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Consiglio di Stato, Adunanza della Commissione speciale, 17/1/2017 n. 83
Quesito sugli adempimenti da compiere a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 251/2016

Materia: società / partecipazione pubblica

N. 02371/2016 AFFARE

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

Consiglio di Stato

Adunanza della Commissione speciale del 9 gennaio 2017

 

NUMERO AFFARE 02371/2016

 

OGGETTO:

Presidenza del Consiglio dei Ministri - Ufficio legislativo del Ministro per la semplificazione e la Pubblica Amministrazione.

 

Quesito sugli adempimenti da compiere a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 251/2016;

 

LA SEZIONE

Vista la richiesta n. 43116 del 23/12/2016 con la quale la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Ufficio legislativo del Ministro per la semplificazione e la Pubblica Amministrazione ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull'affare consultivo in oggetto; visto il decreto del Presidente del Consiglio di Stato, 28 dicembre 2016 n. 177, di nomina della Commissione speciale per l’affare in epigrafe indicato; considerato che, nell’adunanza del 9 gennaio 2017, presenti anche i presidenti aggiunti Francesco Caringella e Carlo Saltelli, la Commissione speciale ha esaminato gli atti e uditi i relatori, consiglieri Vincenzo Neri e Vincenzo Lopilato;

 

PREMESSO E CONSIDERATO

1. La sentenza della Corte costituzionale n. 251 del 2016 e la richiesta di quesito.

Il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione ha sottoposto al Consiglio di Stato alcune questioni interpretative sull’attuazione di tre decreti legislativi, emanati sulla base della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Delega al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche):

- il decreto legislativo 20 giugno 2016, n. 116 (Modifiche all’art. 55-quater del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi dell’art. 17, comma 1, lettera s), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di licenziamento disciplinare);

- il decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 171 (Attuazione della delega di cui all’articolo 11, comma 1, lettera p), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di dirigenza sanitaria);

- il decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica), in attuazione dell’articolo 18 della legge 7 agosto 2015, n. 124.

La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni della legge n. 124 del 2015, perché ritenute incidenti, a vario titolo, su materie di competenza regionale, senza che sia possibile individuare un ambito materiale prevalente, con la conseguente necessità di assicurare il rispetto del principio di leale collaborazione.

In particolare, nella sentenza si è affermato che tale principio deve essere assicurato nell’ambito del procedimento legislativo, mediante il ricorso al sistema delle Conferenze. Non è però sufficiente, si è sottolineato, il mero parere, come previsto dalla legge delega, ma occorre un più pregnante coinvolgimento delle autonomie regionali mediante lo strumento dell’intesa.

Per queste ragioni le suddette disposizioni della legge delega sono state dichiarate incostituzionali nella parte in cui prevedono «che il Governo adotti i relativi decreti legislativi attuativi previo parere in sede di Conferenza unificata, anziché previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni». La Corte ha sottolineato di volere superare l’orientamento, sino ad allora costante (tra le altre, sentenza n. 6 del 2004), secondo cui «il principio di leale collaborazione non si impone al procedimento legislativo» nella perdurante assenza della trasformazione delle istituzioni parlamentari e, più in generale, dei procedimenti legislativi «anche solo nei limiti di quanto previsto dall'art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) ». Nella sentenza in parola si è affermato che tale orientamento non può essere seguito nei casi sottoposti al suo esame, in quanto «là dove (…) il legislatore delegato si accinge a riformare istituti che incidono su competenze statali e regionali, inestricabilmente connesse, sorge la necessità del ricorso all’intesa» (punto 2 del Considerato in diritto). In definitiva, nella situazione di «stretto intreccio» fra competenze statali e regionali che connota le materie interessate dalla delega, il principio di leale collaborazione, sub specie di intesa, diventa un «limite ulteriore», discendente direttamente dalla Costituzione, che deve conformare e indirizzare l’esercizio del potere governativo. La legge delegante è quindi tenuta a inserire, nel procedimento di formazione del decreto delegato, le scansioni procedurali necessarie a consentire forme adeguate d’interlocuzione regionale. I decreti legislativi in esame sono stati adottati sulla base di disposizioni dichiarate incostituzionali dalla suddetta sentenza n. 251 del 2016, ma prima del deposito della sentenza medesima.

