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TAR Lazio, Sez. III, 26/4/2019 n. 5327
Rimessione alla Corte di giustizia Ue sulla qualificazione giuridica di Poste Italiane s.p.a. e sull’estensione dell’obbligo di svolgere procedure contrattuali ad evidenza pubblica

Vanno rimesse alla Corte di Giustizia dell'Ue le seguenti questioni:
1) se la società Poste Italiane s.p.a., in base alle caratteristiche in precedenza indicate, debba essere qualificata “organismo di diritto pubblico”, ai sensi dell’art 3, comma 1, lettera d) del d.lgs. n. 50 del 2016 e delle direttive comunitarie di riferimento (2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE);

2) se detta società sia tenuta a svolgere procedure contrattuali ad evidenza pubblica solo per l’aggiudicazione degli appalti, che siano direttamente riferibili all’attività propria dei settori speciali, di cui alla direttiva 2014/25/UE, in applicazione della quale la stessa natura di organismo di diritto pubblico dovrebbe ritenersi assorbita nelle regole della parte II° del Codice degli appalti, con piena autonomia negoziale – e regole esclusivamente privatistiche – per l’attività contrattuale non attinente, in senso stretto, a tali settori, tenuto conto dei principi dettati dalla direttiva 2014/23/UE, punto n. 21 delle premesse e art. 16 (Cass. SS.UU. n. 4899 del 2018 cit. e, per l’ultima parte, Cons. Stato, Ad. Plen., n. 16 del 2011 cit.);

4) se la medesima società, per i contratti da ritenere estranei alla materia, propria dei settori speciali, resti invece – ove in possesso dei requisiti di organismo di diritto pubblico – soggetta alla direttiva generale 2014/24/UE (e quindi alle regole contrattuali ad evidenza pubblica), anche ove svolgente – in via evolutiva rispetto all’originaria istituzione – attività prevalentemente di stampo imprenditoriale e in regime di concorrenza, come desumibile dalla ricordata pronuncia n. C-393/06 del 10 aprile 2008 – Ing. Aigner, ostando ad una diversa lettura la direttiva 2014/24/UE, per contratti conclusi da Amministrazioni aggiudicatrici; il “considerando” n. 21 e l’art. 16 della citata direttiva 2014/23/UE, d’altra parte, pongono solo un parametro presuntivo, per escludere la natura di organismo di diritto pubblico per le imprese, che operino in condizioni normali di mercato, essendo comunque chiaro, in base al combinato disposte delle medesime disposizioni, il prioritario riferimento alla fase istitutiva dell’Ente, ove quest’ultimo sia destinato a soddisfare “esigenze di interesse generale” (nel caso di specie sussistenti e non ancora cessate);

5) se comunque, in presenza di uffici in cui si svolgono, promiscuamente, attività inerenti al settore speciale e attività diverse, il concetto di “strumentalità” – rispetto al servizio di specifico interesse pubblico – debba essere inteso in modo non restrittivo (come sinora ritenuto dalla giurisprudenza nazionale, in conformità alla ricordata pronuncia n. 16 del 2011 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato), ostando, a quest’ultimo riguardo, i principi di cui al “considerando” n. 16, nonché gli articoli 6 e 13 della direttiva 2014/25/UE, che richiamano – per l’individuazione della disciplina applicabile, il concetto di “destinazione” ad una delle attività, disciplinate dal Codice dei contratti pubblici. Deve essere chiarito, pertanto, se possano essere “destinate” al settore speciale di riferimento – anche con le modalità vincolistiche attenuate, proprie dei settori esclusi – tutte le attività funzionali al settore stesso, secondo le intenzioni della stazione appaltante (ivi compresi, pertanto, i contratti inerenti la manutenzione sia ordinaria che straordinaria, la pulizia, gli arredi, nonché i servizi di portierato e di custodia degli uffici, o altre forme di utilizzo di questi ultimi, se intese come servizio per la clientela), restando effettivamente privatizzate solo le attività “estranee”, che il soggetto pubblico o privato può esercitare liberamente in ambiti del tutto diversi, con disciplina esclusivamente riconducibile al codice civile e giurisdizione propria del giudice ordinario (di quest’ultimo tipo ad esempio, per quanto qui interessa, è certamente il servizio bancario svolto da Poste Italiane, ma non altrettanto potrebbe dirsi con riferimento alla fornitura e all’utilizzo degli strumenti di comunicazione elettronica, se posti al servizio dell’intero ambito di attività del Gruppo, pur essendo particolarmente necessari appunto per l’attività bancaria). Non sembra peraltro inutile sottolineare lo “sbilanciamento”, indotto dall’interpretazione restrittiva attualmente prevalente, introducendosi nella gestione di settori assimilabili o contigui regole totalmente diverse, per l’affidamento di lavori o servizi: da una parte, le minuziose garanzie imposte dal Codice dei contratti per l’individuazione dell’altro contraente, dall’altra la piena autonomia negoziale dell’imprenditore, libero di operare contrattazioni in funzione esclusiva dei propri interessi economici, senza alcuna delle garanzie di trasparenza, richieste per i settori speciali e per quelli esclusi;

6) se infine l’indizione – con le forme di pubblicità previste a livello sia nazionale che comunitario – di una procedura di gara ad evidenza pubblica, a norma del codice degli appalti, possa rilevare ai fini dell’individuazione dell’area di destinazione dell’appalto, ovvero dell’attinenza di quest’ultimo al settore speciale di riferimento, in senso conforme all’ampliata nozione di “strumentalità”, di cui al precedente quesito n. 5), ovvero – in via subordinata – se l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, sollevata dallo stesso soggetto che abbia indetto tale procedura di gara, o da soggetti che a detta procedura abbiano vittoriosamente partecipato, possa considerarsi abuso del diritto ai sensi dell’art. 54 della Carta di Nizza, quale comportamento che – pur non potendo incidere, di per sé, sul riparto di giurisdizione (cfr. anche, sul punto, Cons. Stato, Ad. Plen., n. 16 del 2011 cit.) – rileva quanto meno ai fini risarcitori e delle spese di giudizio, poichè lesivo del legittimo affidamento dei partecipanti alla gara stessa, ove non vincitori e ricorrenti in sede giurisdizionale.

Materia: appalti / disciplina

Pubblicato il 26/04/2019

N. 05327/2019 REG.PROV.COLL.

N. 13888/2018 REG.RIC.           

REPUBBLICA ITALIANA

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 13888 del 2018, integrato da motivi aggiunti, proposto da


 

Irideos S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pier Filippo Giuggioli, con domicilio digitale come da PEC risultante dai Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dello stesso in Roma, viale Bruno Buozzi, 99;


 

contro

Poste Italiane S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Francesco De Leonardis, con domicilio digitale come da PEC tratta dai Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via Cola di Rienzo 212; 

nei confronti

Fastweb S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Luca Tufarelli e Mario Di Carlo, con domicilio digitale come da PEC tratta dai Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via E.Q. Visconti, 20; 
Tim S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Francesco Saverio Marini, con domicilio digitale come da PEC tratta dai Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via di Villa Sacchetti n. 9; 

per l'annullamento

Per quanto riguarda il ricorso introduttivo:

- del provvedimento con il quale Poste Italiane S.p.A. comunicava in data 22/10/2018 a IRIDEOS S.p.A. l'aggiudicazione del Lotto 1 della gara recante “Appalto ai sensi del D.lgs. 50/2016 - Procedura aperta in modalità telematica per i Servizi di Telecomunicazione in ambito metropolitano ad alta velocità in fibra ottica in tecnologia DWDM (MAN)” alla società Fastweb S.p.A.; nonché del provvedimento con il quale Poste Italiane S.p.A. comunicava in data 22/10/2018 a IRIDEOS S.p.A. l'aggiudicazione del Lotto 2 della gara recante “Appalto ai sensi del D.lgs. 50/2016 - Procedura aperta in modalità telematica per i Servizi di Telecomunicazione in ambito metropolitano ad alta velocità in fibra ottica in tecnologia DWDM (MAN)” alla società Tim S.p.A.;

