meno del 65% del canone di riferimento, “a prescindere dall’avvenuta riscossione dei corrispondenti importi presso l’utenza finale” (art. 5, comma 2). Posto che l’amministrazione si è riservata la determinazione della misura del contributo da riconoscere per l’espletamento delle suddette attività, come può leggersi nella premessa riportata nell’atto consensuale (alla lettera o) dell’accordo), si è convenuto (all’art. 7) che “Nelle more delle determinazioni della Regione […], è consentito ad Acquedotti trattenere il 19% (oltre Iva come per legge) degli importi dei canoni di riferimento e di quelli derivati dalla fatturazione annuale ove maggiore, dovuti per ciascun anno e relativi eventuali aggiornamenti e maggiori importi addebitati all’utenza finale […]”.

Con l’avversato decreto dirigenziale n. 632 del 2013, la Regione Campania, reputando che le percentuali concordate coi vari gestori (in misura oscillante tra il 18% ed il 20%) per l’attività di riscossione “appaiono assolutamente sopradimensionate rispetto alla natura dell’importo da riconoscere”, ha quantificato nella misura del 4% dell’incassato la percentuale da riconoscere agli stessi per il periodo sino al 2012.

5.2. Ciò posto, ritiene anzitutto il Collegio che la determinazione adottata non è stata preceduta da un’adeguata attività istruttoria, idonea a fornire all’autorità emanante gli elementi idonei ad un corretto esercizio della potestà pubblica.

Come può leggersi nell’atto in discussione, l’autorità amministrativa si è limitata ad assumere al riguardo come parametro di riferimento “la convenzione rep. 13625/04 sottoscritta tra il Commissario di Governo per l’emergenza Bonifiche e tutela delle acque ex OPCM 2425/96 e succ., cui è subentrato la Regione Campania, e la Hydrogest Campania spa”, il cui art. 29 determina l’aggio da riconoscere al soggetto che riscuote la tariffa dagli utenti finali “nella misura del 4% dell’incassato”.

Osserva il Collegio, in primo luogo, che trattasi di atto già esistente alla data della sottoscrizione delle convenzioni con la ricorrente – essendo stato stipulato il 16 dicembre 2004 – e come tale non può recare alcuna aggiornata analisi dei costi e della rimuneratività del servizio né integrare alcuna sopravvenienza idonea a giustificare un mutamento dell’assetto negoziale concordato dalle parti. Peraltro, avendo, a tacer d’altro, un diverso oggetto ed ambito di riferimento territoriale, la stessa convenzione non può con tutta evidenza neanche tenere conto delle specifiche voci di spesa relative al bacino di utenza gestito dalla società Acquedotti (discendenti, ad esempio, dalla percentuale di insolvenza degli utenti finali) ed assumere, pertanto, una valenza generalizzata per tutti i gestori.

Il difetto di una completa acquisizione dei dati fattuali rilevanti e di una idonea ponderazione degli stessi emerge anche dalle incongrue valutazioni operate circa gli elementi giustificativi fatti pervenire dai soggetti gestori del servizio in argomento su invito dell’amministrazione procedente. Nella premessa del decreto si rileva che “alcuni di essi hanno provveduto a relazionare ed illustrare i costi giustificativi di una così elevata percentuale includendo negli stessi tutte le spese afferenti il personale assegnato alla direzione commerciale dedicata alla stipula dei contratti con gli utenti, alla interlocuzione quale front office con i cittadini, alla contabilizzazione separata degli incassi, nonché tutte le spese afferenti la lettura dei contatori, l’attività di elaborazione e spedizione delle fatture, la gestione del contenzioso, il recupero crediti”. In merito, il dirigente regionale ha sbrigativamente e illogicamente reputato che “tali rendicontazioni non possono essere condivise ai fini dell’individuazione di parametri e voci di costo da considerare tra le spese di riscossione, includendo le stesse costi che non sono direttamente connessi all’attività di riscossione […]”.

Osserva al riguardo il Collegio che le voci sopra elencate sono state immotivatamente considerate in via generalizzata come estranee al complessivo servizio svolto, sebbene siano strettamente inerenti allo stesso, con conseguente sottostima dei relativi costi. Invero, non può dubitarsi che il servizio in argomento non può essere ridotto alla sola attività di riscossione in senso stretto, atteso che quest’ultima presuppone lo svolgimento di attività preparatorie (ad esempio, con la stipula dei contratti di utenza) nonché la gestione della fase attuativa del rapporto (attraverso tutti gli adempimenti necessari quali, ad esempio, il rilievo dei consumi e la successiva bollettazione), e si estende oltre fino a comprendere le procedure di riscossione coattiva in caso di mancato pagamento (con le relative spese legali).

