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Corte Costituzionale, 7/6/2018 n. 118
Sull'illegittimità costituzionale dell'art. 3, c. 3, della l. della R. Abruzzo n. 30/2017, in quanto non spetta ai Comuni garantire il legittimo affidamento degli imprenditori balneari titolari di concessioni rilasciate prima del 2009.

E' costituzionalmente illegittimo l'art. 3, c. 3, della l. della R. Abruzzo 27 aprile 2017, n. 30 (Tutela del legittimo affidamento dei concessionari balneari), in quanto demandando genericamente ai Comuni la determinazione delle modalità concrete con cui tutelare il legittimo affidamento dei titolari di concessioni rilasciate anteriormente al 30 dicembre 2009 nell'ambito delle procedure di selezione per il rilascio di nuove concessioni, affida alla discrezionalità delle amministrazioni comunali l'adozione di misure che, qualunque ne sia la concreta configurazione, necessariamente inciderebbero in senso limitativo sulla materia della tutela della libera concorrenza e della parità di trattamento tra tutti gli aspiranti alla concessione, materia che è riservata alla legislazione statale ai sensi dell' art. 117, c.2, lett. e), Cost.. Né vale ad assicurare legittimità alla disposizione impugnata la clausola di cui all'art. 1, c. 1, lett. d), della stessa l.R. Abruzzo n. 30 del 2017, a tenore della quale la tutela dell'affidamento dei concessionari uscenti è garantita "nei limiti precisati dal diritto eurounitario". Il profilo di incostituzionalità invocato dalla difesa erariale non concerne, infatti, il contrasto della disposizione con i vincoli derivanti dal diritto dell'Unione europea, bensì soltanto la sua incidenza in una sfera di competenza riservata in via esclusiva alla legislazione statale, alla quale unicamente spetta disciplinare in modo uniforme le modalità e i limiti della tutela dell'affidamento dei titolari delle concessioni già in essere nelle procedure di selezione per il rilascio di nuove concessioni. La disposizione impugnata viola, dunque, la competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza.

Materia: concessioni / disciplina

SENTENZA N. 118

 

ANNO 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 3, della legge della Regione Abruzzo 27 aprile 2017, n. 30 (Tutela del legittimo affidamento dei concessionari balneari), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 4-5 luglio 2017, depositato in cancelleria il 7 luglio 2017, iscritto al n. 47 del registro ricorsi 2017 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 31, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Udito nell’udienza pubblica dell’8 maggio 2018 il Giudice relatore Francesco Viganò;

udito l’avvocato dello Stato Sergio Fiorentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 4-5 luglio 2017 e depositato il 7 luglio 2017 (reg. ric. n. 47 del 2017), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 3, comma 3, della legge della Regione Abruzzo 27 aprile 2017, n. 30 (Tutela del legittimo affidamento dei concessionari balneari), ritenendolo in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettere e) e l), della Costituzione.

 

2.– Il ricorrente illustra, innanzitutto, l’oggetto e le finalità della predetta legge regionale, che all’art. 1 garantisce l’esercizio omogeneo delle funzioni amministrative in materia di uso del demanio marittimo-ricreativo da parte dei Comuni costieri; il rilascio di nuove concessioni demaniali marittime su aree disponibili con finalità turistico-ricreative in base a procedure di selezione secondo criteri obiettivi di imparzialità, di trasparenza e di pubblicità, nonché nel rispetto dei principi di concorrenza, libertà di stabilimento, di garanzia dell’esercizio, dello sviluppo, della valorizzazione delle attività imprenditoriali e di tutela degli investimenti, così come previsto dall’art. 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 2010, n. 25; adeguate e omogenee condizioni di sviluppo per le micro, piccole e medie imprese turistico-ricreative operanti in ambito demaniale marittimo; la tutela dell’affidamento dei titolari di concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative nei limiti precisati dal diritto eurounitario.

Il ricorrente appunta le sue censure sul successivo art. 3 della medesima legge regionale, rubricato «[f]unzioni della Regione e dei Comuni», il cui comma 3 stabilisce che «[n]ell’esercizio delle proprie funzioni i Comuni garantiscono che il rilascio di nuove concessioni avvenga senza pregiudizio del legittimo affidamento degli imprenditori balneari titolari di concessioni rilasciate anteriormente al 31 dicembre 2009».

Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, la disposizione impugnata comporterebbe una «evidente invasione della sfera di competenza esclusiva riservata alla legge statale nelle materie della tutela della concorrenza e dell’ordinamento civile», con ciò violando l’art. 117, secondo comma, lettere e) e l), Cost.

 

3.– A sostegno delle censure prospettate, il Presidente del Consiglio dei ministri ripercorre i passaggi che hanno segnato l’evoluzione dell’ordinamento nazionale nell’ottica dell’adeguamento di quest’ultimo ai vincoli posti dal diritto dell’Unione europea, come interpretati dalla Commissione europea e dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, con specifico riferimento al quadro normativo nazionale nella materia delle concessioni del demanio marittimo a uso turistico-ricreativo.

Il ricorrente rammenta che, a seguito della procedura d’infrazione n. 2008/4908 avviata dalla Commissione europea nei confronti dell’Italia il 29 gennaio 2009, il legislatore statale ha abrogato sia la disposizione del codice della navigazione che accordava una preferenza ai concessionari uscenti per il rinnovo del titolo (cosiddetto diritto di insistenza: art. 37, comma 2, cod. nav., abrogato ad opera dell’art. 1, comma 18, del d.l. n. 194 del 2009), sia l’inciso contenuto nell’art. 1, comma 18, del d.l. n. 194 del 2009 che richiamava il meccanismo del rinnovo automatico delle concessioni (art. 1, comma 2, del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, recante «Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime», convertito, con modificazioni, nella legge 4 dicembre 1993, n. 494, il cui richiamo è stato espunto dalla legge 15 dicembre 2011, n. 217, recante «Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2010»). La medesima legge comunitaria 2010 ha conferito, all’art. 11, una delega legislativa al Governo per la revisione e il riordino della normativa relativa alle concessioni demaniali marittime, il cui termine è tuttavia spirato senza che la delega fosse esercitata.

Ricorda altresì il ricorrente che all’archiviazione della procedura d’infrazione (avvenuta con decisione della Commissione del 27 febbraio 2012) ha fatto seguito la proroga al 31 dicembre 2020 delle concessioni demaniali marittime a uso turistico-ricreativo in essere (art. 34-duodecies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, recante «Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese», inserito in sede di conversione dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221).

 

Tale proroga ope legis è stata successivamente fatta oggetto di due rinvii pregiudiziali disposti da altrettanti Tribunali amministrativi regionali (il TAR della Lombardia e il TAR della Sardegna) alla Corte di giustizia dell’Unione europea, la quale, chiamata a pronunciarsi sulla portata dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (direttiva servizi), ha affermato in primo luogo che le concessioni demaniali in questione rientrano in linea di principio nel campo di applicazione della direttiva, restando rimessa al giudice nazionale la valutazione circa la natura “scarsa” o meno della risorsa naturale attribuita in concessione, con conseguente illegittimità di un regime di proroga ex lege delle concessioni aventi ad oggetto risorse naturali scarse, regime ritenuto equivalente al rinnovo automatico delle concessioni in essere, espressamente vietato dall’art. 12 della direttiva. In secondo luogo, la Corte di giustizia ha affermato che, per le concessioni alle quali la direttiva non può trovare applicazione, l’art. 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) osta a una normativa nazionale, come quella italiana oggetto dei rinvii pregiudiziali, che consente una proroga automatica delle concessioni demaniali pubbliche in essere per attività turistico-ricreative, nei limiti in cui tali concessioni presentino un interesse transfrontaliero certo (sentenza 14 luglio 2016, in cause riunite C-458/14, Promoimpresa srl, e C-67/15, Mario Melis e altri).

 

Rammenta poi il ricorrente che, successivamente al deposito della sentenza della Corte di giustizia, il comma 3-septies dell’art. 24 del decreto-legge 24 giugno 2016, n. 113, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2016, n. 160, ha stabilito che «[n]elle more della revisione e del riordino della materia in conformità ai principi di derivazione europea, per garantire certezza alle situazioni giuridiche in atto e assicurare l’interesse pubblico all’ordinata gestione del demanio senza soluzione di continuità, conservano validità i rapporti già instaurati e pendenti in base all’articolo 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25».

