HomeSentenzeArticoliLegislazionePrivacyRicercaChi siamo
TAR Lazio, Sez. III ter, 10/3/2015 n. 3972
Sono destinatarie della disciplina generale in tema di società partecipate anche le autorità portuali.

L'art. 1 della l. 23 dicembre 2014, n. 190 (l. stabilità 2015) ribadita la perdurante operatività dell'art. 3, commi 27-29, l. n. 244/07 e dell'art. 1, co. 569, l. n. 147/13, ha disposto al c. 611 che "al fine di assicurare il coordinamento della finanza pubblica, il contenimento della spesa, il buon andamento dell'azione amministrativa e la tutela della concorrenza e del mercato", i soggetti ivi indicati - regioni, enti locali e altri enti, incluse le "autorità portuali" - debbano avviare dall'1.1.2015 "un processo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute, in modo da conseguire la riduzione delle stesse entro il 31 dicembre 2015", anche tenendo conto di una serie di criteri, tra i quali l'"eliminazione delle società e delle partecipazioni societarie non indispensabili al perseguimento delle proprie finalità istituzionali, anche mediante messa in liquidazione o cessione" (lett. a), o l'"eliminazione delle partecipazioni detenute in società che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici strumentali, anche mediante operazioni di fusione o di internalizzazione delle funzioni" (lett. c). A tale scopo, il successivo co. 612 impone agli organi di vertice dei soggetti interessati di approvare entro il 31.3.2015 "un piano operativo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute, le modalità e i tempi di attuazione, nonché l'esposizione in dettaglio dei risparmi da conseguire" (piano da trasmettere alla competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti e da pubblicare nel sito internet istituzionale dell'amministrazione interessata, con ulteriore predisposizione, entro il 31.3.2016, di "una relazione sui risultati conseguiti", parimenti da trasmettere alla Corte dei conti e da pubblicare sul sito internet). Pertanto, nel caso di specie, non pare dubbio che anche le autorità portuali siano destinatarie della disciplina generale dinanzi menzionata. Vero è che l'art. 6, c. 6, l. n. 84/1994, delinea in modo espresso la capacità delle autorità portuali di costituire (o di partecipare a) enti societari. La disposizione prevede, infatti, che "le autorità portuali non possono esercitare, né direttamente né tramite la partecipazione di società, operazioni portuali ed attività ad esse strettamente connesse. Le autorità portuali possono costituire ovvero partecipare a società esercenti attività accessorie o strumentali rispetto ai compiti istituzionali affidati alle autorità medesime, anche ai fini della promozione e dello sviluppo dell'intermodalità, della logistica e delle reti trasportistiche". Tuttavia, tale norma non può essere intesa, quale clausola di esenzione dalla disciplina generale in forza del principio di specialità.

Materia: società / disciplina

N. 03972/2015 REG.PROV.COLL.

 

N. 05364/2013 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Ter)

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5364 del 2013, proposto da:

Security Service s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., in proprio e quale mandataria dell’ati costituita con la Security Service Sistemi s.r.l., rappresentata e difesa dall’avv. Andrea Abbamonte, presso lo studio del quale in Roma, Via degli Avignonesi n. 5, ha eletto domicilio

 

contro

Autorità portuale di Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Autorita per la vigilanza sui contratti pubblici, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, sono domiciliati;

 

nei confronti di

Port Authority Security s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti prof. Diego Vaiano, Raffaele Izzo e Francesco Cataldo, presso lo studio dei quali in Roma, Lungotevere Marzio n. 3, ha eletto domicilio

 

per l'annullamento

1) della deliberazione del Comitato portuale dell’Autorità portuale di Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta n. 104 del 6.11.2012, recante parere favorevole alla costituzione della società pubblica Port Authority Security s.r.l., con socio unico la medesima Autorità portuale;

 

2) dei pareri espressi dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con note prot. M_TRA/PORTI/2183 del 20.2.12 e prot. M_TRA/PORTI/14053 del 30.10.12, citati nella delibera sub 1;

 

3) della nota prot. n. 5856 dell’8.4.13, con cui l’anzidetta Autorità portuale ha comunicato alla ricorrente Security Service s.r.l. la volontà di recedere dal contratto in essere per il servizio di vigilanza armata e portierato nei porti di Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta;

 

4) del provvedimento, non noto, con cui l’Autorità portuale ha affidato alla società Port Authority Security, a far data dal 30.6.2013, il servizio di vigilanza armata e portierato nei porti di Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta;

 

5) se e in quanto occorrente, dell’atto costitutivo della società Port Authority Security del 19.12.12, rep. n. 56590, racc. n. 31494, del notaio Becchetti in Civitavecchia;

 

6) di ogni altro atto presupposto e consequenziale comunque lesivo degli interessi della ricorrente.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti intimate;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 5 febbraio 2015 il cons. M.A. di Nezza e uditi i difensori delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato quanto segue in fatto e in diritto.

 

FATTO

Con ricorso spedito per le notificazioni a mezzo del servizio postale il 3.6.2013 (depositato il successivo 11.6), la società Security Service, esercente il servizio di vigilanza armata e portierato nei porti di Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta in forza di contratto del 30.9.2009 (a seguito di aggiudicazione di gara pubblica) con la relativa Autorità portuale (in seguito, Autorità), avente scadenza al 30.9.2014, deducendo di avere ricevuto dall’amministrazione il 10.4.2013 comunicazione di recesso dal contratto (con decorrenza 30.6.2013) stante l’intenzione dell’Autorità di affidare il servizio alla società Port Authority Security (in breve, PAS) all’uopo costituita, ha chiesto, illustrata la normativa di riferimento (n. I ric.), l’annullamento degli atti indicati in epigrafe prospettandone l’illegittimità per i seguenti motivi (così rubricati: violazione e falsa applicazione dell’art. 4 d.l. n. 395/12; violazione della normativa e dei principi comunitari in tema di costituzione di società in house providing e di affidamento dei servizi pubblici; violazione del principio di par condicio; violazione del principio di buona amministrazione: eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, assenza dei presupposti; sviamento):

 

i) i provvedimenti di costituzione di PAS e di affidamento diretto alla stessa del servizio in questione sarebbero in contrasto con l’art. 4, co. 1, d.l. n. 95/2012, impositivo dello scioglimento delle società in house che svolgono servizi a favore delle pubbliche amministrazioni partecipanti (con ammontare superiore al 90% del fatturato); nel caso concreto, inoltre, non opererebbe l’esclusione prevista dalla norma con riferimento alle società incaricate dello svolgimento di servizi di interesse generale perché le attività oggetto dell’affidamento non integrerebbero un servizio pubblico (difettando il requisito della destinazione diretta all’utenza), ma un servizio posto a esclusiva utilità dell’amministrazione (n. II ric.);

