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Consiglio di Stato, Adunanza Sezione II, 13/7/2018 n. 1823
Sull'ambito di applicazione dell'art. 177 del Codice dei contratti alle concessioni di servizio elettrico rilasciate dal Ministero dello sviluppo economico in attuazione del d.lgs. n. 79 del 1999.

Materia: appalti / disciplina

Numero 01823/2018 e data 13/07/2018 Spedizione

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REPUBBLICA ITALIANA

Consiglio di Stato

Sezione Seconda

Adunanza di Sezione del 27 giugno 2018


NUMERO AFFARE 00692/2018

OGGETTO:

Ministero dello sviluppo economico.


richiesta di parere circa l'ambito di applicazione dell'articolo 177del d.lgs. n. 50/2016 "codice dei contratti pubblici", alle concessioni di servizio elettrico rilasciate dal Ministero dello sviluppo economico in attuazione del decreto legislativo n. 79/99.

LA SEZIONE

Vista la relazione con la quale il Ministero dello sviluppo economico ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull'affare consultivo in oggetto;

Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Giulio Veltri;


Premesso e considerato:

Il Ministero della Sviluppo Economico, Direzione generale per il mercato elettrico, le rinnovabili e l’efficienza energetica, il nucleare, chiede alla Sezione un parere in ordine all’applicabilità dell’art. 177 del codice dei contratti pubblici ai concessionari di servizio elettrico (in tale voce ricomprendendovi sia le concessioni del servizio di trasmissione e dispacciamento dell’energia elettrica, sia le concessioni del servizio di distribuzione), e alle conseguenti esternalizzazioni tramite gara che da tale disposizione discendono.

Com’è noto l’art. 177 cit ha previsto che “…..i soggetti pubblici o privati, titolari di concessioni di lavori, di servizi pubblici o di forniture già in essere alla data di entrata in vigore del presente codice, non affidate con la formula della finanza di progetto, ovvero con procedure di gara ad evidenza pubblica secondo il diritto dell'Unione europea, sono obbligati ad affidare, una quota pari all'ottanta per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo di importo pari o superiore a 150.000 euro e relativi alle concessioni mediante procedura ad evidenza pubblica, introducendo clausole sociali e per la stabilità del personale impiegato e per la salvaguardia delle professionalità…..”

Il Ministero in particolare ritiene che i concessionari di servizio elettrico summenzionati possano andare esenti dall’obbligo di esternalizzazione essendo divenuti affidatari sulla base di un diritto esclusivo, ipotesi per la quale il vigente codice dei contratti esclude in radice procedure di evidenza pubblica (art. 9 codice dei contratti). In mancanza di un obbligo di gara a suo tempo rimasto inadempiuto, difetterebbe – secondo il Ministero - il presupposto per l’applicazione dell’art. 177. In tal senso deporrebbe, del resto, lo schema di linee guida ANAC, esplicativo dell’art. 177, ove è precisato che l’art. 177 non si applica per effetto dell’art. 9, comma 2, del codice dei contratti pubblici, alle concessioni aggiudicate ai soggetti ivi indicati, sulla base di un diritto esclusivo e, con riferimento agli operatori economici, per le attività individuate dall’allegato II del codice dei contratti pubblici” (il riferimento è al par. 1.3. dello schema di linee guida nella versione precedente al parere del Consiglio di Stato).

Nella specie, non vi sarebbe dubbio che nel settore dell’energia elettrica le concessionarie operino in virtù di un diritto esclusivo previsto da fonti primarie. Sul punto – chiarisce il Ministero – il legislatore comunitario con la direttiva 96, recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica, se da un lato ha imposto la liberalizzazione della produzione e della vendita dell’energia, dall’altro, per i servizi di trasmissione di dispacciamento e distribuzione, strategici per lo sviluppo del mercato e la gestione dei flussi di energia sulla rete, ha lasciato che lo Stato individuasse le modalità di gestione più idonee. Prerogativa esercitata dal legislatore nazionale con decreto legislativo n. 79 del 1999 e con il successivo decreto legislativo 93 del 2011.

