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TAR Campania, Napoli, Sez. I, 19/9/2014 n. 4976
Spetta alla giurisdizione del G.A. la controversia sull'annullamento di un decreto dirigenziale regionale con il quale, è stata definita la percentuale da riconoscere a titolo di spese di riscossione delle tariffe ai soggetti gestori degli Acquedotti

I soggetti gestori del servizio idrico integrato devono stabilire convenzionalmente il riparto delle spese di riscossione.

Secondo l'orientamento prevalente della giurisprudenza amministrativa, spettano alla giurisdizione ordinaria quelle controversie in materia di concessione amministrativa che abbiano contenuto meramente patrimoniale, senza che assuma rilievo un potere di intervento della pubblica amministrazione, restando per contro devolute alla giurisdizione amministrativa quelle che coinvolgano l'esercizio di poteri discrezionali inerenti alla determinazione del canone, dell'indennità o di altri corrispettivi. Pertanto, considerato che, nel caso di specie, (controversia concernente una concessione di servizio idrico integrato) è stato impugnato un provvedimento che è espressione del potere autoritativo della p.a., il decreto dirigenziale regionale con il quale, discrezionalmente, è stata definita "la percentuale da riconoscere a titolo di spese di riscossione delle tariffe di depurazione e fognatura ai soggetti gestori degli Acquedotti comunali", la giurisdizione appartiene al G.A..

L'art. 156 del D. Lgs. n. 152 del 2006, stabilisce che i soggetti gestori del servizio idrico integrato devono stabilire convenzionalmente il riparto delle spese di riscossione. Nel caso di specie, dunque, deve essere annullato in parte il decreto dirigenziale n. 632 del 30 dicembre 2013, con cui la Regione Campania, reputando che le percentuali concordate con i vari gestori (in misura oscillante tra il 18% ed il 20%) per l'attività di riscossione "appaiono assolutamente sopradimensionate rispetto alla natura dell'importo da riconoscere", ha quantificato nella misura del 4% dell'incassato la percentuale da riconoscere agli stessi per il periodo sino al 2012, in quanto la determinazione adottata non è stata preceduta da un'adeguata attività istruttoria, idonea a fornire all'autorità emanante gli elementi idonei per un corretto esercizio della potestà pubblica; essa non avrebbe, infatti, tenuto alcun conto della documentazione da trasmessa, e quindi, delle spese effettivamente sostenute per l'attività di riscossione, bensì avrebbe utilizzato un criterio del tutto arbitrario, ingiusto ed incongruo; l'ingiustizia e l'abuso sarebbero tanto maggiori tenuto conto della circostanza che addirittura si sarebbe disposto per il passato, fino a tutto il 2012. Inoltre, ha violato il modulo procedimentale delineato dal citato art. 156 D. Lgs. n. 152 del 2006, determinando in via autoritativa il contributo per la detta attività di riscossione senza previamente attivarsi per dare impulso al peculiare modello consensuale indicato dalla norma.

Materia: acqua / servizio idrico integrato

N. 04976/2014 REG.PROV.COLL.

 

N. 01873/2014 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1873 del 2014, proposto da:

ABC Acqua Bene Comune Napoli - Azienda Speciale (già A.R.I.N. - Azienda Risorse Idriche di Napoli s.p.a.) in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Costantino Tessarolo e Silvano Gravina, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Napoli, via Chiatamone, n. 55;

 

contro

Regione Campania, in persona del Presidente della Giunta Regionale, legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Almerina Bove dell’Avvocatura Regionale, con domicilio eletto presso il Palazzo della Giunta Regionale della Campania in Napoli, via S. Lucia, n. 81;

 

per l'annullamento,

previa sospensione dell'efficacia,

“del Decreto del Direttore Generale del Dipartimento della Salute e delle Risorse Naturali n. 632 del 31/12/2013 avente ad oggetto: “Definizione della percentuale da riconoscere a titolo di spese di riscossione delle tariffe di depurazione e fognatura ai soggetti gestori degli acquedotti comunali”, comunicato alla ricorrente il 14/01/2014, ed ogni atto preordinato, presupposto, conseguente e comunque connesso, compresa la nota protocollo 19551 del 13/01/2014, assunta al protocollo dell’ABC il 14/01/2014 al numero 816.”

