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Corte dei conti, sez. giurisd. per la Regione Lombardia, 9/3/2018 n. 49
Sulla sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti sul danno arrecato da amministratori di società a partecipazione pubblica solo nel caso di società in house.

Materia: società / partecipazione pubblica

REPUBBLICA ITALIANA Sent. 49/2018

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI SEZIONE GIURISDIZIONALE LOMBARDIA

composta dai Magistrati:

Silvano DI SALVO                                      Presidente

Vito TENORE                                              Giudice rel.

Eugenio MADEO                                          Giudice

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

nel giudizio di responsabilità, ad istanza della Procura Regionale, iscritto al numero 28880 del registro di segreteria, nei confronti di:

OMISSIS (C.F.), residente in Segrate, MI, via Trieste, n. 3, rappresentata e difesa congiuntamente e disgiuntamente dagli avv.ti Marco Luigi di Tolle (C.F.: DTLMCL50D16F205N – P.IVA: 03186930156) e Sara Beretta (C.F.: BRTSRA85S45F205D - P.IVA: 07365560965), del Foro di Milano, ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Milano, Viale Bianca Maria n. 21, come da delega in atti, fax 02/76.00.93.94, pec: marco_luigi.di_tolle@milano.pecavvocati.it;

OMISSIS, nato a Milano il 14 aprile 1965, codice fiscale ed ivi residente in Via Zara n.124, rappresentato e difeso, per procura in atti allegata, dall’Avv. Patrizia Altomano (codice fiscale LTMPRZ63L54 L049G), con studio in Milano alla Via Daverio n.7 presso il quale è elettivamente domiciliato, fax 02-94752054, pec: patrizia.altomano@milano.pecavvocati.it; e posta elettronica: lhc.patriziaaltomano@gmail.com;

OMISSIS, nato a Milano il 1.6.1981, c.f., rappresentato e difeso, come da procura in atti, dall’avv. prof. Andrea Astolfi (c.f. STL NRM 47T15 G388W; p.e.c. andrea.astolfi@pavia.pecavvocati.it) e dall’avv. Mauro Putignano (c.f. PTG MRA 69R01 C978I; p.e.c. mauro.putignano@milano.pecavvocati.it), presso il cui studio elegge domicilio in Milano, via Larga n. 8;

OMISSIS, C.F., residente in Sesto San Giovanni (Mi), Via Puricelli Guerra n. 209, rappresentato e difeso dal Prof. Avv. Francesco Camilletti (C.F. CMLFNC67D23F205F), PEC: francesco.camilletti@milano.pecavvocati.it; e dall’Avv. Alessandro Camilletti (C.F. CMLLSN65A02F205C), PEC: alessandro.camilletti@milano.pecavvocati.it; Fax n. 02-55014829, del Foro di Milano, ed elettivamente domiciliato presso il loro studio in Milano, Via Sant’Antonio Maria Zaccaria 1, per procura in atti;

OMISSIS non costituito;

letta la citazione in giudizio ed esaminati gli altri atti e documenti fascicolati;

richiamata la determinazione presidenziale con la quale è stata fissata l’udienza per la trattazione del giudizio;

ascoltata, nell’odierna udienza pubblica del 21.2.2018, la relazione del Magistrato designato prof. Vito Tenore e uditi gli interventi del Pubblico Ministero nella persona del Sost. Procuratore Generale dr. Fabrizio Cerioni e degli avv. Adriano Pilia (in sostituzione dell’avv. Di Tolle), Putignano, Alessandro Camilletti, Altomano per i convenuti;

viste le leggi 14 gennaio 1994, n. 19 e 20 dicembre 1996, n. 639; visto il d.lgs. 26.8.2016 n.174.

 

FATTO

1.         Con atto di citazione datato il 30.8.2017, la Procura regionale citava in giudizio i convenuti in epigrafe, esponendo quanto segue:

a) che con denuncia del 28.5.2012 il Segretario generale del Comune di Sesto San Giovanni (MI) aveva segnalato alla Procura contabile un possibile danno erariale cagionato dal dr. Omissis che, in aggiunta ai gettoni di presenza percepiti dal 2008 al 2015 (per partecipazione a consigli e commissioni) in qualità di Consigliere comunale, aveva introitato dal 16.9.2011 (data della nomina ad amministratore delegato dopo la nomina ad amministratore in data 3.8.2011) e sino al novembre 2012 un compenso come amministratore della Bic La Fucina, soc.consortile a r.l., società poi fallita, partecipata in via maggioritaria da soggetti pubblici (in particolare dal Comune al 10,53% e da privati per il 10,88 %), pari ad euro 62.833,28, in violazione dell’art.1, co.718, l. 27.12.2006 n.296;

b) che tale esborso aveva arrecato danno a tutti gli enti pubblici partecipanti al capitale sociale della Bic La Fucina indicati a pag.3 della citazione;

c) che tale indebito esborso era imputabile a coloro che avevano proposto la nomina del dr. Omissis nella assemblea del 3.8.2011 o votato la delibera 16.11.2011 che aveva conferito al dr. Omissis la carica di amministratore delegato della Bic La Fucina, nonostante avversa opinione di taluni soci e parere 19.11.2011 del Segretario generale del Comune (ancorato a solidi precedenti di questa Corte) sulla non cumulabilità del compenso da a.d. della società con gettoni di presenza quale Consigliere comunale;

d) che la violazione del divieto sancito dall’art.1, co.718, l. 27.12.2006 n.296 era di portata generale ed operava, nonostante parere reso alla Bic La Fucina dall’avv. Lopez, anche per l’amministratore delegato oltre che per gli amministratori di società che fossero Consiglieri comunali, esprimendo un principio di divieto di cumulo retributivo poi confermato ed inasprito dall’art.13, c.2, d.lgs. 8.4.2013 n.39, statuente addirittura una incompatibilità tra la carica di amministratore delegato in società in controllo pubblico e Consigliere di Comuni oltre i 15.000 abitanti;

e) che tale esborso, foriero di danno erariale, era imputabile al 90% (ergo per 56.549,95 euro da ripartire in tre quote eguali da 18.849,98 euro) ai sigg.Omissis(rappresentante del socio di maggioranza Milano Metropoli perorante il 3.8.2011 la nomina de qua), Omissis(Presidente del C.d.A della Bic La Fucina votante la delibera 16.9.2011 e D.G. della Milano Metropoli suddetta) e Omissis, e per il restante 10% (pari a 3.141,66 euro ciascuno) ai componenti del CdA presenti alla seduta del 16.9.2011, Omissis;

f) che le deduzioni fatte pervenire in riscontro al notificato invito non avevano escluso l’ipotizzata responsabilità, se non per taluni invitati, oggetto di parziale archiviazione con provvedimento 12.12.2017 della Procura.

