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TAR Abruzzo, Sez.I, L'Aquila, 10/7/2014 n. 596
Sull'annullamento di una delibera comunale con cui è stato disposto l'affidamento in house del servizio di igiene urbana ad una società a partecipazione pubblica per mancanza dei requisiti del controllo analogo e della prevalenza dell'attività.

Deve essere annullata la delibera di un consiglio comunale con cui è stato disposto l'affidamento in house del servizio di igiene urbana ad una società a partecipazione pubblica, per mancanza dei requisiti prescritti ai fini di un legittimo affidamento senza gara ("controllo analogo" sulla società da parte degli enti soci e "destinazione prevalente dell'attività a favore dell'ente affidante"). Nel caso di specie, infatti, in considerazione della minima partecipazione che l'ente locale ha nella società e della situazione normativa, statutaria e fattuale della stessa, il medesimo non ha, nell'ambito della società affidataria posseduta in comune con gli altri enti locali, una posizione idonea a garantirgli la benché minima possibilità di partecipare al controllo di tale società. Il comune, infatti, non risulta prendere parte, in alcun modo, all'esercizio del controllo analogo sulla società in questione, neanche congiuntamente con gli altri comuni soci. La minima partecipazione al capitale della società, costituita da una sola azione su 1200 totali e la circostanza che essa non partecipa agli organi direttivi e amministrativi della società, se non nelle forme del diritto comune ossia mediante la partecipazione, in qualità di socio, all'assemblea che nomina i membri del CdA, e non ha specifici poteri per indirizzarne o controllarne l'attività devono, dunque, escludere che il controllo esercitato dal comune affidante sulla società affidataria sia effettivo. Il requisito del controllo analogo, necessario ai fini della legittimità dell'affidamento in house, è pertanto assente, come il requisito della prevalenza dell'attività. Infatti, la circostanza che la società affidataria svolga in favore dei vari enti locali soci, complessivamente considerati, solamente la metà della sua attività complessiva non consente di ritenere integrato anche il secondo requisito previsto ai fini di un legittimo affidamento in house.

Materia: servizi pubblici / affidamento e modalità di gestione

N. 00596/2014 REG.PROV.COLL.

 

N. 00165/2014 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 165 del 2014, proposto da:

Undis Servizi S.r.l., rappresentata e difesa dall'avv. Sergio Della Rocca, con domicilio eletto presso Tar Segreteria in L'Aquila, via Salaria Antica Est;

 

contro

Comune di Castel di Sangro in persona del Sindaco P.T., rappresentato e difeso dall'avv. Pietro Savastano, con domicilio eletto presso Tar Segreteria in L'Aquila, via Salaria Antica Est;

 

nei confronti di

Cogesa S.p.A., rappresentata e difesa dall'avv. Anna Carolina Iannozzi, con domicilio eletto presso Aurelia Avv. Carosi in L'Aquila, via Monte Camicia, 1/A;

per l'annullamento della delibera del consiglio comunale n. 70 del 30.12.2013, pubblicata sull’albo pretorio dall’8 al 23.1.2014, con cui è stato disposto l’affidamento in house del servizio di igiene urbana alla cogesa spa, nonché la cessione ad essa del ramo di azienda della società comunale castel di sangro servizi srl, nonché della relazione ex art. 34, comma 20, del d.l. n. 179 del 2012 allegata alla delibera gravata, del documento n. 16013 del 27.12.2013 e del regolamento per l’esercizio del controllo analogo.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Castel di Sangro in Persona del Sindaco P.T. e di Cogesa S.p.A.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 giugno 2014 la dott.ssa Lucia Gizzi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso notificato in data 7.2.2014, la Unids Servizi Srl, in persona del legale rappresentante pro-tempore, impugnava la delibera del consiglio comunale n. 70 del 30.12.2013, pubblicata sull’albo pretorio dall’8 al 23.1.2014, con cui è stato disposto l’affidamento in house del servizio di igiene urbana alla Cogesa Spa, nonché la cessione ad essa del ramo di azienda della società comunale Castel di Sangro Servizi Srl. Si impugnava, altresì, la relazione ex art. 34, comma 20, del d.l. n. 179 del 2012 allegata alla delibera gravata, il documento n. 16013 del 27.12.2013 e il regolamento per l’esercizio del controllo analogo.

La ricorrente deduceva, a fondamento del suo gravame, violazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 163 del 2006 e degli artt. 43, 49 e 86 del Trattato CE, ritenendo che l’affidamento in house alla Cogesa Spa da parte del Comune resistente difettasse dei prescritti requisiti.

