HomeSentenzeArticoliLegislazionePrivacyRicercaChi siamo
Consiglio di Stato, Adunanza della Commissione speciale, 3/5/2018 n. 1173
Parere sullo schema Anac di linee guida per l’affidamento del servizio di vigilanza privata

Materia: appalti / disciplina

Numero 01173/2018 e data 03/05/2018 Spedizione

logo

REPUBBLICA ITALIANA

Consiglio di Stato

Adunanza della Commissione speciale del 18 aprile 2018


NUMERO AFFARE 01500/2017

OGGETTO:

ANAC - Autorità nazionale anticorruzione.


Linee guida per l'affidamento del servizio di vigilanza privata.

LA COMMISSIONE SPECIALE del 18 aprile 2018

Vista la nota prot. n. 96446 del 31 luglio 2017 (pervenuta in data 1 agosto 2017) e la nota n. 104356 del 4 settembre 2017 (pervenuta il 5 settembre 2017) con la quale l’Autorità Nazionale Anticorruzione ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull'affare in oggetto;

Visto il parere interlocutorio della Sezione reso nell’adunanza del 14 settembre 2017;

Vista la nota prot. n. 29972 del 6 aprile 2018 (pervenuta in data 13 aprile 2018) con la quale il Presidente dell’ANAC ha trasmesso il nuovo testo delle linee guida in oggetto;

Visto il decreto 11 settembre 2017 con il quale il Presidente del Consiglio di Stato ha istituito una Commissione speciale;

Esaminati gli atti e udito all’adunanza del 18 aprile 2018, anche alla presenza del Presidente aggiunto Rosanna De Nictolis, il relatore, consigliere Vincenzo Neri;


PREMESSO E CONSIDERATO

1. Con nota 1 agosto 2017 l’ANAC ha chiesto il parere sullo schema di linee guida per l’affidamento del servizio di vigilanza privata. Il Presidente dell’Autorità, nel trasmettere il testo delle predette linee guida, ha riferito che, dopo le modifiche normative che hanno interessato gli appalti per l’affidamento del servizio di vigilanza privata, si era reso necessario un intervento di adeguamento e aggiornamento della determinazione 22 luglio 2015 n. 9 alla luce delle nuove disposizioni del d. lgs. 18 aprile 2016 n. 50, così come modificato dal d. lgs. 19 aprile 2017 n. 56 con riferimento, principalmente, alla disciplina della suddivisioni in lotti, della scelta dei criteri di aggiudicazione e del cosiddetto “cambio appalto”.

Con successiva nota del 5 settembre 2017 il Presidente dell’ANAC ha precisato altresì che, nella precedente nota dell’1 agosto 2017, era “stato erroneamente affermato che il testo del documento è stato oggetto di una consultazione pubblica svoltasi in modalità aperta e che si è proceduto alla predisposizione di una relazione di analisi di impatto della regolazione in forma ridotta” aggiungendo che, trattandosi di mero aggiornamento di una determinazione già adottata, l’Autorità non aveva ritenuto di procedere alla predisposizione della relazione AIR perché non aveva ravvisato “l’esigenza e l’utilità a fronte di un intervento necessitato e di scelte sostanzialmente vincolate”.

2. Nel parere interlocutorio della Sezione, reso nell’adunanza del 14 settembre 2017, si è evidenziato che l’art. 213 Codice Appalti stabilisce, fra l’altro, che “l’Autorità, per l'emanazione delle linee guida, si dota, nei modi previsti dal proprio ordinamento, di forme e metodi di consultazione, di analisi e di verifica dell'impatto della regolazione, di consolidamento delle linee guida in testi unici integrati, organici e omogenei per materia, di adeguata pubblicità, anche sulla Gazzetta Ufficiale, in modo che siano rispettati la qualità della regolazione e il divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti”.

Alla luce del suddetto quadro normativo e delle circostanze sopra esposte, la Commissione ha ritenuto necessario, per esprimere il richiesto parere, che l’ANAC, prima di aggiornare le predette linee guida, le sottoponesse alla consultazione pubblica e predisponesse le schede di analisi e di verifica dell’impatto della regolazione. Trattasi di adempimenti necessari in considerazione del fatto che l’aggiornamento della precedente determinazione 22 luglio 2015 n. 9 interviene in un contesto in cui la materia è disciplinata dal nuovo codice dei contratti pubblici (d. lgs. 18 aprile 2016 n. 50, così come modificato dal d. lgs. 19 aprile 2017 n. 56) e non è più in vigore il precedente codice degli appalti (d. lgs. 163/2006).