            Tutto ciò premesso, la Procura attrice chiedeva la condanna a favore della Bic La Fucina s. consortile a.r.l. in liquidazione dopo il fallimento (curatore dr.ssa Patrizia Oliva, corso di Porta Vittoria 56 Milano) in solido con gli enti pubblici finanziatori, dei convenuti nella misura indicata sub e), formulando, in caso di declaratoria di difetto di giurisdizione, richiesta di rimessione della questione alla Consulta o alla Corte di Giustizia ex art.267 Trattato UE.

 

2.         Si costituiva la dr.ssa Omissis, rappresentata dagli avv.di Tolle e Beretta, eccependo quanto segue:

a) di essere stata all’epoca dei fatti contestati, componente del CdA della Milano metropoli Agenzia di Sviluppo, socia della Bic la Fucina il cui C.d.A. era presieduto dal dott. Mascaretti;

b) che nella seduta sociale del 3 agosto 2011 della Bic Fucina, unica seduta a cui aveva partecipato in rappresentanza della Milano Metropoli, rappresentando, quale mero nuncius, la volontà espressa dall’ente di appartenenza e sulla base di quanto da questo indicatole, si era limitata ad esprimere il proprio voto favorevole avallando la nomina del dott. Omissis, ritenendolo persona competente ed esperta come prospettatagli in sede di Milano Metropoli, ma che nessun’altra determinazione era stata assunta in quella sede, né con riferimento alla scelta dell’Amministratore delegato, né con riferimento ai compensi da riconoscere ai membri del Consiglio e allo stesso A.D.;

c) che solo in data 16 settembre 2011, si era riunito il Consiglio di Amministrazione della Bic La Fucina S.c.a.r.l. avente all’ordine del giorno la nomina dell’Amministratore Delegato che competeva solo al CdA, di cui non era componente;

d) di non aver partecipato ad altre assemblee della Bic La Fucina e di avere, con nota 5.11.2011, posto all’attenzione dell’Amministratore Delegato di Milano Metropoli dott. Lio nonché al Presidente del C.d.A. della Bic La Fucina la questione circa l’opportunità della nomina ad A.D. di un consigliere della Fucina già Consigliere Comunale (DOC. 4) senza ricevere riscontro alcuno;

e) di non aver avuto altre notizie sulla nomina del Omissis se non in occasione dell’invito a dedurre;

f) che l’azione della Procura era prescritta a fronte di fatti ascritti alla convenuta verificatisi il 3.8.2001 (data della seduta indicata sub a) e di un invito a dedurre notificato il 16.1.2017;

g) che, alla luce del prospettato danno derivante dalla violazione dell’art. 1, comma 718, della Legge 27 dicembre 2006, n. 29, la partecipazione della dott.ssa Omissis alla seduta del 3 agosto 2011 - nella quale era avvenuta la sola nomina del dott. Omissis a Consigliere, senza delibera di alcun emolumento in favore dello stesso (avvenuta con successiva delibera 16.9.2011 di conferimento dell’incarico di a.d. da parte del C.d.A.) - non integrava alcuna condotta commissiva illecita alla luce della normativa sulla responsabilità dei soli componenti degli organi collegiali per il loro “voto favorevole” (art.1, co.1-ter, l. n.20 del 1994);

h) di aver doverosamente espresso il 3.8.2011, in qualità di mero nuncius, la sola volontà, non propria ma della Milano metropoli Agenzia di Sviluppo, circa la idoneità del dr. Omissis a svolgere compiti di consigliere d’amministrazione, in sé non incompatibile con lo status di consigliere comunale in quanto il successivo d.lgs. n.39 del 2013, statuente tale incompatibilità, non trovava temporalmente e per materia applicazione alla pregressa fattispecie de qua;

i) che difettava dolo o colpa grave nella condotta della dr.ssa Omissise che, in ogni caso, la sua responsabilità, ove acclarata, era da ritenersi parziaria e di importo minore rispetto a quello ipotizzato dalla Procura e sussidiaria rispetto ad altri convenuti operanti con dolo.

La difesa concludeva per la prioritaria prescrizione della domanda attorea. In via gradata per il rigetto nel merito. In via ulteriormente gradata per una più congrua quantificazione del danno, ove acclarato, e in via sussidiaria.

 

3.         Si costituiva il dr. Omissis difeso dall’avv. Altomano che eccepiva quanto segue:

a) il difetto di giurisdizione della Corte dei Conti, non configurando la Bic La Fucina una società in house essendo partecipata non in maniera totalitaria da Enti pubblici, ma con una partecipazione diretta di capitali privati pari al 10,88% (una quota del 2,63% era detenuta dall’Unione Artigianato della Provincia di Milano, una quota del 2,63% era detenuta dall’Associazione Imprenditoriale Nordmilano, mentre una quota del 5,62% era detenuta dalla BCC di Sesto San Giovanni) e prevedendo lo statuto espressamente che imprese e soggetti privati potevano far parte dell’azionariato della società (art. 7, lettere a e b);

b) che il predetto difetto di giurisdizione della Corte dei Conti, non configurando la Bic La Fucina una società in house, era altresì desumibile dal fatto che difettava il requisito della “prevalente destinazione dell’attività in favore dell’ente o degli enti partecipanti alla società”, prima giurisprudenziale poi normativo (art.16, co.3, Testo Unico sulle società a partecipazione pubblica d.lgs n.175/2016) non provato dalla Procura ed anzi smentito dall’avere la società operato nel mercato partecipando a procedure ad evidenza pubblica al pari di altre società interamente possedute da capitali privati; in particolare il peso dei Soci pubblici era stato nel 2011 di soli € 80.000 pari al 7,3% dei ricavi totali, mentre i restanti contributi di natura pubblica erano stati forniti da enti non soci di BIC LA FUCINA quali la Regione Lombardia e la Comunità Europea a seguito della partecipazione della società a procedure ad evidenza pubblica; nel 2010 i contributi pubblici avevano invece rappresentato il 41% del giro d’affari totale (quindi la minoranza) e all’interno di tale dato i contributi riconducibili a Soci pubblici (Provincia di Milano e Milano Metropoli) avevano rappresentato appena l’8% del totale;

