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Consiglio di Stato, Adunanza della Commissione speciale, 15/4/2016 n. 929
Parere del CdS sullo Schema di decreto del Presidente della Repubblica recante Norme per la semplificazione e l’accelerazione dei procedimenti amministrativi, ai sensi dell’articolo 4 della legge 7 agosto 2015, n. 124

Materia: pubblica amministrazione / attività

Numero 00929/2016 e data 15/04/2016

 

REPUBBLICA ITALIANA

Consiglio di Stato

Adunanza della Commissione speciale del 22 marzo 2016

 

NUMERO AFFARE 00432/2016

 

OGGETTO:

Dipartimento per la semplificazione e la pubblica amministrazione.

 

Schema di decreto del Presidente della Repubblica recante “Norme per la semplificazione e l’accelerazione dei procedimenti amministrativi, ai sensi dell’articolo 4 della legge 7 agosto 2015, n. 124”

 

LA COMMISSIONE SPECIALE

Vista la relazione n. 111/16/UL/P del 25 febbraio 2016, con la quale il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione - ufficio legislativo ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull'affare consultivo in oggetto;

Visto il decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 25 del 1° marzo 2016, che ha istituito una Commissione speciale per l’esame dello schema e l’espressione del parere;

Considerato che nell’adunanza del 22 marzo 2016, presenti anche i Presidenti aggiunti Rosanna De Nictolis e Luigi Carbone, la Commissione Speciale ha esaminato gli atti e udito i relatori Roberto Giovagnoli, Giancarlo Luttazi;

 

PREMESSO

Lo schema di regolamento in esame reca “Norme per la semplificazione e l’accelerazione dei procedimenti amministrativi, ai sensi dell’articolo 4 della legge 7 agosto 2015, n. 124”.

L’art. 4 della legge 7 agosto 2015, n. 124, ha autorizzato il Governo a dettare norme di semplificazione e accelerazione dei procedimenti amministrativi riguardanti rilevanti insediamenti produttivi, opere di interesse generale o l’avvio di attività imprenditoriali suscettibili di avere positivi effetti sull’economia o sull’occupazione.

Lo schema consta di sette articoli che, per comodità espositiva, si illustreranno in sede di osservazioni.

 

CONSIDERATO

1. Lo schema di regolamento in esame attua uno degli strumenti di riforma amministrativa contenuti nella legge 7 agosto 2015, n. 124. L’obiettivo è quello di semplificare e accelerare la realizzazione di interventi rilevanti per il sistema Paese secondo un meccanismo (di cd. fast track procedure) il quale:

- individui, con cadenza annuale, i procedimenti amministrativi per i quali vi sia l’interesse pubblico ad una accelerazione dell’iter (nell’ambito di categorie procedimentali definite ex ante);

- riduca, se del caso, i termini per la loro realizzazione fino alla metà;

- ricorra, ove necessario, a poteri di sostituzione delle amministrazioni inadempienti.

La disciplina della fast track procedure qui in esame assume particolare importanza anche al fuori dalla dimensione giuridica e amministrativa, poiché con essa si prende atto della rilevanza del ‘fattore-tempo’, soprattutto per gli interventi più rilevanti del sistema Paese.

Tale fattore assume un ruolo centrale nel diritto amministrativo moderno, e si connette a principi fondamentali di rango costituzionale (quali l’efficienza e il buon andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost., che vanno declinati ‘in concreto’ con una efficace scadenza temporale), ma anche sovranazionale (cfr. in particolare l’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che riconosce al cittadino un diritto a che le questioni che lo riguardano siano trattate dall’amministrazione pubblica, oltre che con imparzialità ed equità, anche “entro un termine ragionevole”).

Inoltre, il ‘fattore-tempo’ assume un “valore ordinamentale fondamentale” (cfr. già il parere dell’Adunanza Generale di questo Consiglio di Stato n. 141 del 1991) quale componente determinante per la vita e l’attività dei cittadini e delle imprese, per i quali l’incertezza o la lunghezza dei tempi amministrativi può costituire un costo che incide sulla libertà di iniziativa privata ex art. 41 Cost. .

Assume pertanto rilievo decisivo la ‘dimensione economica’ del diritto amministrativo e, quindi, anche dell’intervento oggetto del presente parere; dimensione di cui questo Consiglio di Stato deve essere consapevole nell’esercizio delle proprie funzioni.

I rilievi del presente parere saranno, dunque, effettuati anche tenendo conto di tale dimensione fondamentale, privilegiando gli aspetti di ‘funzionalità pratica’ di un meccanismo procedimentale di cui non può non condividersi l’utilità.

1.1 Lo schema in oggetto costituisce un elemento importante del disegno di ampia e organica riforma delle amministrazioni pubbliche, nel cui ambito questo Consiglio di Stato ha già reso parere su vari schemi di atti normativi, tra i quali:

- lo schema di decreto legislativo in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, ai sensi dell’art. 7 della legge-delega (parere 24 febbraio 2016, n. 515);

- lo schema di decreto legislativo sulla segnalazione certificata di inizio attività (S.C.I.A), ai sensi dell’art. 5 della legge-delega (parere 30 marzo 2016, n. 839);

- lo schema di decreto legislativo di riordino della conferenza di servizi, ai sensi dell’art. 2 della legge-delega (parere 7 aprile 2016, n. 890);

- lo schema di decreto legislativo recante modifiche e integrazioni al codice dell’amministrazione digitale, ai sensi dell’art. 1 della legge-delega; (parere del 23 marzo 2016, n. 785)

- lo schema di decreto legislativo sulla responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti (parere 5 aprile 2016, n. 864).

L’intervento in oggetto introduce un terzo strumento di semplificazione per il rilancio delle attività private, accanto a quelli già esaminati sulla SCIA e sulla conferenza di servizi. Pertanto, le più approfondite considerazioni effettuate in quelle sedi devono ritenersi integralmente riprodotte dal parere in oggetto, soprattutto in relazione a:

- la rilevanza cruciale di una solida fase di implementazione della riforma, anche dopo l’approvazione dei decreti attuativi;

- l’importanza, in particolare, della creazione di una task force per l’attuazione ‘in concreto’, che curi anche (rectius, soprattutto) gli strumenti non normativi di intervento quali: la formazione, la comunicazione istituzionale, l’informatizzazione dei procedimenti, etc.;

- l’importanza di una ‘manutenzione’ della riforma attraverso una fase di monitoraggio e verifica dell’impatto delle nuove regole, nonché con la definizione, se del caso, di interventi correttivi, o di quesiti per l’attuazione delle nuove normative da porre al Consiglio di Stato.

1.2 L’accelerazione/semplificazione dell’azione amministrativa è stata spesso oggetto di interventi settoriali da parte di fonti primarie o di regolamenti ‘autorizzati’, come quello in esame, ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400. Senza alcuna pretesa di esaustività, si vedano, ad esempio:

- il regolamento sulla disciplina dei procedimenti di localizzazione delle opere di interesse statale emanato con d.P.R. 18 aprile 1994, n. 383;

- la legge 21 dicembre 2001, n. 443, in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive;

- i meccanismi procedimentali extra ordinem in materia di protezione civile; v. ad esempio, fra le tante, l’abbreviazione di termini prevista nell’art. 2 dell’ordinanza del Capo del Dipartimento della Protezione Civile 30 maggio 2015, n. 257;

- l’art. 33, comma 6, d.l. 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 novembre 2014, n. 164, che, in relazione agli interventi di bonifica ambientale e di rigenerazione urbana delle aree di rilevante interesse nazionale ha previsto, “in via straordinaria”, il dimezzamento di tutti i termini, eccetto quelli processuali, previsti per l’espletamento di tutte le procedure ad evidenza pubblica dal d.lgs. n. 163 del 2006.