 

ii) detti provvedimenti violerebbero anche l’art. 4, co. 3, d.l. cit., introduttivo di una deroga al precedente divieto per l’ipotesi di impossibilità di “efficace e utile ricorso al mercato”, in quanto i servizi di vigilanza sarebbero per loro natura agevolmente reperibili sul mercato a mezzo di gara pubblica (n. III ric.);

 

iii) sempre in relazione all’art. 4, co. 3, cit., l’amministrazione non avrebbe attivato l’iter istruttorio necessario per fruire della deroga (analisi di mercato; trasmissione degli esiti all’Autorità garante della concorrenza e del mercato - Agcm; parere vincolante di detta Autorità; n. IV ric.);

 

iv) PAS non sarebbe una società in house, difettando il requisito del controllo analogo; mancherebbero infatti disposizioni statutarie volte a garantire in modo certo e permanente la non cedibilità a terzi delle quote, ancorché all’atto della costituzione interamente possedute dall’Autorità (il silenzio dello statuto sul punto deporrebbe anzi nel senso della libera alienabilità delle quote societarie).

 

Si sono costituiti in resistenza l’Autorità e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (nonché l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici), che con memoria depositata il 24.6.2013, richiamate le modifiche della disciplina del servizio in questione, comportanti un aumento di costi (di ca. 3 mln di euro, a causa della necessità di utilizzare solo guardie giurate anche per le attività di portierato, in precedenza svolte da personale inquadrato con contratto multiservizi) già oggetto di una richiesta di revisione prezzi ex art. 115 d.lgs. n. 163/06 da parte della ricorrente, ed esposti gli elementi a base della determinazione di istituire una società dedicata cui affidare il servizio in argomento (previo recesso del contratto in essere), hanno confutato le doglianze, instando per la reiezione del ricorso.

 

Si è altresì costituita la società PAS, che ha eccepito l’inammissibilità dell’impugnazione per difetto d’interesse (avendo la ricorrente perso la gestione del servizio a causa del recesso intimato dall’Autorità, non già in dipendenza dell’affidamento al nuovo ente societario, affidamento peraltro non contestato; né la ricorrente potrebbe far valere la propria posizione di “operatore del settore”) e ne ha dedotto l’infondatezza nel merito.

 

All’odierna udienza, in vista della quale le parti hanno depositato ulteriore documentazione (tra cui il decreto del 28.12.2012 con cui il Presidente dell’Autorità portuale ha approvato l’affidamento dei servizi di security in favore di PAS, il verbale dell’1.7.2013 di avvio dell’esecuzione e la convenzione dell’11.11.2013 tra Autorità portuale e PAS con allegato capitolato d’oneri) e memorie anche di replica, il giudizio è stato discusso e trattenuto in decisione.

 

DIRITTO

1. La società Security Service contesta la scelta della resistente Autorità portuale di affidare a una società all’uopo costituita il servizio di sicurezza nei porti da essa in precedenza espletato in forza di contratto stipulato a seguito di aggiudicazione di gara pubblica.

Dai documenti in atti si rileva che con il parere del 20.2.2012 il Ministero vigilante, nel riscontrare la richiesta dell’Autorità volta a conoscerne l’opinione sulla possibilità di “internalizzare alcuni dei servizi di sicurezza - attualmente appaltati ad un’ati […] - attraverso la costituzione di una società in house totalmente detenuta dall’Autorità portuale”, ha chiarito come il servizio dovesse essere svolto “in maniera esclusiva” a favore dell’Autorità stessa, nel rispetto delle disposizioni del d.m. n. 154/09, e come spettasse al Comitato portuale la valutazione richiesta dall’art. 3, co. 27 ss., l. fin. 2008 circa la “sussistenza del requisito della ‘stretta necessità’ per il perseguimento dell’attività istituzionale dell’ente” (attraverso una motivata deliberazione da trasmettere alla Corte dei conti; nota 20.2.12).

Interpellato nuovamente sull’applicabilità del sopravvenuto art. 4 d.l. n. 95/2012, il Ministero ha confermato la propria posizione, richiamando l’attenzione sul comma 8 di detto articolo (nota 31.10.2012).

Con la deliberazione n. 104 del 6.11.2012 il Comitato portuale, muovendo dal rilievo (tra gli altri) che “lo svolgimento dei servizi di vigilanza è ritenuto strettamente necessario per il perseguimento delle finalità di natura prevalentemente di natura economica e che gli stessi rappresentano contestualmente strumento necessario per ottemperare alle esigenze di vigilanza nei termini previsti, in generale, dalla normativa di riferimento ed in particolare dal discendente piano di sicurezza portuale, e che tali oneri sono affidati all’Autorità portuale per tutte le aree non in concessione”, ha espresso “parere favorevole” alla costituzione della società Port Security, “la quale dovrà operare secondo le previsioni di cui ai piani di sicurezza approvati”, incaricando il presidente degli atti consequenziali (redazione dello statuto e stipula dell’atto costitutivo).

Il 19.12.2012 è stato perfezionato l’atto costitutivo, nel quale è riportato lo statuto del nuovo ente: in esso si prevede che la società (art. 4): ha per “oggetto esclusivo” lo svolgimento, per conto del socio unico, dei “servizi di sicurezza inerenti all’attuazione delle norme di security” di competenza dell’Autorità portuale (co. 1); “può svolgere servizi di sicurezza verso gli utenti portuali” (in attuazione di decisioni dell’Autorità e nell’ambito dei porti e delle aree “di giurisdizione dell’autorità stessa”; co. 2); può anche svolgere, “con carattere di assoluta marginalità, altre attività di rilevanza economica a favore dell’Autorità […] o di soggetti terzi, previa decisione del socio unico e purché ciò non rechi in alcun modo pregiudizio ed anzi si tratti di attività funzionali allo svolgimento dell’attività di servizi di sicurezza che deve, comunque, rimanere prevalente”.

