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Avvocato Generale Juliane Kokott, 20/11/2014 n. C-534/13
Sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale - Principio chi inquina paga - Responsabilità del proprietario che non ha causato il danno ambientale.

I principi dell'Unione europea in materia ambientale sanciti dall'articolo 191, paragrafo 2, del TFUE e dalla direttiva 2004/35/CE sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale (articoli 1, 8, paragrafo 3, e 16, e considerando 13 e 24) - in particolare, il principio "chi inquina paga", i principi della precauzione e dell'azione preventiva, il principio della correzione, in via prioritaria, alla fonte, dei danni causati all'ambiente - non ostano a una normativa nazionale che, in caso di accertata contaminazione di un sito e di impossibilità di individuare il soggetto responsabile della contaminazione o di impossibilità di ottenere da quest'ultimo gli interventi di riparazione, non consenta all'autorità amministrativa di imporre l'esecuzione delle misure di sicurezza d'emergenza e di bonifica al proprietario non responsabile dell'inquinamento, prevedendo, a carico di quest'ultimo, soltanto una responsabilità patrimoniale limitata al valore del sito dopo l'esecuzione degli interventi di bonifica.

Materia: ambiente / disciplina

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

 

presentate il 20 novembre 2014 (1)

 

Causa C-534/13

 

Fipa Group s.r.l. e a.

 

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato, (Italia)]

 

«Articolo 191, paragrafo 2, TFUE – Direttiva 2004/35/CE – Responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale – Principio “chi inquina paga” – Responsabilità del proprietario che non ha causato il danno ambientale»

 

I –    Introduzione

 

1.        La città italiana di Carrara è nota per il suo marmo. Nei suoi dintorni si trovavano però in passato anche altre attività industriali. Queste hanno lasciato, almeno nella vicina città di Massa Carrara, una situazione di grave inquinamento che ha portato all’istituzione di un «sito di interesse nazionale». I terreni interessati sono, nel frattempo, passati di mano ed è in essere una controversia tra gli attuali proprietari, non responsabili della contaminazione, e le autorità italiane sulla misura in cui essi possano essere chiamati a farsi carico della bonifica.

 

2.        In base alle informazioni fornite dal Consiglio di Stato, il diritto italiano prevede solo che possano essere posti a carico di tali proprietari costi di riparazione sino a un importo pari al valore dei terreni. Essi non sono invece tenuti ad adottare in proprio misure di riparazione o a sostenere costi di riparazione superiori. Il Consiglio di Stato chiede quindi alla Corte se i principi sanciti nell’articolo 191, paragrafo 2, TFUE, ovvero i principi del «chi inquina paga», della precauzione, dell’azione preventiva e della correzione, anzitutto alla fonte, dei danni causati all’ambiente, e nella direttiva sulla responsabilità ambientale (2) impongano la previsione di una responsabilità maggiore in capo ai proprietari.

 

II – Contesto normativo

 

A –    Diritto dell’Unione

 

3.        I principi in materia di politica ambientale dell’Unione, in particolare il principio «chi inquina paga», sono stabiliti nell’articolo 191, paragrafo 2, TFUE:

 

«La politica dell’Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell’Unione. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio “chi inquina paga”.

 

(…)».

 

4.        Come sottolinea l’articolo 1 della direttiva sulla responsabilità ambientale, quest’ultima dà attuazione in particolare al principio «chi inquina paga»:

 

«La presente direttiva istituisce un quadro per la responsabilità ambientale, basato sul principio “chi inquina paga”, per la prevenzione e la riparazione del danno ambientale».

 

5.        Il considerando 13 della direttiva sulla responsabilità ambientale indica tuttavia i limiti del principio «chi inquina paga»:

 

«A non tutte le forme di danno ambientale può essere posto rimedio attraverso la responsabilità civile. Affinché quest’ultima sia efficace è necessario che vi siano uno o più inquinatori individuabili, il danno dovrebbe essere concreto e quantificabile e si dovrebbero accertare nessi causali tra il danno e gli inquinatori individuati. La responsabilità civile non è quindi uno strumento adatto per trattare l’inquinamento a carattere diffuso e generale nei casi in cui sia impossibile collegare gli effetti ambientali negativi a atti o omissioni di taluni singoli soggetti».

 

6.        L’articolo 8, paragrafo 3, della direttiva sulla responsabilità ambientale limita la responsabilità per i costi degli operatori in determinati casi:

 

«3.      Non sono a carico dell’operatore i costi delle azioni di prevenzione o di riparazione adottate conformemente alla presente direttiva se egli può provare che il danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno:

 

a)      è stato causato da un terzo, e si è verificato nonostante l’esistenza di opportune misure di sicurezza, o

 

b)      è conseguenza dell’osservanza di un ordine o istruzione obbligatori impartiti da una autorità pubblica, diversa da un ordine o istruzione impartiti in seguito a un’emissione o a un incidente causati dalle attività dell’operatore.

 

In tali casi gli Stati membri adottano le misure appropriate per consentire all’operatore di recuperare i costi sostenuti».

 

7.        L’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva sulla responsabilità ambientale autorizza gli Stati membri ad adottare disposizioni specifiche di più ampia portata:

 

«La presente direttiva non preclude agli Stati membri di mantenere o adottare disposizioni più severe in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, comprese l’individuazione di altre attività da assoggettare agli obblighi di prevenzione e di riparazione previsti dalla presente direttiva e l’individuazione di altri soggetti responsabili».

 

8.        La domanda di pronuncia pregiudiziale fa infine riferimento al considerando 24 che riguarda l’attuazione della direttiva sulla responsabilità ambientale:

 

«È necessario assicurare la disponibilità di mezzi di applicazione ed esecuzione efficaci, garantendo un’adeguata tutela dei legittimi interessi degli operatori e delle altre parti interessate. Si dovrebbero conferire alle autorità competenti compiti specifici che implicano appropriata discrezionalità amministrativa, ossia il dovere di valutare l’entità del danno e di determinare le misure di riparazione da prendere».

 

B –    Diritto italiano

 

9.        L’articolo 3ter del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 (in prosieguo: il «decreto legislativo n. 152») si riferisce esplicitamente alla precedente versione dell’articolo 191, paragrafo 2, TFUE, ossia all’articolo 174, paragrafo 2, del Trattato delle Unioni europee, con cui si intende, probabilmente, il Trattato che istituisce la Comunità europea. La disposizione in parola obbliga chiunque, soggetti pubblici e privati, a tutelare l’ambiente mediante un’adeguata azione informata ai principi della precauzione e dell’azione preventiva, al principio della correzione, anzitutto alla fonte, dei danni causati all’ambiente, e del «chi inquina paga».

