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TAR Lombardia, Brescia sez. I, 13/10/2015 n. 1305
Sul diritto di recesso come strumento degli enti pubblici per la dismissione delle partecipazioni societarie ritenute non strategiche (o non indispensabili).

E' legittima la scelta di una Provincia di esercitare il diritto di recesso ai sensi dell'art. 1 c. 569 della l. n. 147/2013, chiedendo la liquidazione delle proprie azioni secondo quanto previsto dall'art. 2437-ter del c.c. Se il legislatore statale non impone direttamente l'uscita degli enti pubblici dalle società che gestiscono servizi pubblici, non esprime nemmeno una qualche opposizione a tale ipotesi, e certamente non costringe le pp.aa. a rimanere prigioniere delle società partecipate. Una volta che l'ente pubblico, esercitando la propria discrezionalità, abbia qualificato come non più strategica la presenza nel capitale di società affidatarie di servizi pubblici, si verifica una situazione equivalente al divieto di conservare partecipazioni azionarie estranee alle finalità istituzionali. Di qui l'applicabilità dell'art. 3 c. 29 della l. 244/2007, il cui intervallo temporale è peraltro scaduto, ma è stato poi riaperto dall'art. 1 c. 569 della l. 147/2013. Nel caso di specie, all'epoca dei fatti di causa, per uscire dalle società controllate, ossia per liberarsi delle partecipazioni non strategiche, gli enti pubblici potevano cedere le azioni mediante procedura a evidenza pubblica negli intervalli temporali previsti dai commi 568-bis e 569 dell'art. 1 della l. 147/2013. Quest'ultima norma ha anche regolato l'ipotesi della mancata alienazione (per qualsiasi causa), prevedendo il recesso con liquidazione delle azioni ex art. 2437-ter, c. 2, del c.c. Lo strumento del recesso non è richiamato nella legislazione successiva (v. art. 1 commi 611 e 612 della l. 190/2014). Tale normativa, tuttavia, ribadisce e amplia l'obbligo per gli enti pubblici di rivedere e razionalizzare le partecipazioni azionarie, eliminando quelle non indispensabili al perseguimento delle finalità istituzionali. Da un lato, infatti, sono espressamente confermate le procedure descritte nell'art. 3 commi 27-29 della l. 244/2007 e nell'art. 1 c. 569 della l.147/2013, dall'altro è previsto l'obbligo di elaborare un piano operativo di razionalizzazione delle partecipazioni societarie, con la fissazione di modalità e tempi di attuazione, e l'individuazione in dettaglio dei risparmi da conseguire. Il riferimento ai risparmi conferma indirettamente la legittimità delle dismissioni basate su esigenze di cassa, tenendo conto che il concretizzarsi di una voce di entrata riduce la necessità di indebitamento complessivo per finanziare altri investimenti.

Il fatto che nell'art. 1 commi 611 e 612 della l.190/2014 non sia richiamata la facoltà di recedere, e di ottenere così la liquidazione delle azioni, non sembra costituire un ostacolo all'estensione di questo strumento in via interpretativa. Quando è ammesso il recesso, infatti, la liquidazione è certa, trattandosi di un diritto del socio riconosciuto e regolato dal codice civile, e viene conseguita indipendentemente dalla composizione sociale e dalla quota detenuta. Se invece non vi fosse la possibilità di recedere, e parallelamente la procedura di vendita delle azioni andasse deserta, l'unico modo per uscire dalla società sarebbe il consenso di tutti gli altri soci, con esiti variabili a seconda delle circostanze concrete (maggiore o minore peso all'interno del capitale sociale, accordi tra enti pubblici con partecipazioni azionarie). In presenza di soci privati, inoltre, la dismissione, pur corrispondendo a un interesse pubblico, sarebbe subordinata a valutazioni di natura privatistica. Tutto questo vanificherebbe l'obiettivo fissato dal legislatore, e in definitiva costringerebbe l'ente pubblico a rimanere associato a un rischio di impresa che non corrisponde più alle proprie finalità istituzionali. Di conseguenza, il recesso appare come l'elemento che riporta in equilibrio la procedura di abbandono delle partecipazioni azionarie non strategiche.

