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Consiglio di Stato, Sez. III, 19/12/2018 n. 7151
Sulla legittimità del diniego di iscrizione ad un'impresa destinataria di un'interdittiva antimafia all'Albo Gestori Ambientali, in quanto il d.lgs. n. 159/2011 consente l'applicazione delle infor.antim. anche ai provved. a contenuto autorizzatorio

Materia: appalti / disciplina
Pubblicato il 19/12/2018

N. 07151/2018REG.PROV.COLL.

N. 05261/2018 REG.RIC.

N. 05262/2018 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

a) sul ricorso numero di registro generale 5261 del 2018, proposto dal sig. -OMISSIS-, in proprio e quale titolare della -OMISSIS--OMISSIS-Impresa individuale, rappresentato e difeso dagli avvocati Luciano Salomoni e Giovanni Corbyons ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato Giovanni Corbyons in Roma, via Cicerone, n. 44;

contro

il Ministero dell'interno, la Prefettura di Milano – Ufficio territoriale del Governo, la Prefettura di Pavia - Ufficio territoriale del Governo e l’Anac – Autorità Nazionale Anticorruzione, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliatari in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;



b) sul ricorso numero di registro generale 5261 del 2018, proposto dal sig. -OMISSIS-, in proprio e quale titolare della -OMISSIS--OMISSIS-Impresa individuale, rappresentato e difeso dagli avvocati Luciano Salomoni e Giovanni Corbyons ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato Giovanni Corbyons in Roma, via Cicerone, n. 44;

contro

il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliatari in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
il Ministero dell'interno, in persona del Ministro pro tempore, non costituito in giudizio;
l'Albo Nazionale Gestori Ambientali – Sezione regionale della Lombardia, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio,

per la riforma,

a) quanto all’appello n. 5261 del 2018,

della sentenza del Tar Lombardia, sede di Milano, sez. I, n.-OMISSIS-, che ha respinto il ricorso proposto avverso il provvedimento del 23 luglio 2014, recante informativa antimafia interdittiva ai sensi degli artt. 84, comma 4, e 31, comma 6, d.lgs. n. 159 del 2011; il provvedimento, impugnato con motivi aggiunti, della Prefettura di Pavia n. -OMISSIS-di interdittiva antimafia e contestuale cancellazione dalla white list, nonché la nota dell’Autorità Nazionale Anticorruzione n.-OMISSIS-di inserimento dell’annotazione relativa all’informativa interdittiva nel casellario informatico degli operatori economici esecutori di contratti pubblici;

b) quanto all’appello n. 5262 del 2018,

della sentenza del Tar Lombardia, sede di Milano, sez. I, n.-OMISSIS-, che ha respinto il ricorso proposto avverso il diniego di rinnovo dell’iscrizione presentata dalla -OMISSIS--OMISSIS-Impresa individuale in categoria 4, classe E, prot. n. -OMISSIS-, opposto con nota dell'Albo Nazionale Gestori Ambientali – Sezione regionale della Lombardia prot. n.-OMISSIS-ricevuta in data 31 maggio 2017.


Visti i ricorsi in appello nn. 5261 del 2018 e 5262 del 2018 e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio, nell’appello n. 5261 del 2018, del Ministero dell'interno, della Prefettura di Milano - Ufficio territoriale del Governo e della Prefettura di Pavia - Ufficio territoriale del Governo;

Visti gli atti di costituzione in giudizio, nell’appello n. 5262 del 2018, del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;

Visti tutti gli atti delle cause;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 dicembre 2018 il Cons. Giulia Ferrari e uditi altresì i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Il sig. -OMISSIS-esercita sin dal 1995 l’attività di trasportatore per conto terzi sotto forma di impresa individuale. Per l’esercizio di tale attività in favore di committenza pubblica l’impresa è iscritta nella c.d. “white list”.

Il 23 luglio 2014 la Prefettura di Milano ha emesso una informativa antimafia, richiamando i contenuti della nota della Prefettura di Pavia del 18 marzo 2014, di interdittiva antimafia e contestuale cancellazione dalla “white list”.