 

10.      L’articolo 244, paragrafi 1 e 2, del decreto legislativo n. 152 prevede che l’amministrazione competente, dopo la scoperta della contaminazione di una superficie, diffidi con ordinanza il responsabile. In base al paragrafo 3, la decisione in parola è comunicata anche al proprietario della superficie. A norma del paragrafo 4, l’amministrazione competente adotta gli interventi che risultano necessari alla messa in sicurezza e alla riparazione della superficie nei casi in cui il responsabile della contaminazione non sia individuabile e non provveda il proprietario del sito né altro soggetto interessato.

 

11.      L’articolo 245, paragrafo 1, del decreto legislativo n. 152 permette al proprietario e alle altre parti interessate di adottare le necessarie procedure per gli interventi di messa in sicurezza e di ripristino della superficie. A norma del paragrafo 2, il proprietario o il gestore dell’area che rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento della concentrazione soglia di contaminazione devono, a prescindere dagli obblighi dei responsabili della contaminazione, informare l’amministrazione competente e adottare determinate misure di prevenzione.

 

12.      A norma dell’articolo 250 del decreto legislativo n. 152, l’amministrazione competente adotta le misure necessarie quando i soggetti responsabili non provvedono ovvero non sono individuabili e non provvedono né il proprietario del sito, né altri soggetti interessati.

 

13.      In base all’articolo 253, paragrafo 1, del decreto legislativo n. 152, gli interventi di cui al presente titolo del decreto costituiscono oneri reali sui siti. Il paragrafo 2 prevede che le spese sostenute per gli interventi in parola sono assistite da privilegio speciale immobiliare sulle aree. Quando le spese sono fatte valere nei confronti del proprietario del sito che non ha causato l’inquinamento, occorre dimostrare, a norma del paragrafo 3, in particolare, che è impossibile accertare l’identità del soggetto responsabile o far valere la domanda nei suoi confronti. A norma del paragrafo 4, tali costi possono essere azionati nei confronti del proprietario soltanto nei limiti del valore di mercato del sito determinato a seguito dell’esecuzione degli interventi di bonifica.

 

III – Controversia interna e domanda di pronuncia pregiudiziale

 

14.      La Fipa Group S.r.l., la TWS Automation S.r.l. e la Ivan S.r.l. hanno acquistato alcuni terreni che erano, in precedenza, di proprietà del gruppo Montedison. I fondi si trovano nel cosiddetto sito di interesse nazionale «Massa Carrara» e presentano un elevato grado di inquinamento che, è pacifico, non è stato causato dalle tre succitate società. Sembra trattarsi invece della conseguenza di contaminazioni imputabili ancora al gruppo Montedison e che, già negli ultimi anni dello scorso secolo, sono state oggetto di interventi di bonifica.

 

15.      In base alle informazioni fornite dalle parti del procedimento con decreto del 7 novembre 2011, l’amministrazione competente ha preteso dalle succitate società, quali proprietarie dei fondi interessati, l’attuazione di determinati interventi di sicurezza d’emergenza e la presentazione di una variazione al concetto di bonifica (del 1995). In base a quanto indicato nella decisione in parola, la Montedison S.r.l. (ora Edison S.p.A.) è indicata inoltre come soggetto responsabile della contaminazione. Ad essa è stata richiesta l’adozione delle medesime misure.

 

16.      A fronte del ricorso presentato dalle tre suddette società, il tribunale amministrativo della Regione Toscana ha revocato, in primo grado, le misure in parola. L’adunanza plenaria del Consiglio di Stato (in prosieguo: il «Consiglio di Stato») è chiamata ora a pronunciarsi sul ricorso in appello proposto dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (Ministero dell’ambiente italiano) contro le tre sentenze in parola.

 

17.      Nell’ambito del suddetto procedimento il Consiglio di Stato ha sottoposto alla Corte la seguente questione:

 

«Se i principi dell’Unione europea in materia ambientale sanciti dall’articolo 191, paragrafo 2, del TFUE e dalla direttiva sulla responsabilità ambientale (articoli 1 e 8, paragrafo 3, considerando 13 e 24) – in particolare, il principio “chi inquina paga”, il principio di precauzione, il principio dell’azione preventiva, il principio della correzione, in via prioritaria, alla fonte, dei danni causati all’ambiente – ostino a una normativa nazionale, quale quella delineata dagli articoli 244, 245, 253 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, che, in caso di accertata contaminazione di un sito e di impossibilità di individuare il soggetto responsabile della contaminazione o di impossibilità di ottenere da quest’ultimo gli interventi di riparazione, non consenta all’autorità amministrativa di imporre l’esecuzione delle misure di sicurezza d’emergenza e di bonifica al proprietario non responsabile dell’inquinamento, prevedendo, a carico di quest’ultimo, soltanto una responsabilità patrimoniale limitata al valore del sito dopo l’esecuzione degli interventi di bonifica».

 

18.      Nel corso della fase scritta del procedimento il Consiglio di Stato ha informato la Corte del fatto che la Versalis S.p.A. (in prosieguo: la «Versalis») è intervenuta nel giudizio. Hanno preso posizione per iscritto, quali parti del procedimento principale, la Ivan S.r.l. (in prosieguo: la «Ivan»), la Edison S.p.A. (in prosieguo: la «Edison») e la Versalis oltre, quali altre parti, la Repubblica di Polonia, la Repubblica italiana e la Commissione europea. All’udienza del 5 novembre 2014 hanno presenziato la Ivan, la Edison, la Versalis, la Repubblica italiana e la Commissione.

 

IV – Analisi

 

19.      Il Consiglio di Stato chiede se i principi dell’articolo 191, paragrafo 2, TFUE e della direttiva sulla responsabilità ambientale ostino a disposizioni del diritto nazionale le quali, in caso di accertata contaminazione di un sito e di impossibilità di individuare il soggetto responsabile della contaminazione o di impossibilità di ottenere da quest’ultimo gli interventi di riparazione, non consentano all’autorità amministrativa di imporre l’esecuzione delle misure di sicurezza d’emergenza e di bonifica al proprietario non responsabile dell’inquinamento, prevedendo, a carico di quest’ultimo, soltanto una responsabilità patrimoniale limitata al valore del sito dopo l’esecuzione degli interventi di bonifica.