- del provvedimento assunto da Poste Italiane in data 16/11/2018 avente ad oggetto “Accesso agli atti. Procedura aperta in modalità telematica per i servizi di Telecomunicazioni in ambito metropolitano ad alta velocità in fibra ottica e tecnologia DWDM (MAN)” con cui Poste Italiane comunicava ad IRIDEOS S.p.A. l'accoglimento parziale dell'istanza di accesso dalla medesima formulata;

- di tutti gli atti presupposti, consequenziali e connessi, ancorché non conosciuti e, in particolare, per quanto occorrer possa (i) il Capitolato Speciale d’Oneri nella parte in cui, all’art. 2, indica le modalità di aggiudicazione della gara e i criteri di valutazione delle offerte nonché (ii) l’Allegato B alla Lex Specialis di Gara recante “Griglia di Risposta Tecnica” nonché (iii) le opposizioni all’accesso agli atti delle contro interessate, al momento non conosciute;

e per l’accertamento

- del diritto della ricorrente all’ostensione ed estrazione integrale di copia dei documenti richiesti con istanza in data 22/10/2018;

- del diritto della ricorrente, che ne ha interesse, al subentro nel contratto medio tempore eventualmente stipulato dall’Amministrazione in esecuzione dei provvedimenti impugnati, previa dichiarazione di inefficacia dello stesso ai sensi e per gli effetti degli artt. 121 e 122 c.p.a.-;

- del danno ingiusto subito dalla ricorrente, da risarcirsi in forma specifica ovvero, subordinatamente, per equivalente, secondo quanto specificato in corso di giudizio;

e per la condanna

- dell’Amministrazione a consentire l’accesso nei termini accertati;

- dell’Amministrazione al risarcimento nei termini accertati in corso di giudizio.

Per quanto riguarda il ricorso incidentale presentato da TIM S.P.A. il 17\12\2018

per l’annullamento

della lex specialis e degli atti della «Procedura aperta in modalità telematica per i “Servizi di Telecomunicazioni in ambito metropolitano ad alta velocità in fibra ottica in tecnologia DWDM (MAN)”» indetta da Poste Italiane S.p.a. con bando in GUUE – S.70 dell’11.4.2018 (doc. 1), e in particolare:

a) del Par. 2 del Capitolato Speciale D’Oneri (CSO) – Parte I (Modalità di aggiudicazione);

b) del Par. 3.2 (Requisiti facoltativi a punteggio) e del Par. 4 (Modalità di aggiudicazione) del Capitolato Tecnico;

c) dell’All. B al CSO (Griglia di risposta tecnica);

d) di tutti i Verbali delle operazioni di gara.

E per la conseguente condanna di Poste Italiane S.p.A. alla riedizione della gara, previa presentazione di nuove offerte.

Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da IRIDEOS S.P.A. il 17\12\2018 :

per l’annullamento

- del verbale di gara n. 8 della seduta del 27 settembre 2018, nella quale la Commissione giudicatrice procedeva all'assegnazione dei punteggi tecnici (doc. 10 del ricorso introduttivo);

- del verbale di gara n. 9 della seduta del 1 ottobre 2018, nella quale la Commissione giudicatrice procedeva all'assegnazione dei punteggi economici ed all'aggiudicazione del primo e secondo posto in graduatoria provvisoria rispettivamente a Fastweb S.p.A. e Tim S.p.A., ed, allo stesso tempo, rilevava che entrambe le offerte risultavano anormalmente basse (doc. 11 del ricorso introduttivo);

- del verbale di gara n. 2 della seduta del 20 giugno 2018, nella quale la Commissione giudicatrice riteneva doveroso chiedere dei chiarimenti alle controinteressate in merito ai provvedimenti di AGCOM e ACCOM, da un lato, e di ANAC dall'altro, emessi rispettivamente nei confronti di Fastweb S.p.A. e Tim S.p.A. (doc. 13),

- del verbale di gara n. 3 della seduta del 4 luglio 2018, nella quale la Commissione giudicatrice riteneva completo ed esaustivo quanto prodotto da Tim S.p.A, e Fastweb S.p.A. in merito ai suddetti provvedimenti (doc. 14);

- del verbale di gara n. 11 della seduta del 15 ottobre 2018, nella quale la Commissione giudicatrice riteneva congrue le risposte fornite dalle controinteressate in merito alle offerte ritenute anormalmente basse (doc. 15);

- di tutti gli atti presupposti, consequenziali e connessi, ancorché non conosciuti, avverso i quali si formula espressa riserva di presentare ricorso per motivi aggiunti;


 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto il ricorso incidentale, proposto da TIM s.p.a.;

Visti tutti gli atti della causa:

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Poste Italiane S.p.A., di Fastweb S.p.A. e di Tim S.p.A.;

Visto l'art. 73, co. 3, cod. proc. amm.;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 marzo 2019 la dott.ssa Gabriella De Michele e uditi per le parti l'Avv. T. Alfonso in sostituzione dell'Avv. P. F. Giuggioli per la società ricorrente, l'Avv. F. De Leonardis per la resistente Poste Italiane s.p.a., l'Avv. U. Corea in sostituzione dell'Avv. F. S. Marini per la società controinteressata TIM s.p.a. e l'Avv. M. Di Carlo per l’altra controinteressata Fastweb s.p.a.;

Considerato in fatto e in diritto quanto segue:


 

FATTO

Con ricorso n. 13888, notificato il 21 novembre 2018 e depositato il successivo giorno 29 novembre, la società Irideos s.p.a. impugnava gli atti della gara, indetta da Poste Italiane s.p.a. – “ai sensi del d.lgs. n. 50 del 2016” – per servizi di telecomunicazione in ambito metropolitano ad alta velocità in fibra ottica con tecnologia DWDM (MAN). Detti servizi erano articolati in due componenti: predisposizione di una rete, volta a consentire la trasmissione dei dati ad alta velocità tra i siti di Poste Italiane di Roma e di Pomezia, nonché la fornitura degli apparati DWDM, necessari per l’implementazione dei servizi stessi. Alle componenti sopra indicate corrispondevano due lotti di uguale valore, per l’ammontare complessivo di €. 10.220.000,00, con prescritta presentazione di offerta per ogni singolo lotto, ma conclusiva formazione di un’unica graduatoria.

Nell’impugnativa – prioritariamente indirizzata avverso l’aggiudicazione del lotto 1 alla società Fastweb s.p.a. e del lotto 2 alla società Tim s.p.a. – si contestavano, in particolare, i parametri di valutazione dell’offerta tecnica, in base ad una formula che prevedeva l’attribuzione di punteggi per fasce, con riferimento al numero di giorni offerto dall’operatore per l’esecuzione del servizio. Le modalità applicative della formula in questione, tuttavia, avrebbero implicato l’attribuzione del punteggio massimo a chiunque avesse offerto di realizzare il progetto in meno di 45 giorni, annullando di fatto il criterio di scelta, basato sulla rapidità di realizzazione dell’intervento, di modo che tutti gli operatori in gara ottenevano il massimo punteggio – pari a 70 – pur avendo la ricorrente offerto tempi di esecuzione pari a 21 giorni, contro i 44 delle società controinteressate.

In tale contesto, la gara sarebbe stata aggiudicata, in pratica, solo in base all’offerta economica, essendo stato reso irrilevante il ribasso sui tempi di realizzazione (in contrasto con l’art. 2 del capitolato speciale d’oneri, che assegnava – per l’individuazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa – un peso percentuale del 30% all’offerta economica e del 70% all’offerta tecnica). Per quanto sopra, dette modalità applicative avrebbero dovuto ritenersi erronee, oppure – se conformi alla legge di gara – avrebbero evidenziato il carattere manifestamente irragionevole e contraddittorio di quest’ultima. L’intera procedura era quindi censurata, con ricorso e successivi motivi aggiunti di gravame, per violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili.

Le società controinteressate, costituitesi in giudizio, si opponevano alle argomentazioni della ricorrente – Tim s.p.a. anche con ricorso incidentale, finalizzato, in caso di accoglimento del primo ordine di censure, alla riedizione della gara – in quanto correttamente la stazione appaltante avrebbe stabilito delle fasce temporali, all’interno delle quali sarebbe stato riconosciuto un determinato punteggio (uguale, per quanto interessa nel caso di specie, per chiunque avesse indicato un termine inferiore a 45 giorni, variando il medesimo punteggio solo ove le offerte si fossero collocate in fasce diverse).