1.3 Ciò che caratterizza il regolamento in esame e lo differenzia dalle iniziative precedenti è:

a) la sua portata generale ex ante, riguardando esso tutti i procedimenti relativi “a rilevanti insediamenti produttivi, a opere di interesse generale o all’avvio di attività imprenditoriali”;

b) la sua flessibilità ex post, dovendo trovare applicazione solo nei confronti degli specifici procedimenti, rientranti nelle tipologie elencate ex ante, per i quali si ravvisi in concreto un interesse pubblico alla loro accelerazione;

c) la posizione centrale attribuita al Presidente del Consiglio dei ministri nelle determinazioni acceleratorie, ivi compreso il potere sostitutivo in caso di inerzia degli organi ordinariamente preposti ai procedimenti.

1.4 La scelta di affidare all’Autorità politica di vertice la sostituzione dell’Amministrazione inadempiente potrebbe, in astratto, destare perplessità, ove ci si ponga solo in un’ottica storico-sistematica.

Tuttavia, in un’ottica di riforma e di rilancio quale quella che indubbiamente ispira la legge n. 124 del 2015, l’opzione, oltre che conforme agli scopi innovatori perseguiti, è in linea con l’assetto costituzionale delle competenze.

Sebbene con il presente regolamento si preveda un ruolo di tipo amministrativo-gestionale in capo al Presidente del Consiglio dei ministri, indubbiamente di profilo inferiore rispetto alle competenze di indirizzo politico e di alta amministrazione disegnate nell’art. 5 della legge n. 400 del 1988, ciò non appare in contrasto con le sue competenze istituzionali quali si desumono dal disegno costituzionale.

Invero, l’art. 95 della Costituzione attribuisce a quest’organo di vertice anche la funzione di mantenere l’unità di indirizzo amministrativo, anche promuovendo e coordinando l’azione dei Ministri: il potere sostitutivo appare in tale prospettiva uno strumento di promozione e coordinamento, coerente con quello previsto per l’altro meccanismo di semplificazione dei procedimenti complessi: la conferenza di servizi (già richiamata retro).

La scelta ordinamentale in esame ha altresì, e comunque, lo scopo di perseguire il fine, pure di rango costituzionale, del buon andamento dell’Amministrazione e, come si è visto retro, al punto 1, di rilanciare un valore ordinamentale fondamentale in relazione a interventi rilevanti per il sistema Paese.

1.5 Questa Commissione speciale rileva, tuttavia, che per garantire la riuscita del disegno acceleratorio perseguito è necessario che:

- il relativo meccanismo sia in grado di funzionare fluidamente (proprio in omaggio a quel fondamentale ‘fattore-tempo’ prima richiamato);

- si rispettino, al tempo stesso, le garanzie procedimentali previste dall’ordinamento, l’autonomia degli enti territoriali e le competenze dei singoli Ministri;

- siano previsti strumenti di monitoraggio e verifica.

Si rinvia all’esame dei singoli articoli per l’indicazione delle misure volte a assicurare ‘in concreto’ tutte le predette caratteristiche.

1.5.1 Già in questa sede occorre comunque osservare che nel presente schema manca una disciplina specifica del monitoraggio ex post, pur costituendo esso uno strumento cruciale per il successo o per il fallimento di una riforma (si rinvia per maggior dettaglio al citato parere del 24 febbraio 2016, n. 515).

La scheda di Analisi di impatto della regolamentazione (AIR), allegata correttamente allo schema (e peraltro alquanto dubitativa sulla effettiva ‘fattibilità’ dello schema, come si vedrà infra, ai punti 3.2 e 4.2), elenca gli indicatori necessari per una seria Verifica di impatto regolamentare (VIR) alla Sezione 1, lettera C), ma appare eccessivamente generica sulle modalità concrete di monitoraggio e controllo in relazione ai suddetti indicatori alla Sezione 7, lettere C), D) ed E).

1.5.2 Una maggiore precisione appare opportuna anche in relazione ai soggetti responsabili della verifica del positivo impatto della riforma (e della eventuale individuazione di correttivi per un suo fisiologico fine tuning). Sin dal parere sul cd. ‘decreto trasparenza’, come si è detto, il Consiglio di Stato ha raccomandato l’attivazione di una cabina di regia (o di una apposita, più flessibile, taskforce) per l’attuazione della legge n. 124.

In questo caso, la task force (o comunque il Dipartimento della funzione pubblica, indicato come “soggetto responsabile dell’attuazione dell’intervento regolatorio” dalla Sezione 7, lettera A) ) dovrebbe raccordarsi con una molteplicità di altri soggetti, tra cui:

- Presidenza del Consiglio, Ministeri, Regioni e Comuni (indicati alquanto genericamente come “soggetti attivi nell’attuazione dell’intervento regolatorio”, senza neppure distinguere il ruolo certamente diverso attribuito alla Presidenza nel caso di specie: Sezione 7, lettera B) );

- il CIPE e altre, non precisate, strutture della stessa Presidenza del Consiglio come soggetti cui spetta “il controllo e il monitoraggio dell’intervento regolatorio”: Sezione 7, lettera C);

- la Conferenza unificata, non menzionata dalla scheda AIR ma certamente coinvolta a pieno titolo, come si vedrà infra, quale sede istituzionale di interlocuzione istituzionale e di componimento delle questioni comuni a Stato e Autonomie territoriali.

1.5.3 Questa Commissione speciale ritiene, allora, che occorra dedicare al monitoraggio un articolo ad hoc, valorizzando e meglio precisando gli elementi presenti nella scheda AIR e, se del caso, individuando una sede competente tra gli organismi già esistenti (essa potrebbe essere, nella più accentuata valorizzazione delle autonomie territoriali, la Conferenza Stato-Regioni, o la Conferenza Unificata), mentre l’istruttoria iniziale potrebbe essere compiuta dalla stessa struttura cui demandare l’esame e la valutazione degli interventi, che va anch’essa meglio individuata e, soprattutto, resa effettivamente funzionante (v. infra, i commenti all’art. 2, al punto 3.1, e all’art. 6, al punto 7).

Sarebbe opportuno stabilire anche modalità e tempi del monitoraggio, e considerare infine la eventuale previsione di una relazione annuale al Parlamento.

1.6 Si osserva inoltre che nel regolamento, ancorché emanato ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988, non risulta utilizzato il potere di delegificazione, in virtù del quale, in sede di individuazione specifica dei procedimenti ai sensi dell’art. 4, lett. a), della legge n. 124, sarebbe possibile individuare procedimenti e altri meccanismi legislativi ormai non più funzionanti, o inefficienti, da abrogare, con effetti di semplificazione e chiarezza dell’ordinamento.

Si suggerisce al Governo di considerare l’opportunità di esercitare, in tutte le sue potenzialità, il suddetto potere di delegificazione.