c) che il predetto difetto di giurisdizione della Corte dei Conti, non configurando la Bic La Fucina una società in house, era altresì desumibile dalla mancata prova da parte della Procura attrice del requisito del “controllo analogo” esercitato dagli enti pubblici partecipanti mediante una subordinazione gerarchica;

d) che il predetto difetto di giurisdizione della Corte dei Conti, non configurando la Bic La Fucina una società in house, era ulteriormente desumibile alla luce dell’art.12 del sopravvenuto Testo Unico sulle società a partecipazione pubblica (Dlgs n.175/2016) che attribuisce alla Corte dei conti la giurisdizione solo sui soli dipendenti delle società in house e non sui componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate;

e) nel merito, l’assenza di rapporto di servizio tra il Omissis ed enti pubblici;

f) la mancanza di colpa grave nella sua condotta di amministratore, sia perché tenuto ad avallare la proposta del Omissis fatta dalla assemblea dei soci, sia perché dopo il parere negativo sulla erogabilità dell’emolumento oggetto di causa ad opera del Segretario Generale del Comune dr.Spoto aveva sospeso sia l’emolumento spettante al nuovo amministratore delegato Omissis, sia quello a se stesso, in attesa che venisse fornito il parere pro-veritate richiesto al noto Studio Legale Tonucci & Partners (risultato favorevole all’erogazione del detto emolumento).

            La difesa concludeva per il difetto di giurisdizione della Corte e, in via gradata, per il rigetto nel merito della domanda. In via istruttoria chiedeva di acclarare presso la procedura fallimentare in atto se la Bic la Fucina quando era in bonis avesse operato nel libero mercato, partecipando alle procedure ad evidenza pubblica.

 

4. Si costituiva l’avv. Omissis difeso dagli avv. Astolfi e Putignano, eccependo quanto segue:

a) che al momento della nomina ad agosto 2011 nel C.d.A. della Bic La Fucina, a titolo gratuito, il convenuto non aveva ancora conseguito il titolo di Avvocato ed aveva svolto attività professionale esclusivamente in ambito penalistico;

b) che difettava la giurisdizione contabile in quanto la Bic La Fucina non era una società qualificabile in house, non essendo interamente partecipata da soggetti pubblici;

c) che la nomina del Omissis rispondeva a quanto convenuto dai soci pubblici nei patti parasociali e che tutti i soci erano consapevoli che l’incarico di A.D. avrebbe determinato il riconoscimento di uno specifico emolumento e che nella seduta del 16 settembre 2011 il C.d.A. si era limitato a “ratificare” la volontà manifestata dai soci di conferire al Omissis l’incarico di A.D. senza osservazioni da parte dei revisori dei conti;

d) che solo successivamente alla delibera del CdA erano pervenuti alla società Bic La Fucina il parere del 19 ottobre 2011 del Segretario generale del Comune di Sesto, che rilevava la non cumulabilità in capo al dott. Omissis dei compensi di amministratore della società partecipata, e il parere – di segno contrario - dell’avv. Mancari, redatto su incarico del dott. Omissis, che contestava la competenza del Comune a pronunciarsi in materia;

e) che la dubbiezza della questione era stata posta all’attenzione del CdA del 22 novembre 2011, che aveva deliberato: a) di sospendere cautelativamente l’erogazione degli emolumenti contestati; b) di acquisire un terzo parere da parte di un legale esperto di diritto amministrativo;

f) che il parere pro veritate reso dall’avv. Aldo Lopez aveva evidenziato che l’art. 1, comma 718, della legge n. 296 del 2006, secondo una interpretazione costituzionalmente orientata, non poteva ritenersi applicabile nei confronti di compensi riconosciuti agli amministratori che, in forza di previsioni statutarie ovvero in forza di apposite deliberazioni, abbiano ricevuto i compiti e le responsabilità proprie delle deleghe esecutive. Ciò in quanto il conferimento delle deleghe determina un nuovo rapporto che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1709 c.c., 2233 c.c. 2099 c.c. e 36 Cost., mal si concilia con il requisito della gratuità. La previsione di uno specifico compenso era quindi giustificata nella fattispecie dall’aggravio di lavoro e di responsabilità che la concentrazione di attività diverse pone in capo ad un medesimo soggetto. Tale aspetto non era stato valutato dal dott. Spoto nel parere 19 ottobre 2011;

g) che il C.d.A. aveva dunque fatto ragionevole affidamento, così escludendosi colpa grave, sulla specifica competenza tecnica, indipendenza e terzietà del professionista consultato, senza rilievi del collegio sindacale non evocato in giudizio in questa sede; e tali conclusioni non potevano essere inficiate dall’innovativo d.lgs. n.39 del 2013, non applicabile ratione temporis;

h) che questo Giudice Contabile aveva riconosciuto, in caso analogo, la legittimità del compenso relativo ad una attività di natura prettamente tecnica e di carattere professionale, quale quella di revisore dei conti, svolta da un consigliere comunale in un altro ente (C.conti, Sez.contr.Veneto, delibera 569/2015/QMIG);

i) che, in via gradata, operava la prescrizione, essendo stato l’invito a dedurre notificato solo nel mese di dicembre 2017 e, quindi, erano prescritti tutti i ratei dei compensi erogati al dr. Omissis antecedenti al dicembre 2012;

l) che l’entità del danno erariale rivendicato era erronea, in quanto non teneva conto del doveroso scomputo della quota parte ascrivibile al socio privato (pur valutata in sede di invito a dedurre), con conseguente riduzione dell’importo ad euro 59.302,05, anziché euro 62.833,28;

m) che, ove acclarato un danno erariale, dalla entità dello stesso andava detratto l’importo dell’indennità di Consigliere comunale mai erogata al Omissis, avendo svolto gratuitamente tale incarico per timore del divieto di cumulo;

n) che, in via gradata, vi erano vari presupposti per l’esercizio del potere riduttivo dell’addebito: inesperienza in materia ed esistenza di parere pro-veritate avallante la scelta.

            La difesa concludeva chiedendo che fosse acclarato il difetto di giurisdizione, o, in via gradata, che la domanda fosse respinta nel merito, acclarata la parziale prescrizione della pretesa risarcitoria, ovvero meglio determinata l’entità del danno. In via ulteriormente subordinata, chiedeva l’applicazione del potere riduttivo dell’addebito.