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Campania;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 luglio 2014 la dott.ssa Rosalba Giansante e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con ricorso, ritualmente notificato il 7 marzo 2014 e depositato il 3 aprile 2014, l’Azienda Speciale Acqua Bene Comune Napoli – d’ora innanzi A.B.C. (già A.R.I.N. - Azienda Risorse Idriche di Napoli s.p.a.) ha chiesto l’annullamento del Decreto Dirigenziale del Dipartimento della Salute e delle Risorse Naturali - Direzione Generale per la Salute e l’Ecosistema della Giunta Regionale della Campania n. 632 del 31 dicembre 2013 avente ad oggetto: “Definizione della percentuale da riconoscere a titolo di spese di riscossione delle tariffe di depurazione e fognatura ai soggetti gestori degli acquedotti comunali”, nonché della nota prot. n. 19551 del 13 gennaio 2014 di trasmissione del suddetto decreto, assunta al protocollo n. 816 della Azienda ricorrente in data 14 gennaio 2014.

Con il decreto dirigenziale regionale oggetto di impugnazione è stata quantificata nella misura del 4% dell’incassato la percentuale da riconoscere ai gestori degli acquedotti comunali, per il periodo sino al 2012, a titolo di spese di riscossione delle tariffe di depurazione e fognatura.

A sostegno del gravame parte ricorrente, con due motivi di ricorso, ha dedotto i vizi di violazione di legge e di eccesso di potere sotto vari profili; in particolare con il secondo motivo di ricorso ha rappresentato di aver dedotto le medesime censure già articolate nel precedente autonomo ricorso n. 1349/2013, tuttora pendente, proposto avverso la deliberazione n. 805 del 21 dicembre 2012 della Giunta Regionale in quanto nel Decreto Dirigenziale impugnato parte resistente avrebbe richiamato letteralmente la previsione della suddetta deliberazione che demanda ai soggetti gestori degli acquedotti comunali la determinazione delle spese di riscossione ex art. 156 del D.Lgs 152 del 2006, da far gravare direttamente sugli utenti finali “quale aliquota aggiuntiva alla tariffa di raccolta e depurazione determinata dalla Regione”.

Si è costituita a resistere in giudizio la Regione Campania eccependo il difetto di giurisdizione di questo adito giudice amministrativo e chiedendo, in via subordinata, il rigetto del gravame.

Alla camera di consiglio del 30 aprile 2014, con ordinanza n. 698, è stata fissata l’udienza pubblica del giorno 16 luglio 2014 per la discussione del ricorso nel merito.

Parte ricorrente ha prodotto documentazione e depositato una memoria per l’udienza di discussione.

All’udienza pubblica del 16 luglio 2014 la causa è stata chiamata e assunta in decisione.

 

DIRITTO

Il Collegio deve esaminare innanzitutto l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, sollevata dalla Regione Campania. Ad avviso di parte resistente il rapporto di mandato all’incasso inerente ai canoni di depurazione, ancorchè geneticamente collegato al rapporto concessorio inerente alla gestione dell’acquedotto - che ne costituirebbe il titolo legale - sarebbe estraneo ad esso, in guisa che il relativo regime non sarebbe riconducibile a quello concessorio. In via meramente subordinata sostiene che, anche a voler qualificare il rapporto di mandato all’incasso in termini di rapporto concessorio, l’aggio di riscossione sarebbe estraneo all’ambito della giurisdizione esclusiva, ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. c) c.p.a. che dispone - in analogia a quanto previsto in tema di concessioni di beni pubblici - che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del G.A. “le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi”.

L’eccezione è infondata.

Occorre premettere che l’odierna controversia concerne una concessione di servizio idrico integrato e che parte ricorrente ha agito in giudizio in qualità di concessionaria del suddetto servizio; pertanto, considerato che il servizio idrico integrato per cui è causa è ricompreso nell’ambito delle concessioni di pubblici servizi, si ritiene che trovi applicazione il citato art. 133, comma 1, lett. c) c.p.a., richiamato dalla stessa parte resistente.