A tale proposito la Corte costituzionale ha affermato che: «Le pronunce di illegittimità costituzionale, contenute in questa decisione, sono circoscritte alle disposizioni di delegazione della legge n. 124 del 2015, oggetto del ricorso, e non si estendono alle relative disposizioni attuative». Ha aggiunto che: «Nel caso di impugnazione di tali disposizioni, si dovrà accertare l'effettiva lesione delle competenze regionali, anche alla luce delle soluzioni correttive che il Governo riterrà di apprestare al fine di assicurare il rispetto del principio di leale collaborazione» (punto 9 del Considerato in diritto).

Il quesito rileva come non sussistano dubbi sulla attuale vigenza ed efficacia dei decreti legislativi già emanati, non avendo la Corte costituzionale né affermato né escluso la loro illegittimità costituzionale. Tuttavia, al fine di scongiurarne l’eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale, si ipotizzano alcune misure «correttive» da parte del Governo in modo da consentire l’attuazione della delega nel rispetto del principio di leale collaborazione. In particolare, per la richiedente amministrazione, le misure correttive potrebbero ragionevolmente essere individuate in «decreti legislativi correttivi» – previa intesa in sede di Conferenza da svolgersi in base alle previsioni di cui all’art. 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali), in modo da «sanare l’eventuale vizio derivante dal procedimento originariamente seguito» – avendo la sentenza fatto riferimento al Governo (e non al Parlamento) e considerato che in alcuni casi i termini per l’adozione di simili decreti non sono ancora scaduti.

Il quesito ritiene, inoltre, che l’intesa sui decreti correttivi implichi di per sé un’adesione ai decreti originari. A tal fine – precisa l’amministrazione proponente – si rende opportuno che i testi dei decreti correttivi «facciano espressamente proprio il contenuto dei decreti originari».

 

2. La funzione consultiva del Consiglio di Stato alla stregua dei più recenti orientamenti.

 

2.1 La richiesta del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione si inserisce nel solco di «una costante interlocuzione istituzionale (…) proprio attraverso un ricorso sistematico al flessibile strumento dei quesiti» sul funzionamento pratico delle riforme (Comm. spec. n. 1640 del 2016). Le funzioni consultive del Consiglio di Stato sono, in tal modo, «concepite come sostegno in progress riferito a una policy, a un progetto istituzionale, piuttosto che esclusivamente a singoli provvedimenti individuati». Questa scelta «inquadra le funzioni consultive in una visione sistemica e al passo coi tempi, confermando il ruolo del Consiglio di Stato come un advisory board delle Istituzioni del Paese anche in un ordinamento profondamente innovato e pluralizzato, a quasi settant’anni dalla Costituzione» (Comm. spec. n. 1767 del 2016).

 

2.2. Quanto affermato nei richiamati pareri trova, ora, nuovi elementi di conferma nel quesito in oggetto.

Resta fermo che questo Consiglio non deve, né può, pronunciarsi sulla legittimità costituzionale delle norme adottate o da adottare.

Può, però, contribuire ad attuare la riforma nella parte ritenuta costituzionale, suggerendo forme di corretta esecuzione della sentenza della Consulta.

Il “portare a termine” le previsioni della legge n. 124 a seguito della sentenza della Corte assume un’importanza determinante per non far perdere slancio riformatore all’intero disegno: i decreti legislativi interessati dalla sentenza costituiscono, infatti, non soltanto misure di grande rilievo di per sé, ma anche elementi di una riforma complessiva, che risulterebbe meno incisiva se limitata ad alcuni settori.

Questo Consiglio di Stato ha, infatti, sottolineato sin dal suo primo parere sulla l. n. 124 (Sez. norm. n. 515 del 2016) l’importanza di un intervento che considerasse la riforma della pubblica amministrazione come un tema unitario e non costituisse, quindi, un ennesimo riassetto di singole parti, ma una riforma dell’apparato pubblico nel suo insieme.

Tutto ciò conduce, a maggior ragione, a identificare la via più opportuna per sanare le carenze procedimentali evidenziate dalla Corte nella attuale fase di attuazione della riforma (e a completarla, per gli interventi per i quali la delega non è stata più esercitata: v. infra, § 9). Tali carenze, infatti, possono essere colmate – secondo la   Corte medesima – con una corretta procedura di leale collaborazione, seguendo le indicazioni fornite dalla stessa sentenza.