In particolare per l’attività di trasmissione e dispacciamento, il decreto legislativo numero 93 del 2011 (riprendendo e novellando analoga disposizione contenuta nel decreto legislativo numero 79 del 1999) ha stabilito che essa è riservata allo Stato ed è svolta in regime di concessione da Terna spa, la quale opera come gestore del servizio di trasmissione ai sensi articolo 1, comma 1 del decreto legislativo 16 marzo 1999 numero 79, secondo modalità definite dalla convenzione stipulata tra la stessa Terna e il Ministero dello Sviluppo Economico per la disciplina della stessa concessione.

La concessione è stata dapprima rilasciata con D.M. del 17 luglio 2000, poi modificata con DM 20 aprile 2005 e successivo DM 15 dicembre 2010, per un periodo di 25 anni.

Per il servizio di distribuzione di energia elettrica la disciplina si rinviene invece nell’articolo 1 del decreto legislativo numero 79 del 99 secondo il quale l’attività di distribuzione è svolta in regime di concessione rilasciata dal Ministero dello sviluppo economico alle imprese che già operavano quali imprese distributrici alla data di entrata in vigore del decreto stesso (1 aprile 1999).

Il Ministero ritiene sussistano anche per tali concessionari le condizioni che giustificano l’esclusione degli stessi dal novero dei soggetti obbligati alle esternalizzazioni previa gara di cui all’art. 177.

Sugli argomenti oggetto del quesito è pervenuto in Sezione un contributo partecipativo di Terna spa. La società deduce di essere qualificabile come “ente aggiudicatore” operante nei settori speciali sulla base di un diritto esclusivo concesso in conformità con il diritto UE. Argomentando altresì circa la ratio dell’art. 177, sostiene che sarebbe irragionevole pretendere di sottoporre ad obblighi di esternalizzazione mediante gara, soggetti concessionari la cui scelta, a monte, non soggiace all’obbligo di gara per stessa previsione del diritto UE.

La Sezione ritiene opportuno operare un previo sintetico esame della disposizione normativa oggetto di quesito con in conforto esegetico fornito dal recente parere n.1582 del 20 giugno 2018, reso dalla Commissione speciale del Consiglio di Stato sullo schema di linee guida predisposto da ANAC in attuazione dell’art. 177.

L’art. 177 cit prevede che: 1. Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 7, i soggetti pubblici o privati, titolari di concessioni di lavori, di servizi pubblici o di forniture già in essere alla data di entrata in vigore del presente codice, non affidate con la formula della finanza di progetto, ovvero con procedure di gara ad evidenza pubblica secondo il diritto dell'Unione europea, sono obbligati ad affidare, una quota pari all'ottanta per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo di importo pari o superiore a 150.000 euro e relativi alle concessioni mediante procedura ad evidenza pubblica, introducendo clausole sociali e per la stabilità del personale impiegato e per la salvaguardia delle professionalità. La restante parte può essere realizzata da società in house di cui all'articolo 5 per i soggetti pubblici, ovvero da società direttamente o indirettamente controllate o collegate per i soggetti privati, ovvero tramite operatori individuati mediante procedura ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato. Per i titolari di concessioni autostradali, ferme restando le altre disposizioni del presente comma, la quota di cui al primo periodo è pari al sessanta per cento.

2. Le concessioni di cui al comma 1 già in essere si adeguano alle predette disposizioni entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore del presente codice.

3. La verifica del rispetto dei limiti di cui al comma 1 da parte dei soggetti preposti e dell'ANAC viene effettuata annualmente, secondo le modalità indicate dall'ANAC stessa in apposite linee guida, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. Eventuali situazioni di squilibrio rispetto ai limiti indicati devono essere riequilibrate entro l'anno successivo. Nel caso di situazioni di squilibrio reiterate per due anni consecutivi, il concedente applica una penale in misura pari al 10 per cento dell'importo complessivo dei lavori, servizi o forniture che avrebbero dovuto essere affidati con procedura ad evidenza pubblica.

