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Corte di Cassazione, sez. III, pen., 7/6/2017 n. 28045
Sull'inapplicabilitā al Sindaco delle norme sul finanziamento illecito ai partiti

Dal combinato disposto dell'art. 7, commi 2 e 3 della l. n. 195/1974, e dell'art. 4, c. 1 L. n. 659/1981, che estende i divieti di finanziamento ai partiti previsti in via generale dalla prima delle due leggi a determinati soggetti politici (sia come persone fisiche che come gruppi), emerge ictu oculi l'assenza del nominativo del sindaco (o candidato a tale carica) quale destinatario della norma. L'indicazione dei soggetti destinatari individuati dall'art.4 c. 1 della l. 659/81 č tassativa, sicche' trattandosi di norma di stretta interpretazione in relazione alla valenza penale che essa assume per il richiamo alla l. n. 195/1974, art.7, c.3, l'estensione a determinate categorie di soggetti non menzionati nel testo di legge e' da ritenersi assolutamente preclusa.

Materia: enti locali / sindaco

  

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAVANI Piero - Presidente

Dott. GRILLO Renato - rel. Consigliere

Dott. SOCCI Angelo Matteo - Consigliere

Dott. GAI Emanuela - Consigliere

Dott. SCARCELLA Alessio - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

(OMISSIS), nato il (OMISSIS);

(OMISSIS) nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 19/06/2015 della CORTE APPELLO di FIRENZE;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere RENATO GRILLO;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. BALDI Fulvio;

Il P.G. conclude: annullamento senza rinvio per tutti i ricorsi.

Udito il difensore:

L'avv. (OMISSIS) chiede l'accoglimento dei motivi dei motivi del ricorso e l'annullamento della sentenza.

L'avv. (OMISSIS) si riporta ai motivi del ricorso.

 

RITENUTO IN FATTO

1.1 Con sentenza del 19 giugno 2015 la Corte di Appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza emessa in data 6 marzo 2014 dal Tribunale di Lucca nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che aveva affermato la loro penale responsabilita' in ordine al reato loro contestato, p. e p,. dagli articoli 81 cpv. e 110 c.p., e, L. n. 195 del 1974, articolo 7, e L. n. 659 del 1981, articolo 4, comma 1, (illecito finanziamento dei partiti politici) condannandoli (tranne, per il solo (OMISSIS), relativamente al primo terzo episodio contestato), alle pene ritenute di giustizia, dichiarava non doversi procedere per intervenuta prescrizione quanto allo (OMISSIS), riduceva la pena inflitta al (OMISSIS) a mesi sette di reclusione ed Euro 6.000,00 di multa e confermava, nel resto, la sentenza impugnata.

1.2 Per l'annullamento della sentenza ricorrono entrambi gli imputati a mezzo dei rispettivi difensori fiduciari. Il difensore dell'imputato (OMISSIS) deduce i seguenti motivi: a) erronea applicazione della legge penale con riferimento alla L. n. 195 del 1974, articolo 7, e L. n. 659 del 1981, articolo 4, comma 1, e con riferimento all'articolo 25 Cost., articolo 14 preleggi, e articolo 1 c.p., in relazione al divieto di analogia in mala  partem in cui e' incorsa la Corte territoriale per avere quel giudice ritenuto applicabili le norme previste in tema di illecito finanziamento ai partiti politici anche nei confronti del soggetto candidato sindaco, pur in assenza di una esplicita previsione normativa al riguardo; b) vizio di motivazione per mancanza, contraddittorieta' e/o manifesta illogicita' in riferimento alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, mancando in atti la prova - ritenuta invece esistente dalla Corte territoriale - della conoscenza da parte del percipiente della appartenenza del denaro (o della contribuzione asseritamente illecita) alla societa' e della insussistenza delle due condizioni che rendono lecita la contribuzione; c) carenza assoluta di motivazione in punto di mancato riconoscimento delle invocate circostanze attenuanti generiche. Il difensore del ricorrente (OMISSIS), a sua volta, lamenta, con il primo motivo gli stessi vizi denunciati con il primo motivo del ricorso (OMISSIS). Con un secondo motivo, strettamente connesso al precedente, la difesa deduce il vizio di motivazione per illogicita' manifesta in riferimento alla ritenuta applicabilita' della norma di cui alla L. n. 195 del 1974, articolo 7, al candidato sindaco al pari di quanto previsto per il candidato consigliere comunale. Con un terzo motivo la difesa si duole della inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilita' con riferimento alla acquisizione delle dichiarazioni rese dal coimputato (OMISSIS) ai sensi dell'articolo 513 c.p.p., per la parte riguardante il (OMISSIS), in violazione dell'articolo 500 c.p.p., stante il mancato consenso da parte della difesa del (OMISSIS) a tale utilizzazione. Con un quarto motivo la difesa deduce l'intervenuta estinzione del reato maturata nelle more del giudizio di legittimita'. Con il quinto - ed ultimo - motivo, la difesa invoca - in relazione alla ritenuta particolare tenuita' del fatto - l'applicazione della speciale causa di non punibilita' prevista dall'articolo 131 bis c.p., entrato in vigore dopo la pronuncia della sentenza di appello e dunque prospettabile in sede di legittimita' ex articolo 609 c.p.p., comma 2.

