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Corte di Cassazione, sez. I, 13/4/2016 n. 7316
Sulla misura interdittiva dell'incandidabilità degli amministratori pubblici di enti territoriali ex art. 143 del TUEL.

La misura interdittiva dell'incandidabilità degli amministratori pubblici di enti territoriali, il cui consiglio sia stato sciolto per l'esistenza di ingerenze della criminalità organizzata, opera dal momento in cui sia dichiarata con provvedimento definitivo e riguarda il primo turno, ad esso successivo, di ognuna delle tornate elettorali indicate dall'art. 143, c. 11, del d.lgs. n. 267 del 2000, e, quindi, tanto le elezioni regionali, quanto quelle provinciali, comunali e circoscrizionali.

Il procedimento giurisdizionale per la dichiarazione di incandidabilità ex art. 143, c. 11, TUEL è autonomo rispetto a quello penale, e diversi ne sono i presupposti, in quanto la misura interdittiva elettorale non richiede che la condotta dell'amministratore dell'ente locale integri gli estremi del reato di partecipazione ad associazione mafiosa o concorso esterno nella stessa, essendo sufficiente che egli sia stato in colpa nella cattiva gestione della cosa pubblica, aperta alle ingerenze e alle pressioni delle associazioni criminali operanti sul territorio.

L'incandidabilità di cui all'art.143 TUEL, come efficacemente posto in luce dalla sentenza delle Sezioni unite 1747/2015, "rappresenta una misura interdittiva volta a rimediare al rischio che quanti abbiano cagionato il grave dissesto possano aspirare a ricoprire cariche identiche o simili a quelle rivestite e, in tal modo, potenzialmente perpetuare l'ingerenza inquinante nella vita delle amministrazioni democratiche locali", e si configura come un rimedio di "extrema ratio", volto ad evitare il ricrearsi delle situazioni a cui la misura dissolutoria ha inteso ovviare, salvaguardando beni primari della collettività nazionale.


Materia: enti locali / ordinamento

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE CIVILE

 

 

SENTENZA

sul ricorso 12824-2015 proposto da;

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA SCROFA 14, presso l'avvocato CARLO SARRO, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce ai ricorso;

- ricorrente -

 

contro

MINISTERO DELL'INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, PREFETTURA DI CASERTA, in persona del Prefetto pro tempore, domiciliati in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, rappresentati e difesi ope legis;

- controricorrenti -

 

contro

(omissis) (omissis) (omissis) (omissis) ;

- intimati -

 

avverso la sentenza n. 170/2014 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 18/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/12/2015 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha concluso per l'inammissibilità o rigetto del ricorso e compensazione spese.

 

Svolgimento del processo

In data 8 maggio 2012, in ottemperanza al disposto e per le finalità di cui all'art.143, 11 comma, del d.lgs. 267/2000, il Ministro dell'Interno inviava con propria nota al Tribunale di (omissis) la copia della proposta di scioglimento del Consiglio comunale di (omissis) , scioglimento disposto col d.p.r. 17 aprile 2012, finalizzato all'incandidabilità alle successive elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali degli amministratori indicati nella proposta.

Il Tribunale, con sentenza del 18/31 ottobre 2010, dichiarava improcedibile la proposta di applicazione della sanzione della incandidabilità nei confronti dei convenuti.

La Corte d'appello di Napoli, con sentenza dell'8/10- 18/11/2014, ha accolto il reclamo della Prefettura di (omissis) - Ufficio Territoriale del Governo e del Ministero dell'Interno, e, dichiarata la procedibilità della proposta di applicazione della sanzione dell'incandidabilità, ha dichiarato non candidabili al primo turno, ancora da espletarsi, della elezioni regionali, provinciali, comunali, circoscrizionali, successive al provvedimento di scioglimento del Consiglio comunale di (omissis) del 17 aprile 2012 ed al passaggio in giudicato della sentenza, i convenuti (OMISSIS); ha condannato -i reclamati in solido alle spese.

In sintesi, e per quanto rileva, la Corte d'appello, posta la stretta interpretazione dell'art.143 cit., in quanto limitante il diritto di elettorato passivo, ha rilevato che alla stregua della lettera della norma, ove, come nel caso, la pronuncia definitiva di incandidabilità sopravvenga dopo lo svolgimento del primo turno di una o più delle elezioni richiamate, la stessa è destinata a produrre i suoi effetti esclusivamente con riferimento alle altre elezioni non ancora svoltesi dopo lo scioglimento, ma non anche con riferimento alle successive tornate delle elezioni già tenutesi nelle more del procedimento per la dichiarazione di incandidabilità.