1.7 Con riferimento ai singoli articoli dello schema, si rileva quanto segue.

 

2. L’articolo 1 individua l’oggetto e l’ambito di applicazione del regolamento.

2.1 Il regolamento reca norme per la semplificazione e l’accelerazione di procedimenti, relativi ad “autorizzazioni, licenze, concessioni non costitutive, permessi o nulla osta comunque denominati, ivi compresi quelli di competenza delle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico, alla tutela della salute e della pubblica incolumità”, necessari per la localizzazione, la progettazione e la realizzazione delle opere, lo stabilimento degli impianti produttivi e l’esercizio delle attività riguardanti rilevanti insediamenti produttivi, opere di rilevante impatto sul territorio (ivi espressamente compresi – ai sensi del comma 3 – i procedimenti amministrativi relativi a infrastrutture strategiche e insediamenti produttivi di preminente interesse nazionale) o l’avvio di attività imprenditoriali suscettibili di avere positivi effetti sull’economia o sull’occupazione.

2.2 In termini generali, si osserva che l’elencazione contenuta nel comma 2 (“autorizzazioni, licenze, concessioni non costitutive, permessi o nulla osta comunque denominati, ivi compresi quelli di competenza delle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico, alla tutela della salute e della pubblica incolumità”) è operata per categorie procedimentali generali e non individua nominatim i singoli procedimenti ascrivibili a ciascuna categoria.

Sotto tale profilo si deve rilevare, in analogia con quanto fatto in sede di parere sul regolamento relativo alla SCIA (cfr. il citato parere n. 839 del 2016), che resta in parte inattuata la volontà del legislatore che ha disposto l’intervento regolamentare, e, in particolare, il principio contenuto nell’art. 4, lett. a) della legge n. 124 del 2015 (“individuazione dei tipi di procedimentoamministrativo, relativi a rilevanti insediamenti produttivi, a opere di interesse generale o all’avvio di attività imprenditoriali”).

Una puntuale elencazione delle fattispecie è elemento importante della riforma: essa potrà comunque essere disposta in un secondo tempo, con una successiva tabella ricognitiva che integri il regolamento. Una simile integrazione successiva non appare in contrasto con la tempistica indicata nella fonte primaria, atteso che il termine ivi previsto per l’emanazione del regolamento (180 giorni) ha carattere ordinatorio e non perentorio, a differenza di quanto accade nel meccanismo della delega.

2.3 Quali rilievi di dettaglio sull’art. 1, si osserva che nel comma 2, ultima parte, la locuzione “l’esercizio delle attività” andrebbe sostituita con “l’avvio delle attività”, che appare più conforme alla indicazione letterale della fonte primaria. Invero, il testo dell’art. 4, lett. a), della legge n. 124 del 2015 si riferisce alla individuazione dei tipi di procedimento amministrativo, relativi a rilevanti insediamenti produttivi, a opere di interesse generale o “all’avvio di attività imprenditoriali”. Appare chiara la ratio della legge, che evidenzia un interesse all’accelerazione dei procedimenti, coinvolgendo anche il vertice del Governo, quando si tratta di dare avvio ad una nuova attività imprenditoriale.

Si ritiene infine opportuno che nel medesimo comma 2 sia inserito un espresso riferimento ai procedimenti amministrativi previsti dal “Codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione” il cui decreto legislativo, attuativo della delega contenuta nella legge 28 gennaio 2016, n. 11, è di imminente emanazione.

 

3. L’articolo 2 è dedicato alla individuazione degli interventi e alla relativa scansione procedimentale nell’arco temporale ivi previsto (in attuazione del criterio di cui all’art. 4, comma 1, lett. b), legge n. 124).

3.1 Come affermato retro, al punto 1.5, il successo di questa riforma dipenderà, ancor più che dal dato normativo in sé, dalla sua capacità ad essere attuata ‘in concreto’ dalle strutture amministrative di supporto e dalle loro metodologie di lavoro; capacità che dovrà essere verificata in progress, anche con correzioni di tiro, attraverso la suggerita opera di monitoraggio.

3.1.1 Per assicurare questa fattibilità in concreto appare, in primo luogo, necessario che le incombenze relative alla individuazione degli interventi ‘da accelerare’ e alla – forse ancora più delicata – riduzione dei termini (di cui al successivo art. 3: cfr. infra, il punto 4.2 del presente parere) siano effettuate da un’adeguata struttura con fini istruttori, incardinata presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, che dovrebbe essere meglio individuata (nel presente regolamento, o anche con atto successivo) e, soprattutto, resa effettivamente funzionante con professionalità capaci, ancorché reperite nell’ambito del personale già in servizio (cfr. infra, il commento all’art. 6, al punto 7 del presente parere).

3.1.2 Oltre alla più precisa individuazione del soggetto, è importante anche definire un meccanismo ordinato di istruttoria. Ad esempio, sarebbe opportuno prevedere già nello schema in esame una disposizione ad hoc, che prescriva che la struttura valuti gli interventi tramite apposite schede tecniche. Sarebbe inoltre opportuna la definizione di un modello di scheda tecnica, a fini di semplificazione del lavoro di esame e di istruttoria per l’esercizio del potere di scelta dei procedimenti da sottoporre ad accelerazione secondo parametri oggettivi e uniformi.

3.1.3 Nell’individuazione degli interventi, i soggetti proponenti di cui all’art. 2, commi 1 e 2, dovrebbero farsi carico sin da subito anche di una adeguata motivazione sulla sostenibilità (da parte degli uffici e dei privati) dell’abbreviazione dei termini, posto che sulla questione potrebbero delinearsi criticità, così come indicato anche dalla scheda AIR, Sezione 5 (cfr. infra, il già citato punto 4.2).

I commi 1 e 2 andrebbero adeguati alle suddette osservazioni.

3.2 Al comma 1 è previsto che entro il 31 gennaio ciascun ente territoriale può individuare un elenco di progetti, rispettivamente corredati da specifica analisi di valutazione dell’impatto economico e sociale, riguardanti rilevanti insediamenti produttivi, opere di rilevante impatto per il territorio o avvio di attività imprenditoriali suscettibili di produrre positivi effetti sull’economia o sull’occupazione, e chiedere alla Presidenza del Consiglio dei ministri che al relativo procedimento siano applicate le disposizioni acceleratorie di cui ai successivi articoli 3 (sulla riduzione dei termini procedimentali) e 4 (sul potere sostitutivo del Presidente del Consiglio dei ministri) del regolamento.

Tali progetti devono essere già inseriti nella programmazione triennale dei lavori pubblici di cui all’art. 128 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 “o in altri atti di programmazione”; ed essere corredati, ove disponibile, del Codice unico di progetto degli investimenti pubblici di cui all’art. 11 della legge 16 gennaio 2003, n. 3.

Si osserva che la generica locuzione “altri atti di programmazione” potrebbe ingenerare dubbi e contenzioso, e si invita pertanto l’autorità richiedente a valutare l’inserimento di specificazioni.