Al contempo, il Consiglio ha altresì invitato l’ANAC, nel rivedere le linee guida, a chiarire meglio il quadro in cui deve operare la cosiddetta “clausola sociale”, anche alla luce della giurisprudenza nazionale più recente (Cons. St., III, 5 maggio 2017 n. 2078) e degli indirizzi ricavabili in ambito europeo (la Corte di giustizia UE, nella cause C-438/05, 341/05, 346/06, 319/06, pur non occupandosi specificamente della questione, richiama la necessità di evitare in capo all’impresa vincoli che possano essere contrari alla concorrenza e alla libertà di organizzazione dell’impresa), nonché a chiarire il rapporto esistente tra la legge nazionale e le eventuali leggi regionali che si occupano della materia.

3. A seguito di tale parere interlocutorio, con la nota del 6 aprile 2018, l’ANAC ha trasmesso il nuovo schema delle linee guida adeguando la precedente versione delle linee guida alle novità introdotte dal Codice, come novellato, con particolare riguardo al tema della suddivisione in lotti della gara d’appalto, del criterio di aggiudicazione e delle clausole sociali.

3.1. In conformità alla richiesta formulata col parere interlocutorio, il relativo contenuto è stato adottato all’esito di una consultazione pubblica svoltasi in modalità aperta, nel corso della quale sono state formulate osservazioni da parte degli operatori del settore intervenuti. Unitamente al testo delle linee guida e la nota di accompagnamento già menzionata, l’Autorità ha anche trasmesso un documento nel quale sono riportate le osservazioni formulate dagli operatori che hanno partecipato alla consultazione pubblica indetta per l’aggiornamento in esame.

3.2. Nella suddetta nota di trasmissione l’ANAC ha infine evidenziato che non è stata trattata la tematica dei rapporti fra disciplina statale e normativa regionale, in quanto, all’esito di un approfondimento richiesto al Ministero dell’Interno, è emerso che allo stato non sono in vigore disposizioni in ambito regionale.


OSSERVAZIONI SULLE LINEE GUIDA

4. In via preliminare, la Commissione ritiene opportuno precisare che nel prosieguo ci si soffermerà esclusivamente sui punti delle Linee guida che meritano particolare attenzione. Ciò precisato sui singoli paragrafi di cui si compone il testo si osserva quanto segue.

5. Il quadro giuridico di riferimento.

La materia dei servizi di vigilanza privata è, come noto, molto delicata perché, per un verso, afferisce a settori che in qualche modo sono al confine con l’ordine e la sicurezza pubblica e con le attività svolte dalle forze di polizia; per altro verso, non v’è dubbio che si tratta di una attività di carattere economico-imprenditoriale che naturalmente deve essere considerata anche sotto il profilo del rispetto della concorrenza.

Ciò premesso, occorre sin da subito evidenziare che l’attività di vigilanza privata è disciplinata da molteplici fonti normative e regolamentari, alcune di esse risalenti nel tempo ed altre caratterizzate da disorganicità.

Sotto questo profilo deve quindi essere confermato l’inquadramento normativo operato dall’Autorità (§ 2). Alcune norme risalgono al Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (regio decreto 18 giugno 1931 n. 773, di seguito “Tulps”) nonché al suo regolamento di esecuzione (regio decreto 6 maggio 1940, n. 635, di seguito “Regolamento”); devono indicarsi, altresì, il decreto del Ministero dell’Interno 1 ottobre 2010, n. 269, modificato dal decreto ministeriale 25 febbraio 2015, n. 56, recante «Disciplina delle caratteristiche minime del progetto organizzativo e dei requisiti minimi di qualità degli istituti e dei servizi di cui agli articoli 256-bis e 257-bis del Regolamento di esecuzione del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, nonché dei requisiti professionali e di capacità tecnica richiesti per la direzione dei medesimi istituti e per lo svolgimento di incarichi organizzativi nell'ambito degli stessi istituti» ed il d.m. del 4 giugno 2014, n. 115 «Regolamento recante disciplina delle caratteristiche e dei requisiti richiesti per l'espletamento dei compiti di certificazione indipendente della qualità e della conformità degli istituti di vigilanza privati, autorizzati a norma dell'articolo 134 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, e dei servizi dagli stessi offerti. Definizione delle modalità di riconoscimento degli organismi di certificazione indipendente».