L’altra controinteressata – Fastweb s.p.a. – con memoria depositata il 18 dicembre 2018 sottolineava come il capitolato mirasse ad aggiudicare la fornitura al concorrente, che si fosse proposto di realizzare il progetto non nel minore tempo possibile, ma in un tempo ritenuto ottimale, con esecuzione coerente delle varie parti della fornitura. Inoltre, i servizi di cui trattasi sarebbero stati acquisiti dall’Ente Poste s.p.a. “nell’ambito del processo di digitalizzazione e modernizzazione” quale “valore aggiunto per l’innovazione e la digitalizzazione del Paese”, senza stretta attinenza con i servizi postali in sé e, quindi, in un ambito estraneo ai “settori speciali”, di cui all’art. 120 del d.lgs. n. 50 del 2016.

La scelta di assoggettare l’appalto alla disciplina dell’evidenza pubblica, pertanto, non sarebbe stata necessaria: l’infrastruttura di telecomunicazione di cui trattasi, infatti, si porrebbe a supporto delle varie attività del Gruppo Poste, con regime giuridico proprio delle attività, cui l’infrastruttura stessa deve ritenersi principalmente destinata, come previsto dall’art. 5, paragrafo 5, dall’art. 6, paragrafo 2 e dal “considerando” n. 16 della Direttiva 2014/25/UE: non certo, quindi, con prioritario riferimento al servizio postale, incidente solo per il 30% sul fatturato di Poste Italiane. La volontaria opzione della stazione appaltante non sarebbe stata, d’altra parte, sufficiente per determinare la giurisdizione amministrativa, risultando più volte affermata dalla giurisprudenza la cognizione del Giudice Ordinario per le controversie, non rientranti specificamente nel settore speciale e non potendo definirsi Poste Italiane s.p.a. come organismo di diritto pubblico, poiché operante in condizioni normali di mercato, ricercando il profitto e sostenendo perdite.

Poste Italiane s.p.a., a sua volta costituitasi in giudizio, controdeduceva ampiamente in ordine alla ragionevolezza e alla legittimità del suddivisione del punteggio per fasce temporali, nonché sull’assenza, per la ricorrente Irideos, di intervenute ragioni per la proposizione di motivi aggiunti di gravame, con conseguente inammissibilità degli stessi. Il ricorso incidentale subordinato, proposto da TIM s.p.a., infine, avrebbe fornito “ulteriore prova dell’inconsistenza della ricostruzione proposta da Irideos”, postulando l’annullamento di prescrizioni di gara, il cui effettivo contenuto era stato ben compreso da tutti i partecipanti, ad eccezione della ricorrente.

Nella camera di consiglio del 14 gennaio 2019, con ordinanza n. 143/19 l’istanza cautelare veniva accolta, sul prioritario presupposto del pari punteggio, assegnato ad offerte “notevolmente differenti”, anche per “contraddittorietà intrinseca, non intellegibilità e difetto di chiarezza delle disposizioni della lex specialis”.

Successivamente (19 febbraio 2019) anche Tim s.p.a. sollevava eccezione di difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo, dovendo ritenersi soggette alla disciplina dell’evidenza pubblica solo le procedure contrattuali concernenti, in senso stretto, i servizi postali (raccolta, smistamento, trasporto e distribuzione di invii postali, nonché servizi di gestione precedenti e successivi all’invio).

Il difetto di giurisdizione sarebbe confermato dall’art. 10 del d.lgs. n. 50 del 2016, che – in conformità all’art. 7 della Direttiva 2014/24/UE – esclude dall’ambito di applicazione del Codice gli appalti riconducibili ad una “amministrazione aggiudicatrice che fornisce servizi postali”, con riferimento a “servizi speciali connessi a strumenti elettronici ed effettuati interamente per via elettronica, compresa la trasmissione sicura per via elettronica di documenti codificati, servizi di gestione degli indirizzi e trasmissione della posta elettronica registrata”.

Anche l’art. 15 del medesimo d.lgs. n. 50 , in conformità all’art. 8 della Direttiva 2014/24/UE, esclude l’applicazione del Codice per gli appalti “principalmente finalizzati a permettere alle amministrazioni aggiudicatrici la messa a disposizione o la gestione di reti pubbliche di telecomunicazione, o la prestazione al pubblico di uno o più servizi di comunicazioni elettroniche”.

A sua volta, l’art. 8 del Codice degli Appalti – in conformità all’art. 13 della Direttiva 2014/25/UE – esclude dal proprio ambito di applicazione lo svolgimento dell’attività di servizio postale, “se l’attività è direttamente esposta alla concorrenza”.

Alla luce della relativa evoluzione, inoltre, il gestore del servizio postale non potrebbe più essere definito “Organismo di diritto pubblico”, mancando ormai il requisito teleologico del “soddisfacimento di esigenze a carattere generale, aventi carattere non industriale o commerciale”.

Ove pure, poi, tale natura giuridica dovesse essere riconosciuta, l’obbligatoria percorrenza delle procedure ad evidenza pubblica sarebbe esclusa dai già richiamati articoli 8, 10 lettera b) e 15 del d.lgs. n. 50 del 2016; anche per gli organismi di diritto pubblico, infine, dette procedure si imporrebbero solo per forniture e servizi, strettamente attinenti ai settori speciali (Cass. SS.UU., n. 4899 del 2018).

Si chiedeva peraltro che – ove il giudice adito dubitasse delle tesi interpretative sopra sintetizzate – lo stesso investisse della questione la Corte di Giustizia UE, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE).

Con memoria conclusiva, depositata il 18 febbraio 2019, Poste Italiane ribadiva i propri assunti sulla legittimità del criterio di suddivisione dei tempi di consegna per fasce, sulla correttezza della formula matematica utilizzata e sull’adeguatezza dell’accesso agli atti, accordato alla parte ricorrente. Nessuna argomentazione difensiva dell’Ente investiva, invece, la questione pregiudiziale di giurisdizione, in effetti sollevata dalle sole società controinteressate e, su tale base, la causa è passata in decisione.

DIRITTO

E’ sottoposta all’esame del Collegio una procedura di gara aperta, da svolgere in modalità telematica, indetta – con bando pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea-s.70 in data 11 aprile 2018 – per “Servizi di telecomunicazione per il Gruppo Poste Italiane in ambito metropolitano ad alta velocità in fibra ottica, con tecnologia DWDM (MAN)”.

Detti servizi risultano finalizzati – come chiarito nella memoria di costituzione della società Poste Italiane s.p.a. – alla realizzazione di una rete informatica, per la trasmissione sicura e veloce dei dati fra le diverse sedi dell’Ente, attraverso l’utilizzo di una particolare tecnologia di telecomunicazione – Dense Wavelenght Division Multiplexing (DWDM) – che consente la trasmissione, sulla stessa fibra ottica, di più segnali a diverse lunghezze d’onda in modo indipendente, con possibilità di aumentare la quantità di banda, fruibile sullo stesso canale di fibra ottica e conseguente possibilità di incremento della quantità dei dati trasmessi.

Tale realizzazione avrebbe carattere “di estrema importanza e urgenza”, in particolare poiché ricompresa all’interno del “Piano di rientro in materia di compliance e sicurezza”, concordato dalla società Poste Italiane s.p.a. con la Banca d’Italia, a seguito di accertamenti condotti da quest’ultima sulla funzione Bancoposta.

Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene di non potersi esimere dal valutare compiutamente la questione di giurisdizione, sollevata dalle società controinteressate (Fastweb s.p.a. e TIM s.p.a.), tenuto conto del carattere di assoluta priorità della questione stessa, poiché riferita alla “potestas iudicandi” – ovvero alla titolarità del potere decisionale – di questo giudice, quale presupposto processuale di ogni ulteriore determinazione (Cons. Stato, sez. V, 5 dicembre 2013, n. 5786; TAR Veneto, sez. I, 29 gennaio 2019, n. 113).

Su tale questione, rappresentata nell’ottica di un generalizzato non assoggettamento di Poste Italiane s.p.a. al codice degli appalti – per contratti non riconducibili al servizio postale in senso stretto – sono già stati prospettati alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con ordinanza collegiale n. 7778 del 12 luglio 2018, dubbi di conformità alla normativa comunitaria, sulla base delle direttive vigenti e di precedenti pronunce della medesima Corte.