Secondo la Commissione speciale che si è occupata delle linee guida ANAC “la disposizione costituisce lo svolgimento del criterio direttivo previsto dall’art. 1, comma 1, lett. iii) della legge di delega n. 11/2016, il quale, sviluppando ulteriormente una previsione già in essere per i soli concessionari autostradali, l’ha contestualmente estesa a tutti i concessionari di lavori o di servizi pubblici di importo superiore a 150.000 euro, che non siano stati selezionati a mezzo di project financing o di procedure di evidenza pubblica conformi al diritto dell’Unione, in guisa da imporre ai detti concessionari l’esternalizzazione, previa procedura ad evidenza pubblica, di una quota “pari all'80 per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni. Trattasi di una disposizione, estranea al perimetro delle direttive UE 23, 24 e 25/2014, diretta ai concessionari in quanto tali, a prescindere dalla loro natura pubblica o privata, la cui ratio evidentemente risiede nella volontà del legislatore di restituire, a valle, parte della concorrenza “per il mercato” mancata a monte, secondo uno schema che ovviamente ha ad oggetto, in quota parte, le prestazioni relative alle concessioni a suo tempo affidate direttamente”.

Il Consiglio di Stato, nel parere citato, ha altresì precisato che “L’affidamento diretto è la condizione sufficiente per l’operatività della norma, non essendo necessario indagare se esso sia stato o meno legittimato da fonti primarie. E’, infatti, estranea al portato dell’art. 177 la logica della sanzione. Ciò che emerge dalla disposizione citata, e dal criterio direttivo che l’ha ispirata, è piuttosto la decisione del legislatore di adeguare, seppur in via mediata e indiretta, l’originario rapporto concessorio al mutato approccio alla “concorrenza per il mercato”, fatto proprio dal medesimo per il tramite del recepimento della direttiva 2014/23/UE e soprattutto dei principi generali della Costituzione e del Trattato, in modo da restituire al mercato quelle quote di lavori, servizi e forniture per lungo tempo affidate senza l’uso di procedure ad evidenza pubblica, atteso il regime previgente al codice, al riparo dalla competizione, senza con ciò incidere sull’esistenza e la durata dell’originaria concessione, in un logica che può dirsi riequilibratrice e non sanzionatoria”.

Quanto al novero dei soggetti esclusi dall’applicazione dell’art. 177, il Consiglio di Stato ha a chiare lettere affermato che “è condivisibile la scelta di sottrarre alla applicazione dell’art. 177, e quindi anche agli obblighi di esternalizzazione e di conseguente sottoposizione dei contratti a procedure di evidenza, di cui all’art. 177 cit, le fattispecie concessorie che lo stesso codice dei contratti, in via generale (art. 5 – 18) e particolare (art. 164), esclude dalla applicazione del codice stesso. Essa corrisponde alla logica secondo la quale sarebbe irragionevole imporre procedure di evidenza, nella logica riequilibratrice sopra segnalata, quando lo stesso codice, in relazione a tali fattispecie, testimonia l’attuale estraneità o impermeabilità ai principi di evidenza”.

L’affermazione, da ultimo riportata, è utile a risolvere gran parte delle questioni esegetiche poste dal Ministero dello Sviluppo economico, poiché lascia all’interprete un unico e residuo compito: quello di secernere, fra i concessionari, quelli che sono stati destinatari di un affidamento diretto che ad oggi è conforme al diritto interno e al diritto UE in ragione delle specifiche deroghe che tali ordinamenti consentono. Una volta scrutinata la fattispecie “base” (esclusione o meno dalla disciplina del codice dei contratti), se ne potranno dedurre gli effetti sulla fattispecie “derivata” (esclusione o meno dagli obblighi di cui all’art.177).

In tal chiave viene in rilievo l’art. 9 comma 2 del codice.

