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TAR Veneto, Sez. II, 20/11/2015 n. 1243
Le disposizioni di cui all'art. 31, commi 49 bis e ter l. n. 448/1998 incontrano il limite della locale pianificazione urbanistica la quale può riservare talune quote obbligatorie di superficie o di volume per la realizzazione di edilizia res. pubbl.

La ratio legis delle disposizioni di cui all'art. 31, commi 49 bis e ter della l. 23 dicembre 1998, n. 448 corrisponde "ad una politica del diritto volta a garantire il diritto alla casa, facilitando l'acquisizione di alloggi a prezzi contenuti (grazie al concorso del contributo pubblico), ai ceti meno abbienti: e non certo quella di consentire successive operazioni speculative di rivendita a prezzo di mercato". Pertanto, nel caso di specie, risulta legittimo il diniego motivato con riferimento alla finalità di mantenere la percentuale minima di superficie e volume di alloggi che lo strumento urbanistico riserva all'edilizia residenziale pubblica relativamente al piano attuativo per il quale è stata stipulata la convenzione.

Materia: edilizia ed urbanistica / edilizia residenziale pubblica

N. 01243/2015 REG.PROV.COLL.

 

N. 01887/2013 REG.RIC.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1887 del 2013, proposto da:

Angelo Sergio Vianello e Barbara Castioni, rappresentati e difesi dagli avv.ti Vittoria Rapisardi e Riccardo Mazzon, con domicilio presso la Segreteria del T.A.R. ai sensi dell’art. 25 cod. proc. amm.;

 

contro

Comune di Jesolo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Enrico Gaz, con domicilio eletto presso il suo studio in Venezia, Santa Croce, 269;

 

per l'annullamento

dell'atto amministrativo mai comunicato ai ricorrenti ma solamente indicato con raccomandata a.r. 14/10/2013 con cui la Giunta del Comune di Jesolo, nella seduta del 6 agosto 2013, ha constatato l'impossibilità di procedere con la rimozione del vincolo relativo alla determinazione del valore massimo di cessione di un alloggio costruito in regime di edilizia residenziale pubblica alla luce dell'attuale normativa in vigore.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Iesolo;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 novembre 2015 il dott. Stefano Mielli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

I ricorrenti con atto di compravendita del 17 luglio 2005, hanno acquistato un’unità immobiliare ad uso abitazione con scoperto esclusivo e posto auto nel complesso condominale denominato “Residence Marina” nel Comune di Jesolo, realizzato in un’area di un piano lottizzazione destinata ad alloggi di edilizia residenziale pubblica.

Va premesso che l’art. 14 delle norme tecniche allegate al piano regolatore prescrive la necessità di destinare ad edilizia residenziale pubblica un quota pari almeno al 40% della superficie edificabile per le zone di nuova espansione residenziale C 2.2..

La Società “Immobiliare Marina Srl” che ha realizzato gli interventi di edilizia residenziale pubblica, il 25 maggio 2005, ha stipulato un atto unilaterale d’obbligo per la loro attuazione convenzionandoli ai sensi dell’art. 18 del DPR 6 giugno 2001, n. 380.

Pertanto, in cambio dell’esonero del pagamento della quota di contributo per il rilascio del permesso di costruire commisurata al costo di costruzione, la Società ha assunto il vincolo della determinazione del prezzo massimo di cessione degli alloggi e del diritto di prelazione in favore Comune.

Con istanza dell’11 maggio 2012, i ricorrenti hanno chiesto la rimozione del vincolo relativo alla determinazione del prezzo massimo di cessione secondo le modalità previste dagli dall’art. 31, commi 49 bis e 49 ter della legge 23 dicembre 1998, n. 448.

Il Comune in un primo momento ha ritenuto ostativa all’accoglimento dell’istanza la circostanza che la convenzione è stata stipulata successivamente alla data di entrata in vigore della legge 17 febbraio 1992, n. 179, in quanto il sopra citato comma 49 bis ammette la rimozione del vincolo solo per le convenzioni stipulate precedentemente a tale data.

In seguito, acquisito il parere della Regione presso i cui uffici si è svolta anche una riunione alla presenza del ricorrente e del suo tecnico di fiducia in data 17 luglio 2013, il Comune con nota prot. n. 2013/64166 del 14 ottobre 2013, ha comunicato di non accogliere l’istanza di rimozione del vincolo relativo alla determinazione del valore massimo di cessione in ragione della previsione del piano regolatore generale che destina ad edilizia residenziale pubblica almeno il 40% della volumetria prevista da ciascun piano attuativo, e per la circostanza che la volumetria del piano attuativo nel quale è compreso l’alloggio è esattamente pari al 40%.