Tra le altre fonti normative vanno anche ricordate alcune leggi e decreti legge risalenti al primo decennio di questo secolo (d.l. 8 febbraio 2007, n. 8; d.l. 27 luglio 2005, n. 144; L. 15 luglio 2009, n. 94; L. 16 gennaio 2003, n. 3) nonché il decreto del Ministero dell’Interno del 6 ottobre 2009 recante «Determinazione dei requisiti per l'iscrizione nell'elenco prefettizio del personale addetto ai servizi di controllo delle attività di intrattenimento e di spettacolo in luoghi aperti al pubblico o in pubblici esercizi, le modalità per la selezione e la formazione del personale, gli ambiti applicativi e il relativo impiego, di cui ai commi da 7 a 13 dell'articolo 3 della legge 15 luglio 2009, n. 94».

5.1.Venendo al merito, va ricordato che l’art. 133 Tulps dispone: “Gli enti pubblici, gli altri enti collettivi e i privati possono destinare guardie particolari alla vigilanza o custodia delle loro proprietà mobiliari od immobiliari. Possono anche, con l'autorizzazione del prefetto, associarsi per la nomina di tali guardie da destinare alla vigilanza o custodia in comune delle proprietà stesse”.

L’art. 134 Tulps prevede, inoltre, che “Senza licenza del prefetto è vietato ad enti o privati di prestare opere di vigilanza o custodia di proprietà mobiliari od immobiliari e di eseguire investigazioni o ricerche o di raccogliere informazioni per conto di privati.

Salvo il disposto dell'art. 11, la licenza non può essere conceduta alle persone che non abbiano la cittadinanza italiana ovvero di uno Stato membro dell'Unione europea o siano incapaci di obbligarsi o abbiano riportato condanna per delitto non colposo. I cittadini degli Stati membri dell'Unione europea possono conseguire la licenza per prestare opera di vigilanza o custodia di beni mobiliari o immobiliari alle stesse condizioni previste per i cittadini italiani. Il regolamento di esecuzione individua gli altri soggetti, ivi compreso l'institore, o chiunque eserciti poteri di direzione, amministrazione o gestione anche parziale dell'istituto o delle sue articolazioni, nei confronti dei quali sono accertati l'assenza di condanne per delitto non colposo e gli altri requisiti previsti dall'articolo 11 del presente testo unico, nonché dall'articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575. La licenza non può essere conceduta per operazioni che importano un esercizio di pubbliche funzioni o una menomazione della libertà individuale”.

Il Tulps disciplina, quindi, al Titolo IV, l’attività di vigilanza privata prevedendo due diverse modalità di svolgimento della stessa. La prima è contemplata dall’art. 133 e riguarda l’ipotesi in cui la vigilanza privata sia esercitata direttamente dal proprietario dei beni (enti pubblici, enti collettivi, soggetti privati), attraverso l’impiego di guardie particolari. La seconda modalità è contemplata dall’art. 134 e consiste nello svolgimento dell’attività di vigilanza, previa autorizzazione prefettizia, da parte di persone giuridiche private o singole persone fisiche che impieghino il propri dipendenti, in via professionale e in forma imprenditoriale, riconosciute come guardie giurate, al servizio di proprietà mobiliari o immobiliari.

La licenza per l’esercizio dell’attività di vigilanza è rilasciata dal Prefetto in presenza di particolari presupposti e requisiti indicati agli artt. 134, 136, 138 del Tulps.

Le modalità di presentazione della domanda per il rilascio della licenza di cui all’art. 134 del Tulps è disciplinata dall’art. 257 del Regolamento, il quale prevede, tra l’altro, che tale istanza deve indicare il soggetto che la richiede, la composizione organizzativa e l'assetto proprietario dell'istituto, l'indicazione dell'ambito territoriale, anche in province o regioni diverse, in cui l'istituto intende svolgere la propria attività, l'indicazione dei servizi per i quali si chiede l'autorizzazione, dei mezzi e delle tecnologie che si intendono impiegare. La domanda è corredata del progetto organizzativo e tecnico-operativo dell'istituto, nonché della documentazione comprovante il possesso delle capacità tecniche occorrenti, proprie e delle persone preposte alle unità operative dell'istituto, e la disponibilità dei mezzi finanziari, logistici e tecnici occorrenti per l'attività da svolgere e le relative caratteristiche, conformi alle disposizioni in vigore. Il successivo art. 257 bis disciplina, inoltre, le modalità di presentazione della domanda per ottenere la licenza di cui al citato art. 134 Tulps per le attività di investigazione, ricerche e raccolta di informazioni per conto di privati.