Alla base dell’interdittiva era una “articolata trama di rapporti parentali” con soggetti malavitosi, consistente nel fatto che gli zii del sig. -OMISSIS-erano destinatari di provvedimenti di sorveglianza speciale, i cugini erano deceduti in un con¬flitto a fuoco e il padre sarebbe risultato “colpito da vicende penali per detenzione di banconote provenienti dal riscatto di sequestro di persona”, nonché per “acclarati interessi economici e professionali con soggetti colpiti da ordinanza di custodia cautelare, arresti e carcerazioni”

Avverso le informative della Prefettura di Milano e di Pavia e contestuale cancellazione dalla white list il sig. -OMISSIS-ha proposto ricorso al Tar Milano che, con sentenza della sez. I n.-OMISSIS-, lo ha respinto.

2. Nelle more del giudizio di primo grado avverso l’informativa antimafia e i provvedimenti posti a base della stessa, l’impresa -OMISSIS-ha presentato domanda di rinnovo dell’iscrizione all’Albo Nazionale Gestori Ambientali – sezione regionale della Lombardia, che veniva rigettata in ragione dell’emissione nei confronti della stessa del provvedimento prefettizio.

Gli atti relativi a tale diniego sono stati impugnati avanti al Tar Milano che, con sentenza n.-OMISSIS-, ha respinto il ricorso.

3. Avverso la sentenza del Tar Milano n. -OMISSIS-il sig. -OMISSIS-ha proposto appello (n. 5261 del 2018), deducendo:

a) Illogicità della motivazione ed erroneità nella valutazione dei presupposti di fatto: violazione di legge ed eccesso di potere – Travisamento dei presupposti di fatto e di diritto – Violazione e applicazione artt. 84, 91 e 94, d.lgs. n. 159 del 2001 – Difetto di motivazione e di istruttoria – Manifesta illogicità – Sviamento.

E’ erroneo il presupposto di fatto su cui si basano le interdittive e la cancellazione dalla white list, e cioè i rapporti privilegiati tra -OMISSIS--OMISSIS-e la famiglia ‘ndranghetista dei -OMISSIS-, desunti dalla presenza, nell’anno 2007, “sui terreni ove è noto essere parcheggiati veicoli industriali riconducibili all’attività di movimentazione terra della famiglia mafiosa -OMISSIS-” di “un autocarro locato da -OMISSIS-”. Tale elemento fattuale, invocato dalla Prefettura, è prima di tutto generico e privo di rilievo in quanto – in ogni caso – si tratta di accadimenti risalenti nel tempo (2007) e che non presentano quei caratteri di attualità e concretezza, tali da fondare un pericolo odierno di condizionamento mafioso.

L’informativa impugnata in primo grado risulta, in forza delle rilevazioni sopra svolte, viziata anche per difetto assoluto di motivazione, considerato che tale provvedimento così invasivo si deve basare “sulla oggettiva rilevazione di fatti suscettibili di condizionare scelte e indirizzi delle imprese”.

b) Illogicità della motivazione ed erroneità nella valutazione dei presupposti di fatto: illogicità della motivazione ed erroneità nella valutazione dei presupposti di fatto: violazione di legge ed eccesso di potere – Travisamento dei presupposti di fatto e di diritto – Violazione e applicazione artt. 84, 91, 94, d.lgs. n. 159 del 2001 – Difetto di motivazione e di istruttoria – manifesta illogicità – Sviamento.

La circostanza relativa ai precedenti penali del padre del sig. -OMISSIS-è frutto di un macroscopico fraintendimento, essendo stato sottoposto a un unico procedimento penale (non “varie vicende”) ed assolto con sentenza definitiva per non aver commesso il fatto.

4. Avverso la sentenza del Tar Milano n. -OMISSIS-il sig. -OMISSIS-ha proposto appello (n. 5262 del 2018), deducendo che l’informativa antimafia non può costituire motivo di decadenza dall’iscrizione all’Albo Gestori Ambientali poiché non si tratta di una misura di prevenzione di cui all’art. 67, d.lgs. n. 159 del 2011, cui rinvia l’art. 10, d.m. n. 120 del 2014 a sua volta richiamato dall’art. 20, comma 1, lett. b, d.m. n. 120 del 2014 per individuare le cause di cancellazione dall’Albo Gestori Ambientali. Infatti l’assenza di informative interdittive non rientra tra i requisiti per l’iscrizione (e la conservazione dell’iscrizione) all’Albo Gestori Ambientali.

L’Albo Gestori svolge la funzione di selezione e di qualificazione delle imprese le quali, per ottenere e mantenere l’iscrizione, devono dimostrare il possesso di determinati requisiti soggettivi, di idoneità tecnica e di capacità finanziaria. Tuttavia, tra i requisiti soggettivi non si riviene l’assenza di provvedimenti interdittivi emessi nei confronti della singola impresa.

