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Consiglio di Stato, Sez. V, 4/3/2019 n. 1457
Sulla modificabilità della misura della penalità di mora in sede di chiarimenti al giudice dell'ottemperanza

Vanno rimesse all'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato le seguenti questioni:
1) se e in quali termini sia possibile in sede di c.d. "ottemperanza di chiarimenti" modificare la statuizione relativa alla penalità di mora contenuta in una precedente sentenza d'ottemperanza;
2) se e in che misura la modifica di detta statuizione possa incidere sui crediti a titolo di penalità già maturati dalla parte beneficiata.


Materia: giustizia amministrativa / processo
Pubblicato il 04/03/2019

N. 01457/2019 REG.PROV.COLL.

N. 08959/2017 REG.RIC.           

REPUBBLICA ITALIANA

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL'ADUNANZA PLENARIA

sul ricorso numero di registro generale 8959 del 2017, proposto da


Real Fettuccina F.C. società sportiva dilettantistica, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Simone Ciccotti, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Lucrezio Caro, 62;


contro

Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Luigi D'Ottavi, con domicilio digitale come da pec da Registri di giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via del Tempio di Giove, 21;

per la richiesta di chiarimenti nell’ottemperanza

della sentenza del Consiglio di Stato - sez. V n. 06698/2011 e dell'ordinanza collegiale del Consiglio di Stato - sez. V n. 5641/2018 rese tra le parti


Visti il ricorso in ottemperanza già proposto dalla Real Fettuccina F.C. società sportiva dilettantistica;

Visto il ricorso per chiarimenti proposto dal commisario ad acta e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 7 febbraio 2019 il Cons. Alberto Urso e uditi per le parti gli avvocati Simone Ciccotti e Luigi D'Ottavi;


1. Il giudizio ha ad oggetto la richiesta di chiarimenti avanzata dal commissario ad acta in relazione alle modalità d’esecuzione dell’ordinanza n. 5641 del 2 ottobre 2018 della Sezione, resa a sua volta per l’ottemperanza della sentenza n. 6688 del 20 dicembre 2011 e della successiva ordinanza n. 2324 del 16 maggio 2017, con particolare riguardo all’adempimento dell’obbligo di pagamento della penalità di mora stabilita a carico di Roma Capitale dalla detta sentenza n. 6688 del 2011.

2. Ai fini di un miglior inquadramento dell’oggetto del giudizio si riassumono di seguito i termini della controversia e i precedenti pronunciamenti intervenuti su di essa.

I) L’oggetto della controversia e le precedenti decisioni

3. Con sentenza n. 1134 del 25 febbraio 2009 questa Sezione, in parziale riforma della sentenza del Tribunale amministrativo per il Lazio n. 10656 del 30 ottobre 2007, confermava l’annullamento della determinazione dirigenziale del Comune di Roma n. 25239 del 27 settembre 2006 di approvazione della graduatoria della gara per l’individuazione del soggetto concessionario di impianto sportivo sito nel parco di Tor di Quinto, settore A e - in accoglimento dell’appello incidentale proposto dalla Real Fettucina - ordinava la riedizione della valutazione delle offerte da parte di una commissione diversamente composta e con l’esclusione della concorrente “Due Ponti” società sportiva dilettantistica a r.l., già risultata aggiudicataria in forza del provvedimento annullato.

La gara controversa, bandita dal Comune con avviso pubblico del 21 settembre 2005, n. 812, aveva a oggetto la concessione per la durata di trentatré anni di un compendio immobiliare di estensione di circa 30.000 mq, destinato a campi sportivi polifunzionali, a un canone indicato nell’avviso di € 95.000,00 annui, da corrispondersi in forma di servizio di manutenzione del verde su aree individuate dall’amministrazione comunale.

3.1. A fronte della parziale inerzia del Comune di Roma, il quale ritardava nel portare a compimento la valutazione delle offerte e la conclusione delle operazioni di gara per l’affidamento del compendio immobiliare, con una prima decisione d’ottemperanza resa su istanza della Real Fettuccina (sentenza n. 3205 del 21 maggio 2010) veniva ordinato al Comune il completamento entro il termine di sessanta giorni dell’iter procedurale imposto dalla pronuncia n. 1134 del 2009, previa esclusione dalla selezione dell’offerta della “Due Ponti”, venendo altresì nominato un commissario ad acta per l’ipotesi del perdurare dell’inottemperanza dell’amministrazione.

3.2. Persisteva ciò nondimeno l’inadempimento dell’amministrazione che, pur completando la procedura di gara con sua aggiudicazione in favore della Real Fettuccina, adottava successivo provvedimento di revoca e si asteneva dall’immettere la Real Fettuccina nella disponibilità del bene.