Altresì, si condivide il rilievo del Ministero dell’economia e delle finanze, citato in premessa, circa l’opportunità di inserire la previsione che la richiesta analisi di valutazione dell’impatto economico e sociale sia predisposta secondo i principi delle linee guida, ove applicabili, previsti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 agosto 2012 (“Attuazione dell’articolo 8, comma 3, del decreto legislativo 29 dicembre 2011, n. 228 in materia di linee guida per la valutazione degli investimenti relativi ad opere pubbliche e del Documento pluriennale di pianificazione degli investimenti in opere pubbliche”), allegato 1 (“Modello di riferimento per la redazione da parte dei ministeri delle linee guida”), paragrafi 1 (“Valutazione ex ante dei fabbisogni di infrastrutture e servizi di cui all’art. 3 del decreto legislativo n. 228/2011”), 2 (“Valutazione ex ante delle singole opere, di cui all’art. 4 del decreto legislativo n. 228/2011”) e 3 (“Criteri e procedure per la selezione delle opere di cui all’art. 5 del decreto legislativo n. 228/2011”).

3.3 Il comma 2 prevede che entro il successivo 28 febbraio la Presidenza del Consiglio dei ministri, anche su segnalazione del soggetto proponente, può individuare progetti non inseriti nell’elenco di cui al precedente comma o in altro atto di programmazione, la cui realizzazione sia suscettibile di produrre positivi effetti sull’economia o sull’occupazione.

Questa capacità deve essere dimostrata dalla documentazione indicata nel precedente comma.

3.4 Il comma 3 prevede che entro il 31 marzo un motivato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, individua tra gli interventi segnalati ai sensi dei due precedenti commi i singoli progetti cui applicare - anche in ragione della rilevanza economica o occupazionale, valutata anche tenendo conto dell’analisi di valutazione dell’impatto economico e sociale - le disposizioni acceleratorie di cui agli articoli 3 e 4; e che il decreto deve essere specificamente motivato con riferimento ai singoli progetti individuati.

3.5 Il quarto ed ultimo comma dell’art. 2 prevede che i decreti di cui al comma 3 possono disporre l’applicazione delle disposizioni acceleratorie dei successivi articoli 3 (sulla riduzione dei termini) e 4 (sul potere sostitutivo del Presidente del Consiglio dei ministri) sia nei confronti degli interi procedimenti e atti oggetto del beneficio sia con riferimento a singoli procedimenti e atti a tali fini preordinati.

La previsione è ribadita, con minori indicazioni, nel successivo art. 3, sicché in quest’ultimo appare superflua (v. infra).

Anche con riferimento all’art. 2, comma 4, si ribadisce il rilievo, già fatto per l’art. 1, che appare più adeguato, sotto un profilo giuridico-lessicale, fare riferimento a “l’avvio delle attività”, piuttosto che all’“esercizio”.

3.6 Sul piano formale, in sede di stesura finale dell’articolato, il riferimento all’art. 128, d.lgs. n. 163 del 2006 andrà sostituito con il corrispondente articolo del nuovo codice dei contratti pubblici in corso di approvazione (nel testo approvato in via preliminare dal Governo: art. 21).

 

4. L’articolo 3, in attuazione del principio direttivo di cui all’art. 4, comma 1, lett. c), legge n. 124, prevede che con i decreti di cui al comma 2 possono essere ridotti, in misura non superiore al 50 per cento rispetto ai termini di cui all’art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, i termini di conclusione dei procedimenti necessari per la localizzazione, la progettazione e la realizzazione dell’opera, lo stabilimento dell’impianto produttivo e l’esercizio dell’attività.

4.1 Tale previsione normativa non appare perfettamente coordinata, nella parte in cui fa riferimento ai procedimenti oggetto della possibile riduzione dei termini, con quella di cui al precedente art. 2.

L’art. 2, infatti, menziona i procedimenti relativi a progetti riguardanti “rilevanti insediamenti produttivi, opere di rilevante impatto per il territorio o l’avvio di attività imprenditoriali suscettibili di produrre effetti positivi sull’economia o sull’occupazione”.

Dal confronto fra le due disposizioni normative si riscontra una difformità testuale sotto i seguenti profili.

In primo luogo, l’art. 2 si riferisce alle “opere” (al plurale) “di rilevante impatto per il territorio”, mentre l’art. 3 fa generico riferimento ai “procedimenti necessari per la localizzazione, la progettazione e la realizzazione dell’opera” (al singolare).

In secondo luogo, l’art. 2 menziona, sempre al plurale, gli “insediamenti produttivi”, mentre l’art. 3, utilizzando ancora il singolare, contempla solo lo “stabilimento dell’impianto produttivo”.

In terzo luogo, l’art. 2, fa riferimento ai procedimenti riguardanti “l’avvio di attività imprenditoriali” (che è, del resto, la medesima espressione utilizzata nella legge che demanda all’emanazione del regolamento, all’art. 4 della legge n. 124 del 2015). L’art. 3, al contrario, testualmente si occupa dei procedimenti necessari “per l’esercizio dell’attività”.

Al fine di superare le riscontrate difformità testuali, e di eliminare anche la segnalata discrasia con la legge (che, come si è accennato, menziona testualmente i procedimenti relativi all’avvio di attività imprenditoriali), si suggerisce di adeguare la formulazione dell’art. 3 a quella utilizzata nell’art. 2. Sarebbe, quindi, preferibile il plurale per indicare le “opere” e gli “insediamenti produttivi” e sostituire “l’esercizio dell’attività” con “l’avvio dell’attività imprenditoriale”.

4.2 L’art. 3 impone alcune considerazioni anche nella parte in cui prevede la possibilità di ridurre i termini di conclusione dei procedimenti fino alla misura del 50 per cento rispetto a quelli previsti dall’art. 2 della legge n. 241 del 1990 (cfr. già retro, il punto 3.1.3).

Sotto tale profilo, è opportuno che tale riduzione venga graduata tenendo in considerazione la concreta ‘sostenibilità‘ della riduzione dei termini per gli interessi pubblici coinvolti, per gli uffici amministrativi incaricati del procedimento e per i privati interessati.

Infatti, come testualmente segnalato anche dalla scheda di AIR di accompagnamento allo schema in esame (Sezione 5, lett. A) ), la prevista riduzione dei termini può essere fonte di inconvenienti sotto i seguenti profili:

- i tempi procedimentali ridotti si applicano anche alle Amministrazioni preposte alla tutela di interessi pubblici ‘sensibili’ (ambiente, paesaggio, territorio, patrimonio storico-artistico, tutela della salute, pubblica incolumità);

- la riduzione dei termini determina un prevedibile aumento dei carichi di lavoro degli uffici amministrativi esistenti;

- la riduzione dei termini determina tempi ridotti anche per gli imprenditori coinvolti, chiamati ad eseguire tutti gli adempimenti istruttori in un minore lasso di tempo.

Tali aspetti meritano di essere considerati in sede di esercizio del potere di riduzione dei termini di conclusione del procedimento per stabilire, in concreto, una misura ‘sostenibile’ (e realizzabile in concreto) della riduzione entro il limite massimo previsto del 50 per cento rispetto ai termini previsti dall’art. 2 della legge n. 241 del 1990.

Per valorizzare il profilo legato alla sostenibilità dei nuovi termini, si potrebbeutilizzare una formula analoga a quella che compare proprio nell’art. 2, comma 4, della legge n. 241 del 1990, che disciplina (in maniera quasi simmetrica rispetto alla previsione in esame) la possibilità di fissare termini di conclusione del procedimento in misura maggiore rispetto a quello di novanta giorni (individuato dal comma 3 dello stesso art. 2 della legge n. 241 del 1990 come limite massimo alla durata del procedimento amministrativo).