 

20.      Occorre poi verificare se il diritto dell’Unione obblighi gli Stati membri a imporre al proprietario di un fondo contaminato determinate misure di messa in sicurezza e bonifica del medesimo anche se non è responsabile della contaminazione.

 

21.      A tal fine, si deve anzitutto analizzare la disciplina speciale della direttiva sulla responsabilità ambientale per poi esaminare, in dettaglio, i principi dell’articolo 191, paragrafo 2, TFUE. Mi occuperò, infine, brevemente della normativa europea in materia di rifiuti, benché essa non formi oggetto del rinvio.

 

22.      Desidero anticipare il risultato di tale esame: non è possibile in effetti escludere che l’Unione concretizzi i principi dell’articolo 191, paragrafo 2, TFUE nel senso di un obbligo corrispondente (3). Nella direttiva sulla responsabilità ambientale citata dal Consiglio di Stato tuttavia non è possibile individuare una tale concretizzazione. Né dovrebbe la Corte, nel presente procedimento, verificare se altre disposizioni, ad esempio la normativa in materia di rifiuti, abbiano una portata maggiore, al fine di evitare di emanare una decisione a sorpresa non sufficientemente ponderata.

 

A –    Sulla direttiva sulla responsabilità ambientale

 

1.      Sull’ammissibilità della questione sulla direttiva sulla responsabilità ambientale

 

23.      Due sono i motivi per i quali si potrebbe dubitare dell’ammissibilità della questione nella parte in cui riguarda la direttiva sulla responsabilità ambientale. Entrambi vertono sulla sua rilevanza.

 

24.      In primo luogo, in base alla domanda di pronuncia pregiudiziale è dubbio se le disposizioni italiane possano essere interpretate nel senso di fondare la più ampia responsabilità dei proprietari del fondo indicata nella questione. Una direttiva può tuttavia fondare obblighi a carico dei singoli solo con l’aiuto di una conforme interpretazione del diritto interno (4). È quindi possibile che l’interpretazione della direttiva sulla responsabilità ambientale da parte della Corte non influenzi la decisione nella causa principale.

 

25.      Nell’ambito di un rinvio pregiudiziale, non spetta tuttavia alla Corte pronunciarsi sull’interpretazione delle disposizioni nazionali (5). Ne consegue che resta ferma la presunzione di pertinenza che inerisce alle questioni proposte in via pregiudiziale dai giudici nazionali per la decisione nella controversia principale (6).

 

26.      Lo stesso vale in definitiva anche rispetto al secondo motivo che può indurre a dubitare della rilevanza. Esso riguarda l’applicazione ratione temporis della direttiva sulla responsabilità ambientale nella controversia principale.

 

27.      La direttiva sulla responsabilità ambientale si applica, in base all’articolo 17, ai danni causati da un’emissione, un evento o un incidente avvenuti dopo il 30 aprile 2007 quando questi danni derivano o da attività svolte successivamente a tale data, o da attività svolte anteriormente a tale data, ma non ultimate prima della scadenza della medesima (7).

 

28.      Le informazioni della Edison, secondo cui l’attività di contaminazione è cessata già nel 1988 e le superfici sono state – eventualmente non con pieno successo – bonificate nel 1995, depongono quindi contro un’applicazione della direttiva sulla responsabilità ambientale nel procedimento principale. Ai fini dell’applicazione della direttiva non rileverebbe neppure il fatto che le società interessate siano le aventi causa di un’impresa che ha causato danni prima del 30 aprile 2007 (8).

 

29.      Spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare, in base ai fatti che esso solo è in grado di valutare, se, nella causa principale, i danni oggetto delle misure di riparazione ambientale decise dalle autorità nazionali competenti rientrino in una delle ipotesi elencate nel punto 17 della direttiva sulla responsabilità ambientale. Occorre prendere posizione al riguardo nell’eventualità che il giudice del rinvio giunga alla conclusione che la direttiva è applicabile ratione temporis nel procedimento principale (9).

 

2.      Sulle disposizioni della direttiva sulla responsabilità ambientale

 

30.      La questione se i principi della direttiva sulla responsabilità ambientale obblighino gli Stati membri a prevedere a carico del proprietario di un fondo contaminato determinate misure di messa in sicurezza e bonifica dello stesso anche se non ha causato la contaminazione, è sorprendente. L’aver causato i danni ambientali è infatti il presupposto degli obblighi indicati nella direttiva a carico delle persone fisiche o giuridiche.

 

31.      Ai sensi del suo articolo 1, la direttiva sulla responsabilità ambientale istituisce, sulla base del principio «chi inquina paga», un quadro per la responsabilità ambientale per la prevenzione e la riparazione del danno ambientale. Essa si applica, quindi, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, al danno ambientale causato da un’attività professionale e a qualsiasi minaccia imminente di un tale danno a seguito di una di dette attività. L’operatore responsabile di tali attività deve, a norma degli articoli da 5 a 7, adottare le necessarie misure di prevenzione e di riparazione e, a norma degli articoli da 8 a 10 e del considerando 18, sostenerne i relativi costi.

 

32.      Il considerando 2 della direttiva sulla responsabilità ambientale chiarisce che tale responsabilità dovrebbe indurre l’operatore ad adottare misure e a sviluppare pratiche atte a ridurre al minimo i rischi di danno ambientale. Affinché la responsabilità civile sia (come ivi auspicato) efficace, il considerando 13 chiarisce che è necessario che vi siano uno o più inquinatori individuabili, che il danno sia concreto e quantificabile e sia possibile accertare nessi causali tra il danno e gli inquinatori individuati.

 

33.      La particolare importanza della causalità è sottolineata anche dal considerando 20 e dall’articolo 8, paragrafo 3, della direttiva sulla responsabilità ambientale. In base ad essi, non sarebbe possibile chiedere a un operatore di sostenere i costi di misure di prevenzione o riparazione adottate conformemente alla presente direttiva in situazioni in cui il danno in questione o la minaccia imminente di esso derivano da eventi indipendenti dalla sua volontà. Tale esonero da responsabilità è quindi possibile anche se l’attività professionale dell’operatore causa un danno. Ai fini dell’esonero da responsabilità questi deve dimostrare che il danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno sono stati causati da un terzo, e che esso si è verificato nonostante l’adozione di opportune misure di sicurezza. Tale eccezione opera quindi, ad esempio, per il sabotaggio o gli interventi dall’esterno.