Per questo, con decisione n. 6688 del 20 dicembre 2011 su nuovo ricorso della Real Fettuccina per l’attuazione della sentenza n. 1134 del 2009, la Sezione ordinava al Comune di adottare, entro il termine di trenta giorni, tutti gli atti necessari a garantire alla ricorrente l’effettiva disponibilità dell’area interessata ai fini dell’esercizio delle attività oggetto della concessione.

La sentenza stabiliva inoltre, in caso di perdurante inottemperanza del Comune, l’applicazione di una penalità di mora a norma dell’art. 114, comma 4, lett. e), Cod. proc. amm. nella misura di € 300,00 per ciascun giorno di ritardo rispetto al termine fissato.

Per l’ipotesi di prolungamento dell’inottemperanza, la stessa sentenza prevedeva inoltre un meccanismo di progressivo incremento dell’entità della penale “nella misura del 50%, ogni quindici giorni, con riferimento alla base data dall’importo progressivamente rideterminato”, cosicché “in caso di perdurante inadempimento allo spirare dei quindici giorni iniziali, la sanzione [sarebbe stata] computata, per i quindici giorni successivi, nella misura di 450 euro (300+150) mentre [sarebbe divenuta] di 675 (450+225) nei quindici giorni ancora posteriori e così via seguitando”.

3.3. Anche a seguito di tale sentenza il Comune rimaneva inadempiente, omettendo di attribuire alla Real Fettuccina la disponibilità del bene pur dopo la scadenza di trenta giorni dalla notifica della sentenza, avvenuta il 30 dicembre 2011; tale inerzia dell’amministrazione proseguiva peraltro - come accertato dall’ordinanza n. 2356 del 2017 (su cui v. infra, al § 3.4) - sino alla data del 17 giugno 2013.

3.4. In relazione alla sentenza n. 6688 del 2011 il Comune formulava peraltro richiesta di chiarimenti a norma dell’art. 112, comma 5, Cod. proc. amm., e a ciò faceva seguito l’ordinanza n. 2324 del 16 maggio 2017 - resa successivamente a istruttoria, disposta con ordinanza n. 4925 del 23 novembre 2016, sulle attività poste in essere dalle parti per l’esecuzione della sentenza - con cui il Collegio indicava due elementi per la precisazione del contenuto dell’obbligo di corresponsione della penalità: ai fini della determinazione del quantum occorreva far riferimento, quale limite minimo, alla somma offerta in transazione dallo stesso Comune, pari a € 675.000,00; e ai fini del massimo, doveva qualificarsi come imputabile al Comune il solo ritardo maturato sino alla data del 17 giugno 2013, allorché il Comune aveva avviato lo sgombero dell’area a beneficio della Real Fettuccina, che ingiustificatamente ne aveva rifiutato la presa in consegna. Di qui l’esclusione di ulteriori somme titolo di penalità a carico dell’amministrazione successivamente a tale data.

3.5. Con successivo ricorso in ottemperanza, la Real Fettuccina agiva per l’attuazione della sentenza (essa stessa d’ottemperanza) n. 6688 del 2011, nonché dell’ordinanza di chiarimenti n. 2324 del 2017, in relazione all’obbligo del Comune di corrispondere l’importo maturato quale penalità di mora, non avendovi l’amministrazione spontaneamente provveduto.

Con ordinanza n. 5641 del 2 ottobre 2018, il Collegio nominava un commissario ad acta perché eseguisse in luogo dell’amministrazione il pagamento delle somme dovute, e precisava altresì l’importo massimo della penale, pari a € 15.000.000,00, “avendo la parte ricorrente espressamente limitato a tale ultima somma la propria pretesa”.

II) Il ricorso per chiarimenti di cui il Collegio è investito

4. Con il presente ricorso il commissario ad acta nominato con l’ordinanza n. 5641 ha investito il Collegio di richiesta di chiarimenti in relazione al compito demandatogli.

Egli ha rappresentato di aver ricevuto nota con la quale l’Avvocatura di Roma Capitale evidenziava la necessità che l’importo della penale fosse contenuto - in osservanza del principio della domanda, di cui agli artt. 99 e 112 Cod. proc. civ. - entro la misura di € 1.027,00 a giorno, tale essendo l’effettiva richiesta avanzata dalla Real Fettuccina nel giudizio d’ottemperanza poi definito con la sentenza n. 6688. Roma Capitale deduceva inoltre, ai fini della quantificazione dell’entità della somma dovuta, l’indispensabile applicazione dei principi affermati dall’Adunanza plenaria con decisione n. 15 del 25 giugno 2014.