L’art. 257, comma 4, Regolamento demanda poi ad un decreto del Ministro dell'interno la definizione delle caratteristiche minime cui deve conformarsi il progetto organizzativo ed i requisiti minimi di qualità degli istituti e dei servizi di cui all'articolo 134 della legge, nonché i requisiti professionali e di capacità tecnica richiesti per la direzione dell'istituto e per lo svolgimento degli incarichi organizzativi.

A tale ultima disposizione regolamentare è stato dato seguito con il citato decreto del Ministero dell’Interno 1 ottobre 2010, n. 269, con il quale sono stati disciplinati, in particolare, i seguenti aspetti: caratteristiche e requisiti organizzativi e professionali degli istituti di vigilanza privata (art. 2); requisiti e qualità dei servizi (art. 3); caratteristiche e requisiti organizzativi e professionali degli istituti di investigazione privata e di informazioni commerciali (art. 4); qualità dei servizi di investigazione privata e di informazione commerciale (art. 5); requisiti professionali e formativi delle guardie particolari giurate (art. 6); aggiornamento dei requisiti tecnico-professionali (art. 7).

Il rispetto delle previsioni del citato decreto del Ministro dell’Interno n. 269/2010 è certificato dagli organismi di certificazione indipendente iscritti nell’elenco tenuto dal Ministero dell’Interno – Dipartimento della pubblica sicurezza (art. 257 quinquies del Regolamento). Ai sensi dell’art. 6, comma 6, del sopra richiamato D.M. n. 115/2014, tale certificato di conformità “deve essere prodotto dal titolare della licenza ex articolo 134 T.U.L.P.S. all'atto della comunicazione al Prefetto della completa attivazione dell'istituto di vigilanza e comunque non oltre sei mesi dal rilascio dell'autorizzazione. Successivamente la certificazione deve essere prodotta in sede di rinnovo triennale della licenza”. Pertanto, il possesso della predetta certificazione di conformità, in quanto attestante la sussistenza dei requisiti fissati dalla disciplina di settore, è un requisito essenziale per il conseguimento in via definitiva della licenza e per il suo mantenimento.

La scelta dell’ordinamento di subordinare l’ingresso nel mercato della vigilanza privata a specifici e stringenti requisiti organizzativi e professionali, oggetto della suddetta certificazione, deriva dalla particolare natura dei servizi che gli operatori economici del settore sono chiamati a svolgere, anche in considerazione, come detto, della vicinanza tra questo genere di attività e alcune tipologie di attività svolte dalle forze di polizia. Al riguardo, il citato D.M. n. 269/2010 individua, all’Allegato D, sezione III, paragrafo 3.a, le tipologie di servizi demandati agli istituti di vigilanza privata “per mezzo delle dipendenti guardie giurate e con l'uso dei mezzi posti a loro disposizione”, elencandoli come segue: vigilanza fissa; vigilanza saltuaria di zona; vigilanza con collegamento di sistemi di allarme e di videosorveglianza; intervento su allarme; vigilanza fissa antirapina; vigilanza fissa mediante l'impiego di unità cinofile; servizio di antitaccheggio; custodia in caveau; servizio di trasporto e scorta valori e servizi su apparecchiature automatiche, bancomat e casseforti; servizio scorta a beni trasportati con mezzi diversi da quelli destinati al trasporto di valori, di proprietà dello stesso istituto di vigilanza o di terzi; servizi di vigilanza e di sicurezza complementare previsti da specifiche norme di legge o di regolamento (D.M. 85/1999, D.M. 154/2009, ecc.).