Erroneamente, inoltre, si è ritenuto che, stante il carattere vincolato del provvedimento, la mancata audizione della ditta appellante non avrebbe condotto all’adozione di un atto con contenuto dispositivo differente da quello adottato in concreto.

Posto che il d.m. n. 120 del 2014, come detto, nell’individuare i requisiti e le condizioni di iscrizione all’Albo Gestori Ambientali non ricomprende anche l’assenza di provvedimenti quali le informative antimafia, adottate sul presupposto della presenza di elementi sintomatici da cui dedurre la presenza di un pericolo di condizionamento mafioso, la motivazione è manifestamente erronea, dovendo l’Albo Gestori considerare le osservazioni dell’impresa -OMISSIS-, proprio in tema di insussistenza di presupposti per disporre la decadenza dall’iscrizione.

5. Si sono costituiti, nel giudizio n. 5261 del 2018, il Ministero dell'interno, la Prefettura di Milano - Ufficio territoriale del Governo, la Prefettura di Pavia - Ufficio territoriale del Governo e l’Anac – Autorità Nazionale Anticorruzione, che hanno sostenuto l’infondatezza dell’appello.

6. Si è costituito, nel giudizio n. 5262 del 2018, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che ha sostenuto l’infondatezza dell’appello.

7. Nell’appello n. 5262 del 2018 non si è costituito il Ministero dell'interno.

8. Nell’appello n. 5262 del 2018 non si è costituito l'Albo Nazionale Gestori Ambientali – Sezione regionale della Lombardia.

9. Con ord. n.-OMISSIS-è stata respinta l’istanza di sospensione cautelare della sentenza della sez. I del Tar Milano n.-OMISSIS-, presentata con l’appello n. 5261 del 2018.

10. Con ord. n. -OMISSIS-è stata respinta l’istanza di sospensione cautelare della sentenza della sez. I del Tar Milano n.-OMISSIS-, presentata con l’appello n. 5262 del 2018.

11. Alla pubblica udienza del 13 dicembre 2018 le cause sono state trattenute per la decisione.

DIRITTO

1. In via preliminare il Collegio dispone la riunione degli appelli nn. 5261 del 2018 e 5262 del 2018 per connessione soggettiva ed oggettiva, essendo la vicenda conteziosa del primo e del secondo appello connessa alle informative antimafia nei confronti della Impresa individuale -OMISSIS-.

2. Principiando dall’appello n. 5261 del 2018, in punto di fatto va rilevato che alla base dell’informativa antimafia della Prefettura di Milano sono due ordini di ragioni: a) sui terreni ove è noto essere parcheggiati veicoli industriali riconducibili all’attività di movimentazione terra della famiglia mafiosa -OMISSIS-” in diverse occasioni, nel 2007, era parcheggiato “un autocarro locato da -OMISSIS-” e un camion intestato al fratello dell’appellante, -OMISSIS-; b) il padre dell’appellante risulta avere varie vicende penali, mentre uno zio (-OMISSIS-) è sposato con la figlia di -OMISSIS- -OMISSIS-, detto “-OMISSIS-”.

Da questi elementi e dalle risultanze delle indagini compiute dalla Prefettura di Pavia il Prefetto di Milano ha tratto un giudizio prognostico “di qualificata e concreta sussistenza del pericolo di infiltrazione mafiosa nei confronti della ditta -OMISSIS--OMISSIS- Paolo”.

Prima di esaminare i motivi dedotti avverso le due autonome ragioni poste a base dell’informativa, il Collegio ritiene utile richiamare i principi consolidati elaborati dal giudice amministrativo sulla informativa antimafia, perché utili a smentire, in fatto e in diritto, i motivi dedotti in appello.

La Sezione (13 aprile 2018, n. 2231; 30 marzo 2018, n. 2031; 7 febbraio 2018, n. 820; 20 dicembre 2017, n. 5978; 12 settembre 2017, n. 4295) ha chiarito che l’interdittiva antimafia costituisce una misura preventiva, volta a colpire l’azione della criminalità organizzata impedendole di avere rapporti con la Pubblica amministrazione, che prescinde dall’accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che, nell’esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con l’Amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia valutati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente.

