HomeSentenzeArticoliLegislazionePrivacyRicercaChi siamo
TAR Lazio, sez. I, 5/12/2017 n. 11987
Sull'individuazione del mercato rilevante nella tutela della concorrenza

L'individuazione del mercato rilevante, come costantemente affermato in giurisprudenza, è un'attività ricostruttiva "… funzionale alla delimitazione dell'ambito nel quale l'intesa stessa può restringere o falsare il meccanismo concorrenziale", così che "la relativa estensione e definizione spetta all'Autorità nella singola fattispecie, all'esito di una valutazione non censurabile nel merito da parte del giudice amministrativo, se non per vizi di illogicità estrinseca". L'estensione del mercato rilevante, di conseguenza, va desunta dall'esame della specifica condotta della quale sia sospettata la portata anticoncorrenziale, con l'ulteriore precisazione che "in un'intesa restrittiva della concorrenza l'estensione merceologica e geografica del mercato rilevante è determinata, in primo luogo, dall'estensione del coordinamento stesso, poiché tale estensione indica l'ampiezza del mercato che i partecipanti ritenevano possibile e profittevole monopolizzare, tenuto conto dei costi di transazione da sostenere per l'organizzare il coordinamento stesso". La giurisprudenza ha pure chiarito come l'individuazione del mercato rilevante comporti, ordinariamente, un'operazione di contestualizzazione che implica margini di opinabilità, atteso il carattere di concetto giuridico indeterminato di detta nozione. Ne deriva che il mercato rilevante può coincidere, in concreto, con una singola gara (o con una o più gare determinate) sulla quale la condotta degli operatori economici venga ad incidere, in considerazione del fatto che "anche una porzione ristretta del territorio nazionale può assurgere a mercato rilevante, ove in essa abbia luogo l'incontro di domanda ed offerta in condizioni di autonomia rispetto ad altri ambiti anche contigui, e quindi esista una concorrenza suscettibile di essere alterata".

Nell'ambito dei procedimenti antitrust, dove vengono in gioco leggi economiche ed anche massime di esperienza, il criterio guida per prestare il consenso all'ipotesi ricostruttiva formulata dall'Autorità è quello della cd. congruenza narrativa, in virtù del quale l'ipotesi sorretta da plurimi indizi concordanti può essere fatta propria nella decisione giudiziale quando sia l'unica a dare un senso accettabile alla "storia" che si propone per la ricostruzione dell'intesa illecita. Il tasso di equivocità del risultato (dipendente dal meccanismo a ritroso con cui si procede all'accertamento del fatto e dal carattere relativo della regola impiegata) viene colmato attraverso una duplice operazione, interna ed esterna: la "corroboration", che consiste nell'acquisire informazioni coerenti con quella utilizzata nell'inferenza, e la cumulative "redundancy", che consiste nella verifica di ipotesi alternative. La prima operazione fornisce un riscontro alla conclusione, la seconda ne aumenta la probabilità logica grazie alla falsificazione di interpretazioni divergenti degli elementi acquisiti. In tale quadro i vari "indizi" costituiscono elementi del modello globale di ricostruzione del fatto, coerenti rispetto all'ipotesi esplicativa, coincidente con la tesi accusatoria. Unitamente all'acquisizione di informazioni coerenti con le contestazioni mosse (riscontri), deve essere esclusa l'esistenza di valide ipotesi alternative alla tesi seguita dall'Autorità. L'ipotesi accusatoria potrà essere considerata vera quando risulti l'unica in grado di giustificare i vari elementi, o sia comunque nettamente preferibile rispetto ad ogni ipotesi alternativa astrattamente esistente".

Materia: concorrenza / disciplina

Pubblicato il 05/12/2017

 

N. 11987/2017 REG.PROV.COLL.

 

N. 12689/2015 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 12689 del 2015, proposto da:

Società Estense Servizi Ambientali S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Alfredo Biagini, Matteo Garbisi e Andrea Giuman, elettivamente domiciliata in Roma, via Monte Zebio, 30, presso lo studio dell’avv. Alfredo Biagini;

 

contro

L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale domicilia in Roma, via dei Portoghesi 12;

 

nei confronti di

Fertitalia Srl, non costituita in giudizio;