 

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e' fondato in riferimento al primo motivo, comune ad entrambi i ricorrenti, assorbente rispetto a tutti i rimanenti.

1.1 Quale premessa in punto di fatto, indispensabile per comprendere il senso delle censure mosse dai ricorrenti alla decisione impugnata va ricordato che al (OMISSIS) (nella sua veste di candidato sindaco alle elezioni amministrative del Comune di (OMISSIS) del 2007) ed al (OMISSIS) (quale Presidente e amministratore della "Cooperativa (OMISSIS)" di (OMISSIS)) e' fatto carico di avere ricevuto il primo ( (OMISSIS)) dal secondo ( (OMISSIS)) una fattura (falsa) dell'importo di Euro 3.264,00 emessa dalla ditta tipografica "(OMISSIS)" s.n.c. per la fornitura di volantini elettorali ed altro materiale di cancelleria per la campagna elettorale stampato su richiesta di tale (OMISSIS) (leader di una lista civica denominata "(OMISSIS)" apparentata con la lista del (OMISSIS) in vista del ballottaggio) relativa a quelle elezioni amministrative, senza che da parte dell'organo sociale fosse stato deliberata l'erogazione di tale contributo e senza l'iscrizione nel bilancio della societa'. La fattura in questione, secondo la ricostruzione operata dal Tribunale condivisa dalla Corte territoriale era stata emessa da tale (OMISSIS), titolare della tipografia, in favore della cooperativa " (OMISSIS)" con IVA al 20%, in sostituzione di una precedente fattura (n. (OMISSIS) del (OMISSIS) emessa nei confronti del comitato elettorale del candidato sindaco (OMISSIS)) su esplicita richiesta dell' (OMISSIS) il quale aveva riferito al (OMISSIS) che per riscuotere la fattura l'importo avrebbe dovuto essere corrisposto dal (OMISSIS). La fattura de qua era stata poi effettivamente pagata dalla "Cooperativa (OMISSIS)".

1.2 Cio' doverosamente precisato, le difese dei due ricorrenti ripropongono il tema - gia' sottoposto senza successo sia al vaglio del Tribunale che della Corte di Appello (che aveva pienamente condiviso il ragionamento svolto dal primo giudice) - della inapplicabilita' delle norme previste in tema di illecito finanziamento ai partiti politici dal combinato disposto della L. n. 195 del 1974, articolo 7, e L. n. 659 del 1981, articolo 4, comma 1, e della correlata violazione dell'articolo 25 Cost., articolo 14 preleggi, e articolo 1 c.p., in relazione al divieto di analogia in malam partem in cui sarebbe incorso il giudice di merito nel ritenere applicabili le norme di cui alle menzionate L. n. 195 del 1974, e L. n. 659 del 1981, anche nei confronti del soggetto candidato sindaco, pur in assenza di una previsione normativa al riguardo.