L’art. 2, comma 4, della legge n. 241 del 1990, nel prevedere questo eccezionale allungamento dei termini, contiene un riferimento specifico alla “sostenibilità dei tempi sotto il profilodell’organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento”.

4.3 Alla luce delle osservazioni che precedono, l’art. 3 del regolamento potrebbe essere riformulato nei seguenti termini:

“1. Con i decreti di cui all’articolo 2 possono essere ridotti i termini di conclusione dei procedimenti necessari per la localizzazione, la progettazione e la realizzazione delle opere, lo stabilimento degli insediamenti produttivi, l’avvio delle attività. Tale riduzione è consentita, tenendo conto della sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell’organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento, in misura non superiore al 50 per cento rispetto ai termini di cui all’articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e può essere prevista in riferimento ai singoli procedimenti, ovvero rispetto a tutti i procedimenti necessari per la realizzazione dell’intervento, anche successivi all’eventuale svolgimento della conferenza di servizi. Nel caso in cui il termine sia già parzialmente decorso, la riduzione opera con riferimento al periodo residuo.”.

 

5. L’articolo 4 dello schema, in attuazione del principio direttivo di cui all’art. 4, comma 1, lett. d), legge n. 124, disciplina l’esercizio del potere sostitutivo spettante al Presidente del Consiglio dei ministri in caso di inutile decorso del termine di conclusione del procedimento, sia esso quello di cui all’art. 2 della legge n. 241 del 1990 o quello eventualmente rideterminato ai sensi dell’art. 3 del presente regolamento.

In caso di inutile decorso del termine, il Presidente del Consiglio dei ministri può sostituirsi direttamente (adottando i relativi atti), oppure può, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, delegare il potere sostitutivo a un diverso soggetto.

5.1 Il potere sostitutivo in esame presenta elementi di significativa novità rispetto a quello già previsto, in via generale, dall’art. 2, comma 9-ter, della legge n. 241 del 1990.

Le peculiarità di tale potere sostitutivo sono le seguenti:

- è un potere sostitutivo a esercizio d’ufficio, mentre quello di cui all’art. 2, comma 9-ter, della legge n. 241 viene esercitato ad istanza di parte;

- è attribuito ad un soggetto diverso (il Presidente del Consiglio dei ministri o un suo delegato) rispetto all’Amministrazione ritardataria e non ad un diverso organo della stessa Amministrazione;

- riguarda solo alcuni procedimenti (quelli individuati ai sensi dell’art. 2 del presente regolamento) e non tutti i procedimenti ad istanza di parte.

5.2 Il differente ambito di operatività dei due poteri sostitutivi consente di ritenere che essi possano coesistere come rimedi attivabili (rispettivamente a istanza di parte o d’ufficio) di fronte all’inerzia o al ritardo dell’Amministrazione procedente.

È, tuttavia, opportuno, specie in considerazione del fatto che il regolamento in esame ha natura di regolamento di delegificazione adottato ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988 (e può, quindi, determinare l’abrogazione delle norme vigenti con esso incompatibili, anche di rango primario), che tale coesistenza venga resa esplicita attraverso l’inserimento di una specifica previsione di raccordo.

Tale previsione servirebbe anche a chiarire il rapporto tra l’eventuale riduzione dei termini disposta in base al regolamento in esame e il potere sostitutivo previsto in via generale dal già citato art. 2, comma 9-ter, della legge n. 241 del 1990.

Ai sensi dell’art. 2, comma 9-ter, della legge n. 241 del 1990, infatti, il potere sostitutivo può essere sollecitato dal privato “decorso inutilmente il termine per la conclusione del procedimento”.

Appare ragionevole ritenere che, nel caso in cui il termine per la conclusione del procedimento venga ridotto ai sensi del presente regolamento, la scadenza del nuovo termine consenta, comunque, al privato di ricorrere anche allo strumento acceleratorio previsto in via generale dall’art. 2, comma 9-ter, della legge n. 241 del 1990.

5.3 Analoghe forme di coordinamento possono riguardare anche gli altri meccanismi di semplificazione previsti dalla vigente normativa, anch’essi caratterizzati dalla previsione di poteri sostitutivi in capo al Presidente del Consiglio dei ministri.

Si richiama, innanzitutto, la disciplina generale della conferenza di servizi, che pure prevede, in caso di dissenso di un’Amministrazione preposta alla tutela di interessi pubblici sensibili (tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico, tutela della salute e della pubblica incolumità) la deliberazione sostitutiva del Consiglio dei ministri (art. 14-quater, comma 3, legge n. 241 del 1990): tale meccanismo è anch’esso in corso di profonda riforma, ma anche nell’introducendo modello di opposizione delle amministrazioni dissenzienti il destinatario/decisore finale resta comunque il Presidente del Consiglio, tramite una delibera del Consiglio dei ministri.

Analogamente, meritano di essere richiamati i poteri sostitutivi sempre attribuiti al Consiglio dei ministri nell’ambito della procedura di VIA dall’art. 26, comma 2, decreto legislativo 3 aprile 2006, n 152 (Codice dell’ambiente).

Anche con riferimento a questi meccanismi sostitutivi non si ravvisano profili di incompatibilità rispetto alla disciplina introdotta dallo schema in oggetto. La loro coesistenza, tuttavia, se effettivamente è questa la scelta che il Governo ha inteso compiere, andrebbe meglio chiarita dall’articolo in esame.

5.4. Si suggerisce, pertanto, l’inserimento di una disposizione di chiusura così formulata: “Il potere sostitutivo previsto dal presente articolo non esclude l’operatività dei poteri sostitutivi già previsti dalla legislazione vigente e si aggiunge ad essi”.

5.5 Al di là dell’opportunità di un raccordo con le altre discipline di semplificazione, la disposizione in esame presenta alcuni aspetti di criticità per superare i quali appaiono necessarie modifiche del testo normativo.

In primo luogo, deve evidenziarsi che l’art. 4, comma 1, prevede che il potere sostitutivo possa essere esercitato direttamente, senza previa deliberazione del Consiglio dei ministri, dal Presidente del Consiglio, al quale è immediatamente attribuito il potere di adottare gli atti di competenza dell’Amministrazione ritardataria.

La previa deliberazione del Consiglio dei ministri è prevista solo dal comma 2 per l’eventualità che il Presidente del Consiglio ritenga di delegare ad un diverso soggetto l’esercizio del potere sostitutivo.

Sotto tale profilo, deve evidenziarsi che la previsione regolamentare non è conforme a quanto prevede sul punto la legge n. 124: l’art. 4, comma 1, lett. d), infatti, testualmente prevede “l’attribuzione, previa delibera del Consiglio dei ministri, di poteri sostitutivi al Presidente del Consiglio dei ministri o a un suo delegato”.

La norma primaria, quindi, condiziona l’esercizio del potere sostitutivo da parte del Presidente del Consiglio dei ministri o del suo delegato alla previa adozione di una delibera del Consiglio dei ministri, escludendo la possibilità per il Presidente del Consiglio di un intervento sostitutivo diretto, non previamente autorizzato o deliberato in sede collegiale.