La norma citata prevede che: “2. Il presente codice non si applica alle concessioni di servizi aggiudicate a un'amministrazione aggiudicatrice o a un ente aggiudicatore di cui all'articolo 3, comma 1, lettera e), numero 1), punto 1.1 o a un'associazione dei medesimi in base a un diritto esclusivo. Il presente codice non si applica alle concessioni di servizi aggiudicate a un operatore economico sulla base di un diritto esclusivo che è stato concesso ai sensi del TFUE, di atti giuridici dell'Unione europea e della normativa nazionale recanti norme comuni in materia di accesso al mercato applicabili alle attività di cui all'allegato II”.

Come correttamente segnalato dal Ministero nel quesito oggetto d’esame, l’esclusione in oggetto è declinata diversamente a seconda che venga in rilievo “un'amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore di cui all'articolo 3, comma 1, lettera e), numero 1), punto 1.1” (ossia “amministrazioni aggiudicatrici” o “imprese pubbliche” che svolgono una delle attività di cui agli articoli da 115 a 121 del codice), ovvero altri operatori economici privati, per i quali il godimento di un diritto esclusivo non è di per solo condizione sufficiente a giustificare deroghe all’applicabilità del codice, essendo altresì necessario che detto diritto esclusivo sia stato concesso nel rispetto dei principi del TFUE e della normativa europea e nazionale applicabili nel settore speciale delle attività descritte dall’all. 2 alla direttiva 23/2014 (tra le quali rientrano la messa a disposizione o la gestione di reti fisse destinate alla fornitura di un servizio al pubblico in connessione con la produzione, il trasporto o la distribuzione di elettricità…..)

Limitando al momento l’esame alle sole concessioni del servizio di trasmissione e dispacciamento dell’energia elettrica di cui Terna s.p.a è per legge affidatario (sulle rimanenti concessioni si dirà oltre), non sembrano profilarsi dubbi sul fatto che Terna sia un’impresa pubblica che opera in uno dei settori speciali disciplinati dagli art.115 e ss del codice dei contratti pubblici, sulla base di un diritto esclusivo che la legge riserva allo Stato (ossia all’amministrazione concedente)

Un’impresa può dirsi “pubblica” se le amministrazioni aggiudicatrici possono esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante perché ne sono proprietarie, vi hanno una partecipazione finanziaria, o in virtù di norme che disciplinano le imprese in questione. La nozione di influenza dominante o al controllo di fatto da parte di un soggetto che non dispone della maggioranza dei diritti di voto nell’assemblea ordinaria, è la medesima di cui all’art. 2359, comma 1, n. 2 e 3 c.c. (“Sono considerate società controllate:…. 2. le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria 3. le società che sono sotto l’influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa…”), e può dirsi nello specifico integrata quando una partecipazione di per sé minoritaria, nel caso concreto, consenta ugualmente di determinare le deliberazioni dell’assemblea ordinaria a causa della polverizzazione dei possessi azionari e l’assenteismo degli altri soci titolari di quote più esigue.

L’art. 3 comma 1 lett. t) del codice dei contratti pubblici, del tutto conforme all’art. 7 comma 4 della direttiva 23/2014, specifica, al fine di semplificare l’individuazione della situazione di controllo che “un’influenza dominante da parte delle amministrazioni aggiudicatrici si presume in tutti i casi seguenti in cui tali amministrazioni, direttamente o indirettamente:

a) detengono la maggioranza del capitale sottoscritto dell’impresa;

b) controllano la maggioranza dei voti cui danno diritto le azioni emesse dall’impresa, oppure

c) possono designare più della metà dei membri dell’organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza dell’impresa”

Ovviamente la presunzione, agevola la rilevazione della fattispecie, ma non esclude la sussistenza della stessa nei casi in cui, alla luce di una concreta indagine, si ritenga sussistente un controllo di fatto.