 

34.      L’articolo 8, paragrafo 3, della direttiva sulla responsabilità ambientale non deve invece essere interpretato, contrariamente a un’ipotesi formulata dal Consiglio di Stato, nel senso che sarebbe automaticamente possibile supporre, sino alla prova di una diversa causa, che l’operatore che utilizza un fondo contaminato abbia causato tale contaminazione. La disposizione in parola libera invece l’operatore nonostante la prova che il danno è stato causato mediante la sua attività professionale.

 

35.      A prescindere dall’articolo 8, paragrafo 3, la Corte ha tuttavia già interpretato la direttiva sulla responsabilità ambientale nel senso di ritenere possibile una corrispondente presunzione a carico degli operatori. Gli Stati membri dispongono infatti nel caso di inquinamento a carattere diffuso e generale, specialmente nell’accertamento delle cause, di un ampio potere discrezionale (10). È quindi anche possibile presumere l’esistenza di un nesso di causalità in presenza di indizi plausibili, quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato o la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell’esercizio della sua attività (11).

 

36.      Il principio «chi inquina paga» non significa invece che l’operatore sia tenuto a sostenere oneri collegati con la riparazione di un danno ambientale di cui non sia responsabile (12). La Corte ha quindi osservato che, in base all’articolo 11, paragrafo 4, della direttiva sulla responsabilità ambientale, gli operatori dispongono di rimedi giurisdizionali per impugnare le misure di riparazione adottate in base alla direttiva in parola, nonché per negare l’esistenza di un qualsiasi nesso di causalità tra la loro attività e l’inquinamento rilevato (13). Essi possono in particolare contestare la presunzione secondo cui avrebbero causato un danno (14).

 

37.      I meri proprietari di fondi danneggiati che non hanno causato il danno non svolgono alcun ruolo nel sistema sopra illustrato della direttiva sulla responsabilità ambientale. La direttiva non trova alcuna applicazione nei loro confronti (15).

 

38.      Nemmeno i principi della precauzione e dell’azione preventiva, nonché il principio della correzione, anzitutto alla fonte, dei danni causati all’ambiente modificano in qualche modo tale risultato. Anch’essi devono invero essere presi in considerazione in sede di interpretazione della direttiva sulla responsabilità ambientale, tuttavia non è chiaro in che modo potrebbero condurre ad una diversa interpretazione delle suesposte disposizioni.

 

39.      E neppure la necessità di un’efficace attuazione della direttiva sulla responsabilità ambientale, come richiesta dal considerando 24, può imporre di prevedere a carico dei proprietari dei terreni non responsabili del danno obblighi che eccedono quanto previsto nella direttiva.

 

3.      Sulla responsabilità dei proprietari dei terreni in base alla seconda sentenza ERG e a.

 

a)      In merito ad alcune traduzioni della sentenza

 

40.      Alcune traduzioni della seconda sentenza ERG e a. sembrano tuttavia attestare il contrario dei risultati finora raggiunti. In tre versioni linguistiche la Corte parla di proprietari (16), utenti (17) o concessionari (18) di terreni adiacenti al litorale oggetto delle misure di riparazione. Essa statuisce che, in circostanze eccezionali, la direttiva sulla responsabilità ambientale dovrebbe essere interpretata nel senso di consentire all’autorità competente di chiedere a tali soggetti di realizzare essi stessi le misure di riparazione (19).

 

41.      Si deve tuttavia ritenere che la Corte non abbia in tal modo inteso accertare gli obblighi dei proprietari, degli utenti o dei concessionari di terreni in quanto tali, ma si sia riferita agli operatori ai sensi della direttiva sulla responsabilità ambientale che svolgono sui terreni interessati attività economiche. Tutte le altre versioni linguistiche della sentenza in parola infatti, in particolare l’originale in francese, l’unico ad essere stato discusso dai giudici partecipanti, e la versione italiana vincolante, utilizzano la nozione di operatore (20) allo stesso modo della direttiva.

 

b)      Sulla responsabilità degli operatori per i pericoli derivanti dai loro fondi

 

42.      Ma anche tenendo conto di eventuali problemi di traduzione, in circostanze eccezionali la direttiva sulla responsabilità ambientale deve essere interpretata, in base alla seconda sentenza ERG e a., apparentemente nel senso che l’autorità competente può esigere dai proprietari che svolgono sui fondi attività ai sensi della direttiva l’attuazione in proprio di misure di riparazione (21). Un contributo causale all’evento non è ivi indicato quale presupposto.

 

43.      Una simile responsabilità dell’operatore corrisponderebbe al parere della Repubblica italiana. In base ad essa, il principio «chi inquina paga» fonda una responsabilità oggettiva delle imprese proprietarie di terreni utilizzati per fini industriali per le contaminazioni dei suddetti fondi. Essi trarrebbero dal fondo l’utilità economica e sarebbero pertanto responsabili di tutti i rischi che ne derivano. Non sarebbe pertanto necessario accertare se essi abbiano causato o meno la contaminazione.

 

44.      Ma anche questa interpretazione delle affermazioni della Corte non convince. La Corte motiva infatti in seguito la sua affermazione con gli obblighi che la direttiva sulla responsabilità ambientale pone a carico degli operatori che hanno causato un danno ambientale (22).

 

45.      L’interpretazione della seconda sentenza ERG e a., esposta al punto 42, contrasterebbe inoltre con gli altri accertamenti compiuti lo stesso giorno nella prima sentenza ERG e a. secondo cui la responsabilità dell’operatore dipenderebbe dal fatto che questi abbia causato dei danni, accertamenti che, a loro volta, si riferirebbero a una giurisprudenza precedente (23). In base al principio «chi inquina paga» l’obbligo di riparazione graverebbe sugli operatori solo per il fatto che essi hanno contribuito all’insorgenza della contaminazione o al rischio di contaminazione (24). In base al principio «chi inquina paga» gli operatori non sono neppure tenuti a sostenere oneri inerenti alla riparazione di un inquinamento al quale non abbiano contribuito (25).

 

46.      L’accertamento della Corte nella seconda sentenza ERG e a. può quindi riferirsi soltanto a operatori che hanno causato un danno anche se – come già osservato (26) – tale responsabilità è solo presunta.