In primo luogo, difetterebbe il requisito del controllo analogo, in quanto il Comune di Castel di Sangro possiede una sola azione su un totale di 1200 azioni per un numero complessivo di 26 Comuni soci e, quindi, lo 0,083% del capitale sociale. Il possesso di una quota minima di partecipazione, unitamente all’assenza di clausole statutarie che consentano l’esercizio di un controllo effettivo sull’ente affidatario, renderebbero illegittimo l’affidamento diretto. Del tutto irrilevante è a tal fine quanto previsto dal regolamento adottato unilateralmente dal Comune resistente e quindi inidoneo ad incidere sulla vita della società: detto regolamento, peraltro, si limita a prevedere, per gli atti di gestione, che comportano una spese superiore a 100.000,00 euro, la trasmissione a un ufficio di coordinamento.

In secondo luogo, mancherebbe il requisito della prevalenza dell’attività, in quanto l’attività della Cogesa Spa resa nei confronti dei Comuni soci rappresenta il 55,31% dell’attività da essa complessivamente svolta, come risulta dalle relazioni allegate all’impugnata delibera. Peraltro, la circostanza che, in forza di futuri affidamenti da pare dei Comuni soci, si porterà il totale dei servizi resi in loro favore al 70% dell’attività della società in house non rende attuale il requisito funzionale in esame.

Parte ricorrente lamentava altresì difetto di istruttoria e di motivazione, in quanto la delibera gravata non specifica i costi diretti e indiretti derivanti dall’affidamento in questione.

Si deduce, infine, violazione di legge ed eccesso di potere, laddove la delibera impugnata prevede la cessione alla Cogesa Spa del ramo di azienda della società comunale Castel di Sangro Srl relativo alla gestione dei rifiuti. Così operando, infatti, il Comune resistente avrebbe dismesso un proprio patrimonio senza alcuna procedura di evidenza pubblica.

Si costituiva il Comune di Castel del Sangro, insistendo per l’infondatezza del ricorso.

Interveniva in giudizio la Cogesa Spa, in persona del legale rappresentante pro-tempore, insistendo per l’infondatezza del ricorso.

Con ordinanza cautelare del 13.3.2014, il Tribunale “considerato che, ad un primo e sommario esame, il ricorso appare meritevole di favorevole apprezzamento, con riferimento ai motivi di ricorso che censurano la mancanza dei presupposti dell’affidamento in house”, ha ritenuto che le esigenze del ricorrente fossero tutelabili adeguatamente con la sollecita definizione del giudizio nel merito ed ha fissato l’odierna udienza.

Alla pubblica udienza del 18.6.2014, la causa è stata trattenuta in decisione.

2. Oggetto di gravame è la delibera consiliare n. 70 del 2013, con cui il Comune di Castel del Sangro ha disposto l’affidamento diretto, senza previo esperimento della procedura di gara, del servizio di igiene urbana alla società Cogesa Spa, nonché la cessione ad essa del ramo di azienda della società comunale Castel di Sangro Servizi Srl, sul presupposto che si trattasse di un affidamento c.d. in house. Il ricorso investe altresì alcuni atti allegati alla suddetta delibera, quali la relazione ex art. 34, comma 20, del d.l. n. 179 del 2012, il documento n. 16013 del 27.12.2013 e il regolamento per l’esercizio del controllo analogo.

Parte ricorrente ha lamentato, con un primo gruppo di censure, la violazione del diritto comunitario e di quello interno, deducendo la mancanza dei requisiti prescritti ai fini di un legittimo affidamento senza gara ad una società in house.

2.1.Come è noto, il c.d. affidamento in house è istituto di matrice comunitaria, elaborato, a partire dalla sentenza 18 novembre 1999, causa C-107/98, Teckal, dalla Corte di Giustizia al fine di risolvere il problema dell’affidamento diretto di prestazioni (appalti o concessioni) a soggetti, aventi per lo più forma societaria, formalmente distinti dall’Ente pubblico affidante. Il c.d. in house si pone, nell’ottica comunitaria, come modello organizzatorio alternativo rispetto all’esternalizzazione di beni e servizi di cui la Pa necessita per esercitare le sue funzioni o per erogare servizi pubblici alla collettività: invece di ricorrere al mercato, cioè, l’Amministrazione recepisce le risorse di cui abbisogna al suo interno.