5.2. Pertanto, dai servizi di vigilanza c.d. “principale” devono essere tenuti distinti i servizi di sicurezza c.d. “complementare”, da svolgersi a mezzo di guardie particolari giurate. Ai sensi dell’art. 256 bis, comma 2 del Regolamento, rientrano, in particolare, nei servizi di sicurezza complementare “le attività di vigilanza concernenti:

a) la sicurezza negli aeroporti, nei porti, nelle stazioni ferroviarie, nelle stazioni delle ferrovie metropolitane e negli altri luoghi pubblici o aperti al pubblico specificamente indicati dalle norme speciali, ad integrazione di quella assicurata dalla forza pubblica;

b) la custodia, il trasporto e la scorta di armi, esplosivi e di ogni altro materiale pericoloso, nei casi previsti dalle disposizioni in vigore o dalle prescrizioni dell'autorità, ferme restando le disposizioni vigenti per garantire la sicurezza della custodia, del trasporto e della scorta;

c) la custodia, il trasporto e la scorta del contante o di altri beni o titoli di valore; nonché la vigilanza nei luoghi in cui vi è maneggio di somme rilevanti o di altri titoli o beni di valore rilevante, appartenenti a terzi;

d) la vigilanza armata mobile e gli interventi sugli allarmi, salve le attribuzioni degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza;

e) la vigilanza presso infrastrutture del settore energetico o delle telecomunicazioni, dei prodotti ad alta tecnologia, di quelli a rischio di impatto ambientale, ed ogni altra infrastruttura che può costituire, anche in via potenziale, un obiettivo sensibile ai fini della sicurezza o dell'incolumità pubblica o della tutela ambientale”.

Il successivo comma 3 della medesima disposizione precisa che “Rientra altresì nei servizi di sicurezza complementare la vigilanza presso tribunali ed altri edifici pubblici, installazioni militari, centri direzionali, industriali o commerciali ed altre simili infrastrutture, quando speciali esigenze di sicurezza impongono che i servizi medesimi siano svolti da guardie particolari giurate”.

Con le disposizioni sopra indicate sono state quindi definite le tipologie di servizi demandate agli istituti di vigilanza privata (Allegato D, sezione III, paragrafo 3.a, D.M. n. 269/2010) e sono stati espressamente individuati i casi in cui, per speciali esigenze di sicurezza, il servizio di vigilanza privata deve essere svolto dalle guardie giurate.

6. Quanto sin qui esposto assume significativa rilevanza ai fini della risoluzione del primo problema affrontato dall’ANAC nello schema di linee guida in esame e relativo all’affidamento da parte delle stazioni appaltanti di servizi di portierato o global service in luogo del servizio di vigilanza, anche nei casi in cui la disciplina di settore imporrebbe il ricorso a quest’ultimo servizio. Invero, dalle segnalazioni pervenute all’ANAC emerge che alcune stazioni appaltanti, per abbattere i costi, hanno fatto ricorso ai cosiddetti servizi di global servicepure per lo svolgimento di compiti rientranti tra quelli disciplinati dal testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, e dal suo regolamento, come servizi di vigilanza. I servizi di global service, infatti, riguardano una serie di attività composite, sicché essi possono essere svolti in parte da soggetti che non hanno i requisiti oggi richiesti per le guardie giurate o erogati da società che non hanno ricevuto le autorizzazioni che l’ordinamento giuridico attualmente prevede per le società di vigilanza.

Nello schema di Linee guida, l’ANAC prende espressamente posizione sulla prassi seguita dalle stazioni appaltanti di indire gare aventi ad oggetto l’attività di portierato o di global service e/o di servizi integrati, che in qualche modo contemplino anche lo svolgimento di servizi di vigilanza, considerandola non permessa dal nostro ordinamento. L’ANAC ritiene, infatti, che le società di portierato, di global service e di servizi integrati possano svolgere esclusivamente le attività indicate nell’oggetto sociale, in quanto operanti senza le autorizzazioni ed i controlli cui sono invece soggetti gli istituti di vigilanza privata, ma certamente non anche il servizio di vigilanza privata. L’ANAC reputa necessario escludere ogni commistione tra il servizio di vigilanza privata e i servizi fiduciari, quali il portierato e il servizio di reception, in conformità al dettato normativo in esame (in particolare, il D.M. n. 269/2010) ed in ragione delle diverse prestazioni di cui si compongono i predetti servizi. Invero, l’attività di portierato – non più soggetta ad autorizzazione di polizia e, dunque, liberalizzata - si caratterizza per essere destinata a garantire l’ordinata utilizzazione dell’immobile da parte dei fruitori senza che vengano in rilievo finalità di prevenzione e sicurezza.