Si suggerisce, pertanto, di modificare la disposizione regolamentare in esame, inserendo la previsione in base alla quale il Presidente del Consiglio esercita il potere sostitutivo previa deliberazione del Consiglio dei ministri.

5.6 Secondo il meccanismo disegnato dall’articolato, il potere di sostituzione può essere esercitato senza che l’amministrazione sostituita ne sia a conoscenza, né tantomeno sia stata messa in grado di spiegare le ragioni del ritardo. Potrebbe persino, in ipotesi, verificarsi che, nel momento in cui si è deciso di esercitare il potere sostitutivo ma non è stato ancora materialmente emanato un provvedimento finale, l’amministrazione sostituenda, ignara di tutto, prosegua la sua attività e magari provveda anche autonomamente (anche se in ritardo).

È, pertanto, opportuno prevedere un sistema di meccanismi di diffida preventiva e/o di comunicazione successiva, che abbiano una funzione di garanzia procedimentale sia nei confronti dei soggetti sostituiti, sia nei confronti dello stesso Presidente del Consiglio, introducendo se del caso un effetto di avocazione dell’amministrazione sostituita al momento dell’avvio del procedimento di sostituzione (senza attendere l’emanazione dell’atto finale), evitando così duplicazioni o sovrapposizioni nell’esercizio delle competenze amministrative.

5.7 Solleva qualche perplessità anche la disciplina della delega del potere sostitutivo ad un “diversosoggetto”, ai sensi del comma 2 dell’articolo in esame.

Su tale punto, appare opportuno integrare la previsione regolamentare, introducendo criteri normativi per la scelta del Presidente del Consiglio, nonché l’indicazione di requisiti di esperienza, competenza o professionalità del soggetto delegato, ovviamente da adeguare in relazione alle singole attività oggetto di sostituzione.

5.8 In relazione al comma 3 dell’articolo 4, si rinvia a quanto si dirà infra, al punto 7, a proposito del supporto tecnico amministrativo di cui all’art. 6 dello schema.

5.9 Alla luce delle considerazioni che precedono, si suggerisce di riformulare l’art. 4 del regolamento nei seguenti termini:

“1. Per gli interventi e i procedimenti individuati con i decreti di cui all’articolo 2, in caso di inutile decorso del termine di cui all’articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, o di quello eventualmente rideterminato ai sensi dell’articolo 3, il Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, può adottare i relativi atti.

2. Il Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, può delegare il potere sostitutivo di cui al comma 1 a un soggetto diverso, dotato di comprovata competenza ed esperienza in relazione all’attività oggetto di sostituzione, fissando un nuovo termine per la conclusione del procedimento, comunque di durata non superiore a quello originariamente previsto.

3. I poteri sostitutivi di cui ai commi precedenti vengono esercitati previa diffida all’organo competente ad adempiere entro il termine perentorio di dieci giorni, decorso il quale il potere di provvedere è definitivamente trasferito al Presidente del Consiglio. Il Presidente del Consiglio dei ministri assicura la tempestiva comunicazione dell’avvenuto esercizio del potere sostitutivo all’organo competente.

[4. Il Presidente del Consiglio dei ministri o il suo delegato si avvalgono, per l’esercizio del potere sostitutivo, di personale individuato ai sensi dell’articolo 6, nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente della Presidenza del Consiglio dei ministri. –cfr. infra, sub art. 6]

5. Il potere sostitutivo previsto dal presente articolo non esclude l’operatività degli altri poteri sostitutivi già previsti dalla legislazione vigente e si aggiunge ad essi.”

 

6. L’articolo 5, in attuazione del criterio direttivo di cui all’art. 4, comma 1, lett. e), legge delega, disciplina le ipotesi in cui l’intervento da accelerare, pur coinvolgendo interessi di Regioni o enti locali, non è, però, oggetto di “un preminente interesse nazionale”.

I due commi dell’articolo prevedono altrettante fattispecie.

Il comma 1 – che si incentra sull’elemento del “territorio”, regionale o locale – prevede “i casi in cui l’intervento coinvolga esclusivamente, o in misura prevalente, il territorio di una regione o di un comune o città metropolitana, e non sussista un preminente interesse nazionale alla realizzazione dell’opera”. In questo caso il Presidente del Consiglio delega di regola all’esercizio del potere sostitutivo il Presidente della Regione o il Sindaco.

Il comma 2 – che si incentra sull’elemento delle “competenze”, regionali o locali – stabilisce che, fuori dei casi di cui al comma 1, “quando l’intervento coinvolga le competenze delle regioni e degli enti locali e non sussista un preminente interesse nazionale alla realizzazione dell’opera”, le modalità di esercizio del potere sostitutivo siano determinate previa intesa in Conferenza unificata ai sensi dell’art. 9 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281.

6.1 L’art. 5 presenta alcune criticità, in quanto tocca il delicato tema dei rapporti tra Stato, Regioni ed autonomie locali, interferendo anche con la relativa disciplina costituzionale.

Il comma 1 sembra far riferimento (come si desume proprio dal raffronto con il comma 2) all’ipotesi in cui l’intervento, pur coinvolgendo esclusivamente o prevalentemente il “territorio” di una Regione, di un Comune o di una Città metropolitana, non coinvolga, comunque, le competenze regionali o locali.

In questo caso, trattandosi di potere sostitutivo nei confronti di un’Amministrazione statale, la previsione di una “ordinaria” delega al Presidente della Regione o al Sindaco non crea perplessità sotto il profilo del rispetto dei principi costituzionali a tutela delle autonomie territoriali.

Più problematica è la previsione del comma 2.

In questo caso, l’intervento coinvolge le “competenze” delle Regioni e degli enti locali nei confronti dei quali si esercita il potere sostitutivo.

In linea con il principio di leale collaborazione tra Stato e autonomie territoriali che, come più volte chiarito dalla Corte costituzionale, preclude un’automatica assunzione unilaterale del provvedimento da parte dello Stato, con conseguente sacrificio delle competenze regionali o locali, la disposizione demanda la determinazione delle “modalità di esercizio del potere sostitutivo” a una previa intesa in sede di Conferenza unificata ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. n. 281 del 1997.

Il comma 2, tuttavia, contempla espressamente soltanto l’ipotesi in cui “non sussista preminente interesse nazionale alla realizzazione dell’opera”, nulla prescrivendo nel caso in cui tale interesse invece sussista.

Secondo il dettato dello schema regolamentare, tale ultima ipotesi non richiede la previa intesa: l’esistenza di un preminente interesse nazionale sembrerebbe, quindi, giustificare un intervento sostitutivo diretto da parte dello Stato anche nei confronti di Regioni ed enti territoriali.

6.2 Sotto tale profilo, la previsione regolamentare, nella parte in cui consente l’intervento sostitutivo dello Stato, in materie rientranti nelle competenze regionali, a prescindere dall’acquisizione dell’intesa, non appare in linea con i principi enunciati dalla Corte costituzionale a partire dalla sentenza 1° ottobre 2003, n. 303 (e da ultimo ribaditi nella sentenza 11 marzo 2013, n. 39).

La Corte costituzionale, nella sua giurisprudenza, ha enucleato una serie di principi, che incidono direttamente sulla fattispecie oggetto del presente parere.