La particolarità della fattispecie in esame risiede nel fatto che la prestazione è eseguita non già da un ufficio o da un organo interno all’apparato amministrativo, ma da un soggetto di diritto privato formalmente distinto dall’apparato amministrativo stesso. Tuttavia, alla luce di una valutazione sostanziale, l’ente è una sorta di longa manus dell’Amministrazione, ossia un suo prolungamento organizzativo. Manca pertanto, nelle fattispecie in esame, un presupposto essenziale del contratto di appalto o di concessione: la relazione intersoggettiva tra affidante e affidatario, non essendovi alcuna alterità o terzietà tra i due soggetti.

Questa peculiarità giustifica la deroga al principio della gara, ossia all’obbligo di selezionare l’appaltatore o il concessionario mediante procedure di evidenza pubblica nel rispetto del principio di libera concorrenza, consentendo l’affidamento diretto. Insomma, si tratta di “un’eccezione rispetto alla regola generale dell’affidamento a terzi mediante gara ad evidenza pubblica. Tale eccezione viene giustificata dal diritto comunitario con il rilievo che la sussistenza delle suddette condizioni esclude che l’in house contract configuri, nella sostanza, un rapporto contrattuale intersoggetivo tra aggiudicante ed affidatario, perché quest’ultimo è, in realtà, solo la longa manus del primo” (Corte Cost. nn. 325/2010 e 46/2013. Nello stesso senso Cons. Stato, Ad. plen., 3 marzo 2008, n. 1).

La Corte di Giustizia, a partire dalla citata sentenza Teckal, ha identificato le condizioni fondamentali per ricorrere all’affidamento in house nel “controllo analogo” sulla società da parte degli enti soci e nella “destinazione prevalente dell’attività a favore dell’ente affidante”.

Secondo la prospettazione attorea, nella fattispecie all’esame del Collegio mancherebbe innanzitutto il requisito del controllo analogo.

In ordine al suddetto requisito, la giurisprudenza comunitaria ha chiarito che, affinché possa legittimamente farsi ricorso all’affidamento in house, non basta una partecipazione pubblica totalitaria al capitale sociale dell’ente affidatario dell’appalto o del servizio, essendo necessario verificare, caso per caso, se l’amministrazione aggiudicatrice eserciti su di esso un controllo effettivo, che le consenta di influenzarne le decisioni più importanti, escludendo un’autonomia decisionale dell’ente stesso. La Corte di Giustizia dell’Unione europea ha quindi ritenuto che il diritto comunitario osta “a che un’autorità pubblica attribuisca, senza svolgimento di pubblica gara, una concessione di pubblici servizi a una società per azioni il cui oggetto sociale è stato esteso a nuovi importanti settori, il cui capitale deve essere a breve termine obbligatoriamente aperto ad altri capitali, il cui ambito territoriale di attività è stato ampliato a tutto il paese e all’estero e il cui Consiglio di amministrazione possiede amplissimi poteri di gestione che può esercitare autonomamente” (Sentenza 13 ottobre 2005, causa C – 458/03, Parking Brixen).

Si è poi specificato che “la direttiva 93/36, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture, osta all’affidamento diretto di un appalto di forniture e di servizi, con prevalenza del valore della fornitura, a una società per azioni il cui consiglio di amministrazione possiede ampi poteri di gestione esercitabili in maniera autonoma e il cui capitale è, allo stato attuale, interamente detenuto da un’altra società per azioni, della quale è a sua volta socio di maggioranza l’amministrazione aggiudicatrice. Non è infatti soddisfatta, in tali circostanze, la condizione relativa all’inapplicabilità della direttiva 93/36, secondo la quale l’amministrazione aggiudicatrice esercita sulla società aggiudicataria dell’appalto pubblico in questione un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi” (Sentenza 11 maggio 2006, causa C – 340/04, Carbotermo).

Per valutare tale condizione, peraltro, secondo la giurisprudenza comunitaria, “è necessario tener conto di tutte le disposizioni normative e delle circostanze pertinenti. Da quest’esame deve risultare che la società aggiudicataria è soggetta a un controllo che consente all’amministrazione aggiudicatrice di influenzarne le decisioni. Deve trattarsi di una possibilità di influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni. Così non è nel caso in cui il controllo esercitato dall’amministrazione aggiudicatrice si risolva sostanzialmente nei poteri che il diritto societario riconosce alla maggioranza dei soci, la qual cosa limita considerevolmente il suo potere di influire sulle decisioni delle società di cui trattasi”.