Terna risulta soggetta al controllo di fatto di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A., attualmente detenuto

attraverso CDP Reti S.p.A. (societa per azioni controllata da Cassa Depositi e Prestiti S.p.A.), che

possiede una partecipazione pari al 29,851% del capitale sociale. La verifica, da cui e emersa l’esistenza

di siffatto controllo, e stata effettuata dalla stessa Cassa Depositi e Prestiti e resa nota alla Società e alla CONSOB sin dal 19 aprile 2007 e, successivamente, come meglio descritto nell’ambito della precedente

Sezione II, sub “Partecipazioni rilevanti nel capitale e accordi tra azionisti”, con lettere del 30 ottobre 2014 e 2 dicembre 2014.

Da quanto sopra discende che Terna spa è da considerarsi un’impresa pubblica, che la stessa è affidataria di una concessione disposta per legge e opera in un’area riservata allo Stato sulla base di un diritto di esclusiva previsto dalla legge.

Sembrerebbero sussistere, cioè, tutti i presupposti per escluderla, in applicazione delle disposizioni del codice dei contratti e, in particolare dell’art. 9, dall’ambito di applicazione dell’art. 177.

Tuttavia la Sezione non può non segnalare che l’art. 9 cit. non è del tutto in linea con l’art. 10 della direttiva 23/2014. A mente dell’art. 10 cit. “La presente direttiva non si applica alle concessioni di servizi aggiudicate a un’amministrazione aggiudicatrice o a un ente aggiudicatore di cui all’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), o a un’associazione dei medesimi in base a un diritto esclusivo…..”.

L’attenzione deve focalizzarsi sull’esatta individuazione dell’ “ente aggiudicatore”: solo quelli di cui “all’articolo 7, paragrafo 1, lettera a)” sono esclusi. Gli altri, pur essendo in via generale qualificabili quali enti aggiudicatori, non lo sono ai fini dell’esclusione prevista dall’art. 10 se il diritto esclusivo di cui godono non è stato attribuito nel rispetto del TFUE e degli atti giuridici dell’Unione recanti norme comuni in materia di accesso al mercato (Nel caso di specie la direttiva 2009/72/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 13 luglio 2009 relativa a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica)

L’art. 7, paragrafo 1, lettera a) della direttiva citata, contempla esclusivamente lo Stato, le autorità regionali o locali, gli organismi di diritto pubblico o le associazioni costituite da uno o più di tali autorità o da uno o più di tali organismi di diritto pubblico. Non contempla anche le imprese pubbliche. Dunque per queste ultime, cosi come per le imprese private che godono di un diritto esclusivo, occorre, ai fini della verifica di assoggettabilità alla direttiva concessioni, effettuare un test ulteriore, dovendosi ulteriormente verificare se il diritto esclusivo è stato o meno concesso nel rispetto delle “norme comuni in materia di accesso al mercato”.

La ragione è chiara. Nel caso di attribuzione diretta allo Stato agli enti territoriali o ad altri organismi pubblici di un diritto esclusivo, non si pone un problema di concorrenza per il mercato, essendo l’attività per definizione sottratta al mercato ai sensi dell’art.43 della costituzione, finanziata con la fiscalità generale, e gestita, secondo criteri di economicità, da strutture amministrative. La concessione in favore di enti pubblici che concretamente esercitano l’attività è solo l’epilogo convenzionale di un fenomeno di cooperazione interistituzionale.

Nella diversa ipotesi di attribuzione per legge di un diritto esclusivo ad un’impresa in controllo pubblico (eccezion fatta per la peculiare fattispecie dell’in house) il mercato invece non è escluso, né è esclusa la natura commerciale dell’attività svolta dall’impresa, ma è creata, anzi imposta, una posizione di monopolio in capo a quest’ultima, in deroga al principio di concorrenza che anima il Trattato UE. Trattandosi di scelta potenzialmente discriminatoria delle imprese operanti nel settore al momento in cui essa è imposta, è chiaro che essa debba obbedire ai principi di trasparenza tipici della concorrenza “per il mercato” secondo quanto previsto dal TFUE, dagli atti giuridici dell'Unione europea e dalla normativa nazionale recanti norme comuni in materia di accesso al mercato di riferimento, a prescindere dallanatura privata o pubblica dell’impresa, notoriamente indifferente per il diritto dell’Unione (l’imposizione di regole “leggere” di evidenza per i contratti stipulati dalle imprese pubbliche è infatti l’unica deroga alla ordinaria indifferenza che caratterizza il diritto dell’Unione rispetto al regime proprietario dell’impresa).