Nella situazione in esame, tuttavia, entrano in discussione problematiche più ampie, di cui il medesimo Collegio deve farsi carico e che giustificano, pertanto, una nuova ordinanza, solo in parte reiterativa di quella sopra citata.

Deve infatti essere valutata, in primo luogo, l’attinenza dell’oggetto contrattuale in esame non tanto ai settori, attualmente definiti “speciali” e disciplinati dagli articoli 114 e seguenti del codice dei contratti pubblici (d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, Parte II, Titolo VI, Capo I), quanto piuttosto ai settori che continuano a definirsi “esclusi….dall’ambito di applicazione oggettiva” del medesimo codice (d.lgs. cit., Parte I, Titolo II, articoli 4 e seguenti), ma il cui affidamento deve comunque avvenire – ex art. 4 cit., sostanzialmente riproduttivo dell’art. 27 del precedente codice degli appalti, approvato con d.lgs. n. 163 del 2006 – “nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica”.

Le ragioni della parziale deroga – suscettibile di nuova disciplina positiva col trascorrere del tempo, come avvenuto per gli odierni settori speciali (a loro volta, in precedenza, definiti “esclusi”) – sono di svariata natura: da una diversa disciplina globale, al riguardo dettata, ad una maggiore autonomia organizzativa riconosciuta all'Amministrazione, fino a peculiari esigenze di mercato, in particolare sotto il profilo della concorrenza; nel caso di specie, il settore in questione è quello delle comunicazioni elettroniche, definito escluso dall’art. 15 del d.lgs. n. 50 del 2016, in conformità agli articoli 7 e 8 della direttiva 2014/24/UE e, di per sé, oggetto della direttiva quadro per reti e servizi di comunicazione elettronica 2002/21/CE.

L’attinenza della procedura di gara di cui trattasi ad un settore formalmente “escluso”, ma non “estraneo” al codice degli appalti, tuttavia, non incide sulla giurisdizione del giudice amministrativo, implicando l’art. 4 del d.lgs. n. 50 del 2016 – come già l’art. 27 del d.lgs. n. 163 del 2006 – una procedura negoziata, idonea ad assicurare il rispetto dei criteri enunciati, a fronte dei quali sussistono interessi legittimi, rimessi in via generale alla cognizione del predetto giudice (cfr. anche, per il principio, Corte Cost., 6 luglio 2004, n. 204); deve considerarsi devoluta al giudice ordinario, invece, l’attività contrattuale esclusivamente privatistica, posta in essere da soggetti, in alcun modo tenuti alle regole dell’evidenza pubblica (cfr. in tal senso, dopo alcune originarie oscillazioni giurisprudenziali, Cons. Stato, Ad. Plen., 1 agosto 2011, n. 16; Cons. Stato, sez. VI, 16 luglio 2015, n. 3571; Cons. Stato, sez. IV, 9 novembre 2015, n. 5091; TRGA del Trentino Alto Adige, sezione autonoma di Bolzano, 24 ottobre 2013, n. 299; TAR Lombardia, Milano, sez. I, 28 luglio 2008, n. 3048; TAR Lazio, Roma, sez. II, 5 marzo 2014, n. 2550).

Non è, dunque, l’oggetto contrattuale in sé (anche ove escluso dall’integrale applicazione delle norme codicistiche) che può sottrarre la controversia in esame alla giurisdizione del giudice amministrativo, ma – seguendo l’impostazione della citata pronuncia n. 16 del 2011 dell’Adunanza Plenaria, nonché della successiva giurisprudenza consolidata – deve accertarsi al riguardo che la gara non sia indetta da un’Amministrazione aggiudicatrice (comunque tenuta al rispetto dei principi del Trattato a tutela della concorrenza), ovvero – in presenza di una stazione appaltante che abbia carattere di impresa pubblica (o di soggetto privato titolare di un diritto di esclusiva) e operi nei settori speciali – che la gara stessa sia “strumentale”, in rapporto a tali settori.

Nella situazione in esame, pertanto, il Collegio ritiene che la questione pregiudiziale sollevata richieda i seguenti accertamenti (il cui esito, in base alla giurisprudenza nazionale, comporta dubbi di conformità alla normativa comunitaria, nei termini più avanti chiariti):

I) natura giuridica di Poste Italiane s.p.a., tenuto conto dell’evoluzione intervenuta nel settore dei servizi postali, effettuati in sempre più ampio regime di concorrenza;

II) definizione del concetto di “strumentalità”, in base al quale va delimitato l’ambito applicativo degli articoli 114 e seguenti del Codice dei contratti pubblici, fino a circoscrivere la stessa area di cognizione del giudice amministrativo (quanto meno per le imprese che, secondo l’indirizzo prevalente, non abbiano natura di organismo di diritto pubblico);

III) valutazione del legittimo affidamento dei partecipanti ad una gara, indetta per mero autovincolo in settori da ritenere estranei alle regole dell’evidenza pubblica, o soltanto esclusi dall’integrale applicazione del Codice dei contratti, ma non anche dei relativi principi.

Per quanto riguarda la questione, di cui al precedente punto I, molti temi sono già stati trattati da questo Tribunale nell’ordinanza collegiale n. 7778 del 12 luglio 2018, i cui termini essenziali vengono di seguito riprodotti.

Al riguardo va sottolineato, in primo luogo, come la natura di organismo di diritto pubblico sia ampiamente trattata, per l’Ente in questione, nelle identiche (sotto il profilo in questione) pronunce dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nn. 13, 14, 15 e 16 del 2016, a cui pure si fa rinvio.

L’individuazione di detto organismo, in effetti, è affidata dal d.lgs. n. 50 del 2016 – art. 3, comma 1, lettera c) – ai seguenti parametri (immutati rispetto alla disciplina previgente):

1) finalizzazione specifica della relativa istituzione, per il soddisfacimento di esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale;

2) possesso di personalità giuridica (senza distinzioni fra natura pubblica o privata della stessa);

3) attività finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi, oppure il cui organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri, dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico (sul carattere cumulativo di detti requisiti, salvo il carattere esplicitamente alternativo di quelli di cui al punto 3, cfr. Cass. SS.UU. 7 aprile 2010, n. 8225).

Quanto agli “enti aggiudicatori” – di cui al medesimo art. 3 cit., comma 1, lettera e) possono essere tali le “amministrazioni aggiudicatrici” di cui sopra, o le imprese pubbliche che svolgono una delle attività, di cui agli articoli da 115 a 121 del Codice, ovvero che – pur non rientrando fra le predette categorie e, quindi, in via residuale – svolgono le attività, specificate nelle medesime norme sopra citate, “in virtù di diritti speciali o esclusivi, concessi loro dall’autorità competente”; rientrano fra tali attività, a norma dell’art. 120 del medesimo codice, i servizi postali.

Ad avviso del Collegio, la qualificazione di Poste Italiane s.p.a. come organismo di diritto pubblico appare difficilmente confutabile (quanto meno se deve farsi riferimento – come il dato testuale della norma suggerisce – al relativo momento istitutivo).