I principi enucleati dalla Corte di Giustizia sono stati ampiamente e ripetutamente recepiti dalla giurisprudenza nazionale, secondo cui il requisito del "controllo analogo", idoneo ad escludere la sostanziale terzietà dell'affidatario domestico rispetto al soggetto affidante, è da ritenersi sussistente solo in presenza di un potere assoluto di direzione, coordinamento e supervisione dell'attività del soggetto partecipato da parte dell'ente controllante-affidante, che consenta cioè a quest'ultimo di dettare le linee strategiche e di influire in modo effettivo ed immediato sulle decisioni dell'affidatario (ex multis, Cons. Stato, n. 5620 del 201; Tar Lombardia, Milano, n. 892 del 2012; Tar Liguria, n. 225 del 2012; Tar Sicilia, Palermo, n. 44 del 2012).

2.2. Con particolare riferimento all’ipotesi, che ricorre nel caso di specie, in cui al capitale del soggetto affidatario partecipano più enti pubblici, la Corte di Giustizia ha affrontato il problema una prima volta nella sentenza del 13 novembre 2008, in causa C-324-07, sulla vicenda "Coditel Brabant SA", osservando che “per valutare se un'autorità pubblica concedente eserciti sull'ente concessionario un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi è necessario tener conto di tutte le disposizioni normative e delle circostanze pertinenti. Da quest'esame deve risultare che l'ente concessionario è soggetto a un controllo che consente all'autorità pubblica concedente di influenzarne le decisioni. (…) Con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio dei fatti attinenti al margine di autonomia di cui fruisce la società in causa, in circostanze come quelle di cui alla causa principale, ove le decisioni relative alle attività di una società cooperativa intercomunale detenuta esclusivamente da autorità pubbliche sono adottate da organi statutari di detta società composti da rappresentanti delle autorità pubbliche associate, il controllo esercitato su tali decisioni dalle autorità pubbliche in parola può essere considerato tale da consentire loro di esercitare sulla società di cui trattasi un controllo analogo a quello che esercitano sui propri servizi”.

Peraltro, sulla specifico quesito, relativo alla possibilità di considerare "controllo analogo" ai sensi della dottrina Teckal anche il controllo esercitato, non individualmente, ma congiuntamente da parte di più autorità socie, deliberando, se del caso, a maggioranza, la Corte ha ricordato che la sua giurisprudenza “impone che il controllo esercitato sull'ente concessionario da un'autorità pubblica concedente sia analogo a quello che la medesima autorità esercita sui propri servizi, ma non identico ad esso in ogni elemento. L'importante è che il controllo esercitato sull'ente concessionario sia effettivo, pur non risultando indispensabile che sia individuale”.

La Corte, offrendo anche un'interpretazione autentica dei suoi precedenti in materia, ha poi chiarito che: allorquando “varie autorità pubbliche scelgono di svolgere le loro missioni di servizio pubblico facendo ricorso ad un ente concessionario comune, è di norma escluso che una di tali autorità, salvo che detenga una partecipazione maggioritaria nell'ente in questione, eserciti da sola un controllo determinante sulle decisioni di tale ente. Richiedere che il controllo esercitato da un'autorità pubblica in un caso del genere sia individuale avrebbe la conseguenza d'imporre una gara di appalto nella maggior parte dei casi in cui un'autorità pubblica intendesse associarsi ad un gruppo formato da altre autorità pubbliche, come una società cooperativa intercomunale”.

Pertanto, occorre “riconoscere che, nel caso in cui varie autorità pubbliche detengano un ente concessionario cui affidano l'adempimento di una delle loro missioni di servizio pubblico, il controllo che dette autorità pubbliche esercitano sull'ente in parola può venire da loro esercitato congiuntamente”.

Il Giudice di Lussemburgo ha quindi risolto la questione, così statuendo: “qualora un'autorità pubblica si associ ad una società cooperativa intercomunale i cui soci sono tutti autorità pubbliche, al fine di trasferirle la gestione di un servizio pubblico, il controllo che le autorità associate a detta società esercitano su quest'ultima, per poter essere qualificato come analogo al controllo che esse esercitano sui propri servizi, può essere esercitato congiuntamente dalle stesse, deliberando, eventualmente, a maggioranza”.