 

2. Nella loro portata obiettiva, le doglianze si dirigono essenzialmente avverso l’operazione divisata dalla menzionata deliberazione del Comitato portuale, consistente nell’istituzione di una società cui affidare direttamente lo svolgimento dei servizi di sicurezza (scelta che a dire dell’istante violerebbe sia le disposizioni di razionalizzazione della spesa introdotte dall’art. 4, commi 1 e 3, d.l. n. 95/2012 sia i principi europei in materia, difettando in capo a PAS il requisito del controllo analogo).

L’infondatezza del ricorso nel merito esime dall’analisi delle questioni di rito, essendo sufficiente osservare in proposito che l’interesse della ricorrente sortisce certamente dalla sua posizione di operatore del settore e dallo specifico ruolo di precedente appaltatore del servizio di vigilanza nei porti gestiti dall’Autorità.

 

3. Tanto premesso, giova cominciare dall’ultimo motivo, con il quale la società Security Service contesta la natura in house di PAS perché lo statuto di questa consentirebbe la cedibilità a terzi delle quote societarie.

La doglianza è infondata.

L’art. 6, co. 1, dello statuto prevede che “il capitale sociale, interamente versato e detenuto dall’unico socio Autorità portuale […] deve essere mantenuto integralmente dall’Ente stesso e nessuna sua quota potrà essere trasferita a terzi” (enf. agg.).

La chiara formulazione della norma consente di ravvisare l’erroneità del mezzo (mentre sono irrilevanti le deduzioni della parte pubblica e di PAS circa la sussistenza degli altri elementi idonei a riscontrare la natura di ente in house di quest’ultima, giusta l’assenza di corrispondenti contestazioni della ricorrente).

 

4. Le rimanenti doglianze sono suscettibili di trattazione congiunta in quanto incentrate su una medesima linea argomentativa.

La società istante lamenta la violazione del divieto di costituire società in house di cui all’art. 4, co. 1, d.l. n. 95/2012 perché le attività affidate a PAS non integrerebbero servizi di interesse generale (donde l’inoperatività della deroga prevista per tale ipotesi) e sarebbero agevolmente reperibili sul mercato (con conseguente insussistenza dei presupposti delineati dal co. 3 della medesima disposizione, non avendo l’Autorità nemmeno avviato l’iter ivi contemplato).

Le controparti adducono in contrario la prevalenza dall’art. 6, co. 6, l. n. 84/1994 (norma speciale) sulle disposizioni invocate dalla ricorrente (norme generali) e comunque la non applicabilità di queste ultime sia dal punto di vista soggettivo (esclusione delle autorità portuali) sia sul piano oggettivo (le attività di sicurezza portuale consisterebbero in servizi di interesse generale).

 

4.1. Quanto agli aspetti soggettivi, è opportuna una sintetica disamina del quadro normativo, con la preliminare avvertenza che nel campo delle società pubbliche è ormai acquisita la distinzione tra società strumentali (la cui attività è cioè rivolta nei soli confronti della pubblica amministrazione) e società che gestiscono servizi pubblici, diretti all’utenza (per questo ordine di idee v. Cons. Stato, sez, VI, 22 novembre 2013, n. 5532, con specifico riferimento ai servizi pubblici locali; cfr. anche C. cost. 1° agosto 2008, n. 326, che nell’esaminare le disposizioni dell’art. 13 d.l. n. 223/06, delle quali si dirà oltre, ha affermato che queste “sono fondate sulla distinzione tra attività amministrativa in forma privatistica e attività d’impresa di enti pubblici”, potendo l’una e l’altra essere svolte attraverso società di capitali, ma con diverse condizioni di svolgimento: nel primo caso “vi è attività amministrativa, di natura finale o strumentale, posta in essere da società di capitali che operano per conto di una pubblica amministrazione”, mentre nel secondo caso vi è “erogazione di servizi rivolta al pubblico”, ossia consumatori o utenti, “in regime di concorrenza”; sulla base di questa differenziazione, la Corte ha chiarito che tali disposizioni “mirano a separare le due sfere di attività per evitare che un soggetto, che svolge attività amministrativa, eserciti allo stesso tempo attività d’impresa, beneficiando dei privilegi dei quali esso può godere in quanto pubblica amministrazione”, con la conclusione che “non è negata né limitata la libertà di iniziativa economica degli enti territoriali, ma è imposto loro di esercitarla distintamente dalle proprie funzioni amministrative, rimediando a una frequente commistione, che il legislatore statale ha reputato distorsiva della concorrenza”).

 

A) L’art. 13 d.l. 4 luglio 2006, n. 223 (conv. con modif. dalla l. 4 agosto 2006, n. 248), nell’introdurre “norme per la riduzione dei costi degli apparati pubblici regionali e locali e a tutela della concorrenza”, ha previsto, “al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale”, che “le società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all’attività di tali enti in funzione della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali […] nonché, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza” sono soggette alle seguenti prescrizioni: i) “devono operare con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti”; ii) “non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara”; iii) “non possono partecipare ad altre società o enti aventi sede nel territorio nazionale […]” (co. 1; ai sensi del co. 2 “le società di cui al comma 1 sono ad oggetto sociale esclusivo e non possono agire in violazione delle regole di cui al comma 1”).

La disposizione, indirizzata alle “amministrazioni pubbliche regionali e locali” e non riguardante le società incaricate dello svolgimento di servizi pubblici locali, introduce forti limitazioni all’operatività delle società strumentali in termini sia di individuazione del “cliente”, che dev’essere in via esclusiva l’amministrazione costituente o partecipante, sia di oggetto sociale, essendo vietate attività diverse dalla produzione di beni e servizi “strumentali” all’attività istituzionale di detta amministrazione.

 

B) Sono poi intervenute le disposizioni di cui all’art. 3, commi 27 ss., l. 24 dicembre 2007, n. 244 (l. finanziaria 2008).

In particolare, il co. 27, “al fine di tutelare la concorrenza e il mercato”, prevede che le amministrazioni di cui all’art. 1, co. 2, d.lgs. n. 165/01 “non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società. È sempre ammessa la costituzione di società che producono servizi di interesse generale […]” (oltre che degli altri tipi societari ivi indicati) nonché l’assunzione di partecipazioni in tali società da parte delle predette amministrazioni “nell’ambito dei rispettivi livelli di competenza” (enf. agg.).

Ai sensi del co. 28 “l’assunzione di nuove partecipazioni e il mantenimento delle attuali devono essere autorizzati dall’organo competente con delibera motivata in ordine alla sussistenza dei presupposti di cui al comma 27”, delibera che va “trasmessa alla sezione competente della Corte dei conti”, mentre il co. 29 assegna alle menzionate amministrazioni un termine di 3 anni (dalla data di entrata in vigore della legge) per cedere a terzi “le società e le partecipazioni vietate ai sensi del comma 27”.