1.3 Sia il Tribunale che la Corte territoriale nel confermare il giudizio di colpevolezza sotto l'aspetto oggettivo, hanno argomentato - richiamandosi anche ad una risalente sentenza di questa Corte Suprema (Sez. 6 17.10.1994 n. 12729, Armanini, Rv. 199996) - nel senso inverso a quanto prospettato dalle difese dei ricorrenti, muovendo dalla premessa che le previsioni di cui alle norme suddette restano operanti in relazione alle elezioni comunali, rilevando poi che le nuove disposizioni in tema di elezione diretta del Sindaco non prevedono alcuna autonoma disposizione in tema di finanziamenti e di contributi elettorali, sicche', svolgendosi le elezioni del sindaco e del consiglio comunale in unico contesto ed in modo unitario, l'effettiva assenza nel testo normativo del sindaco e dei candidati a tale carica e' frutto di un difetto di coordinamento interno del sistema, con la conseguenza che, nell'ottica di una interpretazione costituzionalmente orientata ed al fine di evitare irragionevoli sacche di impunita' in favore di determinati soggetti, piu' degli altri destinatari di finanziamenti (sia leciti che illeciti, anche potenzialmente) nel corso della campagna elettorale, la posizione del sindaco va equiparata a quella del consigliere comunale (soggetto espressamente previsto come destinatario della norma in esame), senza che cio' comporti una interpretazione analogica in malam partem (v. pagg. 5-6 della sentenza impugnata).

1.4 La tesi difensiva dei ricorrenti ruota intorno ai contenuti delle norme rispettivamente previste dalla L. n. 195 del 1974, articolo 7, e L. n. 659 del 1981, articolo 4, comma 1.

1.5 Recita, in particolare, l'articolo 7 citato: "1. Sono vietati i finanziamenti o i contributi, sotto qualsiasi forma e in qualsiasi modo erogati, da parte di organi della pubblica amministrazione, di enti pubblici, di societa' con partecipazione di capitale pubblico superiore al 20 per cento o di societa' controllate da queste ultime, ferma restando la loro natura privatistica, a favore di partiti o loro articolazioni politico-organizzative e di gruppi parlamentari. 2. Sono vietati altresi' i finanziamenti o i contributi sotto qualsiasi forma, diretta o indiretta, da parte di societa' non comprese tra quelle previste nel comma precedente in favore di partiti o loro articolazioni politico-organizzative o gruppi parlamentari, salvo che tali finanziamenti o contributi siano stati deliberati dall'organo sociale competente e regolarmente iscritti in bilancio e sempre che non siano comunque vietati dalla legge.

3. Chiunque corrisponde o riceve contributi in violazione dei divieti previsti nei commi precedenti, ovvero, trattandosi delle societa' di cui al secondo comma, senza che sia intervenuta la deliberazione dell'organo societario o senza che il contributo o il finanziamento siano stati regolarmente iscritti nel bilancio della societa' stessa, e' punito, per cio' solo, con la reclusione da 6 mesi a 4 anni e con la multa fino al triplo delle somme versate in violazione della presente legge.

1.6 A sua volta recita la L. n. 659 del 1981, articolo 4, comma 1, intitolata "Modifiche ed integrazioni alla L. 2 maggio 1974, n. 195, sul contributo dello Stato al finanziamento dei partiti politici": "I divieti previsti dalla L. 2 maggio 1974, n. 195, articolo 7, sono estesi ai finanziamenti ed ai contributi in qualsiasi forma o modo erogati, anche indirettamente, ai membri del Parlamento nazionale, ai membri italiani del Parlamento Europeo, ai consiglieri regionali, provinciali e comunali, ai candidati alle predette cariche, ai raggruppamenti interni dei partiti politici nonche' a coloro che rivestono cariche di presidenza, di segreteria e di direzione politica e amministrativa a livello regionale, provinciale e comunale nei partiti politici".