E la dichiarazione dì improcedibilità resa dal Tribunale rendeva di fatto inapplicabile la norma, vanificandone la previsione ove tenuta la prima tornata elettorale nei tempi necessari per addivenire alla decisione definitiva di indandidabilità, che non rappresenta un'autonoma sanzione, ma bensì una misura preventiva e cautelare nei confronti degli amministratori pubblici che con la loro condotta abbiano dato causa allo scioglimento del consiglio dell'ente locale, a differenza della sanzione di cui all'art.58 TUEL, e della ineleggibilità ed incompatibilità.

Ciò posto, la Corte ha disatteso la questione di legittimità costituzionale sollevata dal (omissis) per violazione degli artt. 2, 3 e 51 Cost., ritenendo carattere preventivo e cautelare assunto a carico delle persone determinate, senza nessuna forma di automaticità, per impedire il collegamento diretto e indiretto con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare.

Ciò posto, la Corte territoriale ha valutato nel merito le singole posizioni, avuto riguardo alla documentazione prodotta (copia della relazione prefettizia indirizzata al Ministero dell'Interno del 31/3/2012, nota della Prefettura di (omissis) del 24/1/2013 e del 1/2/203, copia della relazione della Commissione di accesso del 26/3/2012, atti penali            relativi all'ordinanza 42272/2010 di custodia cautelare dell'Ufficio del GIP).

Quanto al (omissis), eletto sindaco all'esito delle elezioni comunali dell'aprile 2010, e dimissionario nel novembre 2011, non destinatario dell'ordinanza di custodia cautelare n.733/2011, la Corte ha ritenuto di evidenziare che detta tornata elettorale era stata alterata dall'intervento del clan dei….., che aveva fornito sostegno alla lista del (omissis) (in particolare, .., ma anche i fratelli…), e che          a questi era dovuto l'ingresso nella giunta nell'agosto 2010 di (omissis), con delega per il settore, centrale per gli interessi del clan, dell'istruzione, della programmazione delle opere pubbliche, urbanistica e beni confiscati, né in contrario deponeva la circostanza che tale segnalazione fosse venuta dal gruppo consiliare (omissis), visto che non era stata contrastata dal (omissis), benché il (omissis) nel periodo elettorale fosse stato raggiunto da informazione di garanzia per i reati 416 bis e 416 ter c.p.

Alla sindacatura del (omissis), secondo la Corte partenopea, andavano in definitiva ascritte le situazioni inficianti il buon andamento dell'amministrazione ed il regolare funzionamento dei servizi segnalati a pagina 9 della relazione prefettizia e da questi non affrontate e non risolte, nonché la mancata definizione del procedimento disciplinare nei confronti del vigile urbano (omissis), già processato e condannato per associazione di stampo mafioso, nuovamente arrestato nella diversa inchiesta per delitti commessi per favorire il clan (omissis), in palese violazione degli artt. 94 d.lgs. 267/2000 e 55 quater, 10 corna lett.F), d.lgs. 165/2001.

Ricorre avverso detta pronuncia il (omissis), con ricorso affidato a tre motivi.

Si difendono il Ministero e la Prefettura di (omissis) con controricorso; gli altri intimati non hanno svolto difese. Il ricorrente ha depositato la memoria ex art.378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

1.1.- Col primo motivo, il ricorrente  si duole della violazione e falsa applicazione degli artt.143, 110 comma TUEL, 12 delle preleggi, 51 Cost., ed a riguardo denuncia l'errore della Corte del merito che si è allontanata sensibilmente dal testo normativo, che utilizza a chiare lettere l'avverbio "limitatamente" in relazione solo al "primo turno elettorale, cosi escludendo le successive elezioni amministrative, che siano comunali, provinciali o regionali.

La parte richiama altresì il commento del Centro Studi del Senato,            XVII Legislatura, alla modifica apportata dall'art. 2, 30° comma, l. 94/2009, nonchè la valenza del criterio sussidiario dell'intenzione del legislatore e l'incipit del comma che qui interessa.

2.1-.Il primo motivo è infondato.

Va data continuità a quanto ritenuto da questa Corte nella recente pronuncia 18696/2015, i cui argomenti non vengono scalfiti dai rilievi del ricorrente.

La pronuncia citata ha infatti affermato che la misura interdittiva dell'incandidabilita degli amministratori pubblici di enti territoriali, il cui consiglio sia stato sciolto per l'esistenza di ingerenze della criminalità organizzata, opera dal momento in cui sia dichiarata con provvedimento definitivo e riguarda il primo turno, ad esso successivo, di ognuna delle tornate elettorali indicate dall'art. 143, comma 11, del d.lgs. n. 267 del 2000, e, quindi, tanto le elezioni regionali, quanto quelle provinciali, comunali e circoscrizionali.