Queste norme irrigidiscono la disciplina del 2006. In particolare, nel ribadire la previsione derogatoria per le società (tra le altre) “che producono servizi di interesse generale”, si sancisce che esse vadano applicate a tutte le amministrazioni ex art. 1, co. 2, d.lgs. n. 165/01 (non solo a quelle “regionali e locali”) e si qualifica in termini di “stretta necessità” il nesso tra oggetto sociale e finalità istituzionali, con introduzione dell’obbligo di dismettere le partecipazioni “vietate”.

 

C) Nel 2012 si è avuta un’altra manifestazione del disfavore per le società strumentali.

 

C.1) L’art. 4 d.l. 6 luglio 2012, n. 95 (conv. con modif. dalla l. 7 agosto 2012, n. 135; c.d. spending review) ha stabilito quanto segue (si riporta il testo vigente all’epoca di adozione dell’impugnata deliberazione del comitato portuale):

 

- co. 1: “nei confronti delle società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, che abbiano conseguito nell’anno 2011 un fatturato da prestazione di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90 per cento dell’intero fatturato, si procede, alternativamente: a) allo scioglimento della società entro il 31 dicembre 2013 […];b) all’alienazione, con procedure di evidenza pubblica, delle partecipazioni detenute alla data di entrata in vigore del presente decreto entro il 30 giugno 2013 ed alla contestuale assegnazione del servizio per cinque anni, non rinnovabili, a decorrere dal 1° gennaio 2014 […]”;

 

- co. 2: a far tempo dall’1.1.2014, in caso di inottemperanza al disposto del co. 1, “le predette società non possono comunque ricevere affidamenti diretti di servizi” (o fruire di rinnovi) e i servizi da queste già prestati, “ove non vengano prodotti nell’ambito dell’amministrazione, devono essere acquisiti nel rispetto della normativa comunitaria e nazionale”;

 

- co. 3: “le disposizioni di cui al comma 1 del presente articolo non si applicano alle società che svolgono servizi di interesse generale, anche aventi rilevanza economica [e agli altri tipi di società specificamente indicati]. Le medesime disposizioni non si applicano qualora, per le peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto, anche territoriale, di riferimento non sia possibile per l’amministrazione pubblica controllante un efficace e utile ricorso al mercato. In tal caso, l’amministrazione, in tempo utile per rispettare i termini di cui al comma 1, predispone un’analisi del mercato e trasmette una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all’Autorità garante della concorrenza e del mercato per l’acquisizione del parere vincolante, da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della relazione. […]”;

 

- co. 7: “al fine di evitare distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale”, a decorrere dall’1.1.2014 le ridette amministrazioni ex art. 1, co. 2, d.lgs. n. 165/01, le stazioni appaltanti, gli enti aggiudicatori e i soggetti aggiudicatori di cui al d.lgs. n. 163/06 (codice dei contratti pubblici) “acquisiscono sul mercato i beni e servizi strumentali alla propria attività” (attraverso le “procedure concorrenziali” previste dal codice dei contratti pubblici; la norma prosegue ammettendo l’acquisizione in via diretta di beni e servizi tramite convenzioni degli enti pubblici con le associazioni di promozione sociale, le organizzazioni di volontariato, le associazioni sportive dilettantistiche e le cooperative sociali nonché con le o.n.g. “per le acquisizioni di beni e servizi” negli ambiti della cooperazione con i Paesi in via di sviluppo);

 

- co. 8: sempre a decorrere dall’1.1.2014 “l’affidamento diretto può avvenire solo a favore di società a capitale interamente pubblico, nel rispetto dei requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria per la gestione in house e a condizione che il valore economico del servizio o dei beni oggetto dell’affidamento sia complessivamente pari o inferiore a 200.000 euro annui. Sono fatti salvi gli affidamenti in essere fino alla scadenza naturale e comunque fino al 31 dicembre 2014. […]”.

Con l’art. 34, co. 27, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 (introdotto dalla l. di conversione 17 dicembre 2012, n. 221) è stata soppressa la condizione del valore pari o inferiore a 200.000 euro annui.

 

C.2) La nuova disciplina - che conferma (e precisa) l’esenzione in favore degli enti societari che svolgono “servizi di interesse generale, anche di rilevanza economica” - impone la dismissione di tutte le società strumentali il cui fatturato nel 2011 sia derivato per oltre il 90% da prestazioni di servizi in favore dell’amministrazione (ciò, si può notare, anche qualora le relative attività siano “strettamente necessarie” al perseguimento degli inerenti fini istituzionali).

A fronte di tale obbligo il legislatore ha previsto due deroghe, l’una espressa e l’altra desumibile alla stregua di un’interpretazione sistematica.

La prima risulta dal co. 3, che consente la sopravvivenza dell’ente societario all’esito di una valutazione (“parere vincolante”) dell’Agcm sulle motivazioni espresse dall’amministrazione circa l’impossibilità di un “efficace e utile ricorso al mercato” in ragione di “peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto, anche territoriale, di riferimento”.

La seconda si desume dal comma 8, formulato, come il precedente co. 7, con riguardo all’applicazione del d.lgs. n. 163/06.

Segnatamente, se il co. 7, al dichiarato fine di “evitare distorsioni della concorrenza e del mercato”, obbliga le amministrazioni all’acquisizione sul mercato dei beni e servizi “strumentali” alla propria attività (la norma per un verso conferma il principio espresso dall’art. 3, co. 27, l. n. 244/07, secondo cui le amministrazioni possono approvvigionarsi attraverso società strumentali soltanto dei beni e dei servizi “strettamente necessari”, non di quelli semplicemente “strumentali” ai propri scopi istituzionali; per altro verso sembra escludere qualsiasi possibilità di autoproduzione, ciò che pare tuttavia incoerente con l’ipotesi di internalizzazione prevista dal co. 2 con l’espressione “ove non vengano prodotti nell’ambito dell’amministrazione”), il co. 8 introduce una clausola di salvezza per le società in house, che possono ricevere affidamenti diretti qualora sussistano i noti requisiti del “controllo analogo” e dell’“attività prevalente” (c.d. requisiti Teckal) e all’ulteriore condizione che la partecipazione pubblica sia totalitaria.