Come chiarito dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 6 aprile 2018, n. 3, si tratta di provvedimento amministrativo al quale deve essere riconosciuta natura cautelare e preventiva, in un’ottica di bilanciamento tra la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e la libertà di iniziativa economica riconosciuta dall’art. 41 Cost.; costituisce una misura volta – ad un tempo – alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della Pubblica amministrazione. Tale provvedimento, infatti, mira a prevenire tentativi di infiltrazione mafiosa nelle imprese, volti a condizionare le scelte e gli indirizzi della Pubblica amministrazione e si pone in funzione di tutela sia dei principi di legalità, imparzialità e buon andamento, riconosciuti dall’art. 97 Cost., sia dello svolgimento leale e corretto della concorrenza tra le stesse imprese nel mercato, sia, infine, del corretto utilizzo delle risorse pubbliche.

L’interdittiva esclude, dunque, che un imprenditore, persona fisica o giuridica, pur dotato di adeguati mezzi economici e di una altrettanto adeguata organizzazione, meriti la fiducia delle istituzioni (sia cioè da queste da considerarsi come “affidabile”) e possa essere, di conseguenza, titolare di rapporti contrattuali con le predette amministrazioni, ovvero destinatario di titoli abilitativi da queste rilasciati, come individuati dalla legge, ovvero ancora (come ricorre nel caso di specie) essere destinatario di “contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate”.

Ciò preliminarmente chiarito, va aggiunto che la misura interdittiva, essendo il potere esercitato espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull’esistenza della contiguità dell’impresa con organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell’attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificare il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata.

Ha aggiunto la Sezione terza che – pur essendo necessario che siano individuati (ed indicati) idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o possibili collegamenti con le organizzazioni malavitose, che sconsigliano l’instaurazione di un rapporto dell’impresa con la Pubblica amministrazione - non è necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso, potendo l’interdittiva fondarsi su fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario e con l’ausilio di indagini che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo.

Il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato in base al criterio del più “probabile che non”, alla luce di una regola di giudizio, cioè, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, quale è, anzitutto, anche quello mafioso (13 novembre 2017, n. 5214; 9 maggio 2016, n. 1743).

Pertanto, gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione.

Gli elementi raccolti non vanno considerati separatamente, dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata.

La Sezione (7 febbraio 2018, n. 820) ha ancora chiarito che - quanto ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose - l’Amministrazione può dare loro rilievo laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del “più probabile che non”, che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto col proprio congiunto. Nei contesti sociali, in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno della famiglia si può verificare una “influenza reciproca” di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza; una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali), che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della ‘famiglia’, sicché in una ‘famiglia’ mafiosa anche il soggetto, che non sia attinto da pregiudizio mafioso, può subire, nolente, l’influenza del ‘capofamiglia’ e dell’associazione. Hanno dunque rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente esemplificativo, ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne in sede penale) e rilevano le peculiari realtà locali, ben potendo l’Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l’esistenza – su un’area più o meno estesa – del controllo di una ‘famiglia’ e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti (a fortiori se questi non risultino avere proprie fonti legittime di reddito).

3. Applicando i sopradetti principi alla vicenda oggetto dell’attuale contendere i motivi di appello, proposti avverso l’interdittiva, non trovano favorevole esame e le motivazioni della sentenza del Tar devono essere confermate.

Non risulta infatti superato il presupposto su cui, nel caso in esame, si basa l’informativa, e cioè la connessione con la criminalità organizzata, in particolare con la famiglia -OMISSIS-.

Tale vicinanza è stata desunta innanzitutto a seguito di alcuni sopralluoghi, in giorni ed ore differenti presso cantieri siti in -OMISSIS-, -OMISSIS-e -OMISSIS-, dai qiuali è emerso che sui terreni, ove è noto essere parcheggiati veicoli riconducibili all'attività di movimentazione terra della famiglia mafiosa dei -OMISSIS- (relazione DIA del 23 novembre 2013), è stato visto un autocarro della impresa -OMISSIS-.

Tale essendo la situazione in fatto, risulta irrilevante che su tali terreni – di vasta estensione - parcheggiassero numerosi autocarri se tra questi non è provato che non ci fossero anche quelli della famiglia mafiosa dei -OMISSIS-, che svolge, al pari dell’appellante, l’attività economica di movimentazione della terra.