 

4.      Sulle discipline più rigorose degli Stati membri

 

47.      I proprietari dei terreni possono però essere chiamati a rispondere, sulla base di provvedimenti adottati dagli Stati membri, di danni ambientali da essi non causati. In base all’articolo 16, infatti, la direttiva sulla responsabilità ambientale non preclude agli Stati membri di mantenere o adottare disposizioni più severe in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale. L’individuazione di altri soggetti responsabili è ivi espressamente citata.

 

48.      Tale facoltà è limitata dagli obiettivi della direttiva sulla responsabilità ambientale che gli Stati membri non possono ignorare (27). Essi non potrebbero quindi, in particolare, individuare altri soggetti responsabili chiamati a prendere il posto degli autori del danno reputati responsabili in base alla direttiva. Posto che la responsabilità prevista in Italia a carico dei meri proprietari presuppone però ai sensi dell’articolo 253, paragrafo 3, del decreto legislativo n. 152 che l’autore non possa essere identificato o che non possano essere fatti valere i costi nei suoi confronti, la norma non pregiudica l’obiettivo in parola.

 

49.      Ai fini della domanda di pronuncia pregiudiziale rileva però soltanto se la possibilità offerta dall’articolo 16 della direttiva sulla responsabilità ambientale di emanare disposizioni più rigorose fondi un obbligo di prevedere a carico dei proprietari che non hanno causato il danno una responsabilità maggiore di quella sino ad ora prevista.

 

50.      In senso contrario depone il fatto che gli Stati membri dispongono, nell’esercizio della competenza in parola, di una certa discrezionalità. Essa può però trovare dei limiti, qui ad esempio – come già osservato – nel senso di non contrastare con gli obiettivi della direttiva sulla responsabilità ambientale. I margini di discrezionalità possono poi essere eccezionalmente ridotti nella misura in cui esiste un obbligo di esercizio di una competenza.

 

51.      Da una lettura superficiale dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva VIA (28), si potrebbe ad esempio pervenire alla conclusione che gli Stati membri sono liberi di stabilire se occorra o meno verificare le ripercussioni sull’ambiente dei progetti di cui all’allegato II. Dalla giurisprudenza risulta tuttavia che, in ragione degli obiettivi della direttiva in parola, è necessario compiere un tale esame quando il progetto può avere ripercussioni notevoli sull’ambiente (29).

 

52.      A differenza di quanto precede, né dall’articolo 16, né da altre disposizioni della direttiva sulla responsabilità ambientale risultano elementi concreti per una limitazione della discrezionalità riconosciuta in sede di disciplina nel senso che i proprietari del terreno debbano essere chiamati ad effettuare la bonifica dei danni ambientali qualora non abbiano causato il danno. La direttiva sottintende tutt’al più che gli Stati membri possano obbligare tali soggetti a tollerare sui propri fondi le misure necessarie e, se del caso, a collaborare alla loro esecuzione. Per tale motivo l’articolo 12, paragrafo 4, prevede che essi siano sentiti.

 

53.      Ulteriori limiti al potere discrezionale degli Stati membri in base all’articolo 16 della direttiva sulla responsabilità ambientale possono ricavarsi dai principi in materia ambientale di cui all’articolo 191, paragrafo 2, TFUE citati nella domanda di pronuncia pregiudiziale (30). Anche l’articolo 16 è stato emanato in base all’articolo 192, paragrafo 1, TFUE, ai fini del raggiungimento di tali obiettivi. Si deve quindi ritenere che l’articolo 16 della direttiva sulla responsabilità ambientale, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell’Unione, miri al raggiungimento di un elevato grado di tutela e si fondi sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio «chi inquina paga».

 

54.      Il significato del principio «chi inquina paga» coincide essenzialmente con i confini delineati dagli obiettivi della direttiva sulla responsabilità ambientale per l’applicazione dell’articolo 16. Gli Stati membri non possono ignorare il principio «chi inquina paga» prevedendo accanto o al posto degli autori ulteriori responsabili. Essi possono quindi prevedere soltanto che altri soggetti responsabili rispondano in via sussidiaria.

 

55.      Ciò corrisponde peraltro al principio dell’azione preventiva. Gli autori, se consapevoli di essere pienamente responsabili dei danni, adottano le necessarie misure di prevenzione per far sì che i danni non si verifichino. E gli autori sono di norma i soggetti che possono adottare le misure più efficaci.

 

56.      Il principio dell’azione preventiva esige inoltre, come il principio della correzione, anzitutto alla fonte, dei danni causati all’ambiente che, a prescindere da ulteriori contributi al nesso causale da parte dei proprietari, siano adottate sui fondi inquinati misure volte a evitare un incremento dei danni. A determinate condizioni può anche essere necessario che il proprietario sostenga tali misure con la sua migliore conoscenza del fondo. Sarebbe altrimenti molto più difficile se non addirittura impossibile evitare tale estensione. Nessuno dei due principi esige invece di norma che i proprietari in parola siano coinvolti direttamente nella bonifica.

 

57.      Inoltre il principio dell’azione preventiva depone nel senso di obbligare, in determinati casi, i proprietari dei fondi ad adottare misure preventive di tutela nei confronti di rischi per i quali sono responsabili essenzialmente soggetti terzi. Sarebbe ad esempio ipotizzabile che il proprietario di un fondo sul quale siano stati in più occasioni depositati illegalmente dei rifiuti debba recintare il fondo in questione al fine di evitare ulteriori violazioni. Anche gli obblighi dei proprietari, sottolineati dalla Repubblica italiana, di cui all’articolo 245, comma 2, del decreto legislativo n. 152, di denunciare gli inquinamenti e di adottare determinate misure di prevenzione si basano su tale concetto. La domanda di pronuncia pregiudiziale non contiene tuttavia alcuna indicazione nel senso che si tratterebbe nella fattispecie di tale manifestazione del principio dell’azione preventiva. Non è pertanto necessario approfondire tale concetto, che depone eventualmente a favore di una responsabilità del proprietario.

 

58.      Non è dato capire inoltre come il principio della precauzione dovrebbe influenzare, nel caso di specie, l’interpretazione dell’articolo 16 della direttiva sulla responsabilità ambientale rispetto alla responsabilità per la bonifica da parte dei proprietari dei fondi che non hanno causato alcun danno. In base a tale principio possono essere adottate misure di tutela quando sussiste una situazione di incertezza riguardo all’esistenza o alla portata dei rischi per la salute delle persone, senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate l’esistenza e la gravità di tali rischi (31). Il principio in parola non può però trovare applicazione quando si è accertato che una persona non ha cagionato il danno.