1.7 Dal combinato disposto delle due norme (e in particolare la L. n. 195 del 1974, articolo 7, commi 2 e 3, e la L. n. 659 del 1981, articolo 4, comma 1, che estende i divieti di finanziamento previsti in via generale dalla prima delle due leggi a determinati soggetti politici (sia come persone fisiche che come gruppi), emerge ictu oculi l'assenza del nominativo del sindaco (o candidato a tale carica) quale destinatario della norma. Reputa il Collegio che l'indicazione dei soggetti destinatari individuati dall'articolo 4 comma 1 della L. 659/81 sia tassativa, sicche' trattandosi di norma di stretta interpretazione in relazione alla valenza penale che essa assume per il richiamo alla L. n. 195 del 1974, articolo 7, comma 3, l'estensione a determinate categorie di soggetti non menzionati nel testo di legge e' da ritenersi assolutamente preclusa.

1.8 Escluso che l'interpretazione operata dalla Corte territoriale possa qualificarsi "estensiva", come pretenderebbe il giudice di appello, deve piuttosto optarsi per una vera e propria interpretazione analogica in malam partem non consentita dal sistema.

2. In linea generale e' noto quale sia nella materia penale il discrimine tra interpretazione estensiva (consentita) ed interpretazione analogica (vietata se in malam partem in forza del principio di relativita' del ricorso all'analogia che lo consente "in bonam partem"): mentre l'interpretazione estensiva opera tutte le volte in cui la norma e' applicata a un caso da essa previsto, nel rispetto, quindi, del suo tenore letterale e a chiarimento del significato della norma, l'analogia ricorre ogni qual volta si applica la norma oltre i casi in essa, espressamente o implicitamente, previsti in presenza di un rapporto di similitudine tra un caso, espressamente disciplinato, e un caso non previsto che permette di estendere al secondo la previsione utilizzata per il primo.

2.1 Tradizionalmente, in riferimento alla materia penale (ed alle leggi eccezionali) la giurisprudenza ammette il ricorso all'interpretazione estensiva, posto che essa consente di regolare fattispecie comunque rientranti nella norma, se alla stessa si attribuisce il significato piu' ampio possibile. Nell'interpretazione estensiva, infatti, il caso esaminato rientra nella ipotesi astratta configurata dal legislatore, sia pure dando alle parole della legge un significato piu' ampio di quello che risulta apparentemente da esse.

2.2 E' stato ricordato in una non recentissima ma significativa decisione di questa stessa Sezione che, secondo autorevole dottrina, "ogni disposizione di legge va interpretata in modo che consegua lo scopo per cui fu posta e non vada al di la' di esso. Se una spiegazione non consente alla norma di raggiungere quello scopo, deve essere respinta, come va respinta quella che conduce a conseguenze che trascendono la finalita' della norma". Si e' cosi' affermato che "questo tipo di interpretazione e' ammesso in relazione a tutte le disposizioni di legge, comprese quelle penali, perche' non amplia il contenuto effettivo della norma, ma impedisce che fattispecie ad esse soggette si sottraggano alla sua disciplina per l'ingiustificata mancanza di adeguate espressioni letterali" (in termini Sez. 3 13.7.2009 n. 39078, Apponi e altri, Rv. 245344).

3. Nella analogia, invece, il caso da decidere non e' disciplinato dalla norma e non puo' in alcun modo essere in essa compreso, anche se questa viene dilatata dall'interprete fino al limite della sua massima espansione, sicche' a quel caso viene data la regolamentazione stabilita per un'ipotesi diversa, ancorche' simile.

3.1 La norma di riferimento e' contenuta nell'articolo 12 preleggi, a tenore del quale "Nell'applicare la legge non si puo' ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse (cd. interpretazione letterale), e dalla intenzione del legislatore (cd. interpretazione logica). Secondo la norma in esame, quando una controversia non puo' essere decisa con una specifica disposizione, da interpretarsi ai sensi dell'articolo 12, comma 1, delle citate disposizioni preliminari, secondo i canoni dell'interpretazione letterale, sistematica, teleologica e storica, il giudice puo' (anzi deve) ricorrere all'analogia legis, ovverossia estendere al caso non previsto la norma positiva dettata per casi simili o materie analoghe. E se cio' nonostante, permane il dubbio interpretativo, trovera' applicazione l'analogia iuris, ossia l'applicazione dei principi generali dell'ordinamento giuridico. Il ricorso all'analogia si risolve in un vero e proprio meccanismo integrativo dell'ordinamento che permette al giudice di decidere comunque, anche in presenza di una lacuna normativa.