5. A seguito del ricorso per chiarimenti entrambe le parti si sono costituite in giudizio insistendo, rispettivamente, la Real Fettuccina “nella richiesta di sollecitare il Commissario a porre in esecuzione il titolo negli esatti termini precettivi che lo qualificano”; Roma Capitale nella domanda di impartire “gli opportuni chiarimenti al Commissario ad acta alla luce del giudicato di ottemperanza formatosi sulla sentenza n. 6688/11 e comunque all’interno dell’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 114 c.p.a.”.

6. Sulla discussione delle parti come da verbale la causa è stata trattenuta in decisione.

III) La situazione di fatto riveniente dall’attuazione della sentenza n. 6688 del 2011 così come precisata dalle ordinanze n. 2324 del 2017 e n. 5641 del 2018

L’esecuzione della sentenza d’ottemperanza n. 6688 applicando senz’altro i meri parametri aritmetici di cui vi si fa menzione, così come precisati dalle successive ordinanze n. 2324 e 5641, condurrebbe oggi a un risultato pratico la cui anomalia per eccesso chiunque non può mancare di rilevare.

La formula matematica posta dalla sentenza - con previsione d’una penalità per ritardo pari a € 300,00 a giorno, aumentata nella misura del 50% con cadenza quindicinale da applicare sulla base progressivamente incrementata - darebbe luogo a fronte del ritardo complessivamente maturato a un importo, calcolato dalla stessa Real Fettuccina avendo a riferimento gli estremi temporali già definiti da questo Consiglio, pari all’iperbolica cifra di oltre 7,5 miliardi di Euro (cfr. calcolo excelsub doc. 4 dep. 16 gennaio 2019). Il che eccede manifestamente da ogni relazione rispetto al ritardo dell’adempimento (poi avvenuto in data 17 giugno 2013, allorquando il Comune avviò le procedure di sgombero dell’area ai fini della consegna alla Real Fettuccina, che ingiustificatamente ne rifiutò l’immissione in possesso: v. in proposito l’ordinanza n. 2324 del 2017, sub punti 4.2 e 4.3).

In conseguenza della spontanea e unilaterale rinuncia da parte della Real Fettuccina, tale cifra è stata limitata dall’ordinanza n. 5641 del 2018 alla somma di € 15 milioni. Ma si tratta di somma anch’essa assai ragguardevole, tanto più se paragonata al parametro - utile a orientare la valutazione, anche traendo spunto dall’art. 614-bis, comma 2, Cod. proc. civ. - del valore della concessione, che, sulla base all’avviso d’indizione della procedura di gara del 21 settembre 2005, prevedeva un canone annuo pari a € 95.000,00, da corrispondere in forma di manutenzione del verde, per la durata di complessivi trentatré anni.

Risulta evidente l’abnormità del risultato concreto che viene collegato alla misura impartita dalla sentenza Cons. Stato, V, 20 dicembre 2011, n. 6688.

6.1. Proprio muovendo dal carattere paradossale del risultato, difficilmente giustificabile tanto in termini sistematici, quanto nella prospettiva funzionale degli interessi sostanziali coinvolti, occorre porsi alcuni interrogativi - di carattere generale - sulla natura della penalità di mora e del provvedimento giudiziale che ne dispone l’applicazione.

Registrandosi su tali questioni, per il tramite della presente ordinanza, un attuale e comunque potenziale contrasto di giurisprudenza fra decisioni di questo Consiglio di Stato, il Collegio ritiene necessario investirne l’Adunanza plenaria a norma dell’art. 99, comma 1, Cod. proc. amm., nei termini di seguito chiariti.

IV) Natura, funzione e limiti della penalità di mora alla luce dei principi elaborati dalla decisione n. 15 del 25 giugno 2014 dell’Adunanza plenaria

7. Chiamata a pronunciarsi sull’ammissibilità della comminatoria di penalità di mora ai sensi dell’art. 114, comma 4, lett. e), Cod. proc. amm. in caso di ricorso per l’ottemperanza di sentenze di condanna al pagamento di somme di danaro, Cons. Stato, Ad. plen., 25 giugno 2014, n. 15 ha esposto alcune regole sulla natura e la ratio dell’istituto.

7.1. In particolare, la decisione ha posto in risalto come la penalità sia riconducibile a una misura coercitiva indiretta a carattere pecuniario, inquadrabile nell’ambito delle pene private o delle sanzioni civile indirette, volta a vincere la resistenza del debitore per indurlo ad adempiere all’obbligo sancito a suo carico dalla decisione del giudice.