 

per l'annullamento

del provvedimento n. 25589 assunto in data 29 luglio 2015, depositato in data 10 agosto 2015, con cui l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha deliberato che la società ricorrente, in uno con le società Fertitalia s.r.l., Ni.Mar s.r.l e Nuova Amit s.r.l., avrebbe posto in essere una intesa restrittiva della concorrenza in violazione dell’art. 2 della l.n. 287/1990, “avente per oggetto il coordinamento del proprio comportamento per la partecipazione alla procedura di affidamento del servizio di trattamento e smaltimento delle frazioni “umido organico” e “verde” derivanti dalla raccolta differenziata dei rifiuti di tutti i comuni della Provincia di Rovigo, bandita da parte della società Ecombiente s.r.l. nel marzo 2013” irrogandole, per l’effetto, la sanzione pecuniaria di € 67.328,00;

della delibera dell’AGCM del 17 settembre 2014 di avvio del procedimento istruttorio;

della Comunicazione delle risultanze istruttorie trasmessa in data 22 maggio 2015;

di tutti gli atti antecedenti e conseguenti, ancorché non conosciuti.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 novembre 2017 la dott.ssa Roberta Cicchese e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Società Estense Servizi Ambientali S.p.A. (di seguito, anche “Sesa”, la “ricorrente” oppure la “società”), odierna esponente, è una società a prevalente capitale pubblico operante nel campo dello smaltimento dei rifiuti.

Con il ricorso in epigrafe contesta la legittimità della determinazione con la quale l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (di seguito, anche “Agcm” o l’“Autorità”), a conclusione del procedimento istruttorio I784, ha ritenuto che essa ricorrente, unitamente alle società Fertitalia S.r.l., Ni.Mar. S.r.l e Nuova Amit S.r.l., attive nel medesimo settore commerciale, abbia posto in essere, in violazione dell’art. 2 della legge n. 287/1990, un’intesa restrittiva della concorrenza nell’ambito della partecipazione ad una gara bandita nel 2013 dalla società Ecoambiente s.r.l. per la gestione del servizio di smaltimento delle frazioni “umido organico” e “verde” derivanti dalla raccolta differenziata dei rifiuti di tutti i Comuni della provincia di Rovigo.

L’istruttoria procedimentale, avviata sulla base di due segnalazioni di un privato cittadino, è consistita in ispezioni presso le sedi delle società ritenute parti della pratica anticoncorrenziale e presso la sede del Consorzio italiano compostatori.

Nel corso del procedimento, poi, le parti sono state audite e hanno presentato memorie.

Con delibera n. 25801 del 22 dicembre 2015, infine, l’Autorità ha emanato il provvedimento impugnato, con il quale ha accertato la sussistenza dell’intesa ed ha irrogato alla ricorrente Sese una sanzione pari a 67.238 euro.

Il mercato rilevante è stato individuato nella gara bandita dalla società Ecoambiente, suddivisa in quattro lotti geografici, tutti ricadenti nella provincia di Rovigo.

L’intesa si sarebbe sostanziata in un accordo finalizzato a condizionare la dinamica della procedura selettiva, tale da neutralizzare il confronto competitivo per l’aggiudicazione delle commesse, consentendo, altresì, la fissazione dei prezzi di aggiudicazione delle gare medesime.

Sul piano probatorio, il provvedimento si basa sia su elementi esogeni, costituiti da due incontri avvenuti in prossimità della gara tra le società ritenute parti dell’intesa, già fornitori storici nei precedenti affidamenti avvenuti a trattativa privata, sia su elementi endogeni, costituiti da un peculiare parallelismo delle condotte, tale per cui su ciascun lotto è stata presentata una sola offerta, sistematicamente caratterizzata da un ribasso minimo, inferiore all’1%, uguale nei singoli lotti.

Il ricorso introduttivo è affidato ai seguenti motivi di diritto:

I Violazione di legge: violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della l. n. 287/1990 sotto un primo profilo: Erronea delimitazione del mercato rilevante. Violazione di legge: violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990. Carenza di motivazione.

L’Autorità avrebbe errato nell’individuare il mercato rilevante, ossia l’ambito territoriale entro il quale le quattro società considerate parti dell’intesa sarebbero state in rapporto di concorrenza.

I fatti oggetto di accertamento, osserva la ricorrente, avrebbero una dimensione locale estremante circoscritta, mentre l’art. 2, comma 2, della l. n. 287/1990 sancisce il divieto di intese che abbiano per oggetto o per effetto una restrizione del gioco della concorrenza “all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante”.

II Violazione di legge: violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della l. n. 287/1990 sotto un secondo profilo. Eccesso di potere per illogicità manifesta, carenza di istruttoria e di motivazione. Insussistenza di un’intesa anticoncorrenziale

Difetterebbero, nel caso in esame, i presupposti identificativi di un’intesa anticoncorrenziale.

La concertazione, infatti, sarebbe stata desunta in assenza di indizi “gravi, precisi e concordanti”, senza un’analisi dettagliata della concreta articolazione del bando e della effettiva appetibilità dei cantieri e senza tener conto delle spiegazioni alternative fornite delle parti.