 

5.         Si costituiva infine il dr. Omissis, difeso dagli avv. F. ed A. Camilletti, eccependo quanto segue:

a) la carenza di giurisdizione della Corte dei Conti per l’impossibilità di qualificare la società Bic La Fucina come una società in house (con conseguente sottoposizione a fallimento, esclusa per le società in house dalla giurisprudenza) unica legittimata al recupero innanzi all’a.g.o. in applicazione delle norme sull’indebito oggettivo di cui all’art. 2033 cod.civ. tramite il curatore fallimentare, unico legittimato anche ex art.43 e 146, l.fall.; difatti dalla lettura dello statuto sociale risultava che 1) i soci non erano esclusivamente soggetti pubblici (erano privati la BCC di Sesto San Giovanni, l’Associazione Imprenditori Nord Milano e l’Unione Artigiani della Provincia di Milano, per una quota complessiva del 10,88%); 2) l’esercizio dell’attività sociale non era esclusivamente svolta a favore dei soci stessi, essendo lo statuto esplicito nell’affermare che le attività fossero fornite anche a terzi;  3) la società non era statutariamente sottoposta ad un controllo pubblico (cfr. art. 25 dello statuto); 4) la società non svolgeva funzioni pubbliche essendo la sua attività quella di fare consulenza nel campo dell’innovazione e della tecnologia alle piccole e medie imprese (cfr. pag. 1 dello statuto) e quindi a soggetti (anche) privati;

b) l’intervenuta prescrizione quinquennale dell’azione proposta, relativamente a quella parte di danno compresa tra il settembre 2011 e il 27.01.2012, essendo stato notificato in data 27.1.2017 l’invito a dedurre;

c) la nullità della citazione ex artt.86 e 87 c.p. cont., per la discrasia tra elementi essenziali del fatto, ovvero dell’importo del danno contestato in citazione rispetto a quello reclamato nell’invito  a dedurre ove era stato correttamente scomputata la quota-parte di danno, ove acclarato, ascrivibile ai soci privati; la nullità altresì per l’assoluta incertezza dei criteri adottati per la determinazione dell’asserito danno erariale (art. 86, comma 2, lett c) e per l’assoluta incertezza relativa agli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni (art. 86, comma 2, lett e);

d) l’erroneità del quadro normativo prospettato dalla Procura contabile, per non aver tenuto conto dell’art. 5, comma 11, d.lgs.  n. 78/2012, convertito nella L. 30.7.2010, n. 122, secondo cui “chi è eletto o nominato in organi appartenenti a diversi livelli di governo, non può comunque ricevere più di un emolumento, comunque sia denominato, a sua scelta”; con la conseguenza che la scelta del dr. Omissis di optare per la corresponsione dell’emolumento connesso alla carica di amministratore delegato della società La Fucina e di rinunciare a quella di consigliere comunale (ove però percepiva un gettone di presenza per rimborso spese) doveva ritenersi perfettamente legittima;

e) la conformità della condotta del dr. Omissis al combinato disposto delle norme di cui agli artt. 1, comma 718, L. 296/2006 e 5, comma 5, del D.Lgs. 78/2010, convertito nella L. 30.07.2010, n. 122, da cui si ricava che il divieto di cumulo dei compensi si applicava solo ai componenti del CDA privi di funzioni esecutive (che non assumono responsabilità) tra cui, quindi, non rientrava l’incarico al dr. Omissis, amministratore delegato, che si presumeva oneroso anche ex art.1703 c.c. sul mandato e le cui attività gestionali andavano remunerate ex art.36 cost.;

f) l’inapplicabilità temporale al caso di specie del sopravvenuto art. 13, D. Lgs. 39/2013, che sancisce l’incompatibilità tra l’incarico di componente di un Comune con più di 15 mila abitanti e la carica di amministratore delegato di un ente di diritto privato in controllo pubblico, non essendo altresì la società Bic La Fucina qualificabile come ente di diritto privato in controllo pubblico così come definito dall’art. 1, comma 2, dello stesso decreto, trattandosi di società erogatrice di servizi a favore soprattutto di imprenditori privati e non di amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici;

g) la mancata contestazione da parte della Procura del censurato cumulo di emolumenti in casi identici pregressi di Consiglieri comunali amministratori delegati della Bic La Fucina (caso Pennasi);

h) la mancanza di dolo o colpa grave in capo al sig. Omissis per avere lo stesso prontamente informato tanto il Comune di Sesto San Giovanni quanto la stessa società Bic La Fucina della sua nomina a componente del CdA, ponendo il problema del cumulo di emolumenti; per aver rinunciato al compenso di consigliere comunale e per aver altresì richiesto un parere legale neutrale sulla questione;

i) in via gradata, la non corretta determinazione del quantum, dovendo scomputarsi la quota di danno patita dal socio privato.

 

La difesa concludeva per il difetto di giurisdizione (e di legittimazione della Procura), per la nullità dell’atto di citazione e, in via gradata, chiedeva il rigetto nel merito e, comunque, la parziale prescrizione del credito ed una più corretta quantificazione dell’importo reclamato.

 

6.         Il convenuto Omissis , ritualmente evocato, rimaneva contumace e la produzione della missiva 19.2.2018 a firma dello stesso e inviata alla Procura, che la produceva in udienza, non veniva ritenuta depositabile dalle difese dei convenuti. All’udienza del 21.2.2018, udita la relazione del Magistrato designato, le parti sviluppavano i rispettivi argomenti. Quindi la causa veniva trattenuta in decisione.

 

DIRITTO

1.                  Statuita preliminarmente la contumacia del convenuto Omissis, ritualmente evocato e non costituitosi, va dichiarata, anche in accoglimento dell’opposizione formulata al riguardo dalle difese degli altri convenuti in giudizio, l’inutilizzabilità (e dunque lo stralcio) della missiva personale datata 19.2.2018, irritualmente inviata dal predetto alla Procura, ed esibita dal Pubblico Ministero in udienza.