Resta fermo che la concreta incidenza quantitativa delle voci di costo è rimessa alle successive valutazioni di merito dell’amministrazione e che, come esattamente osservato dall’autorità emanante, vanno evitate duplicazioni artificiose ovvero espunte spese dipendenti da una cattiva organizzazione o inefficienza del soggetto gestore.

Va fatta salva, altresì, la parte del provvedimento in cui si impone la rendicontazione dei costi effettivamente sostenuti, trattandosi di obbligo già previsto dall’art. 5 della convenzione del 2006.

5.3. E’ fondata anche la censura di violazione del modulo procedimentale delineato dall’art. 156 del D. Lgs. n. 152 del 2006.

Per quanto d’interesse nella presente controversia, il citato art. 156 del cd. codice dell’ambiente così dispone ai primi due commi:

“[…]Qualora il servizio idrico sia gestito separatamente per effetto di particolari convenzioni e concessioni, la relativa tariffa è riscossa dal gestore del servizio di acquedotto, il quale provvede al successivo riparto tra i diversi gestori interessati entro trenta giorni dalla riscossione.

Con apposita convenzione, sottoposta al controllo della regione, sono definiti i rapporti tra i diversi gestori per il riparto delle spese di riscossione […]”.

Orbene, nel caso di specie, la Regione Campania ha determinato in via autoritativa il contributo per la detta attività di riscossione senza previamente attivarsi per dare impulso al peculiare modello consensuale indicato dalla norma. Nella fattispecie concreta, peraltro, un percorso negoziato a maggior ragione si imponeva, venendo in rilievo, a distanza di circa sette anni dalla stipula della convenzione con la società Acquedotti, una consistente modifica in peius del regime in precedenza concordato, sia pure in via provvisoria.

5.4. Risulta, altresì, violato il principio generale di irretroattività, atteso che, come si è già osservato, il provvedimento dispone anche per gli anni pregressi e con riguardo a prestazioni già effettuate.

Invero, nell'ambito dell'azione amministrativa vige la regola generale dell'irretroattività, espressione del principio di legalità e dell'esigenza di certezza dei rapporti giuridici, la quale impedisce all'amministrazione di incidere unilateralmente e con effetto ex ante sulle situazioni soggettive del privato ed, a maggior ragione, opera in presenza di provvedimenti con valenza regolamentare, quali sono gli atti di determinazione delle tariffe dovute per i servizi locali (cfr. Tar Toscana, n. 4892 del 2010). Il principio di irretroattività discende, infatti, in linea generale, dall'art. 11 delle preleggi, ed è derogabile unicamente per effetto di una disposizione di legge pari ordinata, ma non anche in sede di esercizio del potere amministrativo, con la conseguenza che solo in presenza di una norma di legge che a ciò abiliti gli atti generali e i regolamenti amministrativi possono avere efficacia retroattiva (fra le altre, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 9 settembre 2008, n. 4301; T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 8.5.2013, n. 2364).

Ne consegue che la modalità operativa utilizzata collide inesorabilmente con i principi regolatori della materia, nei termini appena chiariti.

6. In conclusione, assorbite le censure non esaminate, il ricorso va accolto entro i limiti sopra indicati. S‘impone, pertanto, l’annullamento della deliberazione della Giunta Regionale della Campania n. 805 del 21.12.2012 e, in parte qua, del decreto dirigenziale n. 632 del 30.12.2013.

I ripetuti mutamenti del quadro normativo di riferimento della specifica materia e la novità e peculiarità delle questioni trattate inducono nondimeno il Collegio a disporre l’equa compensazione delle spese di giudizio tra le parti, fermo restando che il contributo unificato va posto per legge a carico dell’amministrazione regionale soccombente.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie entro i limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla la deliberazione della Giunta Regionale della Campania n. 805 del 21.12.2012 e, in parte qua, il decreto dirigenziale n. 632 del 30.12.2013.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del 25 giugno 2014 con l'intervento dei magistrati:

Cesare Mastrocola,     Presidente

Pierluigi Russo,          Consigliere, Estensore

Rosalba Giansante,     Primo Referendario

                       

                       

L'ESTENSORE                     IL PRESIDENTE

                       

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 10/07/2014

 

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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