 

59.      Se invece non è chiaro se un proprietario del terreno abbia cagionato un danno, ciò può legittimare la presunzione di nesso di causalità sopra illustrata (32). Non vi è però allora più spazio per l’applicazione dell’articolo 16 della direttiva sulla responsabilità ambientale.

 

60.      Resta così soltanto l’obiettivo di un elevato livello di tutela. La previsione di un’ampia responsabilità sussidiaria dei proprietari dei terreni per i danni ambientali sui fondi sarebbe di certo in linea con tale obiettivo. Essa permetterebbe infatti di concentrare le limitate risorse pubbliche sui danni per i quali non può essere individuato assolutamente alcun responsabile.

 

61.      Ritengo tuttavia non si possa, con l’aiuto del suddetto obiettivo, configurare come obbligo la facoltà prevista nell’articolo 16 della direttiva sulla responsabilità ambientale di identificare ulteriori responsabili. Tale facoltà trasferisce invece in capo agli Stati membri il potere di comparare l’obiettivo di un elevato livello di tutela con altri obiettivi, ad esempio i diritti fondamentali dei proprietari dei terreni. Diversamente, qualsiasi facoltà, sancita dal diritto derivato, di emanare misure di tutela più rigorose, obbligherebbe gli Stati membri a prevedere, al di là delle disposizioni di diritto derivato, il livello di tutela più elevato immaginabile.

 

5.      Conclusione intermedia

 

62.      Ne consegue che i principi dell’Unione europea in materia ambientale sanciti dalla direttiva sulla responsabilità ambientale (articoli 1, 8, paragrafo 3, e 16, e considerando 13 e 24) e dall’articolo 191, paragrafo 2, TFUE – in particolare, il principio «chi inquina paga», i principi della precauzione e dell’azione preventiva e il principio, della correzione, in via prioritaria, alla fonte, dei danni causati all’ambiente – non ostano a una normativa nazionale che, in caso di accertata contaminazione di un sito e di impossibilità di individuare il soggetto responsabile della contaminazione o di impossibilità di ottenere da quest’ultimo gli interventi di riparazione, non consenta all’autorità amministrativa di imporre l’esecuzione delle misure di sicurezza d’emergenza e di bonifica al proprietario non responsabile dell’inquinamento, prevedendo, a carico di quest’ultimo, soltanto una responsabilità patrimoniale limitata al valore del sito dopo l’esecuzione degli interventi di bonifica.

 

B –    Sull’articolo 191, paragrafo 2, TFUE

 

63.      La domanda di pronuncia pregiudiziale mira tuttavia anche ad ottenere l’applicazione isolata dei principi dell’articolo 191, paragrafo 2, TFUE. Occorre analizzare i dubbi quanto alla rilevanza, ai fini della decisione, delle affermazioni contenute nella direttiva sulla responsabilità ambientale (33), sia dal punto di vista della prospettiva del diritto dell’Unione che dal punto di vista del diritto interno.

 

1.      Sull’efficacia a livello di diritto dell’Unione dell’articolo 191, paragrafo 2, TFUE

 

64.      L’articolo 191, paragrafo 2, TFUE sancisce i principi della politica in materia ambientale dell’Unione. Ai sensi dell’articolo 192 spetta al legislatore dell’Unione realizzare tale politica (34). Gli obblighi degli Stati membri non possono invece essere fondati direttamente su tale disposizione (35).

 

65.      Il diritto dell’Unione non obbliga nemmeno gli Stati membri a tener conto di tali principi direttamente in sede di interpretazione del diritto interno, che essi emanano in modo indipendente dal diritto dell’Unione e al di fuori del suo ambito di applicazione.

 

66.      Di conseguenza, i principi dell’articolo 191, paragrafo 2, TFUE devono, in base al diritto dell’Unione, essere presi in considerazione anzitutto in sede di interpretazione del diritto derivato dell’Unione applicabile (36) come accaduto, nel caso di specie, con la direttiva sulla responsabilità ambientale.

 

2.      Sull’efficacia dell’articolo 191, paragrafo 2, TFUE in base al diritto italiano

 

67.      La Versalis sottolinea tuttavia l’articolo 3ter del decreto legislativo n. 152. Tale disposizione si richiama espressamente alla precedente versione dell’articolo 191, paragrafo 2, TFUE. Essa obbliga chiunque, soggetti pubblici e privati, a tutelare l’ambiente mediante un’adeguata azione informata ai principi della precauzione e dell’azione preventiva, al principio della correzione, anzitutto alla fonte, dei danni causati all’ambiente, oltre che al principio «chi inquina paga».

 

68.      Tale disposizione del diritto italiano potrebbe comportare che il diritto italiano dell’ambiente nel suo insieme o almeno le regole sancite dal decreto legislativo n. 152 debbano, se possibile, essere interpretate in linea con i succitati principi dell’articolo 191, paragrafo 2, TFUE. In tal caso, ai fini della decisione nel procedimento principale, assumerebbe rilievo l’interpretazione che occorre dare ai suddetti principi indipendentemente dal diritto derivato dell’Unione. Ad essi andrebbe così riconosciuta, in ragione del diritto interno, un’«efficacia esorbitante», come già ammesso dalla Corte per le direttive (37) o per i diritti fondamentali in relazione al divieto di discriminazione a danno di cittadini nazionali (38) (39).

 

69.      La Corte non è tuttavia competente a stabilire se all’articolo 3ter del decreto legislativo n. 152 vada riconosciuta una tale efficacia nel diritto italiano. Tale compito spetta ai giudici italiani (40) e sarebbe stato auspicabile che fosse stato precisato nella domanda di pronuncia pregiudiziale (41).

 

70.      Nel caso di specie è evidentemente l’articolo 3ter del decreto legislativo n. 152 ad essere implicitamente alla base della domanda di pronuncia pregiudiziale. Diversamente non si riuscirebbe a comprendere perché un giudice come il Consiglio di Stato italiano discuta in modo diffuso i principi dell’articolo 191, paragrafo 2, TFUE senza praticamente metterli in collegamento con le norme del diritto derivato dell’Unione, fermo restando inoltre che l’applicabilità ratione temporis delle suddette disposizioni, vale a dire della direttiva sulla responsabilità ambientale, è oltremodo dubbia.