Tale nota è impugnata con il ricorso in epigrafe per le seguenti censure:

I) violazione degli artt. 1 e 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241 per violazione del termine di conclusione del procedimento;

II) violazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, per mancanza o comunque l’insufficienza della motivazione, perché non vi è congruenza tra gli elementi ostativi emersi nel corso dell’istruttoria, concernenti la data di stipulazione della convenzione, e quelli previsti dal diniego finale, concernenti le previsioni del piano regolatore;

III) violazione dell’art. 10 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, e dell’art. 97 della Costituzione perché il riferimento a ragioni nuove ed estranee ai precedenti colloqui e contatti tra le parti comporta la violazione dei principi sul contraddittorio procedimentale;

IV) violazione dell’art. 31, commi 49 bis e ter della legge 23 dicembre 1998, n. 448, perché in base ad un’interpretazione sistematica delle norme, la circostanza che la convenzione sia stata stipulata successivamente alla data di entrata in vigore della legge 17 febbraio 1992, n. 179, non può essere ritenuta ostativa, e in capo agli istanti è configurabile un vero e proprio diritto soggettivo alla rimozione del vincolo cui corrisponde l’obbligo dell’Amministrazione di stipulare la convenzione sostitutiva;

V) carenza di motivazione in relazione al richiamo alle previsioni dello strumento urbanistico perché questo non può essere ritenuto ostativo alla rimozione del vincolo ove sussistano tutti gli altri presupposti previsti dalla legge;

VI) sviamento, manifesta ingiustizia, contraddittorietà e difetto di istruttoria per le diverse motivazioni ritenute ostative nel corso del procedimento.

Si è costituito in giudizio il Comune di Jesolo replicando alle censure proposte e concludendo per la reiezione del ricorso.

Con ordinanza n. 220 del 9 aprile 2014, è stata respinta la domanda cautelare.

Alla pubblica udienza del 5 novembre 2015, la causa è stata trattenuta in decisione.

Il ricorso deve essere respinto.

Il primo motivo, con il quale i ricorrenti deducono l’illegittimità dell’atto impugnato per violazione del termine di conclusione del procedimento, è privo di fondamento atteso che, come è noto, ai sensi dell’art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, il termine di conclusione del procedimento non ha natura perentoria e non consuma il potere dell’Amministrazione di provvedere, e pertanto il mancato rispetto del termine non vizia l’atto adottato tardivamente (cfr. ex pluribus (Tra Abruzzo, Pescara, 10 settembre 2015, n. 360; Tar Calabria, Catanzaro, Sez. I, 25 giugno 2015, n. 1104; Consiglio di Stat. Sez. IV, 10 giugno 2014, n. 2964).

Parimenti infondate sono le censure di cui al terzo motivo di violazione dell’art. 10 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, e di contraddittorietà e difetto di istruttoria di cui al sesto motivo, con le quali i ricorrenti lamentano che non vi sarebbe corrispondenza tra la motivazione del diniego e le diverse ragioni ostative emerse nel corso del procedimento.

Infatti dalla documentazione versata in atti risulta che vi è stato un ampio ed articolato contraddittorio procedimentale, culminato nell’incontro presso la Regione svoltosi il 17 luglio 2013, e dal verbale di questo incontro (cfr. doc. 16 allegato alle difese del Comune) risulta che è stato affrontato espressamene anche il problema dei limiti derivanti dallo strumento urbanistico.

Pertanto l’affermazione secondo la quale il diniego definitivo si fonderebbe su elementi nuovi ed estranei dai precedenti colloqui è priva di riscontri, e può ritenersi che gli interessati abbiano ottenuto forme di comunicazione equipollenti a quelle previste dall’art. 10 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, essendo stati comunque posti nella condizione di interloquire con l'Amministrazione sulla proposta di determinazione finale (cfr. Tar Umbria, 5 maggio 2014, n. 241; Tar Puglia, Bari, Sez. II, 14 gennaio 2010, n. 63; Tar Puglia, Lecce, Sez . II, 24 agosto 2006 n. 4281).

Il terzo ed il sesto motivo devono pertanto essere respinti.