Materia: società / partecipazione pubblica

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 287 del 2015, proposto da:

AUTOSTRADA DEL BRENNERO SPA, rappresentata e difesa dagli avv. Vincenzo Calandra Buonaura, Giuseppe Caia e Stefania Vasta, con domicilio eletto presso quest’ultima in Brescia, via Vittorio Emanuele II 1;

contro

PROVINCIA DI MANTOVA, rappresentata e difesa dagli avv. Eloisa Persegati Ruggerini e Lucia Salemi, con domicilio eletto presso la segreteria del TAR in Brescia, via Zima 3;

 

nei confronti di

COMUNE DI PORTO MANTOVANO, non costituitosi in giudizio;

 

sul ricorso numero di registro generale 329 del 2015, proposto da:

INFRASTRUTTURE CIS SRL, rappresentata e difesa dagli avv. Mario Midiri, Massimo Calcagnile e Stefania Vasta, con domicilio eletto presso quest’ultima in Brescia, via Vittorio Emanuele II 1;

 

contro

PROVINCIA DI MANTOVA, rappresentata e difesa dagli avv. Eloisa Persegati Ruggerini e Lucia Salemi, con domicilio eletto presso la segreteria del TAR in Brescia, via Zima 3;

 

nei confronti di

COMUNE DI PORTO MANTOVANO, non costituitosi in giudizio;

 

per l'annullamento

quanto al ricorso n. 287 del 2015:

- della deliberazione consiliare n. 57 del 26 novembre 2014, con la quale la Provincia ha deciso la dismissione della partecipazione azionaria in Autostrada del Brennero spa;

- della nota del vicepresidente prot. n. 1 ADP del 31 dicembre 2014, con la quale è stata comunicata la volontà della Provincia di esercitare il diritto di recesso da Autostrada del Brennero spa ai sensi dell’art. 1 comma 569 della legge 27 dicembre 2013 n. 147 e dell’art. 3 comma 29 della legge 24 dicembre 2007 n. 244;

- della determinazione del responsabile del Settore Patrimonio n. 1264 del 30 dicembre 2014, con la quale è stata dichiarata deserta la gara per la vendita della partecipazione azionaria in Autostrada del Brennero spa (64.494 azioni, pari al 4,2029% del capitale sociale);

- della determinazione del responsabile del Settore Patrimonio n. 1022 del 28 novembre 2014, con la quale è stata indetta la gara per la vendita della partecipazione azionaria in Autostrada del Brennero spa;

quanto al ricorso n. 329 del 2015:

- della deliberazione consiliare n. 57 del 26 novembre 2014, con la quale la Provincia ha deciso la dismissione della partecipazione azionaria in Autostrada del Brennero spa;

- della nota del vicepresidente prot. n. 1 ADP del 31 dicembre 2014, con la quale è stata comunicata la volontà della Provincia di esercitare il diritto di recesso da Autostrada del Brennero spa ai sensi dell’art. 1 comma 569 della legge 27 dicembre 2013 n. 147 e dell’art. 3 comma 29 della legge 24 dicembre 2007 n. 244;

- della determinazione del responsabile del Settore Patrimonio n. 1264 del 30 dicembre 2014, con la quale è stata dichiarata deserta la gara per la vendita della partecipazione azionaria in Autostrada del Brennero spa (64.494 azioni, pari al 4,2029% del capitale sociale);

- della determinazione del responsabile del Settore Patrimonio n. 1022 del 28 novembre 2014, con la quale è stata indetta la gara per la vendita della partecipazione azionaria in Autostrada del Brennero spa;

 

Visti i ricorsi e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Mantova;

Viste le memorie difensive;

Visti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 luglio 2015 il dott. Mauro Pedron;

Uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Considerato quanto segue:

 

FATTO e DIRITTO

1. La Provincia di Mantova detiene una partecipazione azionaria in Autostrada del Brennero spa (Autobrennero) pari al 4,2029% del capitale sociale, corrispondente a 64.494 azioni. Di queste, 63.984 sono azioni nominative trasferibili solo tra enti pubblici, come previsto dall’art. 5 dello statuto, e 510 sono azioni nominative liberamente trasferibili.