L’istituto - in origine estraneo all’ordinamento processuale italiano - ha il suo antecedente prossimo nell’art. 614-bis (Misure di coercizione indiretta)Cod. proc. civ. - introdotto nel processo civile di esecuzione dall’art. 49, comma 1, l. 18 giugno 2009, n. 69, poi mod. dall’art. 131, comma 1, lett. cc-ter), d.l. 27 giugno 2015, n. 83, conv., con modd., dalla l. 6 agosto 2015, n. 132- seppur con differenze evidenziate dalla detta sentenza dell’Adunanza plenaria. La sua collocazione concettuale risponde al modello di matrice francese delle astreintes, quale strumento di coercizione indiretta, pecuniario, disposto dal giudice affinché l’obbligato, sotto quella comminatoria, adempia all’obbligo impostogli dalla sentenza di cognizione.

7.2. La natura strumentale e sanzionatoria della misura (che mira non a compensare il pregiudizio cagionato dalla mancata esecuzione della sentenza ma a sanzionare l’inosservanza alla statuizione giudiziaria e così indurre il debitore all’adempimento: cfr. anche la ricordata Cons. Stato, V, 20 dicembre 2011, n. 6688) ne esclude la funzione riparatoria. La sua funzione infatti è tutta deterrente e di prevenzione del protrarsi dell’inadempimento (Cons. Stato, IV, 21 agosto 2013, n. 4216; V, 15 luglio 2013, n. 3781; III, 30 maggio 2013, n. 2933; VI, 6 agosto 2012, n. 4523). Il che rende in ipotesi cumulabile la penalità - intesa a sanzionare il mero fatto della disobbedienza all’ordine del giudice – con, su domanda dell’interessato, l’eventuale risarcimento del danno alla parte vincitrice che dal ritardo conseguente all’inottemperanza ha subìto un detrimento economico.

7.3. Così, in particolare, nel processo amministrativo siffatta penalità di mora riveste mere finalità compulsorie, e si affianca - in termini di prevenzione, contemperamento, rinforzo o cumulo - alla definitiva misura surrogatoria propria del processo amministrativo di ottemperanza, vale a dire la nomina di un commissario ad acta.

Ne discende che la penalità di mora può essere disposta anche in relazione a decisioni di condanna dell’amministrazione a prestazioni pecuniarie.

8. Entro tale contesto, la rammentata sentenza dell’Adunanza plenaria ha indicato i limiti per l’applicazione dell’istituto: un lato la manifesta iniquità della misura, dall’altro la sussistenza di «altre ragioni ostative», quest’ultime modulate sulla natura pubblica del debitore, con particolare riferimento “alle difficoltà nell’adempimento collegate a vincoli normativi e di bilancio, allo stato della finanza pubblica e alla rilevanza di specifici interessi pubblici” (cfr. in proposito anche Cons. Stato, IV, 13 aprile 2016, n. 1444).

V) Controllo sui limiti all’applicazione della penalità di mora e modificabilità della decisione che la dispone: il contrasto potenziale di giurisprudenza

9. Considerati i principi di diritto così enunciati dall’Adunanza plenaria, nel presente giudizio rileva la questione dei limiti - di proporzionalità, congruenza e ragionevolezza – immanenti in via generale all’ordinamento e comunque intrinseci all’applicazione specifica della penalità di mora in caso di sua manifesta iniquità rispetto all’oggetto o al valore concreti della controversia, ovvero per altre ragioni ostative.

S’è sopra evidenziato, in proposito, il risultato abnorme – patentemente eccedente ogni giusta proporzione - cui si giungerebbe nell’applicare al caso in esame la penalità di mora limitando il calcolo alla stretta formula indicata dalla sentenza d’ottemperanza n. 6688 del 2011.

È fuor di dubbio che un’astreinte della misura di € 15 milioni - per non menzionare l’importo di 7,5 miliardi di Euro cui dovrebbe pervenirsi, il quale non assume qui rilievo solo per effetto della volontaria non pretesa della Real Fettuccina – sfugge ampiamente, visto anche il valore della concessione (bene della vita oggetto sostanziale dell’originaria pretesa) a qualsiasi criterio di interpretatio prudens della misura, di ragionevolezza e di equità sostanziale; e incontra inoltre plurime “ragioni ostative” - di sostenibilità del bilancio comunale, dell’esigenza di evitare eccessive locupletazioni o sanzioni eccessivamente afflittive - all’applicazione della penalità negli stretti termini aritmetici esposti dalla sentenza n. 6688.

10. Si pone dunque la questione - che è oggetto principale della presente rimessione all’Adunanza plenaria - di quali siano gli strumenti e i termini del controllo giudiziale circa la «non manifesta iniquità» e l’insussistenza di «altre ragioni ostative» nell’applicazione della penalità di mora a norma dell’art. 114, comma 4, lett. e), Cod. proc. amm..