Al fine di giustificare l’infondatezza dell’eccezione di carenza di giurisdizione, sollevata da parte resistente, il Collegio, concordando con l’orientamento prevalente della giurisprudenza amministrativa, (ribadito anche in fattispecie concernenti il servizio idrico integrato: cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, n. 6110 del 30 novembre 2012, che conferma T.A.R. Emilia-Romagna Parma, Sez. I, n. 4 del 9 gennaio 2012), ritiene di ribadire il principio ripetutamente espresso anche dalla Sezioni Unite della Cassazione (cfr. tra le più recenti pronunce: ordinanza del 25 novembre 2011, n. 24902; sentenza del 24 giugno 2011, n. 13903), secondo cui spettano alla giurisdizione ordinaria quelle controversie in materia di concessione amministrativa che abbiano contenuto meramente patrimoniale, senza che assuma rilievo un potere di intervento della pubblica amministrazione, restando per contro devolute alla giurisdizione amministrativa quelle che coinvolgano l'esercizio di poteri discrezionali inerenti alla determinazione del canone, dell'indennità o di altri corrispettivi.

Considerato che nella fattispecie oggetto di gravame è stato impugnato un provvedimento che è espressione del potere autoritativo della pubblica amministrazione, il decreto dirigenziale regionale con il quale, discrezionalmente, è stata definita “la percentuale da riconoscere a titolo di spese di riscossione delle tariffe di depurazione e fognatura ai soggetti gestori degli Acquedotti comunali”, la giurisdizione appartiene a questo adito giudice amministrativo.

Peraltro deve ritenersi risolutiva la circostanza che la suddetta remunerazione, a favore dei soggetti gestori degli Acquedotti comunali, indicata nell’oggetto dell’atto impugnato soprarichiamato, si traduce in una componente della tariffa del medesimo servizio; di conseguenza, per gli stessi motivi sopra esposti e, come è principio ormai consolidato, la cognizione sulla determinazione delle tariffe dei servizi pubblici appartiene al giudice amministrativo, in quanto coinvolgente l’esame sull’uso di un potere amministrativo a fronte del quale la posizione dei soggetti interessati non può che essere di interesse legittimo; appartengono invece alla giurisdizione del G.O. le questioni riguardanti “indennità, canoni ed altri corrispettivi”, e quindi quelle circa il corretto calcolo del dovuto in relazione ai consumi effettuati ed alle tariffe vigenti (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1918 del 6 aprile 2010).

La giurisprudenza prevalente, amministrativa ed anche della Sezioni Unite della Cassazione, condivisa dal Collegio, ha chiarito che ove il petitum sostanziale dedotto in giudizio ha riguardo non all’infondatezza di una pretesa patrimoniale azionata dal gestore del servizio sulla base dei rapporti obbligatori individuali di utenza, bensì afferisce, a monte, alla legittimità del provvedimento generale di determinazione della tariffa, la posizione fatta valere in giudizio non può che essere qualificata di interesse legittimo (cfr. per tutte Cass., SS.UU., 2 dicembre 2008, n. 28539, ex multis TAR Toscana, n. 4892 del 25 agosto 2010), con la conseguenza che la giurisdizione appartiene al giudice amministrativo, come nella fattispecie per cui è causa.

Passando al merito dell’odierno gravame, colgono nel segno alcune delle censure di cui ad entrambi i motivi di ricorso dedotti dalla A.B.C., nei limiti di seguito specificati.

Con il primo motivo di ricorso la A.B.C. ha dedotto le seguenti censure: violazione e falsa applicazione dell’art. 156 del D.Lgs. 152 del 2006, violazione e falsa applicazione dei principi di buona amministrazione, degli artt. 97 e 117 Cost., eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, illogicità insufficienza e contraddittorietà della motivazione, disparità di trattamento, ingiustizia manifesta, sviamento.

Parte ricorrente lamenta che la Regione, con il provvedimento impugnato, violerebbe palesemente il disposto del citato art. 156 che farebbe obbligo ai soggetti gestori di stabilire convenzionalmente il riparto delle spese di riscossione; essa non avrebbe, comunque, tenuto alcun conto della documentazione da essa trasmessa, e quindi, delle spese effettivamente sostenute per l'attività di riscossione, bensì avrebbe utilizzato un criterio del tutto arbitrario, ingiusto ed incongruo; l’ingiustizia e l'abuso sarebbero tanto maggiori tenuto conto della circostanza che addirittura si sarebbe disposto per il passato, fino a tutto il 2012.

Il Collegio, confermando l’orientamento già espresso da questa Sezione con la sentenza n. 3849 del 10 luglio 2014, alla quale si rinvia per la ricostruzione del quadro normativo di riferimento dello specifico settore, ritiene fondate le censure di difetto di istruttoria e di insufficiente motivazione, ingiustizia manifesta e di violazione e falsa applicazione dell’art. 156 del D. Lgs. n. 152 del 2006.