 

3. La necessità o meno di un intervento sulla legge delega n. 124 del 2015.

Una prima questione che si pone è se siano necessari interventi sulla legge delega n. 124 del 2015. La Commissione speciale ritiene di condividere quanto affermato nel quesito in ordine alla non necessità di un intervento sulla legge delega. Invero, la sentenza in questione ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni contenute nella legge n. 124 del 2015 limitatamente alla parte in cui le stesse prevedono che il Governo adotti i relativi decreti legislativi attuativi previo parere, anziché previa intesa, in sede di Conferenza. Si tratta, pertanto, di una sentenza manipolativa, del tipo sostitutivo di procedura. Essa fornisce già una lettura adeguatrice della legge che, dopo l’intervento della Corte, prevede l’intesa e non il parere ed è, così, riscritta in conformità al dettato costituzionale.

 

4. L’intervento sui decreti legislativi già adottati. Gli strumenti utilizzabili dal Governo: intesa e decreti correttivi.

Esaminati gli effetti sulla legge di delega, una seconda questione è quella di considerare la portata, gli effetti e le indicazioni della pronuncia della Consulta sui decreti legislativi, che attuano la legge ritenuta incostituzionale. Il ricordato punto 9 del considerato della sentenza della Corte fornisce le seguenti indicazioni:

- la dichiarazione di illegittimità della legge delega, pur riguardando un vizio di procedura che è confluito nell’iter di adozione dei decreti legislativi, non si estende immediatamente anche ai medesimi («Le pronunce di illegittimità costituzionale, contenute in questa decisione, sono circoscritte alle disposizioni di delegazione della legge n. 124 del 2015, oggetto del ricorso, e non si estendono alle relative disposizioni attuative»);

- per tali decreti, in caso di impugnazione, andrà comunque accertata anche una effettiva lesione delle competenze regionali («Nel caso di impugnazione di tali disposizioni, si dovrà accertare l'effettiva lesione delle competenze regionali …»);

- andrà, altresì, valutata l’adozione di misure correttive da parte del Governo («… , anche alla luce delle soluzioni correttive che il Governo riterrà di apprestare al fine di assicurare il rispetto del principio di leale collaborazione»).

Occorre approfondire la portata di tali indicazioni, identificando quale sia l’incidenza della dichiarazione di illegittimità costituzionale sui decreti legislativi già adottati (§ 4.1), quali gli interventi possibili (§ 4.2) e quali i possibili strumenti da utilizzare (§ 4.3).

 

4.1 Il primo punto è di semplice soluzione, poiché la stessa Corte, come sopra esposto, si è pronunciata esclusivamente sulla legittimità costituzionale della legge delega e non anche dei decreti legislativi, che non sono stati oggetto di impugnazione in via principale.

In questa peculiare fattispecie non occorre, allora, valutare quale sia l’incidenza di un vizio del procedimento disciplinato da un atto legislativo presupposto sull’atto successivamente adottato, in quanto la Corte ha inteso modulare in modo chiaro gli effetti della propria pronuncia, escludendo che i decreti legislativi siano stati incisi direttamente dalla pronuncia di illegittimità costituzionale.

Il corollario di questo postulato è che tali decreti– fermo restando quello che si dirà oltre –restano validi ed efficaci fino a una eventuale pronuncia della Corte che li riguardi direttamente, e salvi i possibili interventi correttivi che nelle more dovessero essere effettuati.

 

4.2 In tale situazione, è necessario valutare quali sono gli interventi che il Governo può porre in essere.

Anche qui è la stessa Corte costituzionale, sempre mediante la tecnica della modulazione degli effetti, a indicare i possibili scenari applicativi conseguenti alla sua pronuncia.

Nel punto 9 prima riportato la sentenza afferma, innanzitutto, che il giudizio di legittimità costituzionale sul decreto legislativo potrà essere svolto dalla Corte nel caso in cui la relativa questione venga a essa posta secondo le previste modalità di accesso alla giustizia costituzionale.

In tale occasione, si aggiunge, la Corte dovrà comunque accertare «l'effettiva lesione delle competenze regionali», e potrà valutare l’incidenza di eventuali «soluzione correttive che il Governo riterrà di apprestare al fine di assicurare il rispetto del principio di leale collaborazione». Tali affermazioni contengono alcune statuizioni, tra loro connesse. La prima è una sorta di “riserva di giudizio” per cui, in caso di impugnazione dei decreti, andrà accertato che il vizio procedimentale rilevato si concreti in una effettiva invasione delle competenze regionali, fatta salva, ovviamente, l’esistenza di eventuali profili di illegittimità costituzionale diversi da quello relativo al rispetto della leale collaborazione.