Ritiene la Commissione di convenire con l’ANAC che la prassi finora seguita dalle stazioni appaltanti di indire gare aventi ad oggetto l’attività di portierato o di global service e/o di servizi integrati che contemplino anche lo svolgimento di servizi di vigilanza non possa più essere avallata a meno che sia aggiudicata ad operatori economici che abbiano tutti i requisiti oggettivi e soggettivi previsti per lo svolgimento di tutte le predette attività, ivi inclusa l’autorizzazione prefettizia di cui prima si è parlato.

Ciò sulla base delle seguenti ragioni.

La prassi di aggregare le suddette attività eterogenee in un’unica procedura e di non richiedere nella lex specialis, quale requisito di idoneità, l’autorizzazione prefettizia normativamente prevista per il servizio di vigilanza privata, comporta il rischio che pervengano offerte da soggetti non vincolati né al possesso della licenza ex art. 134 Tulps né al rispetto dei contratti di settore, con evidenti rischi per lo sviluppo di un corretto confronto competitivo. In questo modo, infatti, si realizzerebbe un’elusione dell’obbligo di possedere l’autorizzazione prefettizia per lo svolgimento di questo genere di servizio.

Al contrario, la stazione appaltante ha non solo l’onere di indicare nel bando di gara che il servizio di vigilanza privata non può essere svolto senza la necessaria licenza, ma ha anche il dovere di verificare che all’atto della stipula del contratto di affidamento del servizio di vigilanza privata il soggetto aggiudicatario possegga detta autorizzazione e la mantenga per tutta l’esecuzione del contratto. Il rispetto di tale procedura si rende necessario al fine di scongiurare il rischio che l’offerta dell’aggiudicatario, seppur astrattamente più conveniente, non sia idonea a garantire la qualità e la regolare esecuzione del servizio di vigilanza privata, poiché l’aggiudicatario privo della licenza ex art. 134 Tulps non può effettuare interventi di vigilanza attiva a tutela del patrimonio e del pubblico, non disponendo di personale a ciò autorizzato e in possesso delle necessarie qualifiche professionali e attrezzature.

Occorre altresì convenire con l’ANAC che la diversità delle prestazioni di cui si compongono, rispettivamente, i servizi di vigilanza privata e i servizi fiduciari (portierato e reception) conduce a non ritenere i primi assimilabili e sostituibili dai secondi. Per tale motivo, si deve concludere che l’eventuale commistione con altri servizi nuoce alla qualità di quello di vigilanza.

7. Occorre però anche considerare la convenienza –sub specie di risparmio di spesa - per la stazione appaltante di effettuare un’unica gara comprendente più servizi (es. vigilanza armata, custodia e portierato). Tale aspetto viene affrontato dall’Autorità al § 3 relativo alla suddivisione in lotti. A questo proposito l’ANAC ricorda che l’art. 51, comma 1, d.lgs. n. 50/2016, riguardante la suddivisione in lotti delle commesse pubbliche, ponendosi in linea di sostanziale continuità con l’art. 2, comma 1-bis del passato codice, prevede che, nel rispetto della disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici, sia nei settori ordinari che nei settori speciali, al fine di favorire l'accesso delle microimprese, piccole e medie imprese, le stazioni appaltanti suddividono gli appalti in lotti funzionali ovvero in lotti prestazionali in conformità alle categorie o specializzazioni nel settore dei lavori, servizi e forniture. In sostanza, al fine di evitare che alle gare possano essere ammessi soggetti non abilitati dal possesso della licenza prefettizia, occorre articolare la procedura selettiva in modo che i lotti di vigilanza attiva siano comunque separati da quelli di vigilanza passiva. La soluzione al problema in esame può dunque essere rinvenuta nella suddivisione dell’appalto in lotti, purché vengano rispettate le condizioni indicate dall’ANAC (paragrafo 3 dello schema di linee guida). Precisa infatti l’ANAC che, nel prevedere lotti distinti per ciascun servizio, “rimane l’obbligo per la stazione appaltante di indicare dettagliatamente nei documenti di gara i singoli servizi richiesti, precisando in relazione a ciascuno di essi i requisiti necessari per la partecipazione alla gara e quelli necessari per l’esecuzione, ivi comprese le autorizzazioni”. Ne deriva che, per il lotto relativo al servizio di vigilanza privata deve necessariamente essere richiesta quale condizione di partecipazione il possesso della licenza prefettizia, verificando che l’aggiudicatario possegga detta autorizzazione non solo al momento dell’affidamento ma anche per tutta la durata dell’esecuzione del contratto.