Anche il Consiglio di Stato ha più volte affrontato questo rilevante profilo disciplinare dell'istituto dell'affidamento in house. Nella sentenza n. 1365 del 2009, in particolare, si è posto l’interrogativo circa “la possibilità di concepire il requisito del "controllo analogo" come risultato dell'intermediazione delle regole civilistiche sulla governance societaria. Detto altrimenti, si chiede alla Sezione se in una società compartecipata - ancorché in via totalitaria - da più enti pubblici, che sia anche diretta affidataria di un servizio pubblico locale, il "controllo analogo", inteso nei sensi della "dottrina Teckal", postuli necessariamente anche il "controllo", da parte del socio pubblico, sulla società e, in via consequenziale, su tutta l'attività, sia straordinaria sia ordinaria, da essa posta in essere (…)”. Il Collegio ha ritenuto di aderire alla linea interpretativa tracciata dalla Corte di giustizia nella citata sentenza Coditel, richiedendo “che il controllo della mano pubblica sull'ente affidatario sia effettivo, ancorché esercitato congiuntamente e, deliberando a maggioranza, dai singoli enti pubblici associati”.

D'altronde, osserva il Consiglio di Stato, “l'impostazione del Giudice europeo trova riscontro nelle esperienze positive di molti Stati membri e, per quel che qui interessa, anche nel diritto amministrativo italiano che annovera diverse forme associative tra enti pubblici, anche per finalità di gestione in comune di pubblici servizi (si considerino, ad esempio, i consorzi di cui all'art. 31 del D.Lgs. n. 267/2000), in cui il controllo da parte del singolo ente sull'attività svolta, nell'interesse comune, dalla specifica forma associativa non è "individuale", ma intermediato e, quindi, inevitabilmente attenuato dall'applicazione delle regole sul funzionamento interno dell'istanza associativa”.

“In sintesi, il requisito del controllo analogo non sottende una logica "dominicale", rivelando piuttosto una dimensione "funzionale".

Il principio secondo cui “qualora un'autorità pubblica si associ ad una società cooperativa intercomunale i cui soci sono tutti autorità pubbliche, al fine di trasferirle la gestione di un servizio pubblico, il controllo che le autorità associate a detta società esercitano su quest'ultima, per poter essere qualificato come analogo al controllo che esse esercitano sui propri servizi, può essere esercitato congiuntamente dalle stesse, deliberando eventualmente anche a maggioranza” è stato successivamente ribadito da numerose pronunce del giudice amministrativo (ex multis, Cons. Stato n. 5082 del 2009; n. 1447 del 2011; Tar Toscana, n. 2090 del 2012).

Della problematica in esame è tornata ad occuparsi la Corte di Giustizia con la recente pronuncia n. 182 del 29 novembre 2011 (cause riunite C-182/11 e C-183/11), la quale ha osservato che “non vi è dubbio che, ove più autorità pubbliche facciano ricorso ad un’entità comune ai fini dell’adempimento di un compito comune di servizio pubblico, non è indispensabile che ciascuna di esse detenga da sola un potere di controllo individuale su tale entità; ciononostante, il controllo esercitato su quest’ultima non può fondarsi soltanto sul potere di controllo dell’autorità pubblica che detiene una partecipazione di maggioranza nel capitale dell’entità in questione, e ciò perché, in caso contrario, verrebbe svuotata di significato la nozione stessa di controllo congiunto”.

“Infatti, l’eventualità che un’amministrazione aggiudicatrice abbia, nell’ambito di un’entità affidataria posseduta in comune, una posizione inidonea a garantirle la benché minima possibilità di partecipare al controllo di tale entità aprirebbe la strada ad un’elusione dell’applicazione delle norme del diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici o di concessioni di servizi, dal momento che una presenza puramente formale nella compagine di tale entità o in un organo comune incaricato della direzione della stessa dispenserebbe detta amministrazione aggiudicatrice dall’obbligo di avviare una procedura di gara d’appalto secondo le norme dell’Unione, nonostante essa non prenda parte in alcun modo all’esercizio del «controllo analogo» sull’entità in questione (…)”.

“Alla luce delle considerazioni sopra svolte, occorre rispondere alla questione sollevata dichiarando che, quando più autorità pubbliche, nella loro veste di amministrazioni aggiudicatrici, istituiscono in comune un’entità incaricata di adempiere compiti di servizio pubblico ad esse spettanti, oppure quando un’autorità pubblica aderisce ad un’entità siffatta, la condizione enunciata dalla giurisprudenza della Corte, secondo cui tali autorità, per essere dispensate dal loro obbligo di avviare una procedura di aggiudicazione di appalto pubblico in conformità alle norme del diritto dell’Unione, debbono esercitare congiuntamente sull’entità in questione un controllo analogo a quello da esse esercitato sui propri servizi, è soddisfatta qualora ciascuna delle autorità stesse partecipi sia al capitale sia agli organi direttivi dell’entità suddetta”.