Essa ha dato un ‘contenuto dinamico’ al principio di sussidiarietà (art. 118 Cost.), inteso come fattore di flessibilità dell’ordine prestabilito delle competenze in vista del soddisfacimento di esigenze unitarie. Al principio di sussidiarietà è stata riconosciuta un’attitudine cd. “ascendente”, tale da legittimare l’intervento sussidiario dello Stato di fronte all’inadeguatezza di un livello di governo nel perseguire determinate finalità.

La Corte ha stabilito che, nelle materie di competenza statale esclusiva o concorrente, in virtù dell’art. 118, primo comma, Cost. la legge può attribuire allo Stato funzioni amministrative e riconosciuto che, in ossequio ai canoni fondanti dello Stato di diritto, essa è anche abilitata a organizzarle e regolarle, al fine di renderne l’esercizio permanentemente raffrontabile a un parametro legale.

Ciò premesso, ha, tuttavia, chiarito che i principî di sussidiarietà e di adeguatezza convivono con il normale riparto di competenze legislative contenuto nel Titolo V e possono giustificarne una deroga solo se la valutazione dell’interesse pubblico sottostante all’assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata non risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalità, e sia oggetto di un accordo stipulato con la Regione interessata.

Che il principio dell’intesa sia anch’esso desumibile dal congiunto disposto degli artt. 117 e 118, primo comma, consegue dalla peculiare funzione attribuita alla sussidiarietà, che si discosta in parte da quella già conosciuta nel nostro ordinamento. Enunciato nella legge 15 marzo 1997, n. 59 come criterio ispiratore della distribuzione legale delle funzioni amministrative fra lo Stato e gli altri enti territoriali – e, quindi, già operante nella sua dimensione meramente statica, come fondamento di un ordine prestabilito di competenze – quel principio, con la sua incorporazione nel testo della Costituzione, ha visto mutare il proprio significato. Accanto alla primitiva dimensione statica, che si fa evidente nella tendenziale attribuzione della generalità delle funzioni amministrative ai Comuni, si è resa, infatti, attiva una vocazione dinamica della sussidiarietà, che consente ad essa di operare non più come ratio ispiratrice e fondamento di un ordine di attribuzioni stabilite e predeterminate, ma come fattore di flessibilità di quell’ordine in vista del soddisfacimento di esigenze unitarie.

Ecco, dunque, venire in rilievo una ‘concezione procedimentale e consensuale’ della sussidiarietà e dell’adeguatezza. La Corte costituzionale (sentenza n. 303 del 2003) ha, infatti, chiarito come tali principî non possano operare quali mere formule verbali capaci, con la loro sola evocazione, di modificare a vantaggio della legge nazionale il riparto costituzionalmente stabilito, perché ciò equivarrebbe a negare la stessa rigidità della Costituzione. E ha ulteriormente precisato che essi non possono assumere la funzione che aveva un tempo l’interesse nazionale, la cui sola allegazione non è ora sufficiente a giustificare l’esercizio da parte dello Stato di una funzione di cui non sia titolare in base all’art. 117 Cost.

Nel nuovo Titolo V l’equazione elementare “interesse nazionale=competenza statale”, che nella prassi legislativa previgente sorreggeva l’erosione delle funzioni amministrative e delle parallele funzioni legislative delle Regioni, è divenuta priva di ogni valore deontico, giacché l’interesse nazionale non costituisce più un limite, né di legittimità né di merito, alla competenza legislativa regionale (in questi termini cfr., ancora, Corte cost. n. 303 del 2013).

Ciò impone di annettere ai principî di sussidiarietà e adeguatezza una ‘valenza squisitamente procedimentale’, poiché l’esigenza di esercizio unitario che consente di attrarre, insieme alla funzione amministrativa, anche quella legislativa, può aspirare a superare il vaglio di legittimità costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di leale collaborazione (cfr. sempre Corte cost. n. 303 del 2003).

6.3 Alla luce di tali principi suscita, quindi, perplessità la previsione regolamentare che eccettua dal meccanismo dell’intesa l’ipotesi in cui l’intervento, pur coinvolgendo competenze amministrative regionali o locali, tocchi preminenti interessi nazionali.

Si suggerisce, quindi, di eliminare dal comma 2 dell’art. 5 il riferimento, come deroga al principio dell’intesa, al preminente interesse nazionale, e quindi di espungere l’inciso: “e non sussista un preminente interesse nazionale alla realizzazione dell’opera”.

 

7. L’articolo 6, che disciplina il “Supporto tecnico-amministrativo”, dispone che i decreti di individuazione degli interventi di cui all’art. 2 individuano, “per ciascun intervento”, “il personale di cui può avvalersi il titolare del potere sostitutivo” (comma 1).

Tale personale va designato tra “dipendenti pubblici in possesso di elevate competenze tecniche o amministrative, maturate presso uffici competenti per lo svolgimento di procedimenti analoghi”, assicurando che fra essi rientri anche personale “posto in posizione di elevata responsabilità” in strutture amministrative “competenti per gli interventi e procedimenti oggetto del potere sostitutivo” (comma 2).

Al suddetto personale non è riconosciuto “alcun trattamento retributivo ulteriore” né “alcuna riduzione del carico di lavoro nell’amministrazione di appartenenza” (comma 3).

Non tanto la norma in sé quanto la sua attuazione assumono un’importanza fondamentale per il funzionamento effettivo di tutta la riforma (secondo quanto diffusamente affermato nei paragrafi precedenti).

7.1 Sotto un primo profilo, si osserva che il comma 1 sembra optare per una separazione tra il personale che supporta il Presidente del Consiglio nell’individuazione degli interventi e il personale che supporta lo stesso Presidente nell’esercizio dei poteri sostitutivi.

Difatti, tale secondo personale non sembra appartenere alla medesima struttura che esamina gli interventi, poiché esso viene di volta in volta “individuato con i decreti di cui all’articolo 2”, e ciò accade “per ciascun intervento”, con riferimento quindi a singoli dipendenti e non a una struttura unica.

7.1.1 Tale opzione può rivelarsi ragionevole in una prospettiva che valorizzi la specializzazione delle funzioni e, quindi, distingua tra una struttura ‘strategica’ di individuazione degli interventi e un supporto ‘operativo’, individuato volta per volta tra i dipendenti delle pubbliche amministrazioni più esperti a seconda del tipo di intervento.

In tal caso, si suggerisce comunque di introdurre espressamente un raccordo tra il personale operativo e la struttura di individuazione dei progetti, prevedendo anche un ruolo di indirizzo e coordinamento in capo a quest’ultima.

7.1.2 Per contro, con tale opzione sembra più difficilmente conciliarsi il comma 3 dell’articolo 4 (norma relativa al potere sostitutivo del Presidente del Consiglio), secondo cui il Presidente o il suo delegato si avvalgono “di personale individuato ai sensi dell’articolo 6, nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente della Presidenza del Consiglio”.

Difatti, il personale destinato al supporto operativo deve avere maturato

elevate competenze tecniche o amministrative presso “uffici competenti per lo svolgimento di procedimenti analoghi”, e deve avere operato in “strutture amministrative competenti per gli interventi e procedimenti oggetto del potere sostitutivo”: tali elevate professionalità, soprattutto quelle più tecniche, e tali “strutture amministrative competenti” potrebbero ragionevolmente rinvenirsi anche presso amministrazioni di line, e non solo presso la Presidenza del Consiglio (in tal senso, depone anche il successivo comma 3 dell’art. 6, che vieta riduzioni di carico di lavoro “nell’amministrazione di appartenenza”, espressione che non appare compatibile con scelte tutte interne al personale della Presidenza del Consiglio).