Detta società è infatti subentrata, con intenti di efficientamento del servizio, alla preesistente amministrazione centrale, nata dopo l’unità d’Italia con legge 5 maggio 1862, n. 604 (cosiddetta riforma postale, che prevedeva offerta di servizi a tariffa unica su tutto il territorio nazionale), assumendo prima forma di ente pubblico economico, poi di società per azioni, in attuazione della legge 29 gennaio 1994, n. 71 (conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 1 dicembre 1993, n. 487, recante trasformazione dell’Amministrazione delle poste e telecomunicazioni in ente pubblico economico e riorganizzazione del Ministero). A norma dell’art. 1, comma 2, del citato d.l. n. 487 del 1993, spetta al Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) deliberare “in ordine alla proprietà ed al collocamento delle partecipazioni azionarie, favorendone la massima partecipazione tra i risparmiatori”. L’attuale società per azioni risulta controllata per una quota pari al. 29,26% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, per il 35% da Cassa Depositi e Prestiti e per la restante quota da investitori privati; la stessa – pur operando, oltre che nel settore dei servizi postali, anche in ambito finanziario, assicurativo e di telefonia mobile, in regime di concorrenza – è in ogni caso tuttora concessionaria del cosiddetto servizio postale universale (che implica la fornitura obbligatoria – con correlativi esborsi statali a parziale copertura degli oneri – di servizi essenziali di consegna di lettere e pacchi, ad un prezzo controllato, a tutti i Comuni italiani, come dimostra il preannuncio di una procedura di infrazione da parte della Commissione Europea, in presenza della decisione di non recapitare più la posta a 4.000 Comuni, in quanto servizio ritenuto non remunerativo; cfr. anche al riguardo Cons. Stato, sez. III, 27 maggio 2014,n. 2720). Quanto sopra ai sensi dell’art. 1 del d.lgs. 22 luglio 1999, n. 261, come modificato dall’art. 1 del d.lgs. 31 marzo 2011, n. 58 (Attuazione della direttiva 97/67/CE, concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio).

Non può non ritenersi, pertanto, che la società in questione, dotata di personalità giuridica, sia stata istituita per soddisfare interessi generali, a carattere non industriale o commerciale, direttamente riconducibili alla libertà di corrispondenza e ad ogni altra forma di comunicazione, garantiti dall’art. 15 della Costituzione e sanciti anche a livello comunitario (requisiti sub 1 e 2 degli organismi di diritto pubblico).

Quanto al concorrente requisito n. 3, va ricordato come all’assetto proprietario di maggioranza – che fa capo al Ministero dell’Economia (ex Ministero del Tesoro), che nomina il Consiglio di Amministrazione – si affianchino il controllo e la vigilanza del Ministero dello Sviluppo Economico (che ha accorpato quello delle Comunicazioni) e della Corte dei Conti; il Collegio dei revisori è composto da tre membri effettivi e tre supplenti, interamente designati dalle medesime Amministrazioni di riferimento (cfr. art. 4 d.l. n. 487/1993 cit). L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) è inoltre competente per l’adozione di provvedimenti regolatori in materia di qualità e caratteristiche del servizio universale, disciplinato peraltro da contratto di programma, in cui controparte del gestore postale è il Ministero dello Sviluppo Economico.

Sussistono dunque, sul piano soggettivo, sufficienti elementi per qualificare la società Poste Italiane come organismo di diritto pubblico, come definito dal già ricordato art. 3, comma 26, del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (ora art. 3, comma 1, lettera “d” del d.lgs. n. 50 del 2016). In termini sostanzialmente conformi, peraltro, si è espressa in più occasioni la giurisprudenza (Cons. Stato, sez. VI, 2 marzo 2001, n. 1206 e 24 maggio 2002, n. 2855; Cons. Stato, sez. III, n. 2720/2014 cit., oltre alle ricordate pronunce dell’Adunanza Plenaria nn. 13, 14, 15 e 16 del 2016.).

Appare d’altra parte evidente come l’elemento fondante dell’organismo di diritto pubblico sia appunto quello, riconducibile alla rilevanza degli interessi generali perseguiti, in rapporto ai quali – anche qualora la gestione fosse produttiva di utili – non può venire meno una funzione amministrativa di controllo, da intendere come possibilità di condizionamento aziendale, anche in termini di scelta maggioritaria degli amministratori, chiamati a perseguire determinati obiettivi di qualità del servizio (in tal senso depone il carattere espressamente disgiunto dei requisiti, di cui al punto “c” del ricordato art. 3, comma 1, lettera “d”, del codice degli appalti: cfr. anche Cass. SS.UU., 7 aprile 2010, n. 8225).

E’ propria dell’Amministrazione, infatti, la cura concreta di interessi della collettività, che lo Stato ritiene corrispondenti a servizi da rendere ai cittadini e che pertanto, anche ove affidati a soggetti esterni all’Apparato amministrativo vero e proprio, debbono comunque rispondere a corretti parametri gestionali, sul piano dell’imparzialità, del buon andamento e della trasparenza. In tale ottica, gli organismi in questione sono ricompresi fra le “amministrazioni aggiudicatrici” e, in quanto tali, vengono richiamati sia nella parte prima che nella parte seconda del Codice, come soggetti tenuti alle regole dell’evidenza pubblica per i propri contratti, di modo che – ove tali contratti, per il relativo oggetto, non rientrino fra quelli riconducibili ai settori speciali – appare ragionevole ritenere che cambi soltanto la specifica normativa di riferimento (dalla parte seconda alla parte prima del Codice), ma non anche l’applicabilità del Codice stesso, estesa, come già ricordato, anche ai settori esclusi: chiarissima, in tal senso, è la già richiamata pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 16 del 2011, che circoscrive la possibilità di concludere contratti – “estranei” a detto Codice e rimessi alla cognizione del giudice ordinario – alle imprese pubbliche. Non diversamente, l’art. 133, comma 1, lettera e), par. 1. del codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104 del 2010) pone fra le materie, oggetto di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, le “controversie relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria, ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale….”.

Un diverso indirizzo, tuttavia, emerge dalla recente ordinanza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 4899, emessa in data 1 marzo 2018 e richiamata nel presente giudizio dalle società controinteressate, a sostegno dell’eccezione di difetto di giurisdizione.

Nell’ordinanza sopra citata si enunciano in sintesi, per quanto qui interessa, i seguenti principi:

a) la società Poste Italiane s.p.a., benchè incaricata dell’espletamento del “servizio postale universale”, è attualmente titolare di attività anche di tipo finanziario, o comunque non attinenti al servizio di consegna della corrispondenza: servizio, anche quest’ultimo, ormai svolto in regime di concorrenza;

b) la direttiva 18/2004/CE avrebbe “espressamente espunto” Poste Italiane s.p.a. dal novero degli organismi di diritto pubblico, stante “l’ormai assodata prevalenza”, nel contesto delle attività svolte, “di quelle esigenze di carattere industriale e commerciale, che la giurisprudenza aveva in passato reputato…non significative agli effetti della riconducibilità della società medesima nell’ambito degli organismi anzidetti. Poste Italiane è stata ora più correttamente ed espressamente configurata quale ente aggiudicatore, ai sensi dell’art. 3, comma 29, e dell’allegato VI F del d.lgs. n. 163 del 2006”, difettando il “requisito teleologico di soddisfacimento di bisogni di interesse generale, privi di carattere industriale e commerciale, il quale implica che il soggetto sia incaricato unicamente di soddisfare bisogni del genere, e non consente l’esercizio di altre attività da parte del soggetto medesimo”;

c) le sentenze dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nn. 13, 14, 15 e 16 del 2016, che qualificano Poste Italiane s.p.a. come organismo di diritto pubblico – in quanto inerenti a questioni di accesso agli atti, connessi al rapporto di impiego dei dipendenti dell’Ente – non recherebbero “un’analisi idonea ad evidenziare in modo chiaro un’esegesi diretta ad affermare la validità della qualificazione in termini generali”, in rapporto alle “fonti che giustificherebbero una simile possibilità nel sistema del d.lgs. n. 163 del 2006”, con conseguente riferibilità delle pronunce in questione solo al diritto di accesso;

d) “l’eventuale qualificazione di Poste Italiane s.p.a. come organismo di diritto pubblico” sarebbe comunque “irrilevante”, in quanto la soggezione alle regole dell’evidenza pubblica dovrebbe risolversi all’interno delle disposizioni che regolano i settori speciali, “sulla base della sicura collocazione di Poste Italiane in quel microsistema come ente aggiudicatore”. Quanto sopra, tenuto conto del fatto che le disposizioni legislative, in tema di contratti conclusi nell’ambito dei settori speciali, si riferiscono sia alle amministrazioni aggiudicatrici che alle imprese pubbliche, se operanti nei settori stessi, con applicazione della peculiare disciplina del Codice “nella presente parte”, accomunando, “in perfetta coerenza …con il criterio di interpretazione sistematica…. sotto la qualificazione di amministrazioni aggiudicatrici anche gli organismi di diritto pubblico”.