2.3. Così ricostruito il quadro normativo alla luce dei principi enucleati dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale, si deve ora verificare se, nella fattispecie all’esame del Collegio, ricorra il requisito del controllo analogo.

Nel caso in esame, il Comune di Castel di Sangro ha disposto, con la gravata deliberazione consiliare, l’affidamento del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti e di spazzamento delle strade, fino ad allora svolto dalla società Castel del Sangro Srl, alla società Cogesa Spa. Si tratta di una società a capitale interamente pubblico, di cui il Comune affidante possiede una quota pari ad un’azione per un controvalore nominale di euro 100,00 su un totale di 1200 azioni per un controvalore di euro 120.000,00.

La delibera impugnata, inoltre, ha previsto una prima fase, c.d. sperimentale, di affidamento temporaneo del servizio alla Cogesa Spa fino al 28.2.2014 e una seconda fase, c.d. a regime, in cui si cederà alla Cogesa Spa il ramo di azienda della società Castel del Sangro Srl relativo all’attività di gestione dei rifiuti.

Sia la delibera consiliare, sia la relazione ex art. 34, comma 20, del d.l. n. 179 del 2012 ad essa allegata hanno sottolineato che la Cogesa è una società interamente partecipata da Comuni, di cui gestisce provvisoriamente il ciclo integrato dei rifiuti, dalla raccolta e trasporto al trattamento e smaltimento. Si precisa, altresì, che la suddetta società è di proprietà esclusivamente pubblica e svolge la sua prevalente attività nei confronti e in favore dei Comuni soci, soddisfacendo i requisiti comunitari per il c.d. affidamento in house.

Con particolare riferimento al requisito del controllo analogo, poi, il regolamento comunale per l’esercizio del controllo analogo sulla società partecipata Cogesa Spa, allegato anch’esso alla gravata delibera, ha previsto che gli organi gestionali della società sono assoggettati ai controlli previsti dal suddetto regolamento e svolti dai singoli Comuni: detti controlli sono ulteriori rispetto a quelli previsti dal diritto civile e commerciale e si sostanziano in un controllo preventivo, concomitante e consuntivo. Si rinvia poi al contratto di affidamento per la previsione di ulteriori controlli, quali le verifiche e le ispezioni periodiche presso la sede sociale.

Il regolamento in esame ha poi previsto che una serie di atti di gestione siano sottoposti al controllo preventivo del Comune e debbono essergli trasmessi entro un congruo termine per la presa d’atto ed eventuale richiesta di chiarimenti ovvero rinvio al riesame, che sospendono l’efficacia dell’atto stesso. È inoltre previsto il potere di annullamento degli atti di gestione in contraddittorio con la società.

Al di là di queste astratte previsioni, l’allegato A del suddetto regolamento, che disciplina le sue procedure applicative, ha previsto, al fine di rendere operativo il controllo sugli atti fondamentali della gestione di cui si è detto, la trasmissione del calendario dei lavori e delle deliberazioni del CdA al coordinamento, il quale procederà all’esame e all’approvazione di detti atti entro 15 giorni, salvo eventuali richieste di chiarimenti e di elementi integrativi di giudizio. Il suddetto coordinamento, che, come si evince dall’art. 3, è composto da tutti i Comuni soci e delibera a maggioranza, riceve, altresì, per conoscenza tutti gli atti di gestione.

Gli artt. 4, 5 e 6 del regolamento comunale, infine, hanno previsto forme di controllo preventivo, sulla relazione previsionale e programmatica, concomitante sull’andamento della gestione corrente e consuntivo sul bilancio finale di esercizio.

I controlli e le relative modalità esecutive previsti dal suddetto regolamento appaiono conformi ai requisiti prescritti dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale ai fini dell’affidamento in house, in quanto, nonostante la minima partecipazione al capitale sociale, rendono il controllo esercitato dal Comune resistente sull'ente affidatario effettivo, non essendo necessario, affinchè ciò si verifichi, che detto controllo sia individuale.

La previsione di un ufficio di coordinamento, a cui partecipano tutti gli enti soci, che esamina in via preventiva ed approva i principali atti di gestione della società e quelli che, comunque, superano un certo importo economico, unitamente alla previsione di diverse forme di penetrante controllo sulla vita e sull’attività della società soddisfano il requisito del controllo analogo, ancorchè detto ufficio deliberi non già all’unanimità, ma a maggioranza.