III Violazione di legge: violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della l. n. 287/1990 sotto un terzo profilo. Violazione dell’art. 15 della l. n. 287/1990. Violazione dell’art. 11 della l. n. 689/1981. Violazione delle “Linee guida sulle modalità di applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall’Autorità in applicazione dell’art. 15, comma 1, della l.n. 287/1990”. Violazione del principio di proporzionalità della sanzione amministrative e di quello di buon andamento della P.A. ex art. 97 Cost. Errata e sproporzionata applicazione della sanzione.

L’Autorità avrebbe mal quantificato la sanzione da irrogare, incorrendo in plurimi errori.

In particolare l’AGCM avrebbe errato: a) nel ritenere l’intesa “molto grave”, sebbene il provvedimento non abbia evidenziato effetti pregiudizievoli per la stazione appaltante o per i consumatori; b) nel non considerare la partecipazione marginale di Sesa, presente ad un solo incontro; c) nell’applicare la maggiorazione prevista per la c.d. entry fee, senza motivare in ordine alla ricorrenza dei presupposti della stessa; d) nell’applicare alla ricorrente una maggiorazione relativa all’entità del fatturato, che tuttavia non sarebbe, come richiesto dalle stesse Linee guida approvate dall’Autorità, apprezzabile a livello mondiale.

L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, costituita in giudizio ha chiesto il rigetto del ricorso.

All’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.

 

DIRITTO

Il ricorso è fondato in parte, nei limiti appresso specificati.

Prima di procedere all’esame delle singole doglianze, è utile ricordare come l’art. 2 della legge n. 287/1990, alla luce del quale è stato adottato il provvedimento impugnato, stabilisce che sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante.

La funzione della disposizione, come pure dell’art. 101 del T.F.U.E., è quella di tutelare la concorrenza sul mercato, al fine di garantire il benessere dei consumatori e un’allocazione efficiente delle risorse.

Ne deriva che, sulla base dei principi comunitari e nazionali in materia di concorrenza, ciascun operatore economico debba determinare in maniera autonoma il suo comportamento nel mercato di riferimento (Case C-49/92 Commission v Anic Partecipazioni s.p.a. [1999] ECR I-4125).

Nel fare ciò, l’operatore terrà lecitamente conto delle scelte imprenditoriali note o presunte dei concorrenti, non essendogli, per contro, consentito instaurare con gli stessi contatti diretti o indiretti aventi per oggetto o per effetto di creare condizioni di concorrenza non corrispondenti alle condizioni normali del mercato (Anic cit.).

Tali contatti vietati possono rivestire la forma dell’accordo ovvero quella delle pratiche concordate.

La fattispecie dell’accordo ricorre quando le imprese abbiano espresso la loro comune volontà di comportarsi sul mercato in un determinato modo, e ciò, anche senza fare ricorso ad un contratto vincolante (Case 41, 44 e 45/69 ACF Chemiefarma NV v Commission [1970] ECR 661) o ad altro documento scritto (Polypropylene [1986] OJ L230/1, par. 81); la pratica concordata, invece, corrisponde ad una forma di coordinamento fra imprese che, senza essere spinta fino all'attuazione di un vero e proprio accordo, sostituisce, in modo consapevole, un’espressa collaborazione fra le stesse al rischio competitivo, influenzando le condizioni concorrenziali sul mercato (Consiglio di Stato, sez. VI, 4 settembre 2015, n. 4123; Cases 48-57 ICI v. Commission [Dyestuffs 1972] ECR619, par. 64; cases 40-48, 50, 54-56, 111, 113 e 114/73 Cooperatieve Verenigning ‘Suiker Unie’ UA v Commission [1975] ECR 1663).

L’esistenza di una pratica concordata, considerata l’inesistenza o la estremamente difficile acquisibilità della prova di un accordo espresso tra i concorrenti, viene ordinariamente desunta dalla ricorrenza di determinati indici probatori dai quali inferire la sussistenza di una sostanziale finalizzazione delle singole condotte ad un comune scopo di restrizione della concorrenza.

In materia è dunque ammesso il ricorso a prove indiziarie, purché le stesse, come più volte affermato in giurisprudenza, si fondino su indizi gravi, precisi e concordanti.

Sempre in materia probatoria va poi considerata la distinzione tra elementi di prova endogeni, afferenti l’anomalia della condotta delle imprese, non spiegabile secondo un fisiologico rapporto tra di loro (Cases 48-57 ICI v Commission (Dyestuffs [1972] ECR 619), ed elementi esogeni, quali l'esistenza di contatti sistematici tra le imprese e scambi di informazioni. La collusione può essere provata per inferenza anche dalle circostanze del mercato (Case 172/80 Zuechner v Bayerische Vereinsbank [1981] ECR2021).

La differenza tra le due fattispecie e le correlative tipologie di elementi probatori - endogeni e, rispettivamente esogeni - si riflette sul soggetto sul quale ricade l'onere della prova: nel primo caso, la prova dell'irrazionalità delle condotte grava sull'Autorità, mentre, nel secondo caso, l'onere probatorio contrario viene spostato in capo all'impresa.