La seconda è una sorta di “invito” (non al legislatore in senso generale, ma) al «Governo» ad adottare «soluzioni correttive».

Tali «soluzioni», che non vengono specificate, potrebbero essere di vario tipo.

Il percorso più ragionevole compatibile con l’impianto della sentenza sembra, però, essere quello che il Governo adotti decreti correttivi che intervengano direttamente sui decreti legislativi e che si risolvano nell’applicazione della disciplina della delega – come modificata dalla Corte costituzionale – al processo di riforma in corso.

Viene, così, sostanzialmente postulata dalla stessa Corte la possibilità di utilizzare i decreti correttivi per sanare, nei decreti delegati, il vizio procedimentale di illegittimità costituzionale che era stato, dalla sentenza, riscontrato nella delega. In assenza di un tempestivo intervento correttivo, la Corte potrebbe dichiarare l’illegittimità del decreto legislativo, perché adottato in assenza della previa intesa e   pertanto in difformità dalla legge delega così come “corretta” dalla stessa sentenza costituzionale. Tutto ciò induce, altresì, a considerare gli interventi correttivi sui decreti legislativi come rilevanti e da adottare tempestivamente.

 

4.3 È ora opportuno individuare quali sono gli strumenti specifici cui il Governo può ricorrere per porre in essere i suddetti interventi correttivi.

Appare possibile, e preferibile, quantomeno per i decreti legislativi esaminati dalla Corte e ancora in vigore, rinvenire strumenti già presenti nell’ordinamento, cui la svolta giurisprudenziale della Corte costituzionale consente di attribuire una valenza ulteriore.

Questa Commissione speciale condivide l’ipotesi avanzata dal quesito ed è dell’avviso che tali strumenti siano due, strettamente connessi fra loro:

- l’intesa di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 281 del 1997 – così come prefigurata, alla luce dei principi generali di leale cooperazione, dalla Corte costituzionale – da raggiungere, a seconda dei casi indicati nel dispositivo della sentenza, in sede di Conferenza Stato-regioni, ovvero di Conferenza unificata ex art. 9, comma 1, del decreto medesimo;

- i decreti legislativi integrativi e correttivi che, per ciascuna disposizione di delega, la stessa legge n. 124 del 2015 autorizza a emanare nel termine di dodici mesi dall’adozione dei singoli decreti legislativi da essa previsti.

In relazione a questi ultimi, appare opportuno definire quale sia la loro finalità nel peculiare caso di specie.

Lo strumento in esame è normalmente utilizzato per integrare, mediante il completamento di precetti normativi, ovvero correggere, mediante aggiustamenti o rimozione di imperfezioni, il decreto legislativo già adottato (Cons. Stato, Ad. Gen., n. 1750 del 2007).

Esso può rappresentare anche una modalità attraverso la quale eliminare o modificare norme ritenute in contrasto con la Costituzione, svolgendo così una   funzione di sanatoria di un asserito vizio dell’atto legislativo già adottato.

Il vizio può essere sostanziale, formale o, anche, procedimentale.

Nella fattispecie in esame, la Corte costituzionale ha individuato un vizio della legge delega che ha determinato, anche se il giudizio di costituzionalità non lo ha riguardato direttamente, un vizio procedimentale del decreto autorizzato costituito dalla mancata intesa con la Conferenza.

In questa prospettiva, il decreto correttivo può svolgere una funzione di sanatoria di tale vizio procedimentale, facendo confluire nel decreto originario la portata dell’intesa di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 281 del 1997: a tal fine, il decreto deve riportare integralmente l’intesa raggiunta (salve le eventuali integrazioni di cui si dirà infra, § 8.3). Ciò pone l’ulteriore esigenza di definire, nei successivi punti del parere, alcuni profili attuativi del meccanismo correttivo e, in particolare: l’oggetto dell’intesa (§ 5), i suoi possibili effetti temporali (§ 6), le modalità di svolgimento della procedura di concertazione (§ 7), la struttura ipotizzabile per i decreti correttivi (§ 8).