Va precisato che la società ricorrente ha premesso in punto di fatto che prima che la Regione assumesse la competenza alla riscossione, la determinazione delle spese di riscossione riconosciute in capo ad essa ricorrente era fissata nella misura del 20% dell’incassato, secondo atti convenzionali provvisori stipulati nel 2006 tra l’ex A.R.I.N. (ora A.B.C.) con quelle che all'epoca erano le concessionarie della Regione Campania (Hydrogest Campania S.p.A. ed Acqua Campania s.p.a,). Tali convenzioni, coerentemente con la normativa vigente in materia, avevano previsto che il superamento del regime provvisorio in tema di quantificazione delle spese di riscossione fosse condizionato alla definitiva sottoscrizione della convenzione prevista dal suddetto comma 2 dell’art. 156; tale convenzione provvisoria era stata oggetto di apposita autorizzazione regionale.

Con il decreto dirigenziale n. 632 del 30 dicembre 2013, la Regione Campania, reputando che le percentuali concordate con i vari gestori (in misura oscillante tra il 18% ed il 20%) per l’attività di riscossione “appaiono assolutamente sopradimensionate rispetto alla natura dell’importo da riconoscere”, ha quantificato nella misura del 4% dell’incassato la percentuale da riconoscere agli stessi per il periodo sino al 2012.

Ciò posto, ritiene anzitutto il Collegio che la determinazione adottata non sia stata preceduta da un’adeguata attività istruttoria, idonea a fornire all’autorità emanante gli elementi idonei per un corretto esercizio della potestà pubblica.

Come può leggersi nel provvedimento oggetto di gravame, l’autorità amministrativa si è limitata ad assumere al riguardo come parametro di riferimento “la convenzione rep. 13625/04 sottoscritta tra il Commissario di Governo per l’emergenza Bonifiche e tutela delle acque ex OPCM 2425/96 e succ., cui è subentrato la Regione Campania, e la Hydrogest Campania spa”, il cui art. 29 determina l’aggio da riconoscere al soggetto che riscuote la tariffa dagli utenti finali “nella misura del 4% dell’incassato”.

In primo luogo si osserva che trattasi di atto già esistente alla data della sottoscrizione delle convenzioni con la ricorrente – essendo stato stipulato il 16 dicembre 2004 – e, come tale, non può recare alcuna aggiornata analisi dei costi e della rimuneratività del servizio, nè integrare alcuna sopravvenienza idonea a giustificare un mutamento dell’assetto negoziale concordato dalle parti. Peraltro, avendo un diverso oggetto ed ambito di riferimento territoriale, la stessa convenzione non può con tutta evidenza neanche tenere conto delle specifiche voci di spesa relative al bacino di utenza gestito dalla A.B.C. (discendenti, ad esempio, dalla percentuale di insolvenza degli utenti finali) ed assumere, pertanto, una valenza generalizzata per tutti i gestori.

Il difetto di una completa acquisizione dei dati fattuali rilevanti e di una idonea ponderazione degli stessi emerge anche dalle incongrue valutazioni operate circa gli elementi giustificativi fatti pervenire dai soggetti gestori del servizio in argomento su invito dell’amministrazione procedente. Nel preambolo del decreto, specificatamente alla lettera f) dei Considerato, è rappresentato che: “alcuni di essi hanno provveduto a relazionare ed illustrare i costi giustificativi di una così elevata percentuale includendo negli stessi tutte le spese afferenti il personale assegnato alla direzione commerciale dedicata alla stipula dei contratti con gli utenti, alla interlocuzione quale front office con i cittadini, alla contabilizzazione separata degli incassi, nonché tutte le spese afferenti la lettura dei contatori, l’attività di elaborazione e spedizione delle fatture, la gestione del contenzioso, il recupero crediti”. In merito, il dirigente regionale ha sbrigativamente e illogicamente reputato alla successiva lettera g) che “tali rendicontazioni non possono essere condivise ai fini dell’individuazione di parametri e voci di costo da considerare tra le spese di riscossione, includendo le stesse costi che non sono direttamente connessi all’attività di riscossione”.

