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TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 12/1/2017 n. 58
La misura dell'interdittiva antimafia può essere emessa dall'amministrazione in una logica di anticipazione della soglia di difesa dell'ordine pubblico economico.

L'informativa antimafia c.d. tipica risponde alla peculiare esigenza di mantenere un atteggiamento intransigente contro i rischi di infiltrazione mafiosa, idonei a condizionare le scelte dell'impresa oggetto di controllo; in altre parole, l'intento del legislatore nel disciplinare la materia de qua è stato quello di accostare alle misure di prevenzione antimafia un altro significativo strumento di contrasto della criminalità organizzata, consistente nell'esclusione dell'imprenditore, che sia sospettato di legami o condizionamenti derivanti da infiltrazioni mafiose, dal mercato dei pubblici appalti e, più in generale, dalla stipula di tutti quei contratti e dalla fruizione di tutti quei benefici, che presuppongono la partecipazione di un soggetto pubblico e l'utilizzo di risorse della collettività. Del resto, proprio la formulazione generica del concetto di tentativo di infiltrazione mafiosa, rilevante ai fini del diritto, comporta l'attribuzione al Prefetto di un ampio margine di accertamento e di apprezzamento, nell'esercizio di poteri sicuramente discrezionali, diretti alla dimostrazione, in via indiziaria, della sussistenza di una situazione di rischio di infiltrazione da parte della criminalità organizzata. Insomma, la misura dell'interdittiva antimafia può essere emessa dall'Amministrazione in una logica di anticipazione della soglia di difesa dell'ordine pubblico economico e non postula, come tale, l'accertamento in sede penale di uno o più reati che attestino il collegamento o la contiguità dell'impresa con associazioni di tipo mafioso, potendo, perciò, basarsi anche sul solo rilievo di elementi sintomatici che dimostrino il concreto pericolo (anche se non la certezza) di infiltrazioni della criminalità organizzata nell'attività imprenditoriale.

Materia: appalti / disciplina

Pubblicato il 12/01/2017

 

N. 00058/2017 REG.SEN.

 

N. 01160/2015 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

 (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1160 del 2015, proposto da:

D.F. Servizi S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Basilio Antonino Pitasi C.F. PTSBLN59H15Z110C, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, via dei Carafa, 14;

 

contro

Ministero dell'Interno - Prefettura di Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, presso i cui uffici domicilia in Milano, via Freguglia, 1;

 

per l'annullamento

- del provvedimento prot. n. 12B7I 2014 - 016622, datata 20.03.2015, con la quale il Prefetto di Milano ha disposto l'interdizione della predetta società, ai sensi dell’art. 84, comma 4 e dell’art. 91, comma 6, del D.L.vo 159/2011, a seguito di richiesta di informazione pervenuta da parte della stazione appaltante Metro 5 Lilla Srl;

- di ogni atto pregresso, collegato e presupposto in quanto diretto ad impedire alla ricorrente di poter contrarre con la predetta società o con altre a questa collegate, nonché di svolgere attività contrattuale con la pubblica amministrazione;

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno - Prefettura di Milano;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 novembre 2016 il dott. Fabrizio Fornataro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

D.F. Servizi S.r.l. impugna le determinazioni indicate in epigrafe, deducendone l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili e ne chiede l’annullamento.

Si costituisce in giudizio il Ministero dell'Interno - Prefettura di Milano, eccependo l’infondatezza dell’impugnazione proposta, di cui chiede il rigetto.

Le parti producono memorie e documenti.

Con ordinanza n. 744/2015, depositata in data 5 giugno 2015, il Tribunale respinge la domanda cautelare presentata dalla ricorrente.

All’udienza del 24 marzo 2016 la causa viene trattenuta in decisione.

 

DIRITTO

1) Con il provvedimento impugnato la Prefettura di Milano ha disposto l’interdittiva antimafia nei confronti di D.F. Servizi srl, ai sensi dell’art. 84, comma 4 e dell’art. 91, comma 6, del D.L.vo 159/2011, a seguito di una richiesta di informazione trasmessa da Metro 5 Lilla Srl, operante in qualità di stazione appaltante nei rapporti con la ricorrente.

Con l’unico motivo proposto, la ricorrente lamenta, in termini di violazione di legge e di eccesso di potere, il difetto di istruttoria e di motivazione del provvedimento impugnato.

In particolare, si deduce che il pericolo di ingerenza mafiosa sarebbe stato configurato solo in ragione dell’esistenza di rapporti di parentela tra i titolari della società, i fratelli Ventura Demetrio e Ventura Francesco, con il genitore Ventura Bruno, e ritenuto personaggio di rilievo nel contesto della criminalità organizzata di matrice mafiosa operante nelle aree di attività della società ricorrente.