La censura con cui la ricorrente prospetta l’insussistenza nella specie dei presupposti contemplati dall’art. 4, co. 3, cit. (n. III ric.) lascia intendere una ricostruzione del meccanismo ivi previsto nel senso che l’ente pubblico intenzionato a costituire una società, ancorché in house, sarebbe pur sempre tenuto a dimostrare in via preliminare l’impossibilità di un “efficace e utile ricorso al mercato”. Solo all’esito di tale accertamento sarebbe possibile, per l’appunto, dar vita all’ente societario (al quale poter affidare, se in house, appalti senza gara).

Si oppongono tuttavia a questa ricostruzione le peculiari caratteristiche dei soggetti in house, comunemente considerati quali “articolazioni organizzative” dell’amministrazione e dunque con questa identificabili (v. oltre), con la conseguenza che se l’amministrazione ha la facoltà di produrre direttamente il bene o servizio strumentale (attraverso modalità di autoproduzione o internalizzazione), non può che ritenersi ammessa anche l’ipotesi di demandare la stessa attività a una società di scopo, secondo le regole dell’in house providing.

In questa prospettiva, dal combinato disposto del comma 7 e del comma 8 nella versione originaria (con la soglia dei 200.000 euro) poteva trarsi la conclusione della prevalenza del principio del ricorso al mercato (stante anche la finalizzazione del co. 7), con limitata possibilità di autoproduzione attraverso società in house (giusta il ridetto valore monetario); di talché ogni acquisto di beni o servizi superiore all’ammontare previsto avrebbe dovuto essere effettuato sul mercato.

 La soppressione della soglia in questione ha però inciso profondamente sulla regola, dovendo ritenersi ormai ammessa l’acquisizione di beni e servizi strumentali attraverso società in house (e dunque anche in autoproduzione) senza limiti di valore.

In questi termini, la norma è rispettosa delle prerogative organizzative delle pubbliche amministrazioni (da ultimo codificate in termini di “principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche” dall’art. 2 dir. 2014/23/UE, sulle concessioni, e richiamate dal cons. 5 della dir. 2014/24/UE, sui settori classici, secondo cui “nessuna disposizione della presente direttiva obbliga gli Stati membri ad affidare a terzi o a esternalizzare la prestazione di servizi che desiderano prestare essi stessi o organizzare con strumenti diversi dagli appalti pubblici ai sensi della presente direttiva”; attenta dottrina ha peraltro ricordato come già la giurisprudenza del Giudice europeo avesse affermato l’ininfluenza dell’ordinamento europeo sulle scelte dei singoli Stati di optare per sistemi di autoproduzione o di esternalizzazione; cfr. Corte giust. 6 aprile 2006, in causa C-410/04, Anav, e 9 giugno 2009, in causa C-480/06, Comm. c. RFT).

Quanto osservato si riflette anche sui rapporti tra il comma 8 e i precedenti commi da 1 a 3, che vanno ricostruiti nel senso che questi ultimi non trovano applicazione nell’ipotesi di società in house (rispettose delle condizioni appena ricordate), dunque non assoggettate agli obblighi di dismissione ivi contemplati.

 

È appena il caso di puntualizzare che le più rilevanti questioni concernenti l’alternativa ricorso al mercato-autoproduzione si pongono con riferimento non già alle società esercenti i c.d. “servizi di interesse generale” (nozione di matrice europea, ritenuta generalmente coincidente con quella di servizi pubblici), di norma affidati attraverso concessioni, ma a quelle che producono beni o servizi a vantaggio dell’amministrazione, in relazione alle quali la normale fungibilità dei “prodotti” ne rende possibile l’approvvigionamento attraverso il ricorso al mercato (si tratta infatti dei consueti appalti di forniture o servizi previsti dal codice dei contratti pubblici; la distinzione, cui si è fatto cenno in apertura, consente di spiegare sia il comma 7 sia la conferma del regime di favore per gli esercenti i servizi pubblici; v. a tale riguardo Cons. Stato, sez. V, 10 settembre 2014, n. 4599, in materia dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, che muovendo da C. cost. 20 luglio 2012, n. 199, ha affermato come questi servizi possano essere gestiti indifferentemente: mediante il mercato, ossia individuando all’esito di una gara ad evidenza pubblica il soggetto affidatario; attraverso il c.d. partenariato pubblico – privato, ossia per mezzo di una società mista e quindi con una ‘gara a doppio oggetto’ per la scelta del socio o poi per la gestione del servizio; attraverso l’affidamento diretto, in house, senza previa gara, a un soggetto che solo formalmente è diverso dall’ente, ma ne che sostituisce sostanzialmente un diretto strumento operativo, ricorrendo in capo a quest’ultimo i requisiti della totale partecipazione pubblica, del controllo ‘analogo’ a quello che l’ente affidante esercita sui propri servizi e della realizzazione, da parte della società affidataria, della porzione più importante della sua attività con l’ente o gli enti che la controllano; in tale pronuncia si chiarisce che l’affidamento diretto, in house, non si configura come un’ipotesi eccezionale e residuale di gestione dei servizi pubblici locali, costituendo invece una delle tre normali forme organizzative degli stessi).

 

C.3) In sintesi, non rientrano nel campo di applicazione della procedura dismissiva divisata dall’art. 4 (per quanto oggi rileva): i) le società che svolgono servizi di interesse generale, anche di rilevanza economica; ii) le società in house; iii) le società delle quali sia in concreto accertata dall’Agcm la “perdurante utilità”.

 

Il quadro è peraltro radicalmente cambiato, come si passa a dire.

 

D) La successiva legislazione ha infatti introdotto rilevanti innovazioni.

 

D.1) Anzitutto, i commi 1, 2 e 3 dell’art. 4 d.l. n. 95/2012 cit. sono stati abrogati (a far tempo dall’1.1.2014) dall’art. 1, co. 562, l. 27 dicembre 2013, n. 147 (l. stabilità 2014; con sentenza 23 luglio 2013, n. 229, la Corte costituzionale, su ricorso di alcune regioni a statuto ordinario, aveva peraltro già dichiarato l’illegittimità costituzionale dei commi 1 e 2 ove applicabili alle regioni ad autonomia ordinaria).

 

In particolare, detto art. 1 l. n. 147/2013 cit. ha previsto: al co. 568-bis (introdotto dall’art. 2 d.l. n. 16/2014), la facoltà delle pp.aa. locali di cui all’art. 1, co. 3, l. n. 196/2009 di procedere alternativamente allo scioglimento o all’alienazione (tra le altre) delle società da esse controllate; al co. 569 (come modificato dall’art. 2 d.l. n. 69/2914 cit.), la proroga di un ulteriore anno del termine triennale ex art. 3, co. 29, l. n. 244/07, decorso il quale “la partecipazione non alienata mediante procedura di evidenza pubblica cessa ad ogni effetto”.