 

5. Oggetto dell’intesa.

Una terza questione attiene a quale possa essere l’oggetto dell’intesa. Si tratta di stabilire se esso debba essere individuato nelle sole norme lesive delle competenze regionali ovvero se debba estendersi al decreto nel suo complesso, il quale può essere interamente confermato nel suo testo vigente o, eventualmente, modificato/integrato all’esito del procedimento di concertazione.

Questo Consiglio ritiene che sia più opportuno seguire la seconda opzione, per le seguenti ragioni. In primo luogo, perché il giudizio di costituzionalità ha riguardato la legge delega e non il decreto legislativo, con la conseguenza che non è possibile identificare con certezza le disposizioni attuative suscettibili di essere coinvolte in un eventuale futuro giudizio di costituzionalità.   

In secondo luogo, perché la Corte ha utilizzato una tecnica di giudizio, fondata sul bilanciamento degli interessi costituzionali coinvolti, che impedisce di individuare, se non per ambiti generali, la specifica disposizione ritenuta non conforme al sistema di riparto delle funzioni legislative.

In particolare, la Corte ha riportato, in sintesi, l’intero contenuto dei decreti legislativi per poi rilevare come una parte di esso fosse riconducibile ad ambiti materiali di competenza statale e un’altra parte ad ambiti materiali di competenza regionale. In questi casi, si realizza una situazione che può essere risolta mediante o il criterio della prevalenza o quello della leale collaborazione.

Nei casi decisi, la Corte ha ritenuto che non fosse individuabile un nucleo precettivo da ricondurre, in via prevalente, a materie di spettanza statale o regionale e, pertanto, ha concluso nel senso che la «inestricabile» connessione di funzioni, definita anche come «uno stretto intreccio tra materie e competenze», o come una «ipotesi … di concorrenza di competenze, che apre la strada al principio di leale collaborazione», facesse sorgere «la necessità del ricorso all’intesa», forma più pregnante rispetto al parere con il sistema delle Conferenze.

Ciò non toglie, ovviamente, che in sede di raggiungimento dell’intesa in Conferenza la leale collaborazione dovrà essere incentrata sulle parti del decreto che involgono effettivamente ambiti di competenza regionale e non estendersi a quelle, pur presenti, che disciplinano chiaramente aspetti di competenza esclusiva dello Stato.

Alla stregua di quanto esposto, si ritiene preferibile l’ipotesi che l’intesa abbia ad oggetto il decreto legislativo nel suo complesso, come eventualmente modificato o integrato all’esito del procedimento di concertazione.

 

6. Efficacia temporale dell’intesa.

Una quarta questione riguarda l’efficacia temporale dei decreti correttivi, in relazione al periodo intercorso tra l’entrata in vigore del decreto legislativo originario e quella delle misure di correzione.   

Occorre, in altri termini, stabilire se l’effetto correttivo sanante possa operare retroattivamente e dunque, eliminando ex tunc il vizio procedimentale, estendere la sua portata anche agli atti, ai comportamenti e ai rapporti attuativi dei decreti legislativi posti in essere prima dell’adozione del decreto correttivo.

La Corte costituzionale sembra avere ritenuto in passato, in relazione a talune fattispecie, che i decreti correttivi non possano avere una funzione di sanatoria “sostanziale”, con efficacia retroattiva, dei vizi del decreto legislativo nel caso in cui le sue disposizioni abbiamo una valenza innovativa (cfr. Corte cost. n. 425 del 2000). Il Consiglio di Stato reputa che, nel caso in esame, si potrebbe pervenire a un esito differente in ragione della peculiarità della vicenda, in cui la natura squisitamente “procedimentale” del vizio appare, di per sé, compatibile con una valenza retroattiva degli effetti correttivi. Più in generale, come è stato efficacemente sottolineato, «sarebbe un non senso che la legge delegata corregga una disposizione che si palesa illegittima, lasciandola in vigore per le situazioni perfezionatesi anteriormente ma ancora non esaurite e consentendo per queste il ricorso alla Corte Costituzionale, che essa si propone di prevenire e di evitare nell’interesse generale alla stabilità e certezza della normativa in settori di particolare e delicata rilevanza sociale» (così Cass., sez. un., 7 febbraio 1989, n. 733).

Pertanto, la previsione di effetti ex tunc sembra naturalmente rientrare nella piena disponibilità delle parti dell’intesa e, quindi, nell’oggetto della concertazione a ciò finalizzata.