Le censure non possono essere condivise.

Invero, l’informativa antimafia c.d. tipica, cui è riconducibile il provvedimento impugnato, risponde alla peculiare esigenza di mantenere un atteggiamento intransigente contro i rischi di infiltrazione mafiosa, idonei a condizionare le scelte dell'impresa oggetto di controllo; in altre parole, l’intento del legislatore nel disciplinare la materia de qua è stato quello di accostare alle misure di prevenzione antimafia un altro significativo strumento di contrasto della criminalità organizzata, consistente nell'esclusione dell'imprenditore, che sia sospettato di legami o condizionamenti derivanti da infiltrazioni mafiose, dal mercato dei pubblici appalti e, più in generale, dalla stipula di tutti quei contratti e dalla fruizione di tutti quei benefici, che presuppongono la partecipazione di un soggetto pubblico e l'utilizzo di risorse della collettività (cfr. tra le tante, espressive di un orientamento consolidato, Consiglio di Stato, sez. IV, 04 maggio 2004, n. 2783; Consiglio di Stato, sez. VI, 24 ottobre 2000, n. 5710).

Del resto, proprio la formulazione generica del concetto di tentativo di infiltrazione mafiosa, rilevante ai fini del diritto, comporta l'attribuzione al Prefetto di un ampio margine di accertamento e di apprezzamento, nell’esercizio di poteri sicuramente discrezionali, diretti alla dimostrazione, in via indiziaria, della sussistenza di una situazione di rischio di infiltrazione da parte della criminalità organizzata (cfr. in argomento Tar Lombardia Milano, sez. III, 29 aprile 2009, n. 3593; T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 06 aprile 2011, n. 1966; Consiglio di Stato, sez. III, 30 gennaio 2015, n. 455).

Insomma, la misura dell’interdittiva antimafia può essere emessa dall’Amministrazione in una logica di anticipazione della soglia di difesa dell’ordine pubblico economico e non postula, come tale, l’accertamento in sede penale di uno o più reati che attestino il collegamento o la contiguità dell'impresa con associazioni di tipo mafioso (Consiglio di Stato, sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743; Consiglio di Stato, sez. III, 15 settembre 2014, n. 4693), potendo, perciò, basarsi anche sul solo rilievo di elementi sintomatici che dimostrino il concreto pericolo (anche se non la certezza) di infiltrazioni della criminalità organizzata nell'attività imprenditoriale (Consiglio di Stato, sez. III, 16 novembre 2016, n. 4751; Consiglio di Stato, sez. III, 1° settembre 2014, n. 4441).

Nel caso di specie, il Prefetto di Milano ha valutato il pericolo di infiltrazione criminale sulla base di un quadro indiziario articolato, costituito da molteplici elementi di fatto, sintomatici, in modo grave, preciso e concordante, del suddetto pericolo.

Sicuramente, il provvedimento muove dal rapporto di parentela che lega Ventura Bruno, soggetto ritenuto legato alla criminalità organizzata mafiosa, ai due figli Ventura Demetrio e Ventura Francesco, soci al 50% della D.F. Servizi srl e, rispettivamente, amministratore unico e direttore tecnico della società, ma valorizza tale rapporto nell’ambito di un più ampio ed articolato quadro probatorio.

Il provvedimento mette in luce come nel corso degli anni Ventura Bruno sia stato condannato, previa applicazione della misura cautelare della custodia cautelare in carcere, per associazione a delinquere finalizzata alla turbativa della libertà negli incanti, oltre che per tentata estorsione in concorso con altre persone, nell’ambito di un’ampia operazione investigativa, denominata “Squali”, che ha coinvolto anche due cugini di Ventura Bruno, il primo, Ventura Antonio Vincenzo, condannato per tentata estorsione, l’altro, Ventura Giuseppe, già condannato per bancarotta fraudolenta e sottoposto all’inabilitazione all’esercizio di imprese commerciali e all’esercizio di uffici direttivi per la durata di anni 10.

La Prefettura di Milano evidenzia come i soggetti da ultimo richiamati siano coinvolti in altre indagini, inerenti anche a reati associativi, come la c.d. operazione “Sisma”.

Non solo, l’amministrazione sottolinea come Ventura Bruno - già amministratore unico e direttore tecnico della società Pulesco srl, dichiarata fallita - sia anche titolare della ditta individuale D.F. Servizi di Bruno Ventura - avente il medesimo oggetto sociale della società ricorrente, appartenente ai due figli – nei confronti della quale il Prefetto di Reggio Calabria ha adottato due successive informative interdittive, dapprima nel 2003 e poi nel 2010.