 

71.      In definitiva, si può tuttavia omettere di valutare se l’efficacia dell’articolo 3ter del decreto legislativo n. 152 sia stata sufficientemente discussa nella domanda di pronuncia pregiudiziale. Anche se si sostenesse che i principi dell’articolo 191, paragrafo 2, TFUE caratterizzano, in ragione di tale disposizione, il diritto ambientale italiano a prescindere dal diritto derivato dell’Unione, non risulta evidente che ciò condurrebbe a un risultato diverso rispetto all’interpretazione dell’articolo 16 della direttiva sulla responsabilità ambientale.

 

C –    Sulla normativa in materia di rifiuti

 

72.      Già nelle mie conclusioni nella causa ERG e a. ho brevemente illustrato che il diritto in materia di rifiuti dell’Unione prevede eventualmente una maggiore responsabilità dei proprietari dei terreni per la bonifica delle superfici inquinate rispetto a quanto previsto nella direttiva sulla responsabilità ambientale, ma che esso esige anzitutto che ne vengano chiamati a rispondere gli autori (42). In base ad esso non sembra esclusa la possibilità di ravvisare, in via subordinata, una responsabilità anche in capo ai proprietari dei fondi inquinati, altrimenti estranei, in qualità di possessori dei rifiuti (articoli 14 e 15 della direttiva sui rifiuti (43)).

 

73.      Posto che il Consiglio di Stato e le parti discutono nel dettaglio di tali conclusioni ma allo stesso tempo non si occupano del diritto dell’Unione in materia di rifiuti, suggerisco tuttavia alla Corte di omettere anch’essa di pronunciarsi su tali disposizioni.

 

74.      Una decisione sulla responsabilità basata sul diritto in materia di rifiuti per i fondi inquinati solleverebbe infatti questioni difficili e in parte problematiche pur non essendone chiaro la potenziale rilevanza ai fini del procedimento principale.

 

75.      La Corte ha in effetti già statuito che gli idrocarburi accidentalmente sversati nel terreno, nelle acque sotterranee o in mare, i quali non possano più essere utilizzati conformemente alla loro destinazione, debbono essere considerati rifiuti (44). Va del pari considerato quale rifiuto il terreno contaminato a seguito di uno sversamento accidentale di idrocarburi (45). Tuttavia, in sede di revisione della direttiva in materia di rifiuti, il legislatore ha rivisto quantomeno l’accertamento del carattere di rifiuto del terreno contaminato (46) nella misura in cui ha ormai escluso, a norma dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), della direttiva rifiuti, dal suo ambito di applicazione il terreno (in situ), incluso il suolo contaminato non escavato.

 

76.      Resta tuttavia dubbio se la disciplina in parola escluda effettivamente i terreni inquinati dall’applicazione del diritto in materia di rifiuti. Quando una sostanza inquinante diviene, mediante la contaminazione, rifiuto, tale qualità può infatti difficilmente venir meno per il fatto che si mescola al terreno (47). In pratica non dovrebbe però esserci nessuna differenza a seconda che si consideri il terreno inquinato nel suo insieme come rifiuto o soltanto le sostanze inquinanti. Si pongono poi talune questioni – potenzialmente delicate – sul rapporto tra diritto in materia di rifiuti e direttiva sulla responsabilità ambientale.

 

77.      Non è anzitutto chiaro se eventuali affermazioni in merito a tale delicata questione avrebbero una qualche rilevanza ai fini della decisione della controversia principale. Da un lato, la Corte non ha praticamente ricevuto, con la domanda di pronuncia pregiudiziale, informazioni sulle disposizioni applicabili del diritto italiano in materia di rifiuti. Anche il diritto dell’Unione in materia di rifiuti può tuttavia prevedere obblighi a carico di singoli o di imprese solo se è stato oggetto di attuazione negli Stati membri o se il diritto interno può quantomeno essere interpretato in modo conforme (48). Dall’altro, non è chiaro se i provvedimenti controversi possano essere ancora riferiti, a posteriori, al diritto in materia di rifiuti.

 

78.      Se, alla luce della risposta fornita dalla Corte alla domanda di pronuncia pregiudiziale, il Consiglio di Stato dovesse tuttavia giungere alla conclusione che, ai fini della decisione del procedimento principale, può assumere rilievo una responsabilità basata sul diritto in materia di rifiuti, questi dovrebbe formulare una nuova domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte.

 

V –    Conclusione

 

79.      Propongo, pertanto, alla Corte di rispondere come segue alla domanda di pronuncia pregiudiziale:

 

I principi dell’Unione europea in materia ambientale sanciti dall’articolo 191, paragrafo 2, del TFUE e dalla direttiva 2004/35/CE sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale (articoli 1, 8, paragrafo 3, e 16, e considerando 13 e 24) – in particolare, il principio «chi inquina paga», i principi della precauzione e dell’azione preventiva, il principio della correzione, in via prioritaria, alla fonte, dei danni causati all’ambiente – non ostano a una normativa nazionale che, in caso di accertata contaminazione di un sito e di impossibilità di individuare il soggetto responsabile della contaminazione o di impossibilità di ottenere da quest’ultimo gli interventi di riparazione, non consenta all’autorità amministrativa di imporre l’esecuzione delle misure di sicurezza d’emergenza e di bonifica al proprietario non responsabile dell’inquinamento, prevedendo, a carico di quest’ultimo, soltanto una responsabilità patrimoniale limitata al valore del sito dopo l’esecuzione degli interventi di bonifica.

 

1 –      Lingua originale: il tedesco.

 

2 –      Direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale (GU L 143, pag. 56); si applica, molto probabilmente, la versione della direttiva 2009/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, relativa allo stoccaggio geologico di biossido di carbonio (GU L 140, pag. 114). Le modifiche successive introdotte con la direttiva 2013/30/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 giugno 2013, sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi (GU L 178, pag. 66) devono essere attuate soltanto nel 2015.

 

3 –      V. già le mie conclusioni nelle cause C-378/08, C-379/08 e C-380/08 (ERG e a., EU:C:2009:650, paragrafi 111 e segg.).

 

4 –      V. mie conclusioni nella causa Commune de Mesquer (C-188/07, EU:C:2008:174, paragrafo 133 e giurisprudenza ivi citata).

 

5 –      V. anche sentenza Angelidaki e a. (da C-378/07 a C-380/07, EU:C:2009:250, punto 48).