In questa prospettiva, è necessario – specialmente in caso di conferma del testo originario – che la procedura di leale collaborazione tra Governo e Autonomie, in sede di Conferenza consideri anche una disciplina della fase temporale intermedia tra l’adozione dei due decreti: per consentire, eventualmente, il funzionamento del meccanismo di sanatoria retroattiva e per evitare, in ogni caso, che aspetti i quali, in questa fase, rientrano nella disponibilità delle parti dell’intesa possano divenire, in futuro, oggetto di eventuali censure di illegittimità ad opera dalle parti stesse. Alla stregua di quanto esposto, si ritiene ammissibile, oltre che opportuno, che l’intesa si riferisca anche agli effetti relativi al periodo intercorso tra l’entrata in vigore del decreto legislativo originario e quella delle misure di correzione.

 

7. Modalità di acquisizione dell’intesa.

Una quinta questione attiene all’individuazione delle modalità di svolgimento della procedura e di superamento delle eventuali divergenze.

Anche in questo caso la sentenza n. 251 della Corte costituzionale, in conformità alla propria giurisprudenza, ha fornito una risposta stabilendo che:

- «le procedure di consultazione devono prevedere meccanismi per il superamento delle divergenze, basati sulla reiterazione delle trattative o su specifici strumenti di mediazione»;

- «non si prefigura una drastica previsione, in caso di mancata intesa, della decisività della volontà di una sola delle parti, la quale riduce all’espressione di un parere il ruolo dell’altra»;

- «la reiterazione delle trattative, al fine di raggiungere un esito consensuale (…), non comporta in alcun modo che lo Stato abdichi al suo ruolo di decisore, nell’ipotesi in cui le strategie concertative abbiano esito negativo e non conducano a un accordo».

Appare compatibile, con quanto indicato dalla sentenza, la struttura procedimentale configurata dall’art. 3 del decreto legislativo n. 281 del 1997, ivi compreso il meccanismo di chiusura di cui al comma 3, secondo cui «quando un’intesa espressamente prevista dalla legge non è raggiunta entro trenta giorni dalla prima seduta della Conferenza, il Consiglio dei Ministri provvede con deliberazione motivata».

Resta fermo che, nell’ambito del predetto procedimento, dovranno anche esperirsi – in ossequio alla giurisprudenza costituzionale, ma anche alla prassi già vigente in Conferenza, e come indicato nello stesso quesito – reiterati tentativi di superamento delle divergenze, ancorché non espressamente menzionati dal citato art. 3.

In definitiva, a questa Commissione speciale appare idonea, ai fini della corretta attuazione della sentenza n. 251, la procedura di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 281 del 1997, integrata con reiterati tentativi di superamento delle eventuali divergenze prima di addivenire alla eventuale deliberazione motivata del Consiglio dei ministri.

 

8. Struttura del decreto correttivo.

Alla luce di quanto esposto, può essere utile delineare la possibile struttura dei decreti correttivi. Su un piano generale, deve rilevarsi che il decreto correttivo deve non solo rispettare i principi e criteri direttivi della legge delega ma deve anche svolgere una funzione di correzione (o integrazione) del testo legislativo originario, con la conseguenza che non si può estendere ad ambiti differenti da quelli delineati dal primo decreto, per evitare che il nuovo provvedimento si risolva in un esercizio tardivo della delega (Corte cost. n. 206 del 2001).

 

8.1 Nel peculiare caso specifico, in primo luogo, il decreto correttivo dovrebbe dare atto espressamente, nelle “premesse”, della sentenza della Corte e dello svolgimento del procedimento di leale collaborazione, descrivendo in modo adeguato l’oggetto, gli effetti e le modalità di svolgimento dell’intesa, come sopra indicati (§ 5-7). La necessità dell’indicazione nel preambolo è conseguenza del fatto che il vizio ha natura procedimentale e pertanto attiene a un elemento “esterno” all’atto, che si realizza dinamicamente prima che l’atto stesso venga posto in essere.

 

8.2 In secondo luogo, l’articolato del decreto dovrebbe testualmente emendare le “premesse” del decreto originario, che fanno parte integrante di quel corpus normativo, con un nuovo “visto” che inserisca la menzione dell’intesa raggiunta, in modo da esplicitare anche nel testo del decreto gli effetti procedimentali sananti il vizio della medesima natura. La modifica espressa delle “premesse” consentirebbe, inoltre, di definire quell’intesa sul “decreto nel suo complesso” di cui si è detto (retro, al § 5).