In particolare, qualora, a fronte della semplice constatazione di un parallelismo di comportamenti sul mercato, il ragionamento dell'Autorità sia fondato sulla supposizione che le condotte poste a base dell'ipotesi accusatoria oggetto di contestazione non possano essere spiegate altrimenti se non con una concertazione tra le imprese, a queste ultime basta dimostrare circostanze plausibili che pongano sotto una luce diversa i fatti accertati dall'Autorità e che consentano, in tal modo, di dare una diversa spiegazione dei fatti rispetto a quella accolta nell'impugnato provvedimento.

Qualora, invece, la prova della concertazione non sia basata sulla semplice constatazione di un parallelismo di comportamenti, ma dall'istruttoria emerga che le pratiche possano essere state frutto di una concertazione e di uno scambio di informazioni in concreto tra le imprese, in relazione alle quali vi siano ragionevoli indizi di una pratica concordata anticoncorrenziale, grava sulle imprese l'onere di fornire una diversa spiegazione lecita delle loro condotte e dei loro contatti (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 13 maggio 2011, n. 2925).

Facendo applicazione di tali principi generali alla fattispecie concreta, ritiene il Collegio che il provvedimento sanzionatorio impugnato risulti immune dalle censure articolate in gravame.

Seguendo l’ordine espositivo del ricorso, va in primo luogo respinto il primo motivo di doglianza, con il quale la ricorrente ha contestato la corretta individuazione da parte dell’Autorità del mercato rilevante.

In particolare, a giudizio della ricorrente, per aversi condotta anticoncorrenziale apprezzabile occorrerebbe, come richiesto dall’art. 2, comma 2, della l. n. 287/1990, che gli effetti del presunto accordo si spieghino “all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante”, mentre la gara oggetto dell’accertamento avrebbe una dimensione locale estremamente circoscritta (la provincia di Rovigo) e percentualmente irrilevante nella dimensione nazionale.

La prospettazione non può essere condivisa.

L’individuazione del mercato rilevante, come costantemente affermato in giurisprudenza, è un’attività ricostruttiva “… funzionale alla delimitazione dell'ambito nel quale l'intesa stessa può restringere o falsare il meccanismo concorrenziale”, così che “la relativa estensione e definizione spetta all’Autorità nella singola fattispecie, all'esito di una valutazione non censurabile nel merito da parte del giudice amministrativo, se non per vizi di illogicità estrinseca” (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 2 luglio 2015, n. 3291 e 26 gennaio 2015, n. 334 ).

L’estensione del mercato rilevante, di conseguenza, va desunta dall’esame della specifica condotta della quale sia sospettata la portata anticoncorrenziale (Consiglio di Stato, Sez. VI, 2 luglio 2015, n. 3291; id. 3 giugno 2014, n. 2837; 4 novembre 2014, n. 5423; 8 agosto 2014, n. 4230; 24 ottobre 2014, nn. 5274, 5276 e 5278), con l’ulteriore precisazione che “in un’intesa restrittiva della concorrenza l’estensione merceologica e geografica del mercato rilevante è determinata, in primo luogo, dall’estensione del coordinamento stesso, poiché tale estensione indica l’ampiezza del mercato che i partecipanti ritenevano possibile e profittevole monopolizzare, tenuto conto dei costi di transazione da sostenere per l’organizzare il coordinamento stesso” (Tar Lazio, Sez. I, 2 agosto 2016, n. 8930).

La giurisprudenza ha pure chiarito come l’individuazione del mercato rilevante comporti, ordinariamente, un’operazione di contestualizzazione che implica margini di opinabilità, atteso il carattere di concetto giuridico indeterminato di detta nozione (Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 maggio 2011, n. 2925).

Ne deriva che il mercato rilevante può coincidere, in concreto, con una singola gara (o con una o più gare determinate) sulla quale la condotta degli operatori economici venga ad incidere, in considerazione del fatto che “anche una porzione ristretta del territorio nazionale può assurgere a mercato rilevante, ove in essa abbia luogo l’incontro di domanda ed offerta in condizioni di autonomia rispetto ad altri ambiti anche contigui, e quindi esista una concorrenza suscettibile di essere alterata” (così da ultimo, Consiglio di Stato, sez. VI, 12 ottobre 2017, n. 4733, con ampi richiami giurisprudenziali; per una analisi particolarmente diffusa della questione, con specifico riferimento all’astratta possibilità che il mercato rilevante coincida con un’unica gara, cfr. pure Consiglio di Stato, sez. VI, 13 giugno 2014, n. 1731).