 

4.– Dal quadro normativo del diritto nazionale e del diritto dell’Unione europea così tratteggiato, il Presidente del Consiglio dei ministri deduce che il titolare di una concessione di interesse transfrontaliero certo, assentita prima della scadenza della direttiva servizi (28 dicembre 2009), non ha oggi alcun titolo per confidare legittimamente sui vantaggi che allora gli erano stati conferiti dall’amministrazione concedente, nella misura in cui essi contrastino con il principio di non discriminazione fondato sui Trattati europei. La questione relativa alla sussistenza di un affidamento legittimamente tutelabile ai sensi del diritto dell’Unione andrebbe, pertanto, valutata caso per caso, laddove la disposizione regionale impugnata non opera invece, ad avviso del ricorrente, alcuna distinzione tra situazioni che manifestino un interesse transfrontaliero certo, e quelle che un tale interesse non manifestino.

 

La disposizione di cui all’art. 1, comma 4 [recte: comma 1, lettera d)], della legge reg. Abruzzo n. 30 del 2017 intenderebbe, invero, sottrarsi a questa censura, dichiarando di voler tutelare l’affidamento dei concessionari nei soli «limiti precisati dal diritto eurounitario». Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, tuttavia, residuerebbe comunque una «evidente invasione della sfera di competenza esclusiva riservata alla legge statale nelle materie della tutela della concorrenza e dell’ordinamento civile», dal momento che «anche la sola scelta delle modalità attraverso le quali tutelare l’affidamento implica necessariamente l’esercizio di competenze esclusive statali» nelle materie suddette. La disposizione regionale impugnata prefigurerebbe infatti «una tutela dell’affidamento secondo forme specifiche e proprie della Regione Abruzzo, in base a scelte rimesse ai comuni, così trascurando che tali situazioni devono essere regolate in maniera uniforme sul piano nazionale, per le esigenze di disciplina della concorrenza e di parità di trattamento, al cui presidio sono posti gli invocati titoli di competenza esclusiva dello Stato».

 

D’altra parte, le uniche forme di tutela che i Comuni potrebbero in concreto garantire ai concessionari attuali consisterebbero, secondo il ricorrente, o in una proroga dei loro titoli (attraverso la mancata inclusione delle aree da essi occupati in quelle «disponibili», per le finalità di cui all’art. 1, comma 1, lettera b, della legge reg. Abruzzo n. 30 del 2017), ovvero nell’imposizione ai concessionari subentranti dell’obbligo di corrispondere un indennizzo ai concessionari uscenti. Ciò si desumerebbe, in particolare, dall’art. 4 della medesima legge regionale, rubricato «[n]orma finanziaria», secondo cui dall’attuazione di essa non discendono nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, e agli adempimenti da essa previsti si deve provvedere assicurando l’invarianza di spesa tanto per la Regione che per le altre amministrazioni pubbliche interessate. Di talché l’una e l’altra delle possibili soluzioni, indipendentemente dalla loro conformità al diritto dell’Unione, esorbiterebbero dalla sfera di competenza della Regione, invadendo spazi riservati alla competenza esclusiva dello Stato.

 

5.– La Regione Abruzzo non si è costituita in giudizio.

 

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 3, comma 3, della legge della Regione Abruzzo 27 aprile 2017, n. 30 (Tutela del legittimo affidamento dei concessionari balneari), in relazione all’art. 117, secondo comma, lettere e) e l), della Costituzione.

 

2.– La disposizione impugnata stabilisce che «[n]ell’esercizio delle proprie funzioni i Comuni garantiscono che il rilascio di nuove concessioni avvenga senza pregiudizio del legittimo affidamento degli imprenditori balneari titolari di concessioni rilasciate anteriormente al 31 dicembre 2009».

Secondo il ricorrente, tale disposizione prefigurerebbe «una tutela dell’affidamento secondo forme specifiche e proprie della Regione Abruzzo, in base a scelte rimesse ai comuni», in contrasto con il principio secondo cui le modalità di tutela dell’affidamento dei concessionari uscenti debbono essere regolate in maniera uniforme sul piano nazionale, in modo da assicurare una effettiva tutela della concorrenza e della parità di trattamento tra gli aspiranti concessionari, al cui presidio sarebbero posti i titoli di competenza esclusiva dello Stato invocati dalla difesa erariale.