Il predetto atto, invero, essendo personalmente sottoscritto e, comunque,  non essendo corredato da procura, non riveste natura e caratteristiche di comparsa di costituzione (che può essere depositata dal contumace, solo unitamente a detta procura, sino all’udienza di discussione, ex art. 93, comma 9 del c.g.c.), sicché non può legittimare - confliggendo con le inderogabili esigenze di coordinamento tra attività difensiva del contumace, esigenze processuali degli altri convenuti in giudizio ed esercizio della funzione decisoria - alcuna produzione documentale (né direttamente, né per il tramite del Pubblico Ministero) da parte del soggetto contumace che non risulti ritualmente costituito né sia comparso all’udienza.

 

2.                  Sempre prioritariamente, va respinta l’eccezione di nullità della citazione ex artt.86 e 87 c.p. cont. formulata dalla difesa del Omissis: a) per la contestata discrasia tra gli elementi essenziali del fatto, ovvero tra l’importo del danno contestato in citazione e quello reclamato nell’invito a dedurre ove era stata scomputata la quota-parte di danno ipotizzato ascrivibile ai soci privati; b) per l’assoluta incertezza dei criteri adottati per la determinazione dell’asserito danno erariale (art. 86, comma 2, lett c); c) per l’assoluta incertezza relativa agli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni (art. 86, comma 2, lett e).

È agevole rilevare che la Procura ha invece indicato chiari parametri per la determinazione del danno, sia nell’invito a dedurre, che nella citazione, ed ha parimenti indicato i referenti normativi (sul divieto di cumulo tra compensi per Consiglieri comunali) alla cui stregua ritiene configurato il danno. Tali parametri sono stati ben compresi da tutte le difese, compresa quella del Omissis, che hanno infatti impostato una coerente ed accurata difesa su tutti i punti oggetto di contestazione attorea. Circa poi la discrasia tra importo quantificato in citazione ed importo indicato nell’invito a dedurre, la questione non configura affatto causa di nullità, ma è un mero elemento che il Collegio potrà valutare in sede determinativa del danno nello stabilire, ove acclarato, il quantum del danno erariale. L’eccezione va dunque respinta.

 

3.                  L’analisi del merito presuppone tuttavia che, come eccepito da tutte le difese dei convenuti, questa Corte abbia giurisdizione sul danno arrecato da amministratori di società a partecipazione pubblica, notoriamente sussistente, dopo l’intervento nomofilattico della Cassazione, oggi recepito nell’art.16, co.3, del Testo Unico sulle società a partecipazione pubblica (d.lgs n.175/2016), solo in caso di danno direttamente arrecato al valore delle quote dei soci pubblici o se il danno sia stato arrecato al patrimonio di società in house.

Come ben rimarcato dai patroni di tutti i convenuti, ed in modo particolarmente accurato dall’avv. Altomano, diversi e concorrenti elementi escludono che la Bic La Fucina sia una società in house e che, a prescindere da tale qualifica, vi sia prova di un danno diretto o indiretto alle quote partecipative dei soci pubblici.

Chiarito preliminarmente che la Bic la Fucina non è società in rapporto di servizio con la P.A., né è concessionaria di pubblici servizi (evenienze che avrebbero pacificamente radicato la giurisdizione in capo a questa Corte in base ad univoci e risalenti approdi delle sezioni unite della Cassazione), per una corretta disamina della delicata questione, va prioritariamente preso atto dell’ormai pacifico indirizzo del giudice del riparto che, all’esito di una travagliata evoluzione interpretativa, ha statuito chiaramente quanto segue in punto di società a partecipazione pubblica.

 

4.                  La decisione delle sezioni unite della Cassazione 19 dicembre 2009, n.26806, nel segnare una brusca interruzione nel progressivo ampliamento giurisprudenziale (delineato dalle stesse sezioni unite) e normativo della giurisdizione contabile, ha statuito che va esclusa la giurisdizione della Corte dei conti, dovendosi affermare la giurisdizione del giudice ordinario, nel caso di responsabilità degli amministratori di società di diritto privato partecipate da un ente pubblico, atteso che tali società non perdono la loro natura di enti privati per il solo fatto che il loro capitale sia alimentato anche da conferimenti provenienti dallo Stato o da altro ente pubblico. La scelta della PA di acquisire partecipazioni in società private implica, infatti, il suo assoggettamento alle regole proprie della forma giuridica prescelta. Dall’identità dei diritti  e degli obblighi facenti capo ai componenti degli organi sociali di una società a partecipazione pubblica, pur quando direttamente designati dal socio pubblico, logicamente perciò discende la responsabilità di detti organi nei confronti della società, dei soci, dei creditori e dei terzi in genere, nei medesimi termini – contemplati dagli artt. 2392 ss. c.c. – in cui tali diverse possibili proiezioni della responsabilità sono configurabili per gli amministratori e per gli organi di controllo di qualsivoglia altra società privata.

Ha soggiunto il massimo organo giudicante che rientra invece nella giurisdizione della Corte dei conti l’azione di responsabilità per il danno arrecato all’immagine dell’ente (oggi ampliato a seguito della abrogazione dei limiti, infelicemente fissati dall’art. 17, comma 30-ter, d.l. n. 78 del 2009, ai reati che possono consentire l’azione di danno  all’immagine: l’art. 7, legge n. 97 del 2001 è stato infatti abrogato dall’art. 4 comma 1, lett. g del d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174 con conseguente possibilità di perseguire il danno all’immagine per qualsiasi reato che abbia arrecato danno alla PA) da organi della società partecipata. Infatti, tale danno, anche se non comporta apparentemente una diminuzione patrimoniale alla pubblica amministrazione, è suscettibile di una valutazione economica finalizzata al ripristino del bene giuridico leso.

Tale conclusioni della Suprema Corte sono state poi confermate dalla decisione «fotocopia» 15 gennaio 2010, n. 519 delle stesse sezioni unite (e da altre successive: Cass., sez. un., 15 gennaio 2010, n. 519; id., sez. un., 23 febbraio 2010, n. 4309; Id., sez. un., 12 luglio 2010 n. 16286; Id., sez. un., 5 luglio 2011, n. 14655; id., sez. un., n. 14655, n. 14957 e n. 20941 del 2011; id., sez. un., 1 febbraio 2012, n. 1419 e Id., sez. un., 9 marzo 2012, n. 3692). Tra le più recenti applicazioni di tale restrittivo indirizzo, vanno altresì segnalate le sentenze 27 ottobre 2016, n. 21692, 1 febbraio 2012, n. 1419 e 9 marzo 2012, n. 3692 delle sezioni unite della Cassazione, e tale monolitico orientamento è stato ormai recepito anche da questa Corte: cfr. C. conti, sez. Friuli Venezia Giulia, 14 giugno 2012, n. 71; Id., sez. III, 7 settembre 2012, n. 573; Id., sez. III centrale, 7 settembre 2012, n. 573; Id., sez. Lombardia, 21 marzo 2012, n. 194.