La detta condizione di autonomia risulta compiutamente argomentata nel caso in esame, avendo il provvedimento puntualmente definito le peculiarità di domanda e offerta con riferimento alle concrete caratteristiche della gara (che prevedeva precisi limiti per la partecipazione, tali per cui le imprese parti dell’intesa erano le uniche a poter concorre), alla portata dell’accordo (finalizzato proprio ad annullare, nella specifica gara, il gioco concorrenziale) e alle conseguenze sugli esiti della procedura selettiva della pratica collusiva (tale per cui si è avuta una sola offerta su ciascun lotto e un ribasso minimo e costante sul prezzo base d’asta).

A tanto si aggiunga che la gara aveva luogo in un’area connotata da ulteriori tratti di differenziazione rispetto al territorio nazionale per quanto concerne la capacità di accogliere, nei propri impianti di trattamento, i rifiuti provenienti da altre regioni.

L’individuata specificità merceologica e geografica rende, da ultimo, irrilevante il richiamo alla scarsa rappresentatività, sul piano nazionale, dei lavori affidati nella gara de qua, tanto più che la giurisprudenza ha rilevato la non applicabilità della soglia c.d. de minimis in presenza di intese che abbiano per oggetto “una restrizione della concorrenza che consiste nel fissare i prezzi, limitare la produzione o ripartire i mercati o la clientela” (Consiglio di Stato, sez. VI, 13 giugno 2014, n. 1731), ciò che si attaglia sicuramente ad una fattispecie di ripartizione di lotti, laddove essi esauriscano il “mercato” considerato.

Con il secondo motivo di doglianza, la ricorrente ha poi contestato la stessa configurabilità di una intesa, della quale difetterebbero tutti i presupposti identificativi.

La prospettazione non può essere condivisa.

E infatti, diversamente da quanto prospettato da parte ricorrente, il provvedimento, con argomentazione logica e congruente, evidenzia, in maniera puntuale gli elementi probatori sulla base dei quali è stata ritenuta la ricorrenza di una pratica anticoncorrenziale nell’affidamento della gara per il servizio di trattamento e smaltimento di rifiuti organici nella provincia di Rovigo Particolare rilievo a tale fine assume, in primo luogo, l’esito del tutto particolare delle operazioni di gara, per comprendere il quale è opportuno ricostruire brevemente il contenuto della lex specialis.

Come sopra accennato, il bando prevedeva la divisione dell’appalto in quattro lotti geografici, per ciascuno dei quali era individuato un “baricentro operativo” ossia un “luogo di riferimento per il calcolo delle distanze rispetto agli impianti detenuti dai soggetti partecipanti alla gara”, i quali ultimi, per poter concorrere, dovevano disporre di un impianto di compostaggio sito nel raggio di 60 km dal “baricentro operativo” al quale erano interessati.

Il criterio di aggiudicazione, poi, era quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, nella quale l’offerta economica prospettava il ribasso proposto sui valori a base d’asta e quella tecnica attribuiva un punteggio in parte determinato dalla distanza dell’impianto dal baricentro del lotto e in parte dal possesso di alcune certificazioni ambientali.

Benché il bando consentisse a ciascun partecipante la possibilità di aggiudicarsi due lotti su quattro, le quattro imprese parti del procedimento, in concreto in possesso dei requisiti legittimanti presentare domanda per due o più lotti, hanno così proceduto: a) Nuova Amit ha presentato domanda per i soli lotti 1 e 2; b) l’Ati costituita dalla ricorrente e da Fertitalia ha presentato domanda per il solo lotto 3; c) Nimar ha presentato domanda per il solo lotto 4.

Inoltre tutti i ribassi offerti nei vari lotti, sia per il trattamento della frazione umida che del verde sono stati inferiori all’1% rispetto ai prezzi base fissati dalla stazione appaltante; tutte le offerte presentate dalle parti, poi, mostrano una regolarità nelle cifre decimali, identiche per l’umido e per il verde, ciò che supporrebbe una difficilmente ipotizzabile identità delle strutture di costo sottostanti (cfr. § 150).

Come osservato nel provvedimento dunque “il pattern di gara mostra, in altri termini, l’assenza di sovrapposizione competitiva dei partecipanti sui vari lotti oggetto di affidamento”.

L’Autorità, a mezzo di una simulazione effettuata sulla base di dati economici e matematici, ha, tuttavia, individuato le condizioni economiche a cui le singole imprese avrebbero potuto partecipare a più di un lotto, ciò che avrebbe potuto avvenire agendo sul prezzo del servizio, attesa la non modificabilità dei dati geografici, restando tuttavia l’offerta in un range di profittevolezza non distante da quello medio di settore (cfr. §§ 61 ss.).