 

8.3 In terzo luogo, il decreto dovrebbe contenere le norme correttive e integrative eventualmente definite all’esito della concertazione con le Regioni, cioè le (eventuali) modifiche del contenuto del decreto originario. Resta fermo: - da un lato, che l’intesa potrebbe anche riferirsi al testo del decreto originario, senza correggerlo né integrarlo, limitandosi al solo effetto di sanatoria procedimentale ma non modificandone i contenuti; - dall’altro, che il Governo potrà sempre inserire, negli ambiti di sua competenza esclusiva, altre ed eventuali disposizioni correttive e integrative, in coerenza con i limiti della legge delega.

 

8.4 In quarto e in quinto luogo, il decreto dovrebbe contenere due disposizioni di chiusura: - una che – coerentemente con la modifica delle “premesse” del decreto originario (v. § 8.2) – faccia espressamente salve le norme contenute nel decreto originario che non sono state modificate all’esito della procedura di cooperazione; - una, eventuale, che – nel caso l’intesa lo disponga – faccia salvi gli effetti intercorsi tra l’entrata in vigore del decreto originario e quella del suo correttivo.

 

9. Gli interventi per i quali la delega è decaduta.

L’ultima questione attiene ai casi in cui la delega è scaduta e, in particolare, alle norme che autorizzano la riforma dei servizi pubblici locali e della dirigenza pubblica.

Come ampiamente argomentato retro (§ 2.2), il Consiglio di Stato condivide la considerevole importanza anche di queste riforme – che erano state, peraltro, oggetto di articolati pareri dell’Istituto – e l’urgenza di intervenire portando finalmente a termine un iter di riflessione approfondito su molti dei temi ivi affrontati (si pensi, ad esempio, all’importanza di una riforma organica della dirigenza pubblica, oppure ai positivi effetti economici, ambientali e sociali che l’avvio di una regolazione indipendente per il settore dei rifiuti avrebbe potuto, potrebbe ancora, e dovrebbe apportare al sistema Paese).

Per tali casi, l’intervento indicato dal quesito come «l’unico possibile» è quello di adottare una nuova legge delega conforme ai vincoli procedimentali sanciti dalla sentenza della Corte costituzionale.

Certamente, un intervento tempestivo in tal senso deve essere considerato positivamente, e si raccomanda al Governo di proseguire in questa direzione.

Si ritiene, però, che non sia corretto affermare che quello della delega sia l’unico percorso praticabile, essendo ipotizzabili anche altre modalità di intervento a livello primario (quale potrebbe essere – ad esempio – un disegno di legge governativo avente, almeno in parte, il contenuto del decreto delegato che andrebbe a sostituire; decreto che oltre tutto, nella versione finale degli schemi poi decaduti, recepiva anche i pareri delle Commissioni parlamentari).

Riguardo a tali possibili percorsi alternativi alla legislazione delegata, la sentenza n. 251 – nel mutare l’orientamento giurisprudenziale secondo cui «il principio di leale collaborazione non si impone al procedimento legislativo» – non si è pronunciata.

Difatti, le indicazioni della sentenza concernenti la sussistenza di vincoli procedimentali si riferiscono espressamente al solo procedimento posto in essere dal «legislatore delegato», cioè «quando l’attuazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale è rimessa ai decreti legislativi delegati, adottati dal Governo sulla base dell’art. 76 Cost. », i quali «finiscono infatti con l’essere attratti nelle procedure di leale collaborazione». Peraltro, coerentemente con tali affermazioni, il meccanismo dell’intesa si configura come un procedimento riferito tipicamente agli organi esecutivi. E, d’altra parte, apparirebbe problematico individuare per il Parlamento vincoli procedimentali diversi e ulteriori rispetto a quelli tipizzati dalla Carta costituzionale, fermo restando, ovviamente, il limite del rispetto, sul piano sostanziale, delle regole costituzionali di riparto delle funzioni legislative.

 

P.Q.M.

 nelle esposte considerazioni è il parere della Commissione speciale.

GLI ESTENSORI Vincenzo Neri, Vincenzo Lopilato

IL PRESIDENTE Luigi Carbone

 

IL SEGRETARIO Maria Luisa Salvini

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