L’art. 10 della direttiva, costituendo norma sufficientemente chiara, precisa e incondizionata, deve necessariamente trovare applicazione in luogo della norma interna contrastante contenuta nell’art. 9 del codice dei contratti pubblici che, com’anzi chiarito, assimila, con effetto restrittivo della concorrenza per il mercato, l’impresa pubblica, alle (sole) amministrazioni pubbliche contemplate dall’art. 7, paragrafo 1, lettera a) della direttiva medesima.

Se così è, allora, il metodo esegetico prescelto (individuazione previa della fattispecie “base”) impone di verificare se il diritto esclusivo affidato direttamente per legge a Terna sia, ad oggi, conforme o meno al diritto dell’Unione. La conclusione è di segno positivo.

La direttiva 2009/72/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 13 luglio 2009 relativa a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica non prevede specifiche modalità di individuazione del gestore della rete nazionale di trasmissione elettrica. Il Trattato UE si limita a consentire che ……ma non prevede specifici obblighi di evidenza pubblica. Rimane da osservare il generale principio di trasparenza. Non a caso, lo stesso art. 10 della direttiva 23/2014, al par. 2, ha cura di precisare che “in deroga al par. 1, secondo comma” (ndr in deroga all’obbligo di osservare procedura di evidenza per l’attribuzione di diritti esclusivi ad imprese pubbliche o private), “si applicano le disposizioni dell’art. 32”, ossia è sufficiente che sia dato pubblico avviso dell’aggiudicazione della concessione, e lo Stato ne “informi in merito la Commissione Europea”.

Nel caso di specie, non v’è dubbio la legge che ha espressamente disposto l’attribuzione del diritto esclusivo a Terna s.p.a., per il tramite della concessione, abbia reso pubblico il fatto dell’affidamento, così come non v’è dubbio che essa sia stata notificata alla Commissione europea in quanto costituente recepimento della direttiva 2009/72/CE.

Dunque l’affidamento può dirsi conforme alla normativa europea condensata nell’art. 10 della direttiva concessioni. Da ciò deriva la conseguente esclusione di Terna s.p.a. dal novero dei soggetti, obbligati, ex art. 177 del codice dei contratti, ad esternalizzare previa gara le prestazioni oggetto di concessione.

A diverse conclusioni deve invece giungersi per i concessionari del servizio di distribuzione dell’energia elettrica. In questo caso le norme di settore non hanno previsto un diritto esclusivo, essendosi limitate unicamente a prevedere un ambito territoriale ottimale di esercizio del servizio di distribuzione in regime di concessione, al dichiarato fine di meglio “razionalizzare la distribuzione dell’energia” (art. 9 comma 3), nonché ad autorizzare la prosecuzione dei rapporti concessori in corso, in regime di moratoria, sino al 2030, salva l’applicazione dei principi di evidenza pubblica per le future concessioni da rilasciare dal 2030 in poi.

E’ fattispecie quest’ultima che non rientra nell’art. 10 della direttiva concessioni, né nell’art. 9 del codice dei contratti pubblici. Per l’effetto essa soggiace alla disciplina dell’art 177 e agli obblighi che ne conseguono.

P.Q.M.

La Sezione esprime parere nei termini di cui in motivazione.


 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE F/F
Giulio Veltri Andrea Pannone
 
 
 
 

IL SEGRETARIO

Roberto Mustafà


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