Con le censure di cui al secondo, quarto e quinto motivo, che possono essere esaminate congiuntamente, i ricorrenti sostengono in sostanza che le disposizioni di cui all’art. 31, commi 49 bis e ter della legge 23 dicembre 1998, n. 448, riconoscerebbero in capo ai proprietari di immobili un vero e proprio diritto potestativo a veder rimuovere il vincolo relativo alla determinazione del valore massimo di cessione degli alloggi per i quali è stata stipulata una convenzione con il Comune, rispetto al quale il Comune non potrebbe in nessun caso frapporre un diniego.

Tale tesi non è condivisibile, perché le norme richiamate subordinano l’esercizio di tale facoltà ad una serie di condizioni (che sia trascorso un quinquennio dal primo trasferimento, che sia stipulata e trascritta una nuova convenzione e che sia corrisposto un corrispettivo) e ad adempimenti da parte del Comune (quale la determinazione del corrispettivo dovuto ai sensi dell’art. 29, comma 16 undecies, del decreto legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito con modificazioni in legge 24 febbraio 2012, n. 14), ed i ricorrenti in realtà non adducono argomenti specifici e circostanziati per confutare le conclusioni cui è giunto il Comune, limitandosi ad affermare in modo generico nel quinto motivo (cfr. pagg. 20 e 21 dl ricorso) che l’atto impugnato reca una motivazione “assolutamente pretenziosa ed avulsa dal contesto della problematica”.

Pertanto, tenuto conto che, come ha chiarito la più recente giurisprudenza (cfr. Cassazione civile, Sez. un., 16 settembre 2015, n. 18135), la ratio legis di tali disposizioni corrisponde “ad una politica del diritto volta a garantire il diritto alla casa, facilitando l'acquisizione di alloggi a prezzi contenuti (grazie al concorso del contributo pubblico), ai ceti meno abbienti: e non certo quella di consentire successive operazioni speculative di rivendita a prezzo di mercato”, risulta legittimo il diniego motivato con riferimento alla finalità di mantenere la percentuale minima di superficie e volume di alloggi che lo strumento urbanistico riserva all’edilizia residenziale pubblica relativamente al piano attuativo per il quale è stata stipulata la convenzione.

Sul punto va rilevato che l’art. 39 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, prevede che lo strumento urbanistico possa prescrivere che, nelle aree residenziali soggette a piano urbanistico attuativo, vengano riservate delle quote di superficie o di volume per la realizzazione di edilizia residenziale pubblica, e che la quantità di superficie o di volume da riservare non possa essere inferiore al 20%, né superiore al 40% di quella necessaria a soddisfare il fabbisogno complessivo di edilizia abitativa per la durata dello strumento urbanistico.

Per quanto concerne lo strumento urbanistico, l’art. 14 delle norme tecniche di attuazione allegate al piano regolatore per le zone di nuova espansione residenziale C 2.2., ha previsto che si debba provvedere all’individuazione, nei piani attuativi, di una quota minima del 40% di superficie edificabile da destinare all’edilizia residenziale pubblica, e l’atto unilaterale d’obbligo all’art. 1, penultimo periodo (cfr. doc. 2 allegato alle difese del Comune), dà espressamente atto “che l’intervento in oggetto concorre alla formazione del 40% della volumetria da destinare a ERP, così come previsto dal piano di lottizzazione”.

Tale percentuale, come specificato dalla deliberazione consiliare n. 149 del 17 dicembre 2003, con cui è stato approvato il piano attuativo, corrisponde alla misura minima prevista dallo strumento urbanistico.

Pertanto in un tale contesto in cui non vi è dubbio circa la validità degli obblighi e vincoli previsti dall’atto unilaterale d’obbligo anche nei confronti dei ricorrenti, aventi causa del costruttore, dato che l’art. 8 di tale atto, conformemente a quanto previsto dall’art. 10 dello schema di convenzione di cui all’allegato A) della legge regionale 9 settembre 1999, n. 42, prevede che gli obblighi impegnino oltre alla ditta concessionaria anche i successori ed aventi causa nella proprietà dei fabbricati e degli alloggi, il diniego deve ritenersi sufficientemente motivato con il riferimento alla finalità di mantenere la percentuale minima di superficie e volume di alloggi che lo strumento urbanistico riserva all’edilizia residenziale pubblica nello specifico piano attuativo per il quale è stata stipulata la convenzione.

In definitiva pertanto il ricorso deve essere respinto.

Le spese di giudizio, in ragione della novità delle questioni trattate, possono essere integralmente compensate.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 5 novembre 2015 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Di Nunzio,  Presidente

Stefano Mielli,            Consigliere, Estensore

Nicola Fenicia,           Referendario

                       

L'ESTENSORE                     IL PRESIDENTE

                       

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 20/11/2015

 

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

 

 

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