Non è in grado di superare il principio del “più probabile che non” neanche la circostanza che i terreni in questione fossero costituiti da vaste aree con diversi ingressi, con la conseguenza che non sarebbe provato la vicinanza dell’autocarro del -OMISSIS-a quelli della famiglia -OMISSIS-. Ed infatti, ove pure fosse stato provato oltre ogni ragionevole dubbio che i camion in questione fossero posteggiati in aree diverse dello stesso mega posteggio, è comunque ragionevole presumere il controllo su tutta questa zona della famiglia malavitosa.

Come afferma condivisibilmente l’Amministrazione nei propri scritti difensivi, il controllo del territorio effettuato dalle consorterie mafiose è particolarmente rigido ed inflessibile, al punto che è impossibile ipotizzare che una cosca mafiosa possa consentire il parcheggio casuale di un autocarro di una società concorrente accanto ai propri. La consistenza di tale conclusione non muta a seconda se i terreni fossero di proprietà dei -OMISSIS- o da questi locati o semplici parcheggi di terzi.

Né rileva la circostanza che i fatti siano risalenti (2007), atteso che, come si è detto, agli effetti della legittimità dell’interdittiva (nella specie, adottata nel 2014) gli indici rilevatori possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo.

Risulta poi che gli zii di -OMISSIS--OMISSIS-sono: a) -OMISSIS-(già sorvegliato speciale di p.s. con vicende giudiziarie per furto, sequestro di persona a scopo di estorsione e reati di falso, coinvolto nell'operazione -OMISSIS-per associazione di tipo mafioso); b) -OMISSIS--OMISSIS-(sorvegliato speciale di p.s. con precedenti di estorsione e favoreggiamento personale); c) -OMISSIS- -OMISSIS-(diffidato e sorvegliato speciale di p.s., indagato per associazione di tipo mafioso, omicidio premeditato in concorso, reati contro il patrimonio, furto e danneggiamento), coniugato con -OMISSIS--OMISSIS-, figlia di -OMISSIS- -OMISSIS-, detto -OMISSIS-, in atto detenuto, capo dell’omonima ‘ndrina di -OMISSIS-; d) -OMISSIS--OMISSIS-(con precedenti per falsità materiale, uso di atto falso, truffa), coniugato con -OMISSIS-, zia di -OMISSIS-. Quest’ultimo ha rapporti di parentela con esponenti delle ‘ndrine -OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS-e -OMISSIS-ed è affine di terzo grado dello stesso -OMISSIS-.

E’ evidente quindi l’intreccio di legami parenterali con famiglie malavitose: lo zio di -OMISSIS--OMISSIS-è -OMISSIS- -OMISSIS-(diffidato e sorvegliato speciale dí p.s., indagato per associazione di tipo mafioso, omicidio premeditato in concorso, reati contro il patrimonio, furto e danneggiamento), coniugato con -OMISSIS--OMISSIS-, figlia di -OMISSIS- -OMISSIS-. Lo stesso -OMISSIS-è poi affine di terzo grado con -OMISSIS-, che ha rapporti di parentela con esponenti delle ‘ndrine.

L’intreccio familiare descritto assume un rilievo di peso indipendentemente dall’intervenuta assoluzione del padre di -OMISSIS--OMISSIS-che nelle due interdittive di Milano e Pavia risulta colpito da una vicenda penale. A prescindere dal rilievo che di “generica vicenda penale” si parla, in ogni caso i legami parenterali con soggetti legati agli ambienti malavitosi sono tali da costituire ulteriore indice rilevatore di infiltrazioni mafiose

Tutti gli elementi sopra indicati determinano un quadro indiziario tale da giustificare l’impugnata informativa, alla luce del principio, ampiamente argomentato, secondo cui i fatti che l’autorità prefettizia deve valorizzare prescindono dall’atteggiamento antigiuridico della volontà mostrato dai singoli e finanche da condotte penalmente rilevanti, non necessarie per la sua emissione, ma sono rilevanti nel loro valore oggettivo, storico, sintomatico, perché rivelatori del condizionamento che l’organizzazione mafiosa può esercitare sull’impresa, anche al di là e persino contro la volontà del singolo (Cons. St., sez. III, 10 gennaio 2018, n. 97).