Occorre comunque evidenziare che il principio di cui all’art. 51 d.lgs. n. 50/2016 non risulta posto in termini assoluti e inderogabili, giacché il medesimo art. 51, al comma 1, secondo periodo, afferma che “le stazioni appaltanti motivano la mancata suddivisione dell’appalto in lotti nel bando di gara o nella lettera d’invito e nella relazione unica di cui agli articoli 99 e 139”. Pertanto, il principio della “suddivisione in lotti” può essere derogato, ma la scelta della stazione appaltante di non procedere al frazionamento deve essere sorretta da un’adeguata motivazione, pena l’illegittimità della stessa per violazione di legge.

Per il Consiglio, alla fine del § 3 va dunque aggiunto che “nel caso di ricorso al servizio di c.d. global service – deciso dalla stazione appaltante nel rispetto della normativa comunitaria e nazionale – la stazione appaltante indica quale indispensabile requisito di partecipazione il possesso dell’autorizzazione prefettizia.

8. Appurato che requisito indispensabile per l’affidamento dei servizi di vigilanza privata è il possesso della licenza prefettizia ex art. 134 Tulps, deve convenirsi con quanto stabilito dall’ANAC (paragrafo 4 dello schema di linee guida) circa l’impossibilità che alla gara per l’aggiudicazione del servizio di vigilanza partecipino “agenzie di affari”, che successivamente individuano i prestatori del suddetto servizio. Si tratta, in sostanza, di società intermediarie tra la stazione appaltante e l’agenzia di vigilanza che effettivamente andrà a svolgere il servizio. Per l’Autorità tale pratica si sostanzierebbe “in una delega di funzioni pubblicistiche in contrasto con la normativa di settore” (§ 4). Infatti, le agenzie in esame non rientrano nella categoria delle centrali di committenza cui le stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori possono fare ricorso per acquistare lavori, servizi e forniture (art. 37 del Codice dei contratti pubblici). Inoltre, sempre secondo l’ANAC, la licenza prefettizia ex art. 134 Tulps è un provvedimento di autorizzazione intuitu personae, riconducibile, ai fini della partecipazione alle procedure di aggiudicazione, nella categoria generale dei requisiti di idoneità professionale. Ne consegue che il possesso della licenza prevista e disciplinata dall’art. 134 Tulps costituisce un requisito di partecipazione alle gare pubbliche per l’affidamento di servizi di vigilanza privata da ricondurre ai requisiti di idoneità professionale di cui all’art. 83, comma 1, lett. a) del Codice dei contratti pubblici.

Il Consiglio condivide la conclusione cui è pervenuta l’ANAC sia perché la licenza prefettizia è requisito professionale indispensabile per partecipare alla gara sia perché, diversamente opinando, , il costo dell’aggiudicazione subirebbe un considerevole aumento per remunerare l’attività di questo genere di intermediario in contrasto anche con il principio di concorrenza.

9. Con riferimento ai criteri di aggiudicazione, ritiene la Sezione di condividere la scelta dell’ANAC di esporre il quadro normativo attualmente vigente che è sicuramente incentrato sulla preferenza, non assoluta, per il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ferma restando la necessità di sussumere la fattispecie concreta nella previsione legale.

Stabilisce testualmente l’ANAC (§ 4, pag. 11 dello schema di linee guida) che “il rapporto fra comma 3 (ricorso all’OEPV per gli appalti ad alta intensità di manodopera) e comma 4 del predetto articolo 95 (possibilità dell’utilizzo del minor prezzo negli specifici casi contemplati) sarebbe di specie a genere …”. Sul punto, questo Consesso rileva solo la confusione tra “genere” e “specie” contenuta nell’ultimo capoverso di pag. 11 dello schema di linee guida.

10.1. In merito ai criteri di aggiudicazione e alle verifiche da effettuare sulla congruità delle offerte, nello schema di Linee guida dell’ANAC si legge che il costo del personale “non può essere inferiore ai minimi salariali indicati nelle apposite tabelle elaborate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali ai sensi ai sensi dell’art. 23 comma 16 del medesimo Codice” (§ 4, pag. 12 dello schema di linee guida).