Tale già ampiamente significativo corredo di elementi endogeni è stato poi corroborato dall’Autorità con il riferimento ad elementi esogeni, costituiti da due incontri tra le parti avvenuti in prossimità del termine per la scadenza delle offerte, la cui assoluta eccentricità rispetto all’ordinario modus operandi delle imprese coinvolte e la cui peculiare collocazione temporale, in uno con la condotta successiva, acquistano una indiscutibile valenza probatoria, sulla base di un ragionamento logico induttivo assolutamente corretto.

La circostanza che le imprese parti del procedimento, che hanno riconosciuto di aver preso parte agli incontri, abbiano poi negato la natura anticoncorrenziale del contenuto degli incontri appare, nel descritto contesto, del tutto irrilevante, trattandosi, all’evidenza, di dichiarazioni con chiara finalità difensiva, tanto più che le stesse, come in generale le varie spiegazioni alternative lecite fornite dalle parti, sono risultate o parziali o non tempestive - perché non dichiarate in sede di ispezione – ovvero non congruenti tra loro, e per ciò stesso, non credibili nel loro insieme.

Sotto tale ultimo profilo, rileva ancora il Collegio, il provvedimento è motivato in maniera estremamente puntuale, con logica serrata e congruente con la determinazione finale, laddove, con riferimento alle singole ricostruzioni proposte dalle imprese parti del procedimento, ne afferma l’inidoneità a dequotare il quadro probatorio complessivo, tanto più che le stesse hanno comunque riguardato singoli aspetti dell’anomalo comportamento di gara, così integrando quella interpretazione atomistica che, per consolidata giurisprudenza in materia, non è praticabile in materia antitrust, laddove non idonea a travolgere l’intero impianto accusatorio, ma solo aspetti marginali dello stesso (cfr., da ultimo, Tar Lazio, Roma, sez. I, 28 luglio 2017, n. 9048, con ampi richiami giurisprudenziali).

Quanto sopra osservato in generale in relazione al fatto che le spiegazioni alternative lecite sono state fornite dalle parti prevalentemente in audizione o a mezzo di memorie depositate nella fase finale del procedimento istruttorio, in contraddizione o in sospetta integrazione – in ragione del tempo intercorso o della eterogeneità di argomentazioni – rispetto a quanto dichiarato in sede di ispezione, nonché in relazione alla contraddittorietà tra le varie dichiarazioni - ciò che non avrebbe dovuto ricorrere laddove tutti avessero oggettivamente riferito i fatti - vale in particolare con riferimento alla posizione della ricorrente.

Il provvedimento, infatti, evidenzia le varie incongruenze tra quanto dichiarato da Sesa in sede ispettiva e quanto “precisato” in seguito, con riferimento a dati che, per la loro collocazione storica (ridotta capacità residua dell’impianto al momento del bando e asserita non appetibilità dell’appalto nel confronto con gli altri contratti in corso di svolgimento), avrebbero potuto (recte dovuto) essere immediatamente prospettati.

Sul punto merita di essere segnalato che le spiegazioni alternative fornite dalle parti del procedimento, nel loro insieme, sono risultate particolarmente lacunose con riferimento all’identica incidenza dei ribassi e come le stesse abbiano più spesso mirato a rappresentare le ragioni per cui le singole imprese avevano considerato più appetibile il lotto poi oggetto di aggiudicazione in loro favore, senza chiarire plausibilmente le ragioni di mancata partecipazione di più di un aspirante per ciascun lotto.

Ne risulta ampiamente condivisibile la valutazione complessiva espressa dall’Autorità, secondo cui “le numerose contraddizioni che hanno caratterizzato la posizione delle parti nel corso del procedimento appaiono più coerenti con il tentativo di ricostruire ex post una spiegazione plausibile della loro condotta uniforme piuttosto che con la genuina rappresentazione di uno scenario nel quale tutte le imprese coinvolte abbiano effettivamente agito in maniera unilaterale”.

Diversamente da quanto prospettato in gravame, dunque, non è affatto vero che l’Autorità abbia introdotto, in assenza di apposita previsione normativa, una sorta di sbarramento temporale alle possibilità difensive della parti, avendo piuttosto l’AGCM doverosamente e correttamente vagliato l’intrinseca inaffidabilità di dichiarazioni successive in più o meno marcata contraddizione con quelle precedenti, da apprezzarsi, peraltro, in relazione alla versione, pure questa spesso non coincidente con quella espressa dalla ricorrente, fornita degli ulteriori operatori partecipanti all’intesa.

La ricorrente non può essere seguita neppure laddove sostiene la non condivisibilità delle argomentazioni utilizzate dall’Autorità per contestare le controdeduzioni difensive delle parti, rispondendo, per contro, ad una logica economica di immediata percezione l’affermazione dell’AGCM secondo cui l’ipotesi accusatoria, già ampiamente dimostrata, fosse corroborata dal fatto che a mezzo della gara bandita, con la quale Ecoambiente introduceva per la prima volta nella provincia di Rovigo, una procedura comparativa in luogo della trattativa privata, stimolava una forma di collaborazione tra i vecchi affidatari – unici ad avere i requisiti di partecipazione alla gara – tesa a limitare il rischio di ulteriori abbassamenti di prezzo.