 

1.2.- Col secondo mezzo, il (omissis) si duole della violazione e falsa applicazione dell'art.143,11° comma, TUEL, in relazione ai presupposti della sanzione, censurando l'interpretazione della Corte d'appello, che finisce con l'attribuire alla parte una sorta di responsabilità oggettiva per la sola ragione del ruolo di sindaco, svolto per un periodo limitato, senza individuare condotte specifiche; il (omissis), nella relazione prefettizia posta a base della determinazione ministeriale, appare una sola volta, quale sindaco del Comune, e quanto alla nomina, come componente della Giunta comunale, di (omissis), già destinatario di informazione di garanzia, la stessa è stata solo ratificata dalla parte, che, all'epoca, non sapeva né poteva sapere del coinvolgimento del (omissis) in un'indagine penale per reati ex artt.416 bis e ter c.p. Secondo il ricorrente, le argomentazioni della Corte del merito risultano quali mere congetture non supportate da alcun elemento concreto, da cui, pertanto, l'errore di interpretazione della normativa in relazione ai presupposti legittimanti la declaratoria di incandidabilità.

2.2.- Il motivo è infondato.

Il ricorrente, al di là del riferimento alle specifiche valutazioni della Corte del merito, che finirebbe per trasmodare nel profilo, inammissibile, del vizio di motivazione, ha inteso porre la questione di diritto dell'interpretazione della norma in oggetto, sostanzialmente sostenendo di non essere stato coinvolto in ? procedimenti penali, per cui non poteva essere assoggettato alla medesima sanzione degli altri componenti della giunta. Ciò posto, si deve rilevare che, come si sono già espresse le Sezioni unite nella pronuncia 1747/2015, il procedimento giurisdizionale per la dichiarazione di incandidabilità ex art. 143, comma 11, TUEL è autonomo rispetto a quello penale, e diversi ne sono i presupposti, in quanto la misura interdittiva elettorale non richiede che la condotta dell'amministratore dell'ente locale integri gli estremi del reato di partecipazione ad associazione mafiosa o concorso esterno nella stessa, essendo sufficiente che egli sia stato in colpa nella cattiva gestione della cosa pubblica, aperta alle ingerenze e alle pressioni delle associazioni criminali operanti sul territorio.

Ed a tale principio si è attenuta la Corte d'appello, nell'individuare a carico del (omissis), pur non destinatario di imputazioni per specifiche condotte penalmente rilevanti, il coinvolgimento nelle vicende che hanno portato allo scioglimento del Consiglio comunale di (omissis), per il sostegno del clan alla lista del (omissis), l'ingresso nella giunta del (omissis) con le deleghe a settori centrali, l'attribuzione delle situazioni "inficianti il buon andamento o l'imparzialità nonchè regolare funzionamento dei servizi segnalate a pag.9 della  relazione prefettizia e dal predetto non affrontate ed avviate a soluzione", nonché della mancata definizione del procedimento disciplinare a carico del vigile urbano (omissis).

1.3.- Col terzo mezzo, il ricorrente ripropone la questione di costituzionalità, sostenendo che, a fronte del diritto di elettorato passivo riconducibile ai diritti inviolabili ex art. 2 Cost., della natura di eccezione dell'ineleggibilità ex art. 51 Cost. e quindi della stretta interpretazione delle cause di ineleggibilità, la disciplina di cui si tratta non può ritenersi conforme a detti principi, in modo irragionevole, introducendo una causa di incandidabilità dai confini estremamente generici ed elastici, sino a ricomprendere le situazioni più diverse, non tipizzate, ma dipendenti dall'apprezzamento giudiziale.

2.3.- La questione di costituzionalità è manifestamente infondata.

L'incandidabilità di cui all'art.143 cit., come efficacemente posto in luce dalla sentenza delle Sezioni unite 1747/2015, "rappresenta una misura interdittiva volta a rimediare al rischio che quanti abbiano cagionato il grave dissesto possano aspirare a ricoprire cariche identiche o simili a quelle rivestite e, in tal modo, potenzialmente perpetuare l'ingerenza inquinante nella vita delle amministrazioni democratiche locali", e si configura  come un rimedio di "extrema ratio", volto ad evitare il ricrearsi delle situazioni a cui la misura dissolutoria ha inteso ovviare,            salvaguardando beni primari della collettività nazionale.

3.1.- Conclusivamente, va respinto il ricorso.

Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Risultando dagli atti che il procedimento in oggetto è esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al comma 1 quater dell'art.13 del d.p.r. 115/2002, introdotto dall'art. l, comma 17, della l. 228/2012.

 

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso; condanna il ricorrente alle spese, liquidate in euro 8000,00, oltre euro 200,00 per esborsi; oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, in data 17 dicembre 2015

 

Depositato in cancelleria

Il 13 aprile 2016

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