2. Con deliberazione consiliare n. 57 del 26 novembre 2014 la Provincia ha qualificato la suddetta partecipazione azionaria come “non più strettamente necessaria per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali” ai sensi dell’art. 3 comma 27 della legge 24 dicembre 2007 n. 244, e ne ha deciso la dismissione totale tramite procedura a evidenza pubblica ai sensi del comma 29 del medesimo art. 3. Le ragioni sono esposte nell’allegata relazione del dirigente del Settore Tecnico, e sono così sintetizzabili: (a) Autobrennero si occupa principalmente della gestione di autostrade e opere connesse nonché di trasporto intermodale, mentre le province dopo la riforma introdotta dalla legge 7 aprile 2014 n. 56 sono destinate a trasformarsi in enti di secondo livello, con funzioni di supporto ai comuni e alle regioni; (b) la partecipazione sociale detenuta in Autobrennero è esigua, e non consente un’influenza significativa; (c) dalla dismissione possono derivare risorse importanti per la manutenzione della rete stradale locale e per la riqualificazione del patrimonio edilizio scolastico.

3. In attuazione dell’indirizzo contenuto nella deliberazione consiliare n. 57/2014, il responsabile del Settore Patrimonio con determinazione n. 1022 del 28 novembre 2014 ha indetto un’asta pubblica per la vendita delle azioni, restringendo la platea dei concorrenti ai soli enti pubblici (a causa del vincolo statutario) e fissando un prezzo base pari a € 686,70 per azione (complessivamente € 44.288.029,80), con divieto di offerte parziali o frazionate. Il termine di presentazione delle offerte era fissato al 29 dicembre 2014.

4. Non essendo pervenuta alcuna offerta, il responsabile del Settore Patrimonio con determinazione n. 1264 del 30 dicembre 2014 ha dichiarato deserta la gara.

5. A questo punto, la Provincia, con nota del vicepresidente di data 31 dicembre 2014, ha comunicato ad Autobrennero la volontà di esercitare il diritto di recesso ai sensi dell’art. 1 comma 569 della legge 27 dicembre 2013 n. 147, chiedendo la liquidazione delle proprie azioni secondo quanto previsto dall’art. 2437-ter del codice civile.

6. Contro i suddetti provvedimenti Autobrennero ha proposto impugnazione con atto notificato il 28 gennaio 2015 e depositato l’11 febbraio 2015 (ricorso n. 287/2015). Le censure possono essere sintetizzate come segue:

(i) violazione dell’art. 1 comma 569 della legge 147/2013 e dell’art. 3 commi 27-29 della legge 244/2007, in quanto per gli enti pubblici la costituzione di società che producono servizi di interesse generale (come la gestione delle autostrade) è sempre ammessa, e così pure la detenzione delle partecipazioni societarie, e dunque non sarebbe possibile uscire da tali società utilizzando la procedura di liquidazione delle azioni, che è prevista per le sole partecipazioni vietate, non per quelle consentite. Queste ultime possono essere alienate con procedura a evidenza pubblica (v. art. 1 comma 568-bis della legge 147/2013), e comunque devono essere razionalizzate come previsto dalla normativa sopravvenuta (v. art. 1 commi 611 e 612 della legge 23 dicembre 2014 n. 190);

(ii) ancora violazione delle predette norme, in quanto il recesso violerebbe i principi privatistici (v. art. 4 comma 13 del DL 6 luglio 2012 n. 95), e sarebbe comunque applicabile unicamente alle società a totale controllo pubblico, mentre nel caso di Autobrennero il 16,7542% del capitale sociale è detenuto da privati;

(iii) difetto di motivazione, in quanto non sarebbe stata fornita un’adeguata giustificazione circa l’utilizzo del recesso. Vi sarebbe anzi contrasto insanabile con la precedente qualificazione come strategica della partecipazione azionaria in Autobrennero, espressa ancora recentemente dalla deliberazione consiliare n. 49 del 20 dicembre 2010, e indirettamente ribadita dalla deliberazione giuntale n. 83 del 19 luglio 2013 (quest’ultima si era limitata a disporre la vendita di 10.000 azioni);

(iv) ancora difetto di motivazione, se si considerano i dividendi storicamente distribuiti da Autobrennero alla Provincia (complessivamente € 11.410.019 nel periodo 1996-2013) e il contributo a fondo perduto di € 10.000.000 a favore della Provincia (di cui € 4.440.748,93 già versati) per la realizzazione della bretella tra la stazione autostradale di Mantova Nord e il comparto produttivo di Valdaro;

(v) violazione del principio di leale collaborazione con i Comuni ricompresi nell’ambito provinciale, che perdono la loro rappresentanza all’interno di Autobrennero.