Si tratta più in particolare di chiarire – quale punto di diritto che ha dato e può dar luogo a contrasti giurisprudenziali (art. 99, comma 1, Cod. proc. amm.) - se tale controllo debba avvenire nella sola fase di comminatoria della misura, senza che poi più possa il giudice intervenire alla luce di modalità e tempi di avvenuto adempimento e di altri fatti sopravvenuti, a causa di una cristallizzazione della decisione in una sorta di giudicato intangibile; oppure se la misura possa, per dette o altre ragioni, essere poi ridefinita, in fase di attuazione, attraverso lo strumento - come nella specie si domanda - dei chiarimenti sulle modalità d’ottemperanza o altre forme.

In questa seconda ipotesi, si pone un ulteriore quesito – che del pari rileva ai fini della presente questione – circa la portata degli effetti della pronuncia modificativa: segnatamente, in ordine alla possibilità che la revisione della misura possa avere effetto anche retroattivo, incidendo – in ragione dell’avvenuta soddisfazione dell’interessato e delle sue modalità - sul debito già maturato per via delle pregresse violazioni, inosservanze o ritardi dell’amministrazione.

11. In relazione a tali questioni si ravvisa la necessità di un intervento nomofilattico sul punto di diritto esposto, che può dar luogo a contrasti giurisprudenziali; contrasti che comunque già nel contesto della presente vicenda hanno avuto manifestazione.

11.1. Questa Sezione, chiamata a pronunciarsi sulla richiesta di chiarimenti proposta dal Comune di Roma, ha infatti già esaminato alcune delle questioni rimesse dal commissario ad acta (cfr. ordinanza n. 2324 del 2017). L’ordinanza sottolineava la “peculiarità della situazione”, osservando - in relazione agli strumenti di controllo del giudice dell’ottemperanza, in particolare alla funzione del ricorso per chiarimenti ex art. 112, comma 5, Cod. proc. amm. - che “la dedotta esorbitanza/iniquità del calcolo della penalità di mora, costituente un limite applicativo ai sensi dell’art. 114, comma 4, lett. e), non avrebbe altro strumento per essere tutelata, a parte la revocazione, nei limiti in cui sia ravvisabile un errore di fatto revocatorio (art. 395 n. 4 del cod. proc. civ.). Soluzione, questa, non coerente con il sistema, specie ove si consideri che l’irrogazione della penalità di mora è sottoposta a limiti nei presupposti e nella determinazione dell’importo (a questo secondo riguardo essendo comunque applicabili i parametri stabiliti dall’art. 614-bis del cod. proc. civ.)”.

Nondimeno, l’ordinanza riteneva ammissibile il rimedio della richiesta di chiarimentinel suo (solo) contenuto propriodi strumento volto ad ottenere precisazioni e delucidazioni su punti del decisum ovvero sulle concrete e precise modalità di esecuzione”, escludendo che con quel mezzo potessero “essere introdotte ragioni di doglianza volte a modificare e/o integrare il proprium delle statuizioni rese […], nel caso di specie, con la sentenza di ottemperanza (ma lo stesso discorso potrebbe farsi con riguardo ad una sentenza di merito)”.

11.2. Di fronte alla questione del possibile difetto di tutela al cospetto di un’astreinte divenuta manifestamente iniqua, l’ordinanza escludeva che un rimedio potesse rinvenirsi nei chiarimenti in sede d’ottemperanza ex art. 112, comma 5, Cod. proc. amm., perché questi non possono modificare il contenuto della sentenza d’ottemperanza (Cons. Stato, IV, 17 dicembre 2018, n. 7089; 3 marzo 2015, n. 1036; VI, 19 ottobre 2018, n. 5978; 21 marzo 2018, n. 2103).

12. Di diverso avviso è invece questo Collegio, che ritiene non inammissibile una revisione, in sede di chiarimenti, del capo della sentenza d’ottemperanza che abbia imposto una siffatta penalità di mora. Sicché il controllo sulla – eventualmente sopravvenuta - manifesta iniquità e sull’insussistenza di altre ragioni ostative all’astreinte o alla sua misuraresta immanente al concreto divenire del processo di ottemperanza e va fattivamente assicurato, pur in fase di applicazione della misura, mediante lo strumento dei chiarimenti ex artt. 112, comma 5, e 114, comma 7, Cod. proc. amm..

Nel senso appena indicato pare al Collegio deponga più d’un argomento.