Giova aggiungere che la valutazione del pericolo di infiltrazioni mafiose, di competenza del Prefetto, è connotata, per la specifica natura del giudizio formulato, dall'utilizzo di peculiari cognizioni di tecnica investigativa e poliziesca, che esclude la possibilità per il giudice amministrativo di sostituirvi la propria, ma non impedisce ad esso di rilevare se i fatti riferiti dal Prefetto configurino o meno la fattispecie prevista dalla legge e di formulare un giudizio di logicità e congruità con riguardo sia alle informazioni acquisite, sia alle valutazioni che il Prefetto ne abbia tratto (Cons. St., sez. III, n. 820 del 2018; n. 5130 del 2011; n. 2783 del 2004 e n. 4135 del 2006). L'ampia discrezionalità di apprezzamento del Prefetto in tema di tentativo di infiltrazione mafiosa comporta che la sua valutazione sia sindacabile in sede giurisdizionale in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, mentre al sindacato del giudice amministrativo sulla legittimità dell'informativa antimafia rimane estraneo l'accertamento dei fatti, anche di rilievo penale, posti a base del provvedimento (Cons. St. n. 4724 del 2001). Tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che, per giurisprudenza costante, può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati (Cons. St. n. 7260 del 2010).

In conclusione, l’appello n. 5261 del 2018 è infondato, alla luce del principio, ribadito dalla giurisprudenza di questa Sezione (8 marzo 2017, n. 1109; 3 maggio 2016, n. 1743) secondo cui gli elementi di inquinamento mafioso, ben lungi dal costituire un numerus clausus, assumono forme e caratteristiche diverse secondo i tempi, i luoghi e le persone e sfuggono, per l’insidiosa pervasività e mutevolezza, anzitutto sul piano sociale, del fenomeno mafioso, ad un preciso inquadramento, ma essi devono pur sempre essere ricondotti ad una valutazione unitaria e complessiva, che imponga all’autorità e consenta al giudice di verificare la ragionevolezza o la logicità dell’apprezzamento discrezionale, costituente fulcro e fondamento dell’informativa, in ordine al serio rischio di condizionamento mafioso.

4. Con l’appello n. 5262 del 2018 è chiesto, invece, l’annullamento della sentenza della stessa sez. I del Tar Milano n. -OMISSIS-, che ha respinto il ricorso proposto avverso il diniego di rinnovo dell’iscrizione in categoria 4, classe E, presentata dall’Impresa -OMISSIS-, opposto con nota dell'Albo Nazionale Gestori Ambientali – Sezione regionale della Lombardia prot. n.-OMISSIS-ricevuta in data 31 maggio 2017. Ad avviso dell’appellante l’interdittiva antimafia non è una misura di prevenzione di cui all’art. 67, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, cui rinvia l’art. 10, d.m. 3 giugno 2014, n. 120, a sua volta richiamato dal successivo art. 20, comma 1, lett. b, per individuare le cause di cancellazione dall’Albo Gestori Ambientali. L’interdittiva emessa nei suoi confronti rientrerebbe nella valutazione prefettizia sul pericolo di condizionamento mafioso (interdittiva antimafia) e non atterrebbe ad alcuna delle cause di sospensione o decadenza dell’art. 67 del Codice Antimafia, ovvero alla sussistenza di misure di prevenzione.

L’assunto non è suscettibile di positiva valutazione, ma prima di esaminarne le ragioni va dichiarata inammissibile, in accoglimento dell’eccezione sollevata dall’appellata, la memoria depositata dall’appellante il 12 novembre 2018, avendo introdotto questioni nuove rispetto a quelle prospettate nell’atto di appello, nel quale non sono proposti vizi di illegittimità derivata dall’asserita illegittimità delle interdittive della Prefettura di Milano e di Pavia, oggetto dell’appello n. 5261 del 2018.

Passando al merito, nel confermare quanto già chiarito in sede cautelare (ord. n.-OMISSIS-), le informative interdittive sono applicabili anche ai provvedimenti di tipo abilitativo-autorizzativo, nei quali rientra l’iscrizione all'albo Nazionale Gestori Ambientali. Tale iscrizione abilita, infatti, l’operatore economico allo svolgimento di attività individuate nel d.m. n. 120 del 2014.

Contrariamente a quanto affermato dall’appellante sono perfettamente applicabili i principi espressi dalla Sezione con la sentenza n. 1109 dell’8 marzo 2018, secondo la quale la disciplina dettata dal d.lgs. n. 159 del 2011 (c.d. codice delle leggi antimafia) consente l’applicazione delle informazioni antimafia anche ai provvedimenti a contenuto autorizzatorio.