Come si è visto, infatti, secondo la prevalente giurisprudenza, qualora i soci dell’ente affidatario siano tutti autorità pubbliche, al fine di trasferirgli in via diretta la gestione di un servizio pubblico, il controllo che le autorità esercitano sulla società affidataria, per poter essere qualificato come analogo al controllo che esse esercitano sui propri servizi, può essere esercitato congiuntamente dalle stesse, deliberando eventualmente anche a maggioranza, sottendendo questo requisito non una logica "dominicale", ma una dimensione "funzionale”.

Peraltro, il regolamento comunale ha previsto che la società affidataria adegui ad esso le sue procedure interne entro 15 giorni.

Tuttavia, le previsioni del suddetto regolamento comunale, che di per sé vincolano il solo Comune che lo ha adottato, non trovano riscontro nella situazione normativa e fattuale concernente la società affidataria.

Ed invero, lo Statuto sociale - nonostante preveda in astratto che i Comuni soci esercitino sulla società un controllo analogo, che si aggiunge a quello civilistico e si sostanzia in un controllo diretto sulla gestione sia sotto forma di controllo individuale sia mediante modalità collettive - stabilisce che l’organo amministrativo può compiere tutti gli atti necessari ed opportuni per l’attuazione dell’oggetto sociale (art. 4.3). Il successivo art. 18.1 prevede poi che il CdA è investito di tutti i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione, che non siano riservati all’assemblea.

È vero che la norma fa salvi gli indirizzi impartiti dai soci e il controllo preventivo sugli atti fondamentali di gestione previsto dall’art. 5 dello statuto, ma non chiarisce con quali modalità debbano essere impartiti tali indirizzi e debba essere esercitato detto controllo.

Insomma, a fronte dell’ampiezza dei poteri e dell’autonomia gestionale affidata all’organo amministrativo, la previsione di un controllo preventivo e di un potere di indirizzo sugli atti di gestione appaiono mere petizioni di principio e previsioni astratte, in mancanza di qualsivoglia previsione in ordine alle concrete modalità operative degli stessi ed alle conseguenze del loro esercizio. Non si chiarisce, cioè, se detti poteri appartengano a tutti i Comuni soci, se essi li possano esercitare congiuntamente o individualmente, quali siano le conseguenze della mancata trasmissione degli atti su cui esercitare il controllo preventivo o di un suo eventuale esito negativo. Ugualmente nulla è detto sull’eventuale scostamento del CdA rispetto alle direttive e agli indirizzi impartiti dai soci, oltre che sulle modalità con cui vengono deliberati dai socie stessi.

Non inficia queste considerazioni la previsione, a norma dell’art. 23 dello Statuto, che il bilancio preventivo debba essere trasmesso, prima dell’approvazione da parte dell’assemblea dei soci, ai comuni soci, che possono far pervenire le loro osservazioni di cui il CdA deve dar necessariamente conto nella relazione di accompagnamento. Il bilancio di previsione e il programma triennale di previsione, infatti, sono comunque approvati, con le prescritte maggioranze, dall’assemblea dei soci.

La trasmissione preventiva, insomma, non attribuisce ai comuni alcun potere in ordine all’approvazione del bilancio che essi già non abbiamo, in qualità di soci, secondo le ordinarie disposizioni civilistiche.

Peraltro, anche sul piano operativo, non risulta, né il omune resistente o la società controinteressata l’hanno dedotto, che un ufficio di coordinamento sia stato costituito o che siano state rese operative altre forme di coordinamento tra i Comuni soci al fine di rendere effettivo il controllo sull’attività della società e sulla sua gestione da parte degli stessi.

Non risulta, neanche, la conclusione di eventuali patti parasociali o altri atti aventi efficacia nei confronti della società tramite i quali sono resi operativi poteri di indirizzo e forme di controllo in capo ai comuni soci, ancorchè congiuntamente e non individualmente.