7. Analoga impugnazione è stata proposta da uno dei soci privati di Autobrennero, Infrastrutture CIS srl, con atto notificato il 10 febbraio 2015 e depositato il 16 febbraio 2015 (ricorso n. 329/2015). Le censure sono sostanzialmente sovrapponibili a quelle del primo ricorso. Vi sono, in aggiunta, alcune contestazioni formali sui pareri di regolarità allegati alla deliberazione consiliare n. 57/2014, e vengono poi svolte argomentazioni con riguardo all’art. 13 comma 3 del DL 4 luglio 2006 n. 223, norma che impone alle società strumentali la cessione o lo scorporo delle attività non consentite. In particolare, si afferma che le dismissioni di cui all’art. 3 commi 27-29 della legge 244/2007 sarebbero da riferire esclusivamente a tali società, e non a quelle che si occupano di servizi pubblici.

8. La Provincia si è costituita in giudizio chiedendo la reiezione di entrambi i ricorsi.

9. La connessione delle impugnazioni rende necessaria la riunione dei ricorsi ai fini di una trattazione congiunta.

10. Sulle questioni rilevanti ai fini della decisione si possono svolgere le seguenti considerazioni.

Sul diritto di recesso

11. Dopo aver inutilmente esperito una procedura a evidenza pubblica per la cessione della propria partecipazione azionaria in Autobrennero, la Provincia ha esercitato il diritto di recesso ai sensi dell’art. 1 comma 569 della legge 147/2013.

12. Tale norma rinvia all’art. 3 comma 27 della legge 244/2007, che vieta agli enti pubblici di costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, nonché di assumere o mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in tali società. È però sempre ammessa la costituzione di società che producono servizi di interesse generale, e parimenti l'assunzione di partecipazioni in tali società, nell'ambito dei livelli di competenza di ciascun ente pubblico.

13. Il successivo comma 29 dell’art. 3 della legge 244/2007 fissava originariamente un termine di trentasei mesi per la cessione a terzi delle società e delle partecipazioni vietate ai sensi del comma 27. Con l’art. 1 comma 569 della legge 147/2013 il predetto termine è stato prorogato di dodici mesi, decorsi i quali la partecipazione non alienata mediante procedura a evidenza pubblica si doveva intendere cessata a ogni effetto. La norma precisa inoltre che “entro dodici mesi successivi alla cessazione la società liquida in denaro il valore della quota del socio cessato in base ai criteri stabiliti all'articolo 2437-ter, secondo comma, del codice civile”. In questo modo viene introdotta un’applicazione particolare della facoltà di recesso prevista dal diritto societario.

Sul quadro normativo

14. Le disposizioni sopra richiamate devono essere lette nel contesto dei tentativi del legislatore statale di regolare il fenomeno delle società partecipate da enti pubblici. Se la direzione della politica legislativa è chiara nel senso della riduzione di queste partecipazioni, la ricostruzione delle modalità di perseguimento di tale obiettivo si presenta più complessa, a causa del carattere frammentario e non ancora assestato della normativa.

15. In generale, si possono comunque individuare due approcci legislativi, uno finalizzato a liberalizzare il mercato, rimuovendo rendite di posizione e conflitti di interessi, e uno finalizzato a restringere il perimetro dell’intervento pubblico nelle attività economiche. Il primo non è pregiudizialmente contrario alla figura dell’ente pubblico imprenditore, purché in condizioni di parità con gli altri operatori economici, il secondo forza invece gli enti pubblici ad abbandonare o a limitare la partecipazione diretta alle attività economiche, in quanto considera questo impegno come una fonte di sprechi o una distrazione rispetto ai compiti amministrativi.