12.1. La sentenza Cons. Stato, Ad plen., 15 gennaio 2013, n. 2 ha evidenziato la natura composita e a formazione progressiva (su cui cfr. Cons. Stato, V, 17 luglio 2015, n. 3587) del giudizio d’ottemperanza, nel cui ambito convergono azioni diverse, “talune riconducibili alla ottemperanza come tradizionalmente configurata; altre di mera esecuzione di una sentenza di condanna pronunciata nei confronti della Pubblica Amministrazione; altre ancora aventi natura di cognizione, e che, in omaggio ad un principio di effettività della tutela giurisdizionale, trovano nel giudice dell’ottemperanza il giudice competente, e ciò anche a prescindere dal rispetto del doppio grado di giudizio di merito”.

In particolare, spetta al giudice dell’ottemperanza l’attuazione delle sentenze o altri provvedimenti equiparati (art. 112, comma 2, Cod. proc. amm.), con poteri di ampiezza tale che impediscono “di ricondurre la natura dell’azione a quella di una mera azione di esecuzione”; la condanna al pagamento di somme per rivalutazione e interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza (art. 112, comma 3, Cod. proc. amm.), assorbita dall’azione in ottemperanza perché relativa ad “obbligazioni accessorie di obbligazioni principali, in ordine alle quali si è già pronunciata una precedente sentenza”; il risarcimento dei danni da impossibilità o comunque mancata esecuzione in forma specifica del giudicato (art. 112, comma 3, Cod. proc. amm.), irrogabile dal giudice dell’ottemperanza per economia processuale ed effettività della tutela giurisdizionale; la declaratoria di nullità di atti emanati in violazione o elusione del giudicato (art. 114, comma 4, Cod. proc. amm.) “sia al fine di ottenere - eliminato il diaframma opposto dal provvedimento dichiarato nullo - l’attuazione della sentenza passata in giudicato, sia per ottenere il risarcimento dei danni connessi alla predetta violazione o elusione del giudicato”.

In questo contesto di azioni e competenze, ha spazio autonomo la previsione delle misure di coercizione indiretta in questione, per cui la legge attribuisce al giudice dell’ottemperanza di fissare, su domanda di parte, «la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del giudicato» (art. 114, comma 4, lett. e), Cod. proc. amm.).

12.2. Ritiene il Collegio che, in questo composito quadro di competenze e poteri del giudice dell’ottemperanza, la statuizione di una penalità di moravada considerata alla stregua di una misura strumentale di amministrazione dell’esecuzione della sentenza ottemperanda, vale a dire di misura solo “soggettivamente” giurisdizionale, come tale estranea alla funzione propria del ius dicere e dunque non passibile di formare un autentico giudicato: perciò la misura disposta non resta intangibile, com’è invece proprio delle statuizioni passate in giudicato.

La statuizione sull’astreinte non attiene infatti alla res controversa, né come petitum né come causa petendi. Essa risulta per questo estranea - sotto il profilo accertativo - alla res iudicata sostanziale (art. 2909 Cod. civ.). Esclusa la natura risarcitoria della penalità e il suo carattere di reintegrazione patrimoniale, e circoscrittane la funzione a mero strumento occasionale d’induzione alla realizzazione dell’adempimento, non è rinvenibile nella statuizione alcun effettivo momento d’accertamento giudiziale, cui possa seguire l’autorità di giudicato. Non vi è infatti una cognizione su menomazioni patrimoniali da compensare o reintegrare, ma solo una valutazione di scelta del mezzo più congruente (l’astreinte) rispetto al fine (l’effettiva ottemperanza della sentenza), in luogo della nomina del commissario ad acta. Analogamente a quella misura massima, surrogatoria, anche la più lieve astreinte è dunque revocabile e modificabile.

12.3. Sotto altro profilo, la stessa decisione che impone la penalità non pare comunque assimilabile al giudicato d’ottemperanza stricto sensu, perché è una misura accessoria, dal carattere meramente sanzionatorio, introdotta dal giudice dell’ottemperanza, al fine del pieno e corretto adempimento degli obblighi prescritti dalla sentenza di cognizione.

12.4. In ragione di ciò, l’imposizione dell’astreinte non sottende un accertamento con forza di giudicato, né corrisponde a un provvedimento giurisdizionale definitivo propriamente detto. Al contrario, poggia su una contingente valutazione d’opportunità, tutta interna al già strumentale processo di ottemperanza, nel rapporto fra mezzo e fine: tanto che si concretizza in una mera sanzione per il perdurare dell’inottemperanza. È naturale conseguenza di tutto ciò che la vicenda della misura possa seguire le vicende dell’adempimento cui è strumentale, sicché possa essere modificata al mutare delle circostanze di fatto (e di diritto) inerenti l’adempimento della decisione ottemperanda. Non è ius dicere, ma solo uso occasionale di una risorsa disponibile per meglio realizzare il precetto contenuto dalla sentenza di cognizione e così raggiungere sollecitamente l’obiettivo pratico di conformare la situazione di fatto alla situazione di dichiarato diritto.