In senso contrario, tuttavia, il Collegio non può non rilevare che alcune argomentazioni della Suprema Corte – e segnatamente quelle sintetizzate nei precedenti punti b) e d) – sembrano porsi in contrasto con la pronuncia della Corte di Giustizia europea, sez. V, n. C-393/06 del 10 aprile 2008 – Ing. Aigner, nella quale si espongono, in estrema sintesi, le opposte conclusioni di seguito sintetizzate, con riferimento alle direttive comunitarie 2004/17/CE e 2004/18/CE (ora sostituite – ma senza variazione sui punti qui di interesse – dalle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE, cui ha dato attuazione il d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50).

In primo luogo un’apposita direttiva (originariamente 2004/17/CE, ora 2014//25/UE) disciplina i contratti conclusi nei cosiddetti “settori speciali” (inerenti la gestione dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali: settori, quelli appena indicati, una volta definiti “esclusi”, in ragione del carattere originariamente chiuso dei mercati, in cui gli enti aggiudicatori operano per concessione, da parte degli Stati membri, di diritti speciali o esclusivi). Nei settori in questione possono essere “enti aggiudicatori” non solo le “amministrazioni aggiudicatrici” (come ora definite dall’art. 3, comma 1, lettera “a” del d.lgs. n. 50 del 2016, in perfetta corrispondenza alla disciplina comunitaria di riferimento), ma anche “imprese pubbliche”, o “imprese che beneficiano di diritti speciali o esclusivi, concessi loro dall’autorità competente di uno Stato membro”, nella misura in cui tali enti esercitano una delle attività ricomprese nel settore: le disposizioni della direttiva di riferimento sono da interpretare, infatti, restrittivamente (non meno delle disposizioni legislative interne di attuazione), e quindi solo per contratti riferibili al settore interessato, con abbandono della “teoria del contagio”, di cui alla nota sentenza Mannesmann (cfr. anche in tal senso Corte di Giustizia, cause riunite C-462/03 e C-463/03 – Strabag e Kostmann del 16 giugno 2005, nonché Cons. Stato, Ad. Plen., n. 16 del 2011, più volte citata).

Per quanto invece riguarda gli organismi di diritto pubblico (ugualmente definiti ai sensi delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE e, attualmente, dalle conformi direttive 2014/24/UE e 2014/25/UE, come trasfuse nell’art. 3, comma 1, lettera “d” del d.lgs. n. 50 del 2016), l’interpretazione deve essere non restrittiva, ma funzionale, a partire quindi dalla verifica dell’istituzione, o meno, dell’Ente per il soddisfacimento di bisogni di interesse generale, “aventi carattere diverso da quello industriale o commerciale”. E’ ritenuto a quest’ultimo proposito “indifferente che siffatti bisogni siano anche soddisfatti o possano esserlo da imprese private. E’ importante che si tratti di bisogni ai quali, per ragioni connesse con l’interesse generale, lo Stato o una collettività territoriale scelgano in linea generale di provvedere essi stessi, o nei confronti dei quali intendano mantenere un’influenza determinante…… Si deve aggiungere che è a tale riguardo indifferente che, oltre a tale compito di interesse generale, il detto ente svolga anche altre attività a scopo di lucro, dal momento che continua a farsi carico dei bisogni d’interesse generale che è specificamente obbligato a soddisfare. La parte che le attività esercitate occupano nell’ambito delle attività globali di tale ente è pure priva di pertinenza ai fini della sua qualifica come organismo di diritto pubblico”.

La direttiva 2004/18/CE – che ha recepito sul punto direttive precedenti, sulle quali la Corte di Giustizia UE aveva già avuto modo di pronunciarsi e che risulta attualmente sostituita, senza variazioni sul tema, dalla direttiva 2014/24/UE – è applicabile ai contratti degli organismi di diritto pubblico, che si pongano al di fuori del perimetro dei settori speciali, in cui pure detti organismi possono operare (restando soggetti alla peculiare disciplina al riguardo prevista, per quanto concerne l’attività propria dei settori stessi). Queste, infatti, le conclusioni della citata pronuncia “Aigner” della Corte di Giustizia: “gli appalti aggiudicati da un Ente, avente qualifica di organismo di diritto pubblico, ai sensi delle direttive 2004/17 e 2004/18, che hanno nessi con l’esercizio di attività di tale ente in uno o più dei settori considerati negli articoli 3- 7 della direttiva 2004/17, debbono essere assoggettati alle procedure previste da tale direttiva. Per contro, tutti gli altri appalti aggiudicati da tale Ente in relazione con l’esercizio di altre attività rientrano nelle procedure previste dalla direttiva 2004/18. Ciascuna di tali due direttive trova applicazione, senza distinzione tra le attività che il detto Ente esercita per adempiere il suo compito di soddisfare bisogni di interesse generale e le attività che esercita in condizioni di concorrenza e anche in presenza di una contabilità, intesa alla separazione dei settori di attività di tale Ente, al fine di evitare i finanziamenti incrociati fra tali settori”.

Risulta ribadito, pertanto, il carattere generale – e dunque l’applicabilità – della direttiva 2004/18/CE (ora 2014/24/UE), riferita ai settori ordinari, a tutti gli organismi di diritto pubblico, anche ove operanti nei settori speciali, quando l’attività contrattuale posta in essere abbia oggetto estraneo a detti settori.

In nessun caso pertanto, per gli organismi in questione, verrebbe meno in materia contrattuale la giurisdizione del giudice amministrativo, prevista per le procedure ad evidenza pubblica, prescritte sia per il settore ordinario che per quello speciale.

Contrariamente a quanto affermato dalla Corte di Cassazione, nel paragrafo dell’ordinanza n. 4899/2018, sintetizzato al precedente punto d), dovrebbe quindi ritenersi non irrilevante, ma fondamentale, la qualificazione giuridica di Poste Italiane s.p.a in base ai precisi parametri enunciati nell’art. 3, comma 1, lettera d) del d.lgs. n. 50 del 2016 (parametri immutati rispetto a quelli recepiti – sempre in conformità alle direttive comunitarie di rispettivo riferimento – dal d.lgs. n. 163 del 2006).

Non sembra inutile precisare, inoltre, che le argomentazioni della stessa Suprema Corte, riportate al precedente punto b), non trovano sicuro riscontro nei testi normativi richiamati: quanto alla direttiva 2004/18/CE (ora 2014/24/UE), infatti, è vero che sono ricomprese tra gli enti aggiudicatori le amministrazioni aggiudicatrici e, fra queste ultime, gli organismi di diritto pubblico, definiti nei precisi termini di cui al citato art. 3, comma 1, lettera d) del d.lgs. 50 (in precedenza art. 3, comma 26, del d.lgs. n. 163 del 2006, di identica formulazione), ma ciò implica soltanto che tra gli enti aggiudicatori rientrino appunto anche gli organismi di diritto pubblico, senza per questo essere “espunti” dal novero delle amministrazioni aggiudicatrici, di cui al medesimo art. 3, comma 1, lettera a), pacificamente soggette alle disposizioni del Codice per i settori ordinari. Non derogatoria, ma solo implicante un più ampio spettro soggettivo per i settori speciali, inoltre, è la qualificazione degli enti aggiudicatori, di cui all’art. 3, comma 29 del d.lgs n. 163 del 2006 (ora art. 3, comma 1, lettera “e” del d.lgs. n. 50 del 2016), mentre l’allegato VI al medesimo d.lgs. n. 163 contiene solo una mera elencazione non tassativa degli Enti, cui sono affidate funzioni nei settori speciali, di modo che non acquista ugualmente rilevanza derogatoria il fatto che si indichi come ente aggiudicatore, in tale ambito, la società Poste Italiane.

Il Collegio non ignora, tuttavia, l’ampia liberalizzazione e apertura alla concorrenza, intervenuti nel settore di cui trattasi, apertura che trova coronamento nella recente legge n. 124 del 4 agosto 2017 (legge annuale per il mercato e la concorrenza), che ha soppresso la precedente esclusiva di Poste Italiane per i servizi di notificazione degli atti giudiziari e delle infrazioni del codice della strada.