10.2.Giova ricordare che l’articolo 97 codice detta una disciplina parzialmente diversa rispetto al previgente articolo 87 d. lgs. 163/2006. Nel vigore del previgente codice, il legislatore ha giustamente manifestato particolare attenzione per la componente del costo del lavoro in sede di valutazione dell’offerta anche sotto il profilo della anomalia della stessa. Si è trattato tuttavia di interventi non sempre coordinati tra loro e di non semplice decifrabilità, come è dimostrato dalla copiosa giurisprudenza che sul tema si è formata. Sembrava emergere, con particolare riguardo alla materia in esame, che le giustificazioni non potessero mai riguardare la violazione dei trattamenti salariali minimi inderogabili stabiliti dalla legge o da fonti autorizzate dalla legge mentre, ferma restando l’autonoma valutazione discrezionale da parte della stazione appaltante, l’operatore economico poteva produrre giustificazioni inerenti al costo del lavoro come determinato da apposite tabelle ministeriali (Si veda Cons. St., commissione speciale, parere 30 marzo 2017 n. 782. Cons. St., V, 20 febbraio 2017 n. 756).

Ciò premesso va rilevato, per un verso, che l’articolo 97 codice ripropone correttamente l’inammissibilità di giustificazioni in relazione ai trattamenti salariali minimi inderogabili mentre alla lettera d) del comma 5 reca una disciplina differente in relazione al costo del personale. Ed invero dalla lettura del predetto comma 5 emerge che la stazione appaltante esclude l’operatore o quando le spiegazioni di cui al comma 4 non giustificano il basso livello dei prezzi o quando l’offerta è anormalmente bassa perché “il costo del personale è inferiore ai minimi salariali retributivi indicati nelle apposite tabelle di cui all’articolo 23, comma 16”.

Una prima lettura della norma potrebbe giustificare un’interpretazione che preveda una valutazione discrezionale sulla congruità in relazione a tutti gli aspetti di anomalia tranne che con riferimento agli elementi citati alle lettere a-d) del predetto comma 5 in relazione ai quali dovrebbe sempre essere disposta l’esclusione. Tale interpretazione determinerebbe un’importante novità nel passaggio tra il vecchio e il nuovo codice e, secondo alcuni, contribuirebbe a tutelare meglio le condizioni di lavoro. Tale tesi, a giudizio di alcuni, sarebbe avvalorata anche dal fatto che il decreto correttivo (d. lgs. 19 aprile 2017 n. 56) ha aggiunto un periodo all’articolo 95, comma 10, stabilendo che le stazioni appaltanti, relativamente ai costi della manodopera, prima dell'aggiudicazione procedono a verificare il rispetto di quanto previsto all'articolo 97, comma 5, lettera d).

Tuttavia, ferma restando l’inderogabilità dei minimi salariali di cui al comma 6, è preferibile l’opinione che ammette le giustificazione con riferimento al costo del lavoro. Tale conclusione è, in primo luogo, avvalorata dal tenore letterale della norma nella parte in cui stabilisce che la stazione appaltante esclude se ha “accertato, con le modalità di cui al primo periodo, che l’offerta è anormalmente bassa” e conseguentemente lascia uno spazio di valutazione all’amministrazione procedente che è in contrasto con qualsivoglia automatismo. In secondo luogo va aggiunto che, ragionando diversamente, si creerebbe un’eccessiva rigidità nell’offerta e nella sua valutazione che rischierebbe di comprimere aspetti di sana competizione (si veda ancora Consiglio di Stato, commissione speciale, 31 marzo 2017 n. 782).

10.3. Per tale ragione il Consiglio rileva l’erroneità della parte in cui si prevede si prevede come obbligatorio il rispetto non solo dei minimi salariali previsti dalla legge ma anche delle tabelle ministeriali sul costo medio del lavoro. In realtà, come prima esposto, sono inderogabili i minimi salariali previsti dalla legge (art. 97, comma 6, d.lgs. n. 50/2016), mentre ci si può discostare dalle tabelle ministeriali sul costo medio del lavoro fornendo adeguata giustificazione. Sul punto si rende dunque opportuna una specificazione e una correzione da parte dell’ANAC.

P.Q.M.

nelle suesposte considerazioni è il parere della Commissione.


 
 
GLI ESTENSORI IL PRESIDENTE
Vincenzo Neri Claudio Zucchelli
 
 
 
 

IL SEGRETARIO

Cinzia Giglio



HomeSentenzeArticoliLegislazioneLinksRicercaScrivici