12.5. In questa prospettiva, le sopravvenienze alla statuizione, che già sono idonee a incidere sul contenuto concreto degli obblighi dell’amministrazione in relazione ai tratti di attività discrezionale lasciati impregiudicati dalla sentenza e relativi a situazioni giuridiche durevoli (Cons. Stato, Ad. plen., 9 giugno 2016, n. 11), ben possono rilevare anche per la determinazione – e l’adattamento - del contenuto delle misure sanzionatorie prima disposte dal medesimo giudice dell’ottemperanza.

Una volta chiarita la natura solo strumentale e sanzionatoria dell’astreinte, del resto, parrebbe irragionevole al Collegio negarne la modificabilità al variare delle circostanze postene a fondamento (cfr. in proposito, sui provvedimenti di amministrazione pubblica del diritto privato del giudice ordinario nell’esercizio della volontaria giurisdizione, l’art. 742 Cod. proc. civ.); tanto più allorché, come nel caso in esame, le conseguenze pratiche dell’applicazione della misura diano luogo a risultati economici manifestamente sproporzionati, incongrui, irragionevoli.

13. In questo contesto si colloca il cennato tema della retroattività della revisione o modifica della disposta astreinte: se cioè si possa incidere anche sul periodo pregresso, così travolgendo il credito a titolo di penalità già maturato in favore dell’interessato.

Le medesime ragioni illustrate a sostegno della possibilità di mutare il precetto sanzionatorio (retro, sub §§ 12-12.5) conducono ad affermare che la revisione possa esplicare effetti anche rispetto al passato, secondo la prudente valutazione del giudice dell’ottemperanza, con il solo limite dell’irretroattività in peius della misura (in applicazione del generale principio del divieto di applicazione retroattiva di precetti afflittivi, che rifluisce nell’inutilizzabilità dello strumento dell’astreinte per gli inadempimenti pregressi dell’amministrazione: cfr. Cons. Stato, IV, 14 maggio 2015, n. 2444; 22 maggio 2014, n. 2653).

In tale prospettiva, all’intervenuto mutamento delle circostanze poste alla base della valutazione sanzionatoria del giudice, l’entità della penalità può ben formare oggetto di riconsiderazione ove siffatto mutamento ne dimostri, anche per quanto concerne il passato, l’eccessività.

13.1. In senso inverso non conclude la circostanza che la statuizione della penalità è titolo esecutivo; né che l’applicazione retroattiva della modifica andrebbe a incidere su diritti già maturati.

Di fronte infatti a una sopravvenuta «manifesta iniquità» o altra «ragione ostativa» lo stesso presupposto genetico della misura risulta compromesso, travolgendo in radice la ragione del credito (o della sua entità) e la sua conseguente esigibilità (cfr. in proposito, in termini comparativi e pur con le evidenti differenze rispetto all’astreinte, i poteri giudiziali ex art. 1384 Cod. civ. circa la riduzione della clausola penale, esercitabili anche d’ufficio nei termini indicati da Cass., SS.UU., 13 settembre 2005, n. 18128).

14. Alla luce di quanto osservato, ritiene il Collegio che il controllo sulla sopravvenuta, manifesta iniquità e la sussistenza di altre ragioni ostative alla penalità di mora possa avvenire, oltreché in sede di statuizione, altresì nella fase di attuazione della penalità, anche con effetti rispetto al passato, con l’unico limite del divieto di applicare retroattivamente misure maggiormente afflittive.

14.1. Strumento idoneo a consentire siffatto controllo appare la risposta ai chiarimenti in sede d’ottemperanza a norma degli artt. 112, comma 5, e 114, comma 7, Cod. proc. amm..

14.2. Al di là della contrapposizione di vedute sulla natura dell’istituto - qualificato da alcune decisioni in termini di mero incidente sulle modalità d’esecuzione del giudicato, privo dei requisiti di azione o domanda in senso tecnico (Cons. Stato, III, 19 gennaio 2018, n. 358; V, 6 settembre 2017, n. 4232; IV, 30 novembre 2015, n. 5409; 15 dicembre 2014, n. 6151; 17 settembre 2014, n. 4722), da altre quale azione autonoma volta all’accertamento dell’esatto contenuto della sentenza (Cons. Stato, V, 7 settembre 2015, n. 4141; IV, 17 dicembre 2012, n. 6468; per l’indicazione delle diverse posizioni, cfr. Cons. Stato, IV, 9 aprile 2018, n. 2141) - in relazione al contenuto dell’astreinte è la natura amministrativa della statuizione originaria a consentirne la revisione in sede di chiarimenti.