Osserva al riguardo il Collegio che le voci sopra elencate sono state immotivatamente considerate in via generalizzata come estranee al complessivo servizio svolto, sebbene siano strettamente inerenti allo stesso, con conseguente sottostima dei relativi costi. Invero, non può dubitarsi che il servizio in argomento non può essere ridotto alla sola attività di riscossione in senso stretto, atteso che quest’ultima presuppone lo svolgimento di attività preparatorie (ad esempio, con la stipula dei contratti di utenza) nonché la gestione della fase attuativa del rapporto (attraverso tutti gli adempimenti necessari quali, ad esempio, il rilievo dei consumi e la successiva bollettazione), e si estende oltre fino a comprendere le procedure di riscossione coattiva in caso di mancato pagamento (con le relative spese legali).

Resta fermo che la concreta incidenza quantitativa delle voci di costo è rimessa alle successive valutazioni di merito dell’amministrazione e che vanno evitate duplicazioni artificiose ovvero espunte spese dipendenti da una cattiva organizzazione o inefficienza del soggetto gestore.

Va fatta salva, altresì, la parte del provvedimento in cui si impone la rendicontazione dei costi effettivamente sostenuti, trattandosi di obbligo già previsto da precedenti atti convenzionali (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, n. 3849 del 10 luglio 2014 cit.).

E’ fondata anche la censure di violazione del modulo procedimentale delineato dall’art. 156 del D. Lgs. n. 152 del 2006.

Per quello che in questa sede interessa, il citato art. 156 (Riscossione della tariffa) ai primi due commi dispone: “Qualora il servizio idrico sia gestito separatamente per effetto di particolari convenzioni e concessioni, la relativa tariffa è riscossa dal gestore del servizio di acquedotto, il quale provvede al successivo riparto tra i diversi gestori interessati entro trenta giorni dalla riscossione. Con apposita convenzione, sottoposta al controllo della regione, sono definiti i rapporti tra i diversi gestori per il riparto delle spese di riscossione”.

Orbene, nel caso di specie, la Regione Campania ha determinato in via autoritativa il contributo per la detta attività di riscossione senza previamente attivarsi per dare impulso al peculiare modello consensuale indicato dalla norma. Nella fattispecie concreta, peraltro, un percorso negoziato a maggior ragione si imponeva avendo disposto unilateralmente una consistente modifica in peius del regime in precedenza concordato, sia pure in via provvisoria.

Deve altresì ritenersi fondata anche la censura con la quale parte ricorrente lamenta l’ingiustizia subita per la circostanza che con il provvedimento impugnato si sarebbe disposto per il passato.

Atteso che, come si è già osservato, il provvedimento dispone anche per gli anni pregressi e con riguardo a prestazioni già effettuate, deve ritenersi, altresì, violato il principio generale di irretroattività.

Invero, nell'ambito dell'azione amministrativa vige la regola generale dell'irretroattività, espressione del principio di legalità e dell'esigenza di certezza dei rapporti giuridici, la quale impedisce all'amministrazione di incidere unilateralmente e con effetto ex ante sulle situazioni soggettive del privato. Il principio di irretroattività discende, infatti, in linea generale, dall'art. 11 delle preleggi, ed è derogabile unicamente per effetto di una disposizione di legge pari ordinata, ma non anche in sede di esercizio del potere amministrativo, con la conseguenza che solo in presenza di una norma di legge che a ciò abiliti gli atti generali e i regolamenti amministrativi possono avere efficacia retroattiva (fra le altre, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 9 settembre 2008, n. 4301; T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 8.5.2013, n. 2364).

Ne consegue che la modalità operativa utilizzata collide inesorabilmente con i principi regolatori della materia, nei termini appena chiariti.

Con il secondo motivo di ricorso parte ricorrente ha dedotto le seguenti censure: violazione e falsa applicazione dell’art. 156 del D.Lgs. n. 152 del 2006, violazione e falsa applicazione dei principi di buona amministrazione, degli artt. 3, 97 e 117 Cost., illegittimità dei presupposti, eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, illogicità, insufficienza e contraddittorietà della motivazione, disparità di trattamento, ingiustizia manifesta, sviamento.

La A.B.C. ha rappresentato che nel Decreto Dirigenziale impugnato parte resistente richiamerebbe letteralmente la previsione della deliberazione n. 805 del 21 dicembre 2012 della Giunta Regionale, oggetto di autonomo ricorso n. 1349/2013, tuttora pendente, che demanda ai soggetti gestori degli acquedotti comunali la determinazione delle spese di riscossione ex art. 156 del D.Lgs 152 del 2006, da far gravare direttamente sugli utenti finali “quale aliquota aggiuntiva alla tariffa di raccolta e depurazione determinata dalla Regione”; ha altresì rappresentato che le suddette censure dedotte con il secondo motivo di ricorso sono le stesse già articolate nel precedente ricorso proposto.