D’altra parte, le uniche forme di tutela dell’affidamento che i Comuni, nell’esercizio delle facoltà loro delegate dalla disposizione impugnata, potrebbero in concreto apprestare consisterebbero, secondo il ricorrente, o nella proroga delle concessioni esistenti, ovvero nell’imposizione ai concessionari subentranti dell’obbligo di indennizzare i concessionari uscenti. Ciò si desumerebbe in particolare dalla clausola di invarianza di spesa prevista dall’art. 4 della medesima legge regionale, che all’evidenza esclude che la tutela dell’affidamento dei concessionari uscenti possa essere posta a carico della pubblica amministrazione. Entrambe tali soluzioni peraltro, a prescindere dalla questione della loro liceità o meno alla stregua del diritto dell’Unione europea, inciderebbero necessariamente sulle materie della tutela della concorrenza e dell’ordinamento civile, riservate alla competenza esclusiva dello Stato.

 

3.– Il ricorso è fondato sotto il profilo della violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.

 

3.1.– Come anche recentemente rammentato dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 157 del 2017), la disciplina concernente il rilascio di concessioni su beni demaniali marittimi investe diversi ambiti materiali, attribuiti alla competenza sia statale sia regionale.

Le competenze amministrative inerenti al rilascio delle concessioni in uso di beni del demanio marittimo sono state, in effetti, conferite alle Regioni in virtù di quanto previsto dall’art. 105, comma 2, lettera l), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59). Le funzioni relative sono esercitate, di regola, dai Comuni in forza dell’art. 42 del decreto legislativo 30 marzo 1999, n 96 (Intervento sostitutivo del Governo per la ripartizione di funzioni amministrative tra regioni ed enti locali a norma dell’art. 4, comma 5, della legge 15 marzo 1997, n. 59 e successive modificazioni), rispetto ai quali le Regioni mantengono poteri di indirizzo (con riferimento alle attività di impresa turistico-balneari, si veda il comma 6 dell’art. 11 della legge 15 novembre 2011, n. 217, recante «Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2010»).

D’altra parte, la giurisprudenza di questa Corte ha più volte sottolineato che i criteri e le modalità di affidamento delle concessioni su beni del demanio marittimo devono essere stabiliti nell’osservanza dei principi della libera concorrenza e della libertà di stabilimento, previsti dalla normativa comunitaria e nazionale, e corrispondenti ad ambiti riservati alla competenza esclusiva statale in forza dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. (da ultimo, sentenze n. 157 del 2017 e n. 40 del 2017).

 

3.2.– Demandando genericamente ai Comuni la determinazione delle modalità concrete con cui tutelare il legittimo affidamento dei titolari di concessioni rilasciate anteriormente al 30 dicembre 2009 nell’ambito delle procedure di selezione per il rilascio di nuove concessioni, la disposizione regionale impugnata affida alla discrezionalità delle amministrazioni comunali l’adozione di misure che, qualunque ne sia la concreta configurazione, necessariamente inciderebbero in senso limitativo sulla materia della tutela della libera concorrenza e della parità di trattamento tra tutti gli aspiranti alla concessione, materia che deve ritenersi riservata alla legislazione statale ai sensi del citato art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.

Né vale ad assicurare legittimità alla disposizione impugnata la clausola di cui all’art. 1, comma 1, lettera d), della stessa legge reg. Abruzzo n. 30 del 2017, a tenore della quale la tutela dell’affidamento dei concessionari uscenti è garantita «nei limiti precisati dal diritto eurounitario». Il profilo di incostituzionalità invocato dalla difesa erariale non concerne, infatti, il contrasto della disposizione con i vincoli derivanti dal diritto dell’Unione europea, bensì soltanto la sua incidenza in una sfera di competenza riservata in via esclusiva alla legislazione statale, alla quale unicamente spetta disciplinare in modo uniforme le modalità e i limiti della tutela dell’affidamento dei titolari delle concessioni già in essere nelle procedure di selezione per il rilascio di nuove concessioni.

La disposizione impugnata viola, dunque, la competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza.

 

3.3.– Resta assorbita l’ulteriore censura proposta in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

 

 

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 3, della legge della Regione Abruzzo 27 aprile 2017, n. 30 (Tutela del legittimo affidamento dei concessionari balneari).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 maggio 2018.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Francesco VIGANÒ, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria

il 7 giugno 2018.

 

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

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