La tendenza del legislatore muove infatti, in questa materia, verso il superamento della rigida bipartizione e della tradizionale alternatività tra comunicazioni antimafia, applicabili alle autorizzazioni, e informazioni antimafia, applicabili ad appalti, concessioni, contributi ed elargizioni.

Nel richiamare gli ampi stralci della sentenza riportati dal giudice di primo grado a supporto delle conclusioni alle quali è pervenuto, in questa sede è sufficiente ricordare che il sistema così delineato, che risponde a valori costituzionali ed europei di preminente interesse e di irrinunciabile tutela, non attenua le garanzie che la tradizionale ripartizione tra le comunicazioni e le informazioni antimafia prima assicurava, consentendo alle sole comunicazioni antimafia, emesse sulla base di un provvedimento di prevenzione definitivo adottato dal Tribunale con tutte le garanzie giurisdizionali, di precludere l’ottenimento di licenze, autorizzazioni o di qualsivoglia provvedimento, comunque denominato, per l’esercizio di attività imprenditoriali (art. 67, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 159 del 2011).

L’ordinamento positivo in materia, dalla legge-delega al cd. “Codice antimafia” sino alle più recenti integrazioni di quest’ultimo, ha voluto apprestare, per l’individuazione del pericolo di infiltrazione mafiosa nell’economia e nelle imprese, strumenti sempre più idonei e capaci di consentire valutazioni e accertamenti tanto variegati e adeguabili alle circostanze, quanto variabili e diversamente atteggiati sono i mezzi che le mafie usano per cercare di moltiplicare i loro illeciti profitti. Nella ponderazione degli interessi in gioco, tra cui certo quello delle garanzie per l’interessato da una misura interdittiva è ben presente, non può pensarsi che gli organi dello Stato contrastino con “armi impari” la pervasiva diffusione delle organizzazioni mafiose che hanno, nei sistemi globalizzati, vaste reti di collegamento e profitti criminali quale “ragione sociale” per tendere al controllo di interi territori.

Le conclusioni alle quali è pervenuta la Sezione con la sentenza n. 1109 del 2017 sono state confermate dal Giudice delle leggi (sentenza 18 gennaio 2018, n. 4) secondo cui “indipendentemente da quale fosse l’ambito riservato dal legislatore all’informazione e alla comunicazione antimafia anteriormente al d.lgs. n. 159 del 2011, non sussisteva alcun ostacolo logico o concettuale, che imponesse di circoscrivere gli effetti dell’informazione antimafia alle attività contrattuali della pubblica amministrazione. Nel contesto normativo di cui al d.lgs. n. 159 cit. e sulla base della legge delega n. 136 del 2010, nulla autorizza quindi a pensare che il tentativo di infiltrazione mafiosa, acclarato mediante l’informazione antimafia interdittiva, non debba precludere anche le attività ulteriori rispetto ai rapporti contrattuali con la Pubblica amministrazione”.

Alla luce delle ragioni esposte, il primo motivo di appello deve essere respinto.

5. Anche il secondo motivo non è suscettibile di positiva valutazione atteso che, per le ragioni già argomentate, una volta verificata l’esistenza in capo all’impresa -OMISSIS-di una informativa antimafia il diniego di iscrizione all’Albo Gestori Ambientali costituiva atto dovuto, a fronte delle interdittive antimafia impugnate ma non sospese e, dunque, pienamente efficaci.

6. Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c.. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati, infatti, dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.

7. In conclusione, per i suesposti motivi, gli appelli nn. 5261 del 2018 e 5262 del 2018 devono respinti e vanno, dunque, confermate le sentenze del Tar che hanno respinto i ricorsi di primo grado.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza),

definitivamente pronunciando sugli appelli nn. 5261 del 2018 e 5262 del 2018, come in epigrafe proposti: a) li riunisce; b) li respinge.

Condanna l’appellante alle spese e agli onorari dei giudizi, che vengono liquidate in complessivi € 3.000,00 a favore di tutte le parti costituite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 dicembre 2018 con l'intervento dei magistrati:

Franco Frattini, Presidente

Massimiliano Noccelli, Consigliere

Pierfrancesco Ungari, Consigliere

Stefania Santoleri, Consigliere

Giulia Ferrari, Consigliere, Estensore

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Giulia Ferrari Franco Frattini
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO

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