La richiamata previsione sarebbe illegittima in quanto l’attribuzione del costo della riscossione all’utente finale da parte dei soggetti gestori di acquedotto, esattori del corrispettivo stesso, non sarebbe prevista da alcuna disposizione legislativa o regolamentare; inoltre le spese di riscossione, secondo le norme vigenti e conformemente alle delibere dell'Autorità per l'Energia Elettrica ed il Gas (A.E.E.G.), che sarebbe peraltro l’unico soggetto titolato a regolare la materia, rappresenterebbero una delle componenti che concorrerebbe, alla stregua dei costi di manutenzione e di energia, alla determinazione della tariffa di depurazione e non si potrebbe configurare quale elemento aggiuntivo ed estraneo.

Al riguardo il Collegio deve evidenziare che questa Sezione con la citata sentenza n. 3849 del 10 luglio 2014 ha annullato la deliberazione della Giunta Regionale della Campania n. 805 del 21 dicembre 2012 avente ad oggetto “Adeguamento della tariffa per la cessione dell'acqua all'ingrosso e la raccolta - depurazione per l'anno 2013, secondo il metodo tariffario normalizzato (MTN) transitorio emanato dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas”, esaminando al numero 3.6. specificatamente la seconda parte del deliberato (lettere v, w, x) che in questa sede interessa, statuendo che: “Nel caso di specie, come lamentato dalla società ricorrente, con il provvedimento impugnato la Regione Campania ha direttamente approvato le tariffe per il 2013, invadendo così illegittimamente la sfera di attribuzioni riservata dell’AEEG dalla normativa sopra richiamata.

3.6. La fondatezza della doglianza investe, per le stesse ragioni, anche la seconda parte del deliberato (lettere v, w, x) in contestazione, laddove la Giunta Regionale ha demandato a ciascun soggetto gestore degli acquedotti comunali di determinare un’eventuale aliquota aggiuntiva della tariffa per depurazione, da far gravare sugli utenti finali, in relazione ai costi sostenuti per l’attività di riscossione.

Invero, posto che le spese per la riscossione delle tariffe di depurazione costituiscono di per sé un costo per il gestore dei relativi impianti, è evidente che gli stessi devono trovare integrale copertura finanziaria in sede di determinazione delle stesse tariffe e, come tali, rientrano anch’esse nella sfera di attribuzioni della citata Autorità.

3.7. Alla stregua di tutte le considerazioni fin qui svolte il ricorso introduttivo va accolto, restando assorbiti gli ulteriori motivi non scrutinati.”.

Considerato che la deliberazione della Giunta Regionale della Campania n. 805 del 21 dicembre 2012, oggetto di autonomo ricorso n. 1349/2013 proposto da parte ricorrente, è stata già annullata con la citata sentenza n. 3849/2014 da questa Sezione e che la seconda parte della suddetta deliberazione annullata costituisce atto presupposto della previsione, oggetto di contestazione, avente il medesimo contenuto, in quanto letteralmente richiamata dal decreto dirigenziale n. 632 del 30 dicembre 2013 impugnato con l’odierno gravame, il Collegio deve ritenere quest’ultimo illegittimo anche in parte qua per illegittimità derivata.

Conclusivamente, assorbite le censure non esaminate, il ricorso va accolto entro i limiti sopra indicati ed il decreto dirigenziale n. 632 del 30 dicembre 2013, oggetto di impugnazione, deve, conseguentemente, essere in parte annullato.

Quanto alle spese, si ritiene che sussistono giusti motivi per compensare integralmente le spese tra le parti, tenuto conto dei ripetuti mutamenti del quadro normativo di riferimento, della specificità della materia, della novità e peculiarità delle questioni trattate.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie entro i limiti e nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla in parte, per quanto di ragione di parte ricorrente, i provvedimenti impugnati.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 16 luglio 2014 con l'intervento dei magistrati:

Cesare Mastrocola,     Presidente

Carlo Dell'Olio,          Consigliere

Rosalba Giansante,     Primo Referendario, Estensore

                       

L'ESTENSORE                     IL PRESIDENTE

                       

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 19/09/2014

 

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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