 

6 –      V. sentenza Pupino (C-105/03, EU:C:2005:386, punto 30).

 

7 –      Sentenze ERG e a. (C-378/08, EU:C:2010:126, punto 41, nonché C-379/08 e C-380/08, EU:C:2010:127, punto 34).

 

8 –      Ciò vale possibilmente per la Edison, che trae apparentemente origine dal gruppo Montedison, società quest’ultima che, in passato, aveva utilizzato i fondi controversi e che, in base alle indicazioni della Ivan, è anche responsabile della contaminazione.

 

9 –      Sentenze ERG e a. (EU:C:2010:126, punti 43 e 47, e EU:C:2010:127, punti 36 e 40).

 

10 –      Sentenza ERG e a. (EU:C:2010:126, punto 55).

 

11 –      Sentenza ERG e a. (EU:C:2010:126, punto 57).

 

12 –      Sentenze Standley e a. (EU:C:1999:215, punto 50) ed ERG e a. (EU:C:2010:126, punto 67).

 

13 –      Sentenza ERG e a. (EU:C:2010:126, punto 67).

 

14 –      Sentenza ERG e a. (EU:C:2010:126, punto 58).

 

15 –      Vedi, in questo senso, sentenza ERG e a. (EU:C:2010:126, punto 58).

 

16 –      In lituano: «sklypu savininkams».

 

17 –      In tedesco: «Nutzern der Grundstücke».

 

18 –      Nella versione portoghese: «concessionários dos terrenos».

 

19 –      Sentenza ERG e a. (EU:C:2010:127, punto 78; v. anche punto 82).

 

20 –      In francese «exploitants» e in italiano «operatori».

 

21 –      Sentenza ERG e a. (EU:C:2010:127, punto 78; v. anche punto 82).

 

22 –      Sentenza ERG e a. (EU:C:2010:127, punti da 87 a 90).

 

23 –      Sentenza ERG e a. (EU:C:2010:126, punti da 52 a 59 e da 64 a 67).

 

24 –      Sentenza ERG e a. (EU:C:2010:126, punto 57) che rimanda alla sentenza Commune de Mesquer (EU:C:2008:359, punto 77).

 

25 –      Sentenza ERG e a. (EU:C:2010:126, punto 67) che rimanda alla sentenza Standley e a. (EU:C:1999:215, punto 51).

 

26 –      V. supra paragrafo 35.

 

27 –      Sentenza ERG e a. (EU:C:2010:127, punti 65 e 66). V. anche le mie conclusioni nelle cause C-378/08 e C-379/08 e C-380/08 (ERG e a., EU:C:2009:650, paragrafi da 96 a 115).

 

28 –      Direttiva 2011/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati (GU 2012, L 26, pag. 1).

 

29 –      Sentenze Kraaijeveld e a. (C-72/95, EU:C:1996:404, punto 50); WWF e a. (C-435/97, EU:C:1999:418, punto 36) e Salzburger Flughafen (C-244/12, EU:C:2013:203, punto 29).

 

30 –      V. sentenze Commune de Mesquer (C-188/07, EU:C:2008:359, punto 38); Commissione/Regno Unito (C-301/10, EU:C:2012:633, punto 49); Shell Nederland (C-241/12 e C-242/12, EU:C:2013:821, punto 38), e Commissione/Francia (C-237/12, EU:C:2014:2152, punto 30).

 

31 –      Sentenze National Farmers’ Union e a. (C-157/96, EU:C:1998:191, punto 63); Agrarproduktion Staebelow (C-504/04, EU:C:2006:30, punto 39), e Afton Chemical (C-343/09, EU:C:2010:419, punto 61 e 62).

 

32 –      V. supra, paragrafo 35.

 

33 –      V., supra, paragrafi da 23 a 29.

 

34 –      V. sentenze Peralta (C-379/92, EU:C:1994:296, punto 57) e ERG e a. (EU:C:2010:126, punto 45).

 

35 –      Sentenze Peralta (EU:C:1994:296, punto 58) e ERG e a. (EU:C:2010:126, punto 46).

 

36 –      V. riferimenti nella nota 30.

 

37 –      Sentenze Dzodzi (C-297/88 e C-197/89, EU:C:1990:360, punti da 35 a 39); Leur-Bloem (C-28/95, EU:C:1997:369, punto 32), e Salahadin Abdulla e a. (C-175/08, C-176/08, C-178/08 e C-179/08, EU:C:2010:105, punto 48).

 

38 –      Sentenze Guimont (C-448/98, EU:C:2000:663, punto 23); Servizi Ausiliari Dottori Commercialisti (C-451/03, EU:C:2006:208, punto 29), e Airport Shuttle Express (C-162/12 e C-163/12, EU:C:2014:74, punto 44).

 

39 –      V. altresì ordinanza De Bellis e a. (C-246/14, EU:C:2014:2291, punti da 15 a 17).

 

40 –      Sentenze Dzodzi (EU:C:1990:360, punti 41 e 42) e Leur-Bloem (EU:C:1997:369, punto 33).

 

41 –      V. ordinanza De Bellis e a. (C-246/14, EU:C:2014:2291, punto 20).

 

42 –      Conclusioni nelle cause C-378/08, C-379/08 e C-380/08 (ERG e a., EU:C:2009:650, paragrafi da 130 a 138).

 

43 –      Direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti (GU L 312, pag. 3). Disposizioni analoghe trovavano applicazione anche nelle precedenti direttive sui rifiuti applicabili dal 1977.

 

44 –      Sentenze Van de Walle e a. (C-1/03, EU:C:2004:490, punti da 47 a 50) e Commune de Mesquer (EU:C:2008:359, punti da 57 a 59).

 

45 –      Sentenza Van de Walle e a. (EU:C:2004:490, punto 52).

 

46 –      In questo senso Petersen, «Entwicklungen des Kreislaufwirtschaftsrechts – Die neue Abfallrahmenrichtlinie – Auswirkungen auf das Kreislaufwirtschafts- und Abfallgesetz», Neue Zeitschrift für Verwaltungsrecht 2009, pag. 1063 (in particolare, pag. 1064).

 

47 –      V. anche mie conclusioni Commissione/Italia e Commissione/Grecia (C-196/13 e C-378/13, EU:C:2014:2162, paragrafo 99).

 

48 –      V. mie conclusioni Commune de Mesquer (C-188/07, EU:C:2008:174, paragrafo 133 e giurisprudenza ivi citata).

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