 

D.2) Sulla materia è infine intervenuto l’art. 1 l. 23 dicembre 2014, n. 190 (l. stabilità 2015), che, ribadita la perdurante operatività dell’art. 3, commi 27-29, l. n. 244/07 e dell’art. 1, co. 569, l. n. 147/13, ha disposto al comma 611 che “al fine di assicurare il coordinamento della finanza pubblica, il contenimento della spesa, il buon andamento dell’azione amministrativa e la tutela della concorrenza e del mercato”, i soggetti ivi indicati - regioni, enti locali e altri enti, incluse le “autorità portuali” - debbano avviare dall’1.1.2015 “un processo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute, in modo da conseguire la riduzione delle stesse entro il 31 dicembre 2015”, anche tenendo conto di una serie di criteri, tra i quali l’“eliminazione delle società e delle partecipazioni societarie non indispensabili al perseguimento delle proprie finalità istituzionali, anche mediante messa in liquidazione o cessione” (lett. a), o l’“eliminazione delle partecipazioni detenute in società che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici strumentali, anche mediante operazioni di fusione o di internalizzazione delle funzioni” (lett. c).

 

A tale scopo, il successivo co. 612 impone agli organi di vertice dei soggetti interessati di approvare entro il 31.3.2015 “un piano operativo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute, le modalità e i tempi di attuazione, nonché l’esposizione in dettaglio dei risparmi da conseguire” (piano da trasmettere alla competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti e da pubblicare nel sito internet istituzionale dell’amministrazione interessata, con ulteriore predisposizione, entro il 31.3.2016, di “una relazione sui risultati conseguiti”, parimenti da trasmettere alla Corte dei conti e da pubblicare sul sito internet).

 

4.2. Venendo al caso in esame, non pare dubbio che anche le autorità portuali siano destinatarie della disciplina generale innanzi ricordata.

 Vero è che l’art. 6, co. 6, l. n. 84/1994, richiamato nelle premesse della deliberazione n. 104/2012, delinea in modo espresso la capacità di tali soggetti di costituire (o di partecipare a) enti societari.

 

La disposizione prevede infatti che “le autorità portuali non possono esercitare, né direttamente né tramite la partecipazione di società, operazioni portuali ed attività ad esse strettamente connesse. Le autorità portuali possono costituire ovvero partecipare a società esercenti attività accessorie o strumentali rispetto ai compiti istituzionali affidati alle autorità medesime, anche ai fini della promozione e dello sviluppo dell’intermodalità, della logistica e delle reti trasportistiche” (enf. agg.).

 

Ma non vi è dubbio che questa norma non può essere intesa, come vogliono le resistenti, quale clausola di esenzione dalla disciplina generale in forza del principio di specialità, per una serie di concorrenti ragioni.

 

i) In disparte l’art. 13 d.l. n. 226/06 (che secondo un’interpretazione includerebbe tra le “amministrazioni locali” anche le autorità portuali alla luce della natura territoriale delle stesse), il Collegio osserva che le autorità portuali rientrano nell’elencazione dell’art. 1, co. 2, d.lgs. n. 165/01 in quanto appartenenti alla categoria degli “enti pubblici non economici”.

 

Dirimente in tal senso è l’art. 1, co. 993, l. 27 dicembre 2006, n. 296, che giustifica il regime fiscale previsto in loro favore “in ragione della natura giuridica di enti pubblici non economici” di tali soggetti.

 

La precisa qualificazione impressa dalla legge preclude opzioni ermeneutiche dirette a sostenere una diversa portata della norma (a es. equiparazione quoad effectum). Anzi, la circostanza che essa sia inserita in una disposizione di carattere fiscale, lungi dal dimostrarne la marginalità (perché confinata all’ambito dei rapporti tributari), ne evidenzia piuttosto la portata generale, alla luce dei noti vincoli costituzionali (segnatamente, del principio di capacità contributiva) che delimitano l’esercizio della potestà legislativa in questo campo.

 

La conclusione è stata del resto già raggiunta dal giudice amministrativo (v. Cons. Stato, sez. VI, 8 maggio 2012, n. 2667: “dal momento che l’individuazione di un soggetto quale ente pubblico economico postula un’operazione qualificatoria talvolta estremamente complessa e nel cui ambito occorre operare una sintesi fra elementi spesso eterogenei e di carattere non univoco, la qualificazione formale contenuta in atti aventi forza di legge assume un valore determinante al fine di ammettere o di escludere l’effettiva natura del soggetto di cui si discute”; in tale sentenza si è ancora osservato, sul piano sostanziale, che “pur nella varietà ed eterogeneità degli indici rivelatori che nel corso degli anni sono stati enucleati al fine di individuare la natura di ente pubblico economico, appare condivisibile - e meritevole di applicazione nel caso in esame - il decisivo criterio in base al quale tale natura può essere affermata solo laddove l’attività del soggetto di cui si discute venga svolta per fini di lucro e in regime di concorrenza con soggetti privati, e non anche in tutti i casi in cui il soggetto in questione operi sulla base di un […] criterio di imprenditorialità, ovvero sulla base di criteri di oggettiva economicità”, precisandosi che le autorità portuali “operano - sì -in base a criteri di oggettiva economicità, ma non perseguono istituzionalmente alcun fine di lucro, né operano - a ben vedere - su mercati contendibili”, svolgendo piuttosto “attività di affidamento e controllo delle attività finalizzate alla fornitura a titolo oneroso agli utenti portuali di servizi di interesse generale”; v. anche, da ultimo, Cons. Stato, 15 dicembre 2014, n. 6146, che all’orientamento della Corte di cassazione circa la qualificazione delle autorità portuali quali “enti pubblici economici”, prevalentemente per i criteri imprenditoriali cui dovrebbe essere ispirata la gestione, oltre che per la natura privatistica del rapporto di lavoro dei relativi addetti, “ritiene preferibile il prevalente indirizzo giurisprudenziale, secondo cui tali Autorità – pur avendo forte connotazione economica – possono definirsi organismi di diritto pubblico, […], in quanto dotate di personalità giuridica, istituite per soddisfare esigenze di interesse generale, a carattere non industriale o commerciale, e soggette al controllo dello Stato”, con natura giuridica “sicuramente più affine a quella dell’ente pubblico non economico”; v. altresì Cons. Stato, sez. IV, ord. 8 maggio 2013, n. 2492, che pur non prendendo posizione esplicita sulla natura delle autorità portuali e affermando la non risolutività dell’art. 1, co. 993, cit., evidenzia le attribuzioni pubblicistiche di tale ente muovendo dal parere Cons. St., sez. II, 25 luglio 2008, n. 2361, richiamato anche dalle parti resistenti).