Già con decisione della Commissione europea n. 1642 del 30 aprile 2008, inoltre, era stata stabilita l’esenzione degli appalti di Poste Italiane, relativi a servizi nazionali e internazionali di corriere espresso, mentre con successiva decisione 2010/12/UE del 5 gennaio 2010 è stata esclusa l’applicazione della direttiva 2004/17/CE sui settori speciali per i servizi finanziari, gestiti da Bancoposta (raccolta del risparmio, prestiti per conto di banche e altri intermediari finanziari abilitati, attività di investimento e previdenza complementare, servizi di pagamento e trasferimento di denaro).

Come sottolineato in particolare dall’AGCOM, tuttavia, l’operatività dell’ente in ambito concorrenziale rappresenta solo un indice dell’assenza del requisito teleologico, dovendosi riscontrare – per escludere del tutto tale requisito – anche il perseguimento di finalità schiettamente economiche, con piena assunzione del rischio di impresa: circostanze, queste ultime, che non si ravvisano per il cosiddetto servizio postale universale, assegnato a Poste Italiane s.p.a. fino al 30 aprile 2026, ai sensi dell’art. 23, comma 2 del d.lgs. n. 261 del 1999. La medesima normativa, all’art. 3, comma 12, dispone che l’onere per la fornitura del servizio universale sia finanziato attraverso trasferimenti posti a carico del bilancio dello Stato e mediante il Fondo di compensazione (non ancora attivato), di cui all’art. 10 dello stesso d.lgs. n. 261 del 1999.

In sede di valutazione del costo netto del servizio universale, in effetti, l’Autorità di norma non si attiene a quanto richiesto e contabilizzato dall’Ente, ma quantifica l’ammontare in base ai costi stimabili per un’impresa “efficiente”, come dovrebbe ritenersi quella operante nel settore: pur in presenza di tale richiamo a criteri di efficienza imprenditoriale, in ogni caso, il rischio di impresa appare chiaramente, se non escluso, attenuato.

Può dunque ritenersi delineato, anche ai sensi dell’art. 14, comma 2 del Codice degli appalti, l’ambito dei settori, in cui Poste italiane può operare con modalità derogatorie, rispetto alle regole generali vigenti in tema di appalti: regole, in base alle quali si è sinora ritenuto che la teoria del contagio fosse superata per le imprese pubbliche, ma non anche per gli organismi di diritto pubblico, essendo questi ultimi tenuti – ove operanti nei settori speciali – a seguire la relativa disciplina solo per le attività strumentali ai settori stessi, senza però sfuggire alla disciplina dei settori ordinari per ogni altra attività, in funzione degli interessi di rilievo per la collettività, comunque ai medesimi affidati.

Nonostante i principi da ultimo esposti, il Collegio non può comunque sottrarsi ad una duplice problematica: la prima, da riferire al carattere vincolante delle pronunce della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, in tema di giurisdizione, nel diritto processuale italiano; la seconda, attinente a possibili profili evolutivi della giurisprudenza comunitaria, in presenza della progressiva trasformazione di alcuni soggetti giuridici, istituiti come organismi di diritto pubblico, in vere e proprie imprese, la cui attività sia svolta, in modo ampiamente preponderante, in regime di concorrenza, come appunto rappresentato per Poste Italiane s.p.a. (cfr. al riguardo direttiva 2014/23/UE, punto n. 21 delle premesse e art. 16, riferiti agli organismi che operano in condizioni normali di mercato, perseguendo profitti e sostenendo le perdite, con riferimento ad attività – ormai maggioritarie nel caso di specie – direttamente esposte alla concorrenza).

Con riferimento al primo quesito, il Collegio rileva che la Corte di Cassazione è in effetti chiamata ad accertare, in via definitiva e vincolante per la pronuncia di merito, ex art. 382 cod. proc. civ., la giurisdizione del giudice investito della causa nel sistema processuale italiano (anche in via di regolamento preventivo); la Corte di Giustizia UE, tuttavia, ha espresso il principio generale, secondo cui il diritto dell’Unione europea impedisce che un giudice nazionale sia vincolato da una norma di procedura interna, in base alla quale lo stesso dovrebbe attenersi alle valutazioni svolte da un giudice nazionale di grado superiore, qualora risulti che le valutazioni di quest’ultimo non siano conformi al diritto dell’Unione, come interpretato dalla predetta Corte (cfr. Corte di Giustizia, sentenza in data 20 ottobre 2011, causa C-396/09 - Interedil s.r.l. in liquidazione).

Può dunque essere affermata la facoltà (o l’obbligo, per i giudici di ultima istanza) di rivolgersi alla Corte di Giustizia, ogni qual volta sussista un “ragionevole dubbio”, circa la corretta applicazione del diritto dell’Unione europea, indipendentemente da qualsiasi contrastante pronuncia della Corte di Cassazione, anche a Sezioni Unite in tema di giurisdizione, o dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, vincolante per le sezioni semplici del medesimo Consiglio di Stato (cfr. anche Corte di Giustizia, Grande Sezione, sentenza del 5 aprile 2016 – causa C-689/13 – Puligienica Facility; Corte di Giustizia, sentenza del 6 ottobre 1982 – causa 283/81 – Cilfit).

Premesso quanto sopra, quale fattore legittimante della presente ordinanza (come già dell’ordinanza n. 7778/2018, di cui viene in parte ripreso il contenuto), si pone l’ulteriore questione – pregiudiziale per la decisione della controversia in esame – della compatibilità con la normativa comunitaria (direttive nn. 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE) della disciplina nazionale di cui all’art. 3, comma 1, lettera “e” del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici) ove tale norma sia intesa, in conformità all’interpretazione fornita dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite nella citata ordinanza n.4899/2018 (vincolante nel diritto interno per le questioni di giurisdizione), come derogatoria per le imprese, che operano nei settori speciali, di cui alla parte II del Codice, dei principi generali enunciati nell’art. 1 e nel medesimo art. 3, comma 1 lettera a) del Codice stesso, per quanto riguarda l’obbligo di procedure contrattuali ad evidenza pubblica, ove il contratto da concludere non sia attinente alle attività proprie dei settori speciali. In altri termini, si tratta di verificare se i principi, recepiti nella citata pronuncia Aigner, siano o meno suscettibili di superamento, in funzione di una spiccata prevalenza degli interessi di natura industriale e commerciale su quelli, di interesse per la collettività, giustificativi dell’originaria istituzione dell’organismo di diritto pubblico, ovvero se il riferimento a detta istituzione – formalmente presente nel citato art. 3, comma 1, lettera d), punto n. 1 del d.lgs. n. 50 del 2016 – debba essere ritenuto non superabile, anche per imprese operanti in ampio regime di concorrenza.

Come di seguito precisato, pertanto, non può che riproporsi, in rapporto a quanto sopra, il primo quesito, già sottoposto alla Corte di Giustizia con la più volte citata ordinanza collegiale n. 7778 del 2018, ma non solo.

Il Collegio ritiene, infatti, che debba essere diversamente articolato il quesito, riferito nella predetta (e nella presente) ordinanza al concetto di “strumentalità” – rispetto alle materie proprie dei settori speciali – quale limite per la cognizione del giudice amministrativo, anche ove possa riconoscersi il possibile evolversi della nozione di “organismo di diritto pubblico” in quella di “impresa pubblica”, in funzione di alcune peculiarità dei settori “esclusi” e, specificamente, a quello delle “attività direttamente esposte alla concorrenza” (art. 8 d.lgs. n. 50 del 2016 cit.). Quanto sopra, poichè il carattere attualmente concorrenziale del servizio postale – pur non risultando di per sé dirimente, rispetto alla questione di giurisdizione (come per tutti i settori esclusi, di cui agli articoli da 4 a 20 del Codice) – potrebbe tuttavia avere rilievo per escludere la qualificazione di Poste Italiane come organismo di diritto pubblico, quale organismo che opera in condizioni normali di mercato, perseguendo profitti e sostenendo perdite per attività – ormai maggioritarie – direttamente esposte alla concorrenza (direttiva 2014/23/UE, punto n. 21 delle premesse e art. 16 cit.).

A quest’ultimo riguardo il Collegio dubita del fatto che il riconoscimento di Poste Italiane quale “impresa pubblica” (ove pure ritenuto ammissibile dalla Corte UE), imponga – in conformità a quanto statuito nella più volte citata sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 16 del 2011 – di attenersi ad una valutazione restrittiva dell’attinenza dell’appalto alla materia, propria del settore speciale di riferimento. I limiti di tale valutazione, peraltro, sono comunque rilevanti per definire la specifica disciplina giuridica del singolo appalto, anche ove indetto da un soggetto, qualificabile come organismo di diritto pubblico e operante in uno dei settori speciali.