16. Un esempio del primo orientamento può essere individuato nella disciplina sulle società strumentali introdotta dall’art. 13 del DL 223/2006. Questa norma stabilisce per le società strumentali, che ricevono affidamenti diretti dagli enti pubblici, un modello legale con una serie di stringenti limitazioni: (a) devono operare esclusivamente con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti; (b) non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara; (c) non possono partecipare ad altre società o enti aventi sede nel territorio nazionale; (d) sono a oggetto sociale esclusivo; (e) devono cedere a terzi le attività non consentite oppure scorporarle, anche costituendo una separata società. L’evoluzione di questo modello è contenuta nei commi 7 e 8 dell’art. 4 del DL 95/2012, i quali, rispettivamente, impongono agli enti pubblici di acquisire sul mercato i beni e i servizi strumentali alla propria attività mediante procedure concorrenziali, e consentono l'affidamento diretto solo a favore di società a capitale interamente pubblico, nel rispetto dei requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria per la gestione in house.

17. Restano esclusi dall’art. 13 del DL 223/2006 i servizi pubblici, in quanto area già aperta alla concorrenza e contendibile mediante gara. Gli enti pubblici possono quindi avere partecipazioni in società che concorrono per l’affidamento di servizi pubblici, con il solo divieto di fornire a tali società aiuti di Stato, e salva la possibilità di optare per la gestione in house (v. TAR Brescia Sez. II 21 febbraio 2013 n. 196; TAR Brescia Sez. II 22 aprile 2014 n. 415).

18. Un esempio del secondo orientamento è contenuto nell’art. 3 comma 27 della legge 244/2007, che non si limita a regolare le società strumentali, o a ricondurle nello schema dell’affidamento in house, ma vieta agli enti pubblici di assumere o conservare partecipazioni azionarie quando le stesse non siano strettamente necessarie per il perseguimento delle finalità istituzionali. Così impostata, la norma ha un’estensione molto ampia, e può essere riferita a tutte le società partecipate, comprese quelle che si occupano di servizi di interesse generale (ossia di servizi pubblici). La specificazione che segue immediatamente, ossia l’inciso sull’ammissibilità delle partecipazioni in società che producono servizi di interesse generale, individua una facoltà, non un obbligo. In altri termini, la norma pone un principio (la tendenziale coincidenza tra partecipazioni azionarie e funzioni istituzionali), ma quando si tratta di servizi pubblici lascia alle singole amministrazioni ogni valutazione circa l’estensione dei rispettivi interessi istituzionali, con il solo limite che non vengano superati i livelli di competenza stabiliti dalla legge.

19. Questa scelta normativa appare ragionevole sotto due profili. In primo luogo, il legislatore statale rinuncia a entrare nel dettaglio delle varie tipologie di società, evitando di esporsi a censure di legittimità costituzionale a proposito dell’autonomia organizzativa regionale. Il rischio di subire queste censure è elevato, come dimostra la sentenza della Corte Costituzionale n. 229 del 23 luglio 2013, che ha annullato i commi 1, 2, 3, secondo periodo, 3-sexies e 8 dell’art. 4 del DL 95/2012 proprio a causa della pervasività della disciplina sulla liquidazione delle società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni. In secondo luogo, viene rispettato il tradizionale principio in base al quale gli enti locali, avendo fini generali, possono individuare autonomamente i servizi pubblici da promuovere per aumentare il benessere delle comunità rappresentate.

20. Se il legislatore statale non impone direttamente l’uscita degli enti pubblici dalle società che gestiscono servizi pubblici, non esprime nemmeno una qualche opposizione a tale ipotesi, e certamente non costringe le pubbliche amministrazioni a rimanere prigioniere delle società partecipate. Una volta che l’ente pubblico, esercitando la propria discrezionalità, abbia qualificato come non più strategica la presenza nel capitale di società affidatarie di servizi pubblici, si verifica una situazione equivalente al divieto di conservare partecipazioni azionarie estranee alle finalità istituzionali. Di qui l’applicabilità dell’art. 3 comma 29 della legge 244/2007, il cui intervallo temporale è peraltro scaduto, ma è stato poi riaperto dall’art. 1 comma 569 della legge 147/2013.