 

Ancora, l’art. 1, co. 568-bis, l. n. 147/2013 cit. individua quale destinatarie della norma le “pubbliche amministrazioni locali” di cui all’art. 1, co. 3, l. n. 196/2009. Tale disposizione riguarda i noti “elenchi Istat”, nell’ambito dei quali le “autorità portuali” sono incluse nella sezione “amministrazioni locali”.

 

Infine, dette autorità sono espressamente nominate dall’art. 1, co. 611, l. n. 190/14, che ribadisce l’attuale operatività degli artt. 3, co. 27 ss., l. n. 244/07 e l’art. 1, co. 569 l. n. 147/13.

 

ii) L’applicabilità della disciplina generale di cui si tratta è del resto sottesa all’interlocuzione del 2012 tra la resistente e il Ministero vigilante (all. ti 3 e 4 controint.: nella nota del 3.10.2012 l’Autorità chiede al Ministero precisazioni sulla fattibilità dell’operazione alla luce dell’art. 4 d.l. n. 95/2012 e il Ministero, come si è visto, replica richiamando tale norma e l’art. 3, commi 27 ss, l. fin. 2008).

 

iii) Va osservato, da ultimo, che l’art. 6, co. 6, l. n. 84/94 è stato emanato in un periodo in cui le esigenze di contenimento della spesa pubblica, per quanto presenti e tenute in considerazione dall’ordinamento anche a quell’epoca, non avevano tuttavia ancora assunto l’attuale grado di cogenza, riveniente dalla notoria evoluzione della congiuntura economica e dagli obblighi economico-contabili assunti dall’Italia in sede europea.

 

In questa ottica, si può ritenere che la norma, introdotta all’indomani delle note sentenze della Corte di giustizia CE “porto di Genova” (10 dicembre 1991, C-179/90, e 17 maggio 1994, C-18/93), intendesse perseguire il duplice scopo di fornire, nel quadro del complessivo riordino dei servizi portuali in termini proconcorrenziali, un sicuro titolo di legittimazione all’esercizio della capacità privatistica delle nuove autorità portuali e, allo stesso tempo, di limitarne la sfera di esplicazione, confinandola alle “attività accessorie o strumentali rispetto ai compiti istituzionali affidati alle autorità medesime”.

 

5. Passando agli aspetti oggettivi, le parti controvertono sulla riconducibilità delle attività per cui è questione ai “servizi di interesse generale”, qualificazione che, ove riscontrata, determinerebbe - a dire delle resistenti - l’esonero dal rispetto del plesso disciplinare innanzi richiamato (poggiando le censure della società istante sul presupposto della natura di PAS quale società strumentale).

 

Il punto richiede solo brevi notazioni, non apparendo decisivo ai fini della soluzione della controversia (come si dirà).

 

5.1. La sicurezza dei porti (port security) è un tema d’interesse internazionale.

 

Nell’ordinamento europeo il reg. (CE) n. 725/2004 del 31.3.2004 fissa le prescrizioni comuni per migliorare la sicurezza delle navi e dei porti (“contro le minacce di azioni illecite intenzionali”; art. 1), richiamando tra l’altro il Codice internazionale per la sicurezza delle navi e degli impianti portuali dell’IMO (codice ISPS - International Security and Port Safety; cfr. All.ti II e III reg. cit.) e la disciplina dei “piani di sicurezza degli impianti portuali” (previsti dal codice ISPS; cfr. Parte A, punto 1.3.6, e Parte B, par. 16, di cui all’all. III reg. cit.).

 

Con il d.lgs. 6 novembre 2007, n. 203, attuativo della dir. 2005/65/CE relativa al “miglioramento della sicurezza nei porti”, sono state individuate “misure di sicurezza marittima aventi come obiettivo il miglioramento della sicurezza nei porti e tali da garantire che le misure adottate in applicazione del regolamento (CE) n. 725/2004 ne risultino rinforzate” (l’art. 8 disciplina il “piano di sicurezza del porto”, elaborato dall’“Autorità di sicurezza” a integrazione dei piani di sicurezza degli impianti portuali ai sensi del reg. n. 725/2004 cit.).

 

Quanto alle modalità di esercizio delle inerenti attività, l’art. 18 d.l. 27 luglio 2005, n. 144 (“misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale”, conv. con modif. dalla l. 31 luglio 2005, n. 155), ha disciplinato i “servizi di vigilanza che non richiedono l’impiego di personale delle forze di polizia”, consentendo “l’affidamento a guardie giurate dipendenti o ad istituti di vigilanza privata dei servizi di sicurezza sussidiaria nell’àmbito dei porti […] per il cui espletamento non è richiesto l’esercizio di pubbliche potestà o l’impiego di appartenenti alle Forze di polizia”.

 

In attuazione del successivo co. 2 (che demanda a un decreto del Ministro dell’interno la fissazione di “condizioni” e “modalità per l’affidamento dei servizi predetti” nonché dei “requisiti dei soggetti concessionari”) è stato emanato il d.m. 15 settembre 2009, n. 154, sui “servizi di sicurezza sussidiaria che possono essere espletati, direttamente o attraverso istituti di vigilanza privati, dagli enti o società di gestione portuale, dalle società ferroviarie e dei servizi di trasporto in concessione, nell’ambito dei porti, delle stazioni ferroviarie, dei terminal passeggeri e dei relativi mezzi di trasporto e depositi” (art. 1).