Infine, il comma 3 dell’articolo 4 dello schema sembra anche non trovare un fondamento nella legge n. 124, che alla lettera f) dell’art. 4, comma 1, si riferisce a “personale in servizio presso le amministrazioni pubbliche, in possesso di specifiche competenze tecniche e amministrative”, senza alcuna limitazione al personale della sola Presidenza del Consiglio.

In conclusione sul punto, si suggerisce di rivedere il dettato dell’art. 4, comma 3.

Se, invece, la scelta fosse comunque quella di preferire un supporto tutto interno alla Presidenza del Consiglio, confermando il vigente art. 4, comma 3, allora tanto varrebbe unificare in un’unica struttura della Presidenza le funzioni di individuazione degli interventi e quella di supporto al potere sostitutivo, riconsiderando il meccanismo di individuazione del personale “per ciascun intervento” e riformulando conseguentemente l’art. 6, comma 1.

7.2 Un ultimo rilievo va effettuato in relazione al comma 3 dell’art. 6 dello schema, che fa divieto di trattamenti retributivi ulteriori e di riduzioni di carichi di lavoro nell’amministrazione di appartenenza.

Se l’assenza di incentivi appare, in qualche modo, ragionevole (pur se non sempre compatibile con la ricerca della elevata qualità professionale richiesta per interventi così importanti), meno comprensibile, e comunque meno realizzabile in concreto, appare l’ulteriore previsione di assenza di “riduzione del carico di lavoro nell’amministrazione di appartenenza”: a parte il rilievo sopra effettuato circa l’incompatibilità di tale dizione con quella dell’art. 4 sul personale della Presidenza, appare del tutto irrealistico che funzioni così impegnative e delicate possano essere svolte totalmente in aggiunta agli ordinari carichi di lavoro.

Al riguardo – nel rilevare come la stessa scheda di AIR comprenda tale previsione come uno degli “svantaggi dell’opzione prescelta” (Sezione 5, lettera A) ), e come quindi si imponga quantomeno una motivazione ulteriore sul punto – si segnala che la condivisibile esigenza di contenimento dei costi, che va perseguita con rigore, deve accompagnarsi a una ricerca parimenti rigorosa del merito e della professionalità richiesti da un meccanismo – quello dei poteri sostitutivi – così rilevante e decisivo per il sistema Paese.

Il supporto tecnico-amministrativo per l’esercizio di tali poteri, infatti, impone un esame attento delle risultanze istruttorie effettuate dall’amministrazione sostituita (si pensi ad esempio alle risultanze di una VIA, o di verifiche di sicurezza, etc. etc.), ovvero una loro celere reiterazione per conto dell’amministrazione che esercita i poteri sostitutivi: tale esame richiede dedizione e qualità, e appare davvero poco compatibile con lo svolgimento di un altro, ordinario lavoro presso l’amministrazione di appartenenza.

Tale profilo – cruciale per la fattibilità ‘in concreto’ dell’intera riforma –andrà riconsiderato e chiarito nello schema definitivo.

 

8. Da ultimo, ma non per ordine di importanza, il Consiglio di Stato ritiene opportuno formulare una raccomandazione ulteriore, giustificata dalla circostanza che quello in esame è il primo (e allo stato unico) regolamento di attuazione della legge n. 124 del 2015 (che viene attuata prevalentemente da decreti legislativi).

In proposito, si evidenzia l’opportunità che la semplificazione burocratica e procedimentale sia accompagnata da una semplificazione del quadro normativo, che passa anche attraverso la raccolta ordinata delle discipline.

In questa prospettiva, si raccomanda di evitare il proliferare di regolamenti “monade” e di valorizzare, a tal fine, l’impiego dello strumento del testo unico compilativo a legislazione invariata, che è già oggi consentito dalla legge n. 400 del 1988 e in particolare:

- dall’art. 17-bis, per la legislazione primaria;

- dall’art. 17, comma 4-ter, per le fonti regolamentari.

8.1 Vero è che l’art. 17-bis citato si riferisce solo ai testi unici compilativi di rango legislativo, ma proprio la natura meramente compilativa fa sì che l’opera di raccolta rientri sempre nella facoltà del Governo e di ciascun Ministero quale che sia il rango, primario o secondario, delle fonti.

Quello del testo unico compilativo è un importante strumento di qualità della regolamentazione (cd. better regulation), sinora poco quando non per nulla utilizzato (non constano testi unici redatti ai sensi del citato art. 17-bis), e che andrebbe, invece, debitamente valorizzato.

8.2 Tale principio di qualità della regolazione è ancora più agevolmente perseguibile per le disposizioni regolamentari vigenti, per le quali il citato art. 17, comma 4-ter, raccomanda un “periodico riordino”, sia mediante la “ricognizione di quelle che sono state oggetto di abrogazione implicita”, sia mediante la “espressa abrogazione di quelle che hanno esaurito la loro funzione o sono prive di effettivo contenuto normativo o sono comunque obsolete”.

Peraltro, essendo il potere regolamentare (a differenza di quello di legislazione delegata) un potere ‘proprio’, ‘immanente’ del Governo, come tale esercitabile in qualsiasi momento, il “riordino” di cui al comma 4-ter può ben ricomprendere la funzione di raccolta in “testi unici” dei regolamenti sulla stessa materia (peraltro, per la stessa ragione, in questo caso potrebbe trattarsi anche di testi unici innovativi).

Il suddetto esercizio ben potrebbe essere effettuato contestualmente al riordino della normativa primaria, in modo da consentire al cittadino l’ordinata fruizione di un unico complesso normativo, consistente in due testi unici di rango, rispettivamente, primario e secondario, che si raccordano vicendevolmente.

Sempre per le stesse ragioni, cui si aggiunge il comune riferimento all’art. 14, n. 2°, del r.d. n. 1054 del 1924, deve ritenersi applicabile al “riordino regolamentare” anche un’altra disposizione relativa al “riordino legislativo”: quella del comma 3 dell’art. 17-bis, secondo cui “il Governo può demandare la redazione degli schemi di testi unici ai sensi dell'articolo 14, numero 2°, del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, di cui al regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, al Consiglio di Stato”, evitando che sui medesimi schemi si debba poi anche acquisire il parere del Consiglio di Stato (previsto ai sensi dell'art. 16, primo comma, numero 3°, del citato testo unico di cui al regio decreto n. 1054 del 1924, dell'art. 17, comma 25, della legge 15 maggio 1997, n. 127, e del comma 2 dello stesso art. 17 della legge n. 400).

8.3 In conclusione, in una con l’emanazione del regolamento in esame, si raccomanda al Governo di considerare lo sfruttamento di tali potenzialità già oggi offerte dall’ordinamento, sicché il presente regolamento potrebbe essere raccolto in testo unico insieme agli altri regolamenti volti di attuazione della legge n. 241 del 1990 e/o di semplificazione e accelerazione dell’iter dei procedimenti amministrativi.

 

P.Q.M.

Nei termini esposti è il parere della Commissione Speciale.

                       

GLI ESTENSORI     IL PRESIDENTE     

                       

IL SEGRETARIO

 

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