21. All’epoca dei fatti di causa, per uscire dalle società controllate, ossia per liberarsi delle partecipazioni non strategiche, gli enti pubblici potevano cedere le azioni mediante procedura a evidenza pubblica negli intervalli temporali previsti dai commi 568-bis e 569 dell’art. 1 della legge 147/2013. Quest’ultima norma, come si è visto sopra, ha anche regolato l’ipotesi della mancata alienazione (per qualsiasi causa), prevedendo il recesso con liquidazione delle azioni ex art. 2437-ter, secondo comma, del codice civile.

22. Lo strumento del recesso non è richiamato nella legislazione successiva (v. art. 1 commi 611 e 612 della legge 190/2014). Tale normativa, tuttavia, ribadisce e amplia l’obbligo per gli enti pubblici di rivedere e razionalizzare le partecipazioni azionarie, eliminando quelle non indispensabili al perseguimento delle finalità istituzionali. Da un lato, infatti, sono espressamente confermate le procedure descritte nell’art. 3 commi 27-29 della legge 244/2007 e nell’art. 1 comma 569 della legge 147/2013, dall’altro è previsto l’obbligo di elaborare un piano operativo di razionalizzazione delle partecipazioni societarie, con la fissazione di modalità e tempi di attuazione, e l’individuazione in dettaglio dei risparmi da conseguire. Il riferimento ai risparmi conferma indirettamente la legittimità delle dismissioni basate su esigenze di cassa, tenendo conto che il concretizzarsi di una voce di entrata riduce la necessità di indebitamento complessivo per finanziare altri investimenti.

23. Il fatto che nell’art. 1 commi 611 e 612 della legge 190/2014 non sia richiamata la facoltà di recedere, e di ottenere così la liquidazione delle azioni, non sembra costituire un ostacolo all’estensione di questo strumento in via interpretativa. Quando è ammesso il recesso, infatti, la liquidazione è certa, trattandosi di un diritto del socio riconosciuto e regolato dal codice civile, e viene conseguita indipendentemente dalla composizione sociale e dalla quota detenuta. Se invece non vi fosse la possibilità di recedere, e parallelamente la procedura di vendita delle azioni andasse deserta, l’unico modo per uscire dalla società sarebbe il consenso di tutti gli altri soci, con esiti variabili a seconda delle circostanze concrete (maggiore o minore peso all’interno del capitale sociale, accordi tra enti pubblici con partecipazioni azionarie). In presenza di soci privati, inoltre, la dismissione, pur corrispondendo a un interesse pubblico, sarebbe subordinata a valutazioni di natura privatistica. Tutto questo vanificherebbe l’obiettivo fissato dal legislatore, e in definitiva costringerebbe l’ente pubblico a rimanere associato a un rischio di impresa che non corrisponde più alle proprie finalità istituzionali. Di conseguenza, il recesso appare come l’elemento che riporta in equilibrio la procedura di abbandono delle partecipazioni azionarie non strategiche.

24. Nello specifico, peraltro, la Provincia ha esercitato il recesso nell’intervallo temporale previsto dall’art. 1 comma 569 della legge 147/2013, e dunque era legittimata da una norma espressa, che non contiene limitazioni basate sul carattere totalitario del controllo pubblico o su altri aspetti della compagine sociale. Occorre pertanto valutare se il diritto di recesso, esistente in base alla suddetta norma, sia stato esercitato correttamente.

Sulla motivazione del recesso

25. Preliminarmente, si ritiene superabile la censura relativa al presunto conflitto tra i pareri di regolarità allegati alla deliberazione consiliare n. 57/2014. I contributi dei dirigenti, in realtà, si coordinano e si completano a vicenda, come è normale in un atto di indirizzo che affronta problemi complessi ed è destinato a produrre conseguenze significative sul piano organizzativo e finanziario.