Secondo tale indirizzo, a fronte della generale giurisdizione dell’a.g.o. sui danni arrecati alle società a partecipazione pubblica, l’azione del procuratore  contabile appare  però proponibile: a) quando sia volta a far valere la responsabilità dell’amministratore o del componente di organi di controllo della società partecipata  dall’ente pubblico  che sia stato danneggiato dall’azione illegittima non di riflesso, quale conseguenza indiretta del pregiudizio arrecato al patrimonio sociale, bensì direttamente (es.in caso di danno all’immagine, tuttavia non azionato in questa sede, o in caso di perdita di valore della quota di partecipazione dei soci pubblici, che non risulta comunque qui provato, come invece in altri casi vagliati dalla Cassazione: cfr. Cass., sez. un., 20 ottobre 2015, n. 21217); b) nei confronti (non già dell’amministratore della società partecipata, per il danno arrecato al patrimonio sociale, bensì) di chi, quale rappresentante dell’ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio, così pregiudicando il valore della partecipazione. Ciò che ben può accadere quando il socio pubblico, in presenza di atti di mala gestio imputabili agli amministratori o agli organi di controllo della società partecipata, trascuri ingiustificatamente di esercitare le azioni di responsabilità alle quali egli sia direttamente legittimato, ove ne sia derivata una perdita di valore della partecipazione (richiesta non formulata in questa sede).

 

5.  Osserva tuttavia il Collegio, per completezza espositiva, come un parziale revirement del sopra sunteggiato orientamento restrittivo del giudice del riparto è stato inaugurato con la sentenza delle sezioni unite 25 novembre 2013, n. 26283 (e di recente ribadito da Cass., sez. un. 1 dicembre 2016, n. 24591), in relazione ai danni cagionati da amministratori di società in house. Difatti, le sezioni unite sono pervenute ad affermare che la Corte dei conti ha giurisdizione sull’azione di responsabilità esercitata dalla Procura contabile quando tale azione sia diretta a far valere la responsabilità degli organi sociali per i danni da essi cagionati al patrimonio di una società in house, così dovendosi intendere quella costituita da uno o più enti pubblici per l’esercizio di pubblici servizi, di cui esclusivamente i medesimi enti possano essere soci, che statutariamente esplichi la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti e la cui gestione sia per statuto  assoggettata a forme di controllo analoghe a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici.

Tale tipologia societaria in house non pare in grado di collocarsi come un’entità posta al di fuori dell’ente pubblico, il quale ne dispone come di una propria articolazione interna. Il velo che normalmente nasconde il socio dietro la società è dunque squarciato: la distinzione tra socio (pubblico) e società (in house) non si realizza più in termini di alterità soggettiva.

Anche la giurisprudenza europea (Corte di Giustizia, 10 settembre 2009, n. 573/07, Sea, e 13 novembre 2008, n. 324/07, Coditel Brabant) ed amministrativa (Cons. Stato, sez. V, 24 settembre 2010, n. 7092 e id., sez.V, 29 dicembre 2009, n. 8970) hanno univocamente ribadito, per la configurabilità di tale tipologia in house, che il capitale sociale faccia capo ad una pluralità di soci, purché si tratti sempre di enti pubblici.

È dunque possibile considerare ormai ben delineati nell’ordinamento i connotati qualificanti della società in house, costituita per finalità di gestione di pubblici servizi e definita dai tre requisiti già più volte ricordati: la natura esclusivamente pubblica dei soci, l’esercizio dell’attività in prevalenza a favore dei soci stessi e la sottoposizione ad un controllo corrispondente a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici. Ma, sottolinea la Suprema Corte, per poter parlare, di società in house, è necessario che detti requisiti sussistano tutti contemporaneamente e che tutti trovino il loro fondamento in precise e non derogabili disposizioni dello statuto sociale.

Nel caso dunque di società in house, il danno eventualmente inferto al patrimonio della società da atti illegittimi degli amministratori, cui possa aver contribuito un colpevole difetto di vigilanza imputabile agli organi di controllo, è arrecato ad un patrimonio (separato, ma pur sempre) riconducibile all’ente pubblico: è quindi un danno erariale, che giustifica l’attribuzione alla Corte dei conti della giurisdizione sulla relativa azione di responsabilità.

Le sezioni unite, alla luce di tali criteri-guida, hanno dunque frequentemente negato la giurisdizione contabile in una pluralità di vicende dannose a carico di società pubbliche, sviluppando una giurisprudenza marmorea volta ad escludere la giurisdizione di questa Corte in presenza di soci privati nella compagine sociale (o della astratta possibilità statutaria che vi siano soci privati): Cass. sez. un., 10 marzo 2014, n. 5491; Id., sez. un.,11 luglio 2014, n. 15942 e 15943; Id., sez. un., 12 febbraio 2014, n. 3201; Id., sez. un., 24 ottobre 2014, n. 22608; Id., sez. un., 24 ottobre 2014, n. 22609; Id., sez. un., 26 marzo 2014, n. 7177; id., sez. un., 24 febbraio 2015, n. 3677; Id., sez. un., 24 marzo 2015, n. 5848.

Parimenti tale giurisprudenza ha chiarito sul concorrente requisito della prevalente destinazione dell’attività in favore dell’ente o degli enti partecipanti alla società che, pur presentando innegabilmente un qualche margine di elasticità, lo stesso postula in ogni caso che l’attività accessoria non sia tale da implicare una significativa presenza della società quale concorrente con altre imprese sul mercato di beni o servizi. Ma, come puntualizzato da Corte cost. 23 dicembre 2008, n. 439, non si tratta di una valutazione solamente di tipo quantitativo, da operare con riguardo esclusivo al fatturato ed alle risorse economiche impiegate, dovendosi invece tener conto anche di profili qualitativi e della prospettiva di sviluppo in cui l’attività accessoria eventualmente si ponga.