Da ultimo e con riferimento ai due incontri avvenuti in prossimità della gara si osserva che il provvedimento ha motivato esaustivamente - anche a mezzo di verifiche in ordine all’assenza di una identica prassi in tempo antecedente o successivo ai due episodi rilevati, nonché mediante ispezione presso la sede del consorzio, che invece hanno smentito la prospettata inerenza degli incontri a tematiche consortili – la idoneità degli stessi ad integrare, in maniera particolarmente efficace, il quadro probatorio acquisito; e tanto, sulla base del principio per cui - essendo usuale che le attività derivanti da pratiche ed accordi anticoncorrenziali si svolgano in modo clandestino e che le riunioni siano segrete e che la documentazione ad esse relativa sia ridotta al minimo - i documenti acquisibili dall’Autorità, pur attestando in modo esplicito un contatto illegittimo tra operatori, sono di regola solo frammentari e sporadici, di modo che si rivela spesso necessario ricostruire taluni dettagli per via di deduzioni, così che, essendo assolutamente rara l’acquisizione della prova piena (c.d. smoking gun, quali testo dell’intesa, documentazione inequivoca, confessione dei protagonisti), ed al fine di non vanificare le finalità perseguite dalla normativa antitrust che scaturirebbe da un atteggiamento troppo rigoroso, sia sufficiente e necessaria, in questa materia, l’emersione di indizi, purché seri, precisi e concordanti, con la precisazione che la circostanza che la prova sia indiretta - o indiziaria - non comporta necessariamente che la stessa abbia una forza probatoria attenuata (cfr. da ultimo, Consiglio di Stato, Sez. VI, 28 febbraio 2017, n. 928, con ampi richiami giurisprudenziali).

In conclusione, nel caso in esame, deve trovare applicazione il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui “Nell'ambito dei procedimenti antitrust, dove vengono in gioco leggi economiche ed anche massime di esperienza, il criterio guida per prestare il consenso all'ipotesi ricostruttiva formulata dall'Autorità è quello della cd. congruenza narrativa, in virtù del quale l'ipotesi sorretta da plurimi indizi concordanti può essere fatta propria nella decisione giudiziale quando sia l'unica a dare un senso accettabile alla "storia" che si propone per la ricostruzione dell'intesa illecita. Il tasso di equivocità del risultato (dipendente dal meccanismo a ritroso con cui si procede all'accertamento del fatto e dal carattere relativo della regola impiegata) viene colmato attraverso una duplice operazione, interna ed esterna: la “corroboration”, che consiste nell'acquisire informazioni coerenti con quella utilizzata nell'inferenza, e la cumulative “redundancy”, che consiste nella verifica di ipotesi alternative. La prima operazione fornisce un riscontro alla conclusione, la seconda ne aumenta la probabilità logica grazie alla falsificazione di interpretazioni divergenti degli elementi acquisiti. In tale quadro i vari "indizi" costituiscono elementi del modello globale di ricostruzione del fatto, coerenti rispetto all'ipotesi esplicativa, coincidente con la tesi accusatoria. Unitamente all'acquisizione di informazioni coerenti con le contestazioni mosse (riscontri), deve essere esclusa l'esistenza di valide ipotesi alternative alla tesi seguita dall'Autorità. L'ipotesi accusatoria potrà essere considerata vera quando risulti l'unica in grado di giustificare i vari elementi, o sia comunque nettamente preferibile rispetto ad ogni ipotesi alternativa astrattamente esistente” (Consiglio di Stato, sez. VI, 25 marzo 2009, n. 1794).

Va invece accolto in parte il terzo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente ha censurato l’attività di quantificazione della sanzione.

La doglianza è articolata in più argomenti, con il primo dei quali Sesa ha censurato la qualificazione dell’intesa come “molto grave” e la conseguente quantificazione della sanzione base nella misura del 15% del valore dell’appalto, rappresentando come, a suo giudizio, l’Autorità abbia omesso di indagare gli effetti della pratica.

La prospettazione non può essere condivisa.

Rileva infatti il Collegio come il provvedimento abbia adeguatamente dimostrato l’effetto principale della pratica anticoncorrenziale, consistito nella chirurgica spartizione dei lotti tra le parti dell’intesa, con conseguente fissazione, in una misura costante e minima, del ribasso offerto rispetto alla base d’asta.