3.2 Tuttavia la regola generale dell'ubi eadem ratio, ibi eadem dispositio, cui si ispira il procedimento analogico, incontra un'eccezione nell'articolo 14 preleggi, in forza del quale "Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati" La ragione della preclusione (corollario del principio di tassativita') si deve al fatto che il sistema penale e' ispirato alla logica del favor libertatis e, pertanto, un'applicazione analogica di una norma punitiva finirebbe con il contrastare con la finalita' di garanzia per l'individuo.

3.3 Quanto, poi, alla natura del divieto - se cioe' assoluto (divieto di analogia in bonam partem) o relativo, circoscritto, cioe' alle sole norme sfavorevoli (divieto di analogia in malam partem) - muovendo dalla indefettibile premessa che il divieto di analogia vada inteso come garanzia del favor libertatis, a tutela della liberta' dell'individuo contro i possibili arbitrii del giudice, la giurisprudenza tende in prevalenza ad ammettere l'analogia in bonam partem (in questo senso Sez. 1 14.5.1997 n. 3359, Tassone, Rv. 207747 in tema di applicabilita' dell'articolo 47 Ord. pen. nella parte in cui consente al condannato in stato di liberta' di chiedere l'affidamento in prova al servizio sociale prima dell'emissione dell'ordine di carcerazione, anche al soggetto che, dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, sia rimasto di fatto sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, per intuibili ragioni di equita'; Sez. 1 12.6.1997 n. 4128, P.M. in proc. Di Giovine, Rv. 288428, in tema di rinnovo della misura cautelare, a pena di inefficacia, non solo quando l'incompetenza venga dichiarata dallo stesso giudice che aveva disposto detta misura, ma anche dal giudice di una successiva fase del medesimo procedimento, purche' quest'ultimo sia diverso da quello che aveva ab origine disposto la misura, dovendosi interpretare l'articolo 27 c.p.p., che disciplina la materia non nel suo tenore letterale).

3.4 Ancor piu' numerose, poi, le applicazioni giurisprudenziali che circoscrivono il divieto di cui si discute alla sola analogia in malam partem sulla scorta dell'articolo 14 preleggi, (cosi' Sez. 5 11.7.2011 n. 42125, Sallusti e altro, Rv. 251705; Sez. 5 2.5.2016 n. 42309, Clemente e altro, Rv. 268460, nelle quali si e' affermato in riferimento al reato di diffamazione con il mezzo della stampa, il divieto di estensione al direttore editoriale dei doveri di controllo e responsabilita' propri del direttore responsabile ex articolo 57 cod. pen.; in senso conforme Sez. 6 3.6.2015 n. 29145, Parlangeli, Rv. 264103, in tema di inapplicabilita' dell'articolo 334 c.p., alla condotta di sottrazione di beni sottoposti a fermo amministrativo a norma del Decreto Legislativo n. 285 del 1992, articolo 214), ammettendosi, invece, l'analogia in bonam partem, nel rispetto dei limiti di corrispondenza della eadem ratio dell'incriminazione, del necessario grado di determinatezza della disposizione oggetto di applicazione analogica e del divieto di analogia delle norme eccezionali (vds. la giurisprudenza dianzi citata al punto 3.3).