26. La decisione della Provincia di uscire dal capitale sociale di Autobrennero è stata effettuata non tanto in esecuzione della riforma ordinamentale introdotta dalla legge 56/2014 ma in vista dell’entrata in vigore a regime di tale normativa (una volta esaurito il mandato degli organi investiti con voto popolare). Appare quindi, da un lato, non contestabile la possibilità di disporre autonomamente delle partecipazioni azionarie, e dall’altro legittima la decisione di analizzare l’utilità di tali partecipazioni tenendo conto del livello di competenza successivo all’implementazione della riforma.

27. In proposito, si osserva che nel nuovo ordinamento le province perdono la qualità di enti a fini generali e sono chiamate a svolgere funzioni numerate, tra cui la costruzione e gestione delle strade provinciali e la gestione dell'edilizia scolastica (v. art. 1 comma 85 della legge 56/2014). La nuova competenza in materia di strade è di tipo operativo, equiparabile a una gestione associata sovracomunale, e non si estende alla programmazione del rapporto tra il territorio provinciale e le grandi infrastrutture della viabilità. Diverso è evidentemente il caso delle opere autostradali progettate e approvate negli anni scorsi, che devono essere portate a compimento come indicato nella relazione previsionale e programmatica della Provincia in materia di viabilità per il periodo 2015-2017.

28. Non è quindi possibile individuare una contraddizione tra la decisione di uscire da Autobrennero e la qualificazione come strategica della medesima partecipazione azionaria espressa più volte nel recente passato. Per il futuro, è senz’altro legittimo che la Provincia ridefinisca le sue priorità e individui un livello di spesa sostenibile. Come si è visto sopra, l’uscita dalle società che gestiscono servizi pubblici è possibile, e allo stesso tempo necessaria, quando gli enti pubblici ritengano ormai venuto meno il collegamento con le funzioni amministrative (sia l’art. 3 comma 27 della legge 244/2007 sia l’art. 1 comma 611 della legge 190/2014 collegano le partecipazioni azionarie al perseguimento delle finalità istituzionali, e per quanto riguarda i servizi pubblici la prima norma è specifica nel chiedere il rispetto dei livelli di competenza).

29. Sotto il profilo finanziario, tutte le province operano in un contesto di risorse fortemente decrescenti (v. audizione del presidente dell’UPI davanti alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato nella seduta congiunta del 20 aprile 2015). In questa situazione si trova anche la Provincia di Mantova. Nello specifico, dunque, si è presentata la scelta tra mantenere un investimento azionario nella società che attualmente gestisce l’autostrada collocata sul territorio provinciale (con i futuri dividendi come fonte integrativa di finanziamento) oppure capitalizzare tale investimento per continuare a svolgere le attività istituzionali senza tagli alle prestazioni o interruzioni di servizio. Entrambe le soluzioni presentano vantaggi e rischi, la cui valutazione di merito non può essere ripetuta dal giudice amministrativo, una volta escluso che vi siano elementi di palese irragionevolezza.

30. Per quanto riguarda, infine, l’obbligo di leale collaborazione, la Provincia nella fase transitoria non aveva la necessità di ottenere l’assenso dei Comuni del proprio territorio, né era tenuta a interpretare l’interesse di tali Comuni nel senso della continuità della partecipazione azionaria, e neppure si era vincolata mediante specifici accordi a mantenere la posizione di socio per conto dei Comuni. D’altra parte, se i Comuni avessero ritenuto strategica la partecipazione azionaria della Provincia, avrebbero potuto coordinarsi per formulare un’offerta di acquisto. A maggior ragione, la Provincia non era tenuta a garantire l’immutabilità della compagine sociale nei confronti dei soci privati.

Conclusioni

31. Entrambi i ricorsi devono quindi essere respinti.

32. La complessità e la novità di alcune questioni consentono l’integrale compensazione delle spese in entrambi i ricorsi.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando:

(a) riunisce i ricorsi;

(b) respinge i ricorsi riuniti;

(c) compensa integralmente le spese di giudizio in entrambi i ricorsi.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 15 luglio 2015 con l'intervento dei magistrati:

Mauro Pedron, Presidente, Estensore

Francesco Gambato Spisani, Consigliere

Mauro Gatti, Primo Referendario

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 13/10/2015, n. 1305

 

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