Quanto infine al requisito del cosiddetto controllo analogo, quel che rileva è che l’ente pubblico partecipante abbia statutariamente il potere di dettare le linee strategiche e le scelte operative della società in house, i cui organi amministrativi vengono pertanto a trovarsi in posizione di vera e propria subordinazione gerarchica. L’espressione «controllo» non allude perciò, in questo caso, all’influenza dominante che il titolare della partecipazione maggioritaria (o totalitaria) è di regola in grado di esercitare sull’assemblea della società e, di riflesso, sulla scelta degli organi sociali; si tratta, invece, di un potere di comando  direttamente esercitato sulla gestione dell’ente con modalità e con un’intensità non riconducibili ai diritti ed alle facoltà che normalmente spettano al socio (fosse pure un socio unico) in base alle regole dettate  dal codice civile, e sino al punto  che agli organi della società non resta affidata nessuna autonoma  rilevante autonomia gestionale.

La tesi è ormai recepita anche da questa Corte, che ha più volte affermato la propria giurisdizione solo in presenza di tutti i cumulativi e concorrenti requisiti dell’in house providing: cfr., ex pluribus, C. conti, sez. II app., 21 luglio 2014, n. 495; id., sez. I app., 24 marzo 2015, n. 249; id., sez. I app., 20 luglio 2015, n. 443, ribadendola anche per gli organismi non societari (fondazioni): id, sez. I app., 20 luglio 2015, n. 442; id., sez. III app., 9 marzo 2015, n. 129.

 

6. La sopravvenienza dell’art. 12, d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175 (c.d. Testo unico delle società a partecipazione pubblica) - che, ai sensi dell’art. 5 c.p.c. e dell’art. 13 del codice di giustizia contabile (d.lgs. n. 174 del 2016), trova applicazione ai giudizi instaurati con il deposito  della citazione (quale “momento di proposizione della domanda”) in data successiva alla entrata in vigore del testo unico suddetto (23 settembre  2016) - ha testualmente confermato, dandone avallo legislativo, l’indirizzo sopra sunteggiato sub  4 e 5.

Difatti la norma recita: “1. I componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate sono soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali, salva la giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dipendenti delle società in house. È devoluta alla Corte dei conti, nei limiti della quota di partecipazione pubblica, la giurisdizione sulle controversie in materia di danno erariale di cui al comma 2.

 

2. Costituisce danno erariale il danno, patrimoniale o non patrimoniale, subito dagli enti partecipanti, ivi compreso il danno conseguente alla condotta dei rappresentanti degli enti pubblici partecipanti o comunque dei titolari del potere di decidere per essi, che, nell’esercizio dei propri diritti di socio, abbiano, con dolo o colpa grave, pregiudicato il valore della partecipazione”.

Pare evidente, da una serena lettura testuale e logica della novella normativa e superando consapevolmente alcune iniziali ampliative letture del dato normativo prospettate sul piano dottrinale con qualche forzatura interpretativa (pur comprensibile nella prospettiva di voler perseguire realmente, oltre gli angusti limiti del codice civile e del relativo rito fondato su latitanti azioni risarcitorie, chi mal gestisce società partecipate e da ragioni di effettività della tutela delle risorse pubbliche), che la giurisdizione generale in materia appartenga all’a.g.o., come già statuito dalla Cassazione, e che residui ex lege in capo a questa Corte la già riconosciuta giurisdizione sulle società in house (nozione a cui non è però riconducibile la Bic La Fucina, come si vedrà) e, per tutte le società partecipate (anche non in house), quella sui danni direttamente o indirettamente arrecati al valore delle quote dei soggetti pubblici facenti parte della compagine sociale.

Tuttavia quest’ultimo danno “ai soci pubblici”, pur formalmente ma solo incidenter richiesto dalla Procura esclusivamente a pag. 23 (ove si parla di danno al patrimonio sociale “e nel contempo agli enti locali partecipanti che ne finanziavano l’attività con denaro pubblico”) e a pag. 27 della citazione (ove si chiede, dopo una ricostruzione sistematica e accusatoria incentrata solo e soltanto su un danno arrecato all’esclusivo patrimonio della Bic La Fucina quale società in house, una condanna in favore della Bic La Fucina “in solido con gli enti pubblici finanziatori”), con riferimento all’erogazione societaria del compenso riconosciuto al Omissis, non è stato in questa sede provato. Difatti, le difficoltà economico-gestionali che hanno portato al fallimento della Bic La Fucina (ben fotografate nella delibera 193/2014 della Sez.reg.controllo Lombardia di questa Corte), e quindi alla perdita di valore delle quote dei soggetti pubblici soci, non sono certo riconducibili, sul piano causale, a tale minimale, e comunque opinabile (ma sul merito la Sezione non può entrare), erogazione di un compenso non dovuto all’amministratore delegato, ma a ben sostanzialmente diverse cause e reiterate (cattive) scelte gestionali (i cui risultati sono schematizzati nella cennata delibera 193/2014 della Sez.reg.controllo Lombardia di questa Corte) che esulano dal presente giudizio, essendo inverosimile che tale importo riconosciuto all’a.d. della Bic, per la sua entità, possa essere stato causa di perdita di valore di quote societarie, pur essendo innegabilmente  possibile la sussistenza un oggettivo costo sopportato dalla società, che potrebbe  essere qualificato come “non dovuto” (illegittimo e dannoso), ma solo a seguito di un giudizio innanzi all’a.g.o., quale danno al patrimonio societario e non già direttamente o indirettamente dei soci pubblici.

 

7.                  Esclusa quindi la sussistenza in atti della prova di un danno diretto o indiretto al valore della partecipazione degli enti pubblici soci della Bic La Fucina, e considerato che manca la proposizione attorea di una azione nei confronti di soci inerti, che abbiano colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di soci, evenienze entrambe che avrebbero radicato, in base al suddetto art.12, d.gs. n.175 del 2017, la giurisdizione di questa Corte su società partecipate, circa invece l’ipotizzato danno arrecato direttamente al patrimonio sociale della Bic La Fucina, questa Sezione non può che declinare la propria giurisdizione, alla luce delle chiare coordinate ermenueutiche della Cassazione e del novello dato normativo sopra richiamati in materia di società in house.