Lo stretto legame tra la società ricorrente e Ventura Bruno, non è palesato solo dal rapporto di parentela che lega quest’ultimo ai figli titolari della società ricorrente, ma da altre puntuali e significative circostanze.

In particolare, il Prefetto di Milano, evidenzia, da un lato, che la società ricorrente è stata costituita in data 19 luglio 2010, ossia due mesi dopo il provvedimento interdittivo antimafia adottato dal Prefetto di Reggio Calabria nei confronti della ditta individuale detenuta dal Ventura Bruno, dall’altro, che 5 dei 6 dipendenti della ditta individuale sono transitati alle dipendenze della società ricorrente, subito dopo l’adozione dell’informativa antimafia nei confronti della prima.

Si evidenzia così una sostanziale continuità nella gestione dell’attività imprenditoriale da parte di Ventura Bruno, documentata non solo dal passaggio del personale dall’una all’altra ditta, ma anche dal trasferimento di mezzi, come un autocarro utilizzato per l’attività imprenditoriale.

Del resto, il provvedimento impugnato, a dimostrazione della sostanziale continuità nella gestione aziendale da parte di Ventura Bruno, specifica come i due figli al tempo della costituzione della srl non risultavano percettori di redditi, nonostante fossero intestatari di frazioni di almeno cinque abitazioni, di un’autorimessa e di un magazzino.

Non solo, l’amministrazione riferisce che, seppure formalmente i due fratelli avevano spostato la residenza da Reggio Calabria verso il Comune di Melito di Porto Salvo, nondimeno, nel 2014, Ventura Francesco, in occasione di un furto subito, ha dichiarato come luogo di residenza proprio l’abitazione del padre, sita in Reggio Calabria.

Gli elementi di fatto sinora considerati, emergenti dalla documentazione prodotta in giudizio e posta a fondamento della determinazione gravata, rendono del tutto ragionevole e coerente la valutazione espressa dall’amministrazione, poiché delineano un quadro indiziario espressivo del pericolo di infiltrazione mafiosa nella gestione e nell’organizzazione della società ricorrente.

Pericolo emergente non dalla mera considerazione di rapporti di parentela, come asserito dalla ricorrente, ma dall’esistenza di legami oggettivi tra l’impresa individuale già gestita da Ventura Bruno – di cui è dimostrata la stretta vicinanza alla criminalità organizzata – e la società gestita dai due figli.

Si tratta di una connessione emergente da molteplici elementi sintomatici, consistenti nella sostanziale continuazione dell’impresa paterna attraverso la s.r.l. di cui sono titolari i figli, continuazione realizzata mediante il trasferimento alla società del personale e dei mezzi riferibili alla ditta individuale e dimostrata dalla contiguità temporale tra la costituzione della società amministrata dai figli e l’interdittiva antimafia che ha colpito la società del padre nel 2010.

Del resto, sono parimenti indicativi della sostanziale continuità gestoria sia il fatto che la s.r.l. è stata costituita dai figli nonostante l’assenza di adeguati redditi di fonte nota e lecita, sia il fatto che uno dei figli abbia indicato come luogo di residenza effettiva proprio l’abitazione paterna, nonostante il formale spostamento della residenza anagrafica.

In definitiva, il provvedimento prefettizio de quo ha coerentemente valorizzato i puntuali e significativi indizi assunti a sostegno dell’interdittiva, analizzando le relative emergenze probatorie e deducendo, da esse, un convincente giudizio di pericolo di inquinamento mafioso dell’impresa ricorrente.

Nell’emanazione dell’informativa interdittiva antimafia controversa, la Prefettura ha, in particolare, enucleato diversi e convergenti elementi univoci e sintomatici, aventi le caratteristiche di gravità, precisione e concordanza e idonei, come tali, a mostrare la concreta possibilità di condizionamento mafioso della ricorrente.

La gravità e la pregnanza del quadro indiziario sopra esaminato integra, in definitiva, gli estremi di quella situazione di rischio di permeabilità alla criminalità organizzata che il nostro ordinamento ha inteso fronteggiare attraverso lo strumento delle informative prefettizie antimafia.

Va, pertanto, ribadita l’infondatezza delle censure proposte.

2) In definitiva, il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando, respinge il ricorso.

Condanna D.F. Servizi S.r.l. al pagamento delle spese della lite, in favore dell’amministrazione resistente, liquidandole in euro 4.000,00 (quattromila), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 10 novembre 2016 con l'intervento dei magistrati:

Angelo Gabbricci,      Presidente

Mauro Gatti,   Consigliere

Fabrizio Fornataro,     Consigliere, Estensore

                       

L'ESTENSORE                     IL PRESIDENTE

Fabrizio Fornataro                  Angelo Gabbricci

                       

IL SEGRETARIO

 

 

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