In considerazione della minima partecipazione che il Comune resistente ha nella società Cogesa Spa e della situazione normativa, statutaria e fattuale della stessa, ritiene il Collegio che il Comune di Castel Sangro non abbia, nell’ambito della società affidataria posseduta in comune con gli altri enti locali, una posizione idonea a garantirgli la benché minima possibilità di partecipare al controllo di tale società. Il Comune resistente, infatti, non risulta prendere parte, in alcun modo, all’esercizio del controllo analogo sulla società in questione, neanche congiuntamente con gli altri Comuni soci: si ritiene, pertanto, che non sia soddisfatta, nel caso di specie, la condizione enunciata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’unione europea, secondo cui le autorità pubbliche, per essere dispensate dal loro obbligo di avviare una procedura di aggiudicazione di appalto pubblico in conformità alle norme del diritto dell’Unione, debbono esercitare congiuntamente sull’entità affidataria un controllo analogo a quello da esse esercitato sui propri servizi, in quanto questa condizione è soddisfatta qualora ciascuna delle autorità stesse partecipi sia al capitale sia agli organi direttivi dell’entità suddetta (sentenza n. 182 del 29 novembre 2011, cause riunite C-182/11 e C-183/11).

Si deve ricordare che anche la giurisprudenza nazionale ha ammesso che si può ritenere sussistente il controllo analogo anche nel caso di comuni con partecipazione sociali minime, come nel caso di specie, ma solamente in presenza di norme statutarie che assicurano a ciascun comune il ruolo di dominus nelle decisioni circa il frammento di gestione relativo al proprio territorio (Tar Lombardia, Brescia, n. 780 del 2013). La verifica di effettività del controllo analogo deve essere condotta in concreto, quindi alla stregua delle previsioni dello statuto della società stessa o di eventuali patti sociali (Tar Lombardia, Milano, n. 2588 del 2013).

Nella fattispecie all’esame del Tribunale, la minima partecipazione al capitale della società, costituita da una sola azione su 1200 totali e la circostanza che essa non partecipa agli organi direttivi e amministrativi della società, se non nelle forme del diritto comune ossia mediante la partecipazione, in qualità di socio, all’assemblea che nomina i membri del CdA, e non ha specifici poteri per indirizzarne o controllarne l’attività devono escludere che il controllo esercitato dal comune affidante sulla società affidataria sia effettivo.

Il requisito del controllo analogo, necessario ai fini della legittimità dell’affidamento in house, è pertanto assente.

2.4. Parte ricorrente ha altresì dedotto la mancanza del c.d. requisito funzionale.

Con la sentenza n. 371 del 17 luglio 2008 (Causa C-371/05), la Corte di giustizia ha chiarito che “per quanto attiene alla seconda condizione, relativa all’attività dell’ente in questione, è d’uopo rammentare che un’impresa svolge la parte più importante della sua attività con l’ente che la detiene, ai sensi della citata sentenza Teckal, se l’attività di detta impresa è destinata principalmente all’ente in questione e ogni altra attività risulta avere solo un carattere marginale. Inoltre, nel caso in cui diversi enti detengano un’impresa, la condizione relativa all’attività può ricorrere qualora tale impresa svolga la parte più importante della propria attività non necessariamente con questo o con quell’ente, ma con tali enti complessivamente considerati. Di conseguenza, l’attività da prendere in considerazione nel caso di un’impresa detenuta da vari enti è quella realizzata da detta impresa con tutti questi enti”.

Nell’appunto sulla nozione di attività prevalente del 27.12.2013 (prot. n. 16013), il Comune di Castel Sangro specifica che l’attività che la Cogesa Spa rende nei confronti dei Comuni soci rappresenta una percentuale di circa il 55,31% della sua attività totale, ancorchè ne è previsto un possibile aumento in forza di futuri affidamento del servizio di gestione dei rifiuti da parte di altri Comuni soci.

La circostanza che la società affidataria svolga in favore dei vari enti locali soci, complessivamente considerati, solamente la metà della sua attività complessiva non consente, effettivamente, di ritenere integrato, nella fattispecie in esame, il requisito della prevalenza dell’attività.

Anche sotto questo profilo, quindi, l’affidamento diretto alla Cogesa Spa è illegittimo.

3. Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso va accolto e la delibera impugnata, con gli atti ad essa allegati, va annullata, rimanendo assorbiti gli ulteriori motivi di censura.

Attesa la complessità e la peculiarità della fattispecie sottesa all’esame del Collegio, possono compensarsi le spese di lite.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in L'Aquila nella camera di consiglio del giorno 18 giugno 2014 con l'intervento dei magistrati:

Paolo Passoni, Presidente FF

Paola Anna Gemma Di Cesare,         Primo Referendario

Lucia Gizzi,    Referendario, Estensore

                       

L'ESTENSORE                     IL PRESIDENTE

                       

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 10/07/2014

 

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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