La presenza nel provvedimento di dati relativi ai prezzi medi correnti, tali da consentire l’individuazione dei risparmi di spesa che l’amministrazione poteva attendersi dal normale dispiegarsi del gioco concorrenziale, e l’assoluta assenza di comportamenti devianti ad opera delle imprese parti dell’accordo rende, nella specifica fattispecie e alla luce della peculiare tipologia di intesa, irrilevante il dato per cui l’Autorità non abbia anche provveduto ad effettuare il calcolo matematico teso a quantificare il minor risparmio di spesa conseguito dalla stazione appaltante.

Ne risulta la corretta applicazione dell’art. 12 delle linee guida, a norma del quale, nel caso di intese segrete di ripartizione dei mercati e di fissazione di prezzi, la percentuale del valore delle vendite considerata sarà di regola non inferiore al 15%.

Né può soccorrere, per le peculiari, indicate, caratteristiche del caso concreto, il successivo art. 14 delle Linee guida, secondo cui tra gli ulteriori criteri di qualificazione della gravità va considerata la rilevanza “dell’effettivo impatto economico della pratica”, essendo a tale ipotesi equiparata, dalla stessa disposizione, la dimostrazione dell’aver l’intesa prodotto “effetti pregiudizievoli sul mercato e sui consumatori” ciò che il provvedimento ha sicuramente fatto emergere pur senza pervenire ad una quantificazione numerica.

E infatti la citata disposizione, secondo la più recente giurisprudenza in materia, si attaglia solo a casi in cui l’indagine effettuale risulti omessa in toto o significativamente carente.

Va pure respinta l’argomentazione con la quale la ricorrente ha sostenuto di aver diritto ad una riduzione della sanzione in conseguenza del ruolo marginale svolto nell’intesa, chiaramente evincibile dal fatto che essa ha partecipato ad una sola delle riunioni tenutesi tra le parti.

Sul punto è sufficiente richiamare l’ampio corredo probatorio evocato nel provvedimento a conferma della assolutamente paritaria partecipazione delle parti all’illecito anticoncorrenziale.

In aggiunta si consideri che l’attenuante della partecipazione marginale, disciplinata dall’art. 23 delle Linee guida, richiede che l’impresa dimostri di “aver svolto un ruolo marginale alla partecipazione dell’intesa, provando altresì di non aver di fatto concretamente attuato la pratica illecita”, ciò che non ricorre nel caso in esame, avendo Sesa tenuto un comportamento assolutamente identico a quello delle altre imprese e tale da generare le medesime conseguenze.

Da ultimo, va richiamato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’attenuante invocata “non può essere concessa all’impresa che abbia avuto non solo piena consapevolezza dell’intesa ma decida di permanervi nel tempo pur avendo l’occasione di uscire dalla concertazione” (cfr., ex multis, Tar Lazio, Roma, 22 giugno 2016, nn. 8500 e 8502).

Vanno invece accolte le doglianze con le quali Sesa ha censurato l’applicazione dell’aggravante dell’entry fee, quantificata nella misura del 15%, e dell’aggravante dell’avere la ricorrente prodotto un fatturato totale, a livello mondiale, elevato rispetto al volume dei servizi oggetto dell’infrazione, quantificata nella misura massima del 50%.

In riferimento ad entrambe le ipotesi ricorre una palese carenza motivazionale del provvedimento in ordine alla ricorrenza dei presupposti per l’applicazione, solo tautologicamente richiamati.

Né i detti requisiti risultano in concreto sussistenti, attesa, da un lato, la non necessità di un effetto deterrente ulteriore rispetto a quello connesso alla sanzione base, alla luce del fatto che lo scostamento tra i prezzi offerti dalle parti e quelli medi di mercato è sostanzialmente contenuto, e risultando, dall’altro, l’alto rapporto tra fatturato e sanzione derivante dal fatto che la ricorrente ha partecipato alla gara in associazione con altra impresa, così che il corrispettivo è stato considerato pro quota (17,3% del corrispettivo del lotto).

Ne deriva, anche alla luce del disposto dell’art. 134, comma 1, lett. c), del c.p.a., che riconosce in materia al giudice amministrativo una cognizione estesa al merito, che la misura della sanzione pecuniaria comminata dall’AGCM debba essere decurtata degli aumenti calcolati in applicazione degli artt. 17 e 25 delle linee guida e riportata alla sola misura del 15% del valore del servizio a cui si riferisce l’infrazione.

Le spese di lite possono essere compensate in ragione della reciproca soccombenza.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, ridetermina la sanzione finale nella misura pure in motivazione indicata.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 novembre 2017 con l'intervento dei magistrati:

Rosa Perna,     Presidente FF

Roberta Cicchese,      Consigliere, Estensore

Lucia Maria Brancatelli,         Referendario

                       

L'ESTENSORE                     IL PRESIDENTE

Roberta Cicchese                   Rosa Perna

                       

IL SEGRETARIO

 

 

HomeSentenzeArticoliLegislazioneLinksRicercaScrivici