 

L’art. 2 del regolamento individua l’oggetto di tali servizi (co. 1: vigilanza dei beni di proprietà o in concessione, tutela del patrimonio aziendale e dei beni in dotazione al personale di bordo; servizi di videosorveglianza e teleallarme; controllo radioscopico o con altri tipi di apparecchiature di merci, bagaglio al seguito e plichi di corrieri; controllo del materiale di catering e delle provviste di bordo nelle aree di produzione o confezionamento; vigilanza ai depositi bagagli, merci, posta e catering; scorta a bagagli, merci, posta, catering e provviste di bordo da e per i vettori […]; vigilanza dei mezzi di trasporto in sosta - navi, imbarcazioni, treni, vagoni, autobus, ecc. - ai relativi depositi e controllo degli accessi a bordo; controllo a bordo finalizzato a rilevare elementi di rischio per la sicurezza - bagagli abbandonati, oggetti pericolosi, ecc. - ed eventuali situazioni di criticità; controllo delle autorizzazioni - tesserini portuali, badge, titoli di viaggio - che consentono l’accesso alle aree del sedime portuale agli equipaggi delle navi, al personale portuale e a qualsiasi soggetto che abbia necessità di accedere a tali aree; co. 2, con precipuo riferimento ai piani di sicurezza dei porti ex reg. n. 725/2004 e d.lgs. n. 203/07: controllo del bagaglio a mano e delle cose portate dai passeggeri in partenza e in transito, mediante l’utilizzo di una serie di dispositivi o anche di unità cinofile; controllo radioscopico o con altri tipi di apparecchiature dei bagagli da stiva, della merce e dei plichi dei corrieri espresso; controllo ai varchi carrabili e pedonali dei sedimi portuali, delle stazioni ferroviarie e delle autolinee in concessione e dei relativi depositi, compresa la verifica dei titoli di accesso alle singole aree, ove previsti; controllo dei veicoli all’imbarco; vigilanza presso i terminal passeggeri e merci).

 

Il successivo art. 3 (“condizioni e modalità per lo svolgimento”) chiarisce che i servizi in argomento possono essere: i) svolti dall’autorità portuale o dagli altri enti indicati, “che li espletano direttamente o mediante propria articolazione organizzativa” (ex art. 133 r.d. 18 giugno 1931, n. 733, testo unico delle leggi di pubblica siurezza; c.d. t.u.l.p.s.); ovvero ii) “affidati ad istituti di vigilanza” (con licenza ex art. 134 t.u.l.p.s.); fermo restando che in entrambi i casi “sono espletati a mezzo di guardie particolari giurate” (co. 1) e sotto la vigilanza dei competenti organi di polizia (art. 2, co. 3; ai sensi dell’art. 7 la vigilanza anche sulle modalità di organizzative spetta al Dipartimento della pubblica sicurezza).

 

Le norme in questione, aventi un antecedente nelle disposizioni in materia di aeroporti (art. 5 d.l. 18 gennaio 1992, n. 9, e regolamento attuativo di cui al d.m. 29 gennaio 1999, n. 85), si inseriscono nel più generale contesto della c.d. “sicurezza secondaria”, contemplata (sulla base del Titolo IV, artt. 133 ss., t.u.l.p.s.) dall’art. 256-bis r.d. 6 maggio 1940, n. 635 (reg. esec. t.u.l.p.s.), che espressamente fa rientrare nei “servizi di sicurezza complementare”, tra le altre, “le attività di vigilanza concernenti: a) la sicurezza negli aeroporti, nei porti, nelle stazioni ferroviarie, nelle stazioni delle ferrovie metropolitane e negli altri luoghi pubblici o aperti al pubblico specificamente indicati dalle norme speciali, ad integrazione di quella assicurata dalla forza pubblica; […]” (la disposizione è stata introdotta dal d.P.R. 4 agosto 2008, n. 153).

 

5.2. In disparte la differente denominazione di tali servizi (sicurezza “sussidiaria” ex d.m. 154/09 e “complementare” ai sensi del regol. t.u.l.p.s.; la convenzione tra Autorità e PAS fa riferimento a “servizi sussidiari di sicurezza”; cfr., sulla sicurezza in ambito portuale, Cons. Stato, sez. VI, 7 febbraio 2014, n. 586), si può osservare come il riferimento all’“articolazione organizzativa” (dell’autorità portuale) ex art. 3 d.m. n. 154/09 evochi proprio la figura dei soggetti in house, ossia delle persone giuridiche, anche private, sostanzialmente assimilabili a uffici dell’ente pubblico (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 4599/14 cit., che qualifica l’affidamento in house come quello che avviene nei confronti di un soggetto, anche privato “che solo formalmente è diverso dall’ente”, costituendone un “diretto strumento operativo”, di talché può rendersi affidatario di un appalto anche senza gara; v. anche C. cost. n. 326/06 cit.).

 

Ne segue l’irrilevanza dell’indagine sulla natura dei servizi in questione, se essi siano cioè da qualificare come strumentali (depone in tal senso il rilievo secondo cui le inerenti attività, che ormai integrano i fini istituzionali dell’autorità portuale, non sono specificamente indirizzate agli utenti delle relative strutture) ovvero di interesse generale (v. sul punto anche Cons. Stato, sez. VI, n. 6146/2014 cit.; l’art. 1, co. 984, l. n. 296/06 cit. consente peraltro alle autorità portuali di applicare un’addizionale su “tasse, canoni e diritti per l’espletamento dei compiti di vigilanza e per la fornitura di servizi di sicurezza, previsti nei piani di sicurezza portuali”).

E infatti, quale che sia la soluzione, comunque non sarebbe riscontrabile la violazione delle norme invocate dalla ricorrente quale parametro dello scrutinio (art. 4, commi 1 e 3, d.l. n. 95/2012), tenuto conto da un lato dell’esclusione delle società incaricate dello svolgimento di servizi generali dall’ambito applicativo di tali disposizioni e, dall’altro, dell’insufficiente contestazione della natura in house della società Port Authority Security (v. n. 3).

Valga solo aggiungere che l’art. 3 d.m. cit., nella parte recante individuazione dei soggetti abilitati all’esercizio delle attività in argomento, non si pone in contrasto con il co. 8 del ridetto art. 4 d.l. cit. (semmai viene da questo integrato con riferimento, a es., al requisito della partecipazione totalitaria), sancendo la prima norma l’equivalenza tra autoproduzione ed esternalizzazione (v. ante n. 4.1.C.2).

 

6. In considerazione di quanto sin qui osservato, il ricorso è infondato e va respinto.

 Sussistono i presupposti per disporre la compensazione delle spese di lite, alla luce della novità e della peculiarità delle questioni trattate.

 

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Sez. III-ter, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 5 febbraio 2015 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Daniele, Presidente

Mario Alberto di Nezza, Consigliere, Estensore

Maria Grazia Vivarelli, Consigliere

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 10/03/2015

 

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

 

HomeSentenzeArticoliLegislazioneLinksRicercaScrivici