Ed invero, dalle risultanze istruttorie in atti si desume chiaramente che la suddetta società è partecipata non in maniera totalitaria da Enti pubblici, ma si rinviene, pacificamente, una non certo minimale partecipazione diretta di capitali privati pari al 10,88% (una quota del 2,63% era detenuta dall’Unione Artigianato della Provincia di Milano, una quota del 2,63% era detenuta dall’Associazione Imprenditoriale Nordmilano, mentre una quota del 5,62% era detenuta dalla BCC di Sesto San Giovanni).  Che si tratti di una “società a partecipazione mista pubblico privata” era già consapevole questa Corte in sede di controllo (v. pag.10 della cennata delibera 193/2014 della Sez.reg.controllo Lombardia). Inoltre, lo Statuto prevede espressamente che imprese e soggetti privati potevano far parte dell’azionariato della società (art. 7 lettere a e b).

Già tale assorbente rilievo porterebbe a declinare la giurisdizione di questa Corte alla luce dei referenti del giudice del riparto.

Ma il difetto di giurisdizione della Corte dei Conti, non configurando la Bic La Fucina una società in house, è altresì desumibile dal fatto che difetta il requisito della “prevalente destinazione dell’attività in favore dell’ente o degli enti partecipanti alla società”, requisito prima giurisprudenziale, poi normativo (art.16, co.3, Testo Unico sulle società a partecipazione pubblica d.lgs n.175/2016) comunque non provato dalla Procura (che si limita a richiamare il testo dell’art.4 dello Statuto che menziona “la specifica missione sociale finalizzata a supportare progetti di sviluppo in ausilio ed in conformità ai programmi di valorizzazione e di riconversione approvati da enti pubblici” attraverso la “gestione di un Centro europeo di Impresa e Innovazione”), che, peraltro, nulla ha utilmente replicato circa i rilievi delle difese dei convenuti tesi a rimarcare che la società Bic La Fucina ha operato nel mercato partecipando a procedure ad evidenza pubblica al pari di altre società interamente possedute da capitali privati.

Né alcun rilievo è stato mosso dalla Procura sulle eccezioni della difesa del Mascaretti, che ha sottolineato come il peso dei Soci pubblici era stato nel 2011 di soli € 80.000 pari al 7,3% dei ricavi totali, mentre i restanti contributi di natura pubblica erano stati forniti da enti non soci di BIC La Fucina, quali la Regione Lombardia e la Comunità Europea a seguito della partecipazione della società a procedure ad evidenza pubblica e che nel 2010 i contributi pubblici avevano invece rappresentato il 41% del giro d’affari totale (quindi la minoranza), nonché che, all’interno di tale dato, i contributi riconducibili a Soci pubblici (Provincia di Milano e Milano Metropoli) avevano rappresentato appena l’8% del totale.

Infine, il predetto difetto di giurisdizione della Corte dei Conti, non configurando la Bic La Fucina una società in house, è altresì desumibile dalla mancata dimostrazione da parte della Procura attrice, su cui grava l’onere della prova sul punto, del requisito del “controllo analogo” esercitato dagli enti pubblici partecipanti mediante una subordinazione gerarchica degli organi societari.

 

8.                  Va in conclusione declinata la giurisdizione di questa Corte sulla pretesa attorea volta a reclamare un danno arrecato al patrimonio della società Bic La Fucina, non qualificabile società in house. Va nel contempo respinta nel merito, per assenza di prova sulla perdita del valore della partecipazione, la domanda attorea nel capo relativo ad una richiesta di condanna a favore degli “enti locali partecipanti che ne finanziavano l’attività con denaro pubblico”.

Resta comunque ferma la possibilità per la Procura (che preannuncia a pag. 21 della citazione una separata e approfondita istruttoria) di perseguire i soggetti che, non esercitando i poteri propri del socio, abbiano con dolo o colpa grave menomato il valore della partecipazione dell’ente pubblico (sino al fallimento), trascurando ingiustificatamente di esercitare le azioni di responsabilità alle quali l’ente partecipante sia direttamente legittimato, quando ne sia derivata una perdita  di valore della partecipazione correlata alla censurata erogazione di compenso all’amministratore della Bic La Fucina.

            La ragionevole scelta operata dal legislatore con l’art.12, d.lgs. n.175 del 2016 in punto di riparto di giurisdizione e l’interpretazione sistematica data dalla Cassazione al quadro normativo di riferimento (codice civile e art.16-bis, d.l. n.248/2007 conv.to in l. n.31/2007) escludono qualsiasi contrasto di tali normative con parametri costituzionali (art.103 cost.) che giustifichi una rimessione alla Consulta quale subordinatamente invocata dalla parte attrice. Non sono precluse infatti azioni recuperatorie per i soci pubblici eventualmente lesi innanzi alle due distinte magistrature (a.g.o. e Corte dei conti) secondo il riparto operato dalle sezioni unite della Cassazione, che rispetta le prerogative costituzionali riservate a questa Corte, in un anfibio regime societario privatistico/pubblicistico, nell’ambito del ragionevole attuale quadro di riferimento, le cui (auspicabili) modifiche competono al legislatore, ove si ritenesse che la sola azione civile sia inidonea (e la realtà giudiziaria sembra lo stia progressivamente evidenziando) a tutelare adeguatamente le casse pubbliche

Del pari inipotizzabile è il prospettato contrasto con la normativa Comunitaria derivante da una interpretazione ostativa, secondo la Procura, al perseguimento di obiettivi europei, sia considerando, secondo questa Sezione, il caso concreto (l’erogazione minimale al Omissis non pare ostativa, anche ove fosse ritenuta illegittima, al perseguimento di obiettivi comunitari da parte della società pagatrice e relativi finanziatori), sia rilevando che non vi è prova in atti della percezione di contributi comunitari da parte della Bic La Fucina decurtati o sviati da tale erogazione di compenso, sia, ancora, valutando la piena coerenza sistematica delle norme nazionali suddette (che non precludono affatto il recupero di qualsiasi danno possibile all’UE, ma fissano solo un riparto tra i giudici competenti in materia), in punto di giurisdizione sulle società partecipate, con il quadro normativo comunitario.

            La complessità e novità della questione giustifica tuttavia la totale compensazione delle spese di lite.

 

P.Q.M.

La Corte, definitivamente pronunciando, statuisce la contumacia di Omissis, dichiara il proprio difetto di giurisdizione sulla domanda formulata nei confronti dei convenuti quale danno al patrimonio della società Bic La Fucina e rigetta nel merito la domanda formulata nei confronti dei convenuti quale danno al valore della partecipazione dei soggetti pubblici quotisti della Bic La Fucina. Compensa tra le parti le spese di lite.

Così deciso in Milano il 21.2.2018.

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

09/03/2018

 

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