4. Alla stregua di tali principi ritiene il Collegio che l'operazione ermeneutica compiuta dalla Corte non appare per nulla rispettosa di tali regole, peraltro da applicarsi con estremo rigore. Evidente, infatti, il salto logico nella misura in cui, preso atto della mancata indicazione del sindaco (o del candidato a tale carica istituzionale) tra i destinatari della norma penale rappresentata dalla L. n. 659 del 1981, articolo 4, comma 1, in correlazione con la L. n. 195 del 1974, articolo 7, commi 2 e 3, la Corte di merito con una vera e propria opera di "ingegneria" o, se si vuole, "ortopedia" giuridica, include comunque il sindaco tra i soggetti destinatari in nome di una presunta irragionevolezza della norma e di una interpretazione diversa, laddove se deve proprio parlarsi di irragionevolezza, questa va riferita al ricorso all'analogia, esclusa invece dalla Corte in nome di una non meglio individuata (ed individuabile) interpretazione estensiva, del tutto insussistente visto che con l'interpretazione seguita dalla Corte distrettuale e' stato indebitamente esteso l'ambito di applicazione di una norma incriminatrice mediante l'aggiunta tra i soggetti destinatari di essa della figura del sindaco per nulla contemplata.

4.1 Ne' tale operazione ermeneutica puo' giustificarsi sulla base di una altrettanto arbitraria, apodittica e irragionevole equiparazione tra la carica di consigliere comunale e quella del Sindaco, sulla base di una contestualita' temporale delle due competizioni elettorali e di un collegamento tra esse vista la possibilita' per il candidato sindaco eventualmente non eletto di essere eletto alla carica di consigliere comunale, non mancando, peraltro, di rilevare come le nuove norme sull'elezione diretta del sindaco ostino ad una interpretazione siffatta.

4.2 In ultimo non appare per nulla pertinente il richiamo contenuto nella sentenza impugnata (v. pag. 5) alla sentenza di questa Suprema Corte emessa dalla 6 Sezione (sentenza 17.10.1994 n. 12729, Armanini, Rv. 199996) secondo cui "In tema di reati concernenti illeciti finanziamenti a partiti politici, le previsioni di cui alla L. 2 maggio 1974, n. 195, articolo 7, e L. 18 novembre 1981, n. 659, articolo 4, comma 1, restano sicuramente operanti in relazione alle elezioni comunali. La L. 10 dicembre 1993, n. 515, che ha innovato integralmente la materia e', infatti, applicabile alle elezioni comunali (e provinciali, oltre che del sindaco e del presidente della provincia) esclusivamente (articolo 20, comma 2) per cio' che concerne l'accesso ai mezzi di informazione (articolo 1), del divieto di sondaggi (articolo 6), "e le relative sanzioni previste dall'articolo 15", oltre al regime delle "agevolazioni postali" (articolo 17), delle "agevolazioni fiscali" (articolo 18) e degli "interventi dei comuni" (articolo 19).". Invero l'affermazione contenuta nella massima della operativita' delle disposizioni contestate agli odierni ricorrenti alle elezioni comunali non assume rilevanza alcuna, non essendo controverso che tra i destinatari della norma figurino i consiglieri comunali: la questione da risolvere non era infatti quella della possibilita' o meno di applicare le norme suddette alle elezioni comunali, ma di applicare le stesse ad in determinato soggetto non indicato essendo evidente che l'espressione "elezioni comunali" non equivale tout court a "sindaco".

4.3 Peraltro la vicenda storica oggetto della decisione sopra menzionata riguardava un personaggio assai noto alle cronache giudiziarie dell'epoca - tale (OMISSIS), assessore al Comune di Milano - accusato nell'ambito del cd. processo "(OMISSIS)" del 1992 di numerosi gravi reati e condannato ad una lunga pena detentiva. Quel che e' certo e' che l' (OMISSIS) non rivestiva la carica di sindaco, ne' di candidato a tale ruolo, non senza rilevare che in relazione all'epoca in cui si verificarono quei fatti, nessuna delle due norme oggi contestate al (OMISSIS) e al (OMISSIS) era in vigore.

5. Conclusivamente l'accoglimento del primo motivo dei due ricorsi (ma anche del secondo afferente al ricorso nell'interesse del (OMISSIS), attesa l'evidente manifesta illogicita' della decisione) comporta l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perche' il fatto non sussiste. Rimangono con cio' assorbiti i restanti motivi.

 

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perche' il fatto non sussiste.

 

Depositata in cancelleria

Il 7 giugno 2017

 

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