VI) Conclusioni e formulazione del quesito

15. In conclusione, ritiene il Collegio che situazioni quali quella emergente nel caso in esame, in cui l’entità della penalità di mora pervenga a dimensioni di manifesta iniquità o di contrarietà ad altre ragioni ostative, meritino l’indicata soluzione.

15.1. Conferma indiretta dell’anomalia di tali situazioni si ricava peraltro dalla stessa giurisprudenza maturata intorno all’istituto della penalità di mora, segnatamente sui rapporti fra penalità e nomina del commissario ad acta, dalla quale si ritrae indirettamente la necessità - pena l’alterazione del significato dell’astreinte - che i presupposti di non manifesta iniquità e assenza di condizioni ostative permangano anche nella fase dell’attuazione della misura sanzionatoria.

Condivisibile giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ritiene infatti che l’astreinte costituisca mezzo di coercizione indiretta nel tempo in cui l’amministrazione debitrice permane nella mera condizione di inadempiente con propri mezzi: dunque, dalla pronuncia dell’ordine di ottemperanza alla nomina del commissario ad acta. Ma, una volta intervenuta la surrogatoria nomina del commissario ad acta, “diviene irragionevole ritornare alla più contenuta astreinte” (cfr. Cons. Stato, V, 27 novembre 2018, n. 6724).

15.2. L’assunto, che riflette l’immanente principio di utilità, presuppone la maggior efficacia e miglior attitudine satisfattiva del diretto strumento surrogatorio - perché in grado di attribuire direttamente il bene della vita - rispetto all’indiretto strumento sanzionatorio. Implicito postulato di tale predicato è tuttavia che la penalità di mora perduri in misura non iniqua. Diversamente si giungerebbe al paradosso che potrebbe divenire ben più locupletante la maturazione dell’astreinte rispetto al conseguimento dello stesso bene della vita, e cioè la soddisfazione dell’oggetto del petitum sostanziale della originaria domanda giudiziale. E non pare dubbio che, in una siffatta ipotesi, ci si troverebbe di fronte ad un sostanziale arricchimento senza causa generato da un atto del giudice.

È evidente l’effetto distorsivo di un tale meccanismo; per cui è necessario rinvenire all’interno dell’ordinamento processuale la soluzione a situazioni di manifesta iniquità o sussistenza d’altre ragioni ostative all’applicazione dell’astreinte che venissero in rilievo dopo la statuizione sanzionatoria. Non può trovare protezione da parte dell’ordinamento un rimedio compulsorio che nella realtà pratica ed economica viene a porsi come più prezioso dello stesso bene della vita reclamato in giustizia, divenendo un’occasione straordinaria e senza ragione d’ingiustificato arricchimento per l’interessato.

16. Alla luce di quanto s’è osservato, per questo Collegio la soluzione alle questioni emerse riposa nella revisione, in sede di chiarimenti ex artt. 112, comma 5, e 114, comma 7, Cod. proc. amm., della misura sanzionatoria precedentemente disposta - sulla base di diversi presupposti fattuali (o giuridici) - con eventuale efficacia correttiva in bonam partem anche per il passato.

17. Come accennato, non avendo l’astreinte natura risarcitoria, la revisione nulla sottrarrebbe al risarcimento degli eventuali danni, secondo le regole sue proprie, per il ritardo nell’adempimento.

18. Conclusivamente, stante il ravvisato contrasto di giurisprudenza, il Collegio deferisce il ricorso all’esame dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ai sensi dell'art. 99, comma 1, Cod. proc. amm., in relazione ai quesiti di seguito formulati:

1) se e in quali termini sia possibile in sede di c.d. “ottemperanza di chiarimenti” modificare - anche alla luce dei principi di diritto affermati da Cons. Stato, Ad. plen., 25 giugno 2014, n. 15 - la statuizione relativa alla penalità di mora contenuta in una precedente sentenza d’ottemperanza;

2) se e in che misura la modifica di detta statuizione possa incidere sui crediti a titolo di penalità già maturati dalla parte beneficiata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, ne dispone il deferimento all'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.

Manda alla segreteria della sezione per gli adempimenti di competenza, e, in particolare, per la trasmissione del fascicolo di causa e della presente ordinanza al segretario incaricato di assistere all'Adunanza plenaria.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 febbraio 2019 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Umberto Realfonzo, Consigliere

Raffaele Prosperi, Consigliere

Stefano Fantini, Consigliere

Alberto Urso, Consigliere, Estensore

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Alberto Urso Giuseppe Severini
 
 
 

IL SEGRETARIO



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