Mentre, infatti, appare condivisibile la tesi, secondo cui le imprese (pubbliche o private, queste ultime se titolari di un diritto speciale o esclusivo) sono attratte nel regime codicistico “limitatamente ai settori speciali e non in termini generali….con conseguente inapplicabilità della c.d. teoria del contagio, di cui alla giurisprudenza Mannesman….” (Ad. Plen., n. 16/2011 cit.), non si ravvisa nella normativa comunitaria (direttiva 2014/25/UE) un preciso riferimento alla nozione di “strumentalità”, se intesa come diretta attinenza del servizio all’attività speciale, quale limite per l’applicabilità delle disposizioni, di cui agli articoli 114 e seguenti del Codice dei contratti pubblici e della stessa cognizione del giudice amministrativo.

In via generale, il “considerando” n. 16 della direttiva 2014/25/UE – riferita appunto ai settori speciali – riconosce la possibilità di procedere all’aggiudicazione di appalti “pertinenti a varie attività” e soggetti a “regimi giuridici diversi”, con applicabilità, in ogni caso, al singolo appalto delle norme riferibili al settore cui lo stesso è “principalmente destinato”, come desumibile dagli atti di gara, o come dovrebbe essere, comunque, specificato dalla stazione appaltante.

Il principio è ribadito nell’art. 6 della medesima direttiva, che, in caso di mancata specificazione, detta nel terzo comma precisi parametri di priorità, quando l’oggetto contrattuale attenga appunto a materie, disciplinate da più di una direttiva. Il concetto di “destinazione” ad una determinata attività, per scelta della stazione appaltante, appare in ogni caso ben più ampio di quello recepito dall’Adunanza Plenaria n. 16 del 2011 (che ammetteva come pertinente al settore speciale di riferimento un servizio di guardianìa, solo se acquisito per una rete energetica gestita dall’ENI, ma non anche per la vigilanza dei relativi uffici amministrativi). C’è invece da chiedersi – alla luce della disciplina comunitaria – se il contratto, da ritenere “estraneo” al regime dei settori speciali, non debba piuttosto riferirsi ad ogni attività che le imprese pubbliche – o i soggetti privati titolari di un diritto di esclusiva – siano effettivamente liberi di intraprendere, ma nettamente al di fuori dei settori in questione, come vorrebbe l’enunciato principio di “estraneità”, in grado di sottrarre l’attività contrattuale alle regole dell’evidenza pubblica (anche nella forma attenuta, di cui agli articoli 4 e seguenti del Codice). Quanto sopra, al fine di evitare distinzioni che appaiono artificiose, ove riferite ad attività necessarie o complementari per la gestione dei settori speciali (organizzazione di uffici, relativa manutenzione o sorveglianza e simili), con frequente incertezza sulla disciplina applicabile e distorsioni in tema di giurisdizione, nel caso in cui sia chiamata a pronunciarsi la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con inevitabile sovrapposizione della questione di merito sopra indicata (strumentalità, o meno, dell’oggetto contrattuale alla materia propria dei settori speciali) a quella di rito, oggetto effettivo di cognizione della Suprema Corte.

Non a caso, in effetti, l’art. 13, comma 1, lettera b) della direttiva 2014/25/UE delinea l’ambito di applicabilità della direttiva stessa ai servizi postali, con riferimento esteso ad “altri servizi diversi da quelli postali, a condizione che tali servizi siano prestati da un ente che fornisce anche servizi postali”, comprendendo fra questi ultimi sia quelli rientranti nel “servizio universale, istituito ai sensi della direttiva 97/67/CE, sia quelli che ne sono esclusi” (art. 13 cit., comma 2, lettera b).

E’ già stato sottolineato, infine, come il “considerando” n. 16 della direttiva 2014/24/UE richieda di specificare l’attività, a cui l’appalto – in astratto soggetto alle regole dei settori speciali, ma a volte destinato a regolare anche attività diverse – sia in effetti destinato. Quanto sopra richiede consapevolezza del regime giuridico applicabile, con gli obblighi di trasparenza e certezza del diritto, che costituiscono principi immanenti all’intero settore dei contratti pubblici (ivi compresi i settori, che il d.lgs. n. 50 del 2016 definisce “esclusi”).

E’ quindi corretto chiedersi, conclusivamente, anche se sia conforme alla disciplina comunitaria, estesa al concetto di abuso del diritto (Corte di Giustizia, 5 luglio 2007, causa C-321/05 Kofoed), la prassi – sempre più frequente nel sistema giuridico nazionale – di eccepire il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo solo dopo le prime decisioni, anche cautelari, di quest’ultimo, per gare indette a norma del codice dei contratti pubblici, con bandi pubblicati sulle Gazzette Ufficiali della Repubblica Italiana e dell’Unione Europea, senza alcuna precisazione, in tale sede, del carattere di mero autovincolo della scelta compiuta dalla stazione appaltante: scelta, la cui legittimità ed i cui effetti dovrebbero essere sottoposti al giudice ordinario, chiamato a pronunciarsi – si deve supporre – in base alle sole disposizioni del codice civile, non essendo applicabile in alcuna forma il codice dei contratti pubblici (benchè espressamente richiamato e, quindi, in contrasto con quanto i concorrenti erano legittimati a ritenere).

Il Collegio ritiene pertanto che il presente giudizio debba essere sospeso, per sottoporre alla Corte di Giustizia CE, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, i seguenti quesiti, inerenti a questioni pregiudiziali alla pronuncia richiesta (in quanto implicanti la sussistenza, o meno, di giurisdizione del giudice amministrativo):

1) se la società Poste Italiane s.p.a., in base alle caratteristiche in precedenza indicate, debba essere qualificata “organismo di diritto pubblico”, ai sensi dell’art 3, comma 1, lettera d) del d.lgs. n. 50 del 2016 e delle direttive comunitarie di riferimento (2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE);

2) se detta società sia tenuta a svolgere procedure contrattuali ad evidenza pubblica solo per l’aggiudicazione degli appalti, che siano direttamente riferibili all’attività propria dei settori speciali, di cui alla direttiva 2014/25/UE, in applicazione della quale la stessa natura di organismo di diritto pubblico dovrebbe ritenersi assorbita nelle regole della parte II° del Codice degli appalti, con piena autonomia negoziale – e regole esclusivamente privatistiche – per l’attività contrattuale non attinente, in senso stretto, a tali settori, tenuto conto dei principi dettati dalla direttiva 2014/23/UE, punto n. 21 delle premesse e art. 16 (Cass. SS.UU. n. 4899 del 2018 cit. e, per l’ultima parte, Cons. Stato, Ad. Plen., n. 16 del 2011 cit.);

4) se la medesima società, per i contratti da ritenere estranei alla materia, propria dei settori speciali, resti invece – ove in possesso dei requisiti di organismo di diritto pubblico – soggetta alla direttiva generale 2014/24/UE (e quindi alle regole contrattuali ad evidenza pubblica), anche ove svolgente – in via evolutiva rispetto all’originaria istituzione – attività prevalentemente di stampo imprenditoriale e in regime di concorrenza, come desumibile dalla ricordata pronuncia n. C-393/06 del 10 aprile 2008 – Ing. Aigner, ostando ad una diversa lettura la direttiva 2014/24/UE, per contratti conclusi da Amministrazioni aggiudicatrici; il “considerando” n. 21 e l’art. 16 della citata direttiva 2014/23/UE, d’altra parte, pongono solo un parametro presuntivo, per escludere la natura di organismo di diritto pubblico per le imprese, che operino in condizioni normali di mercato, essendo comunque chiaro, in base al combinato disposte delle medesime disposizioni, il prioritario riferimento alla fase istitutiva dell’Ente, ove quest’ultimo sia destinato a soddisfare “esigenze di interesse generale” (nel caso di specie sussistenti e non ancora cessate);

5) se comunque, in presenza di uffici in cui si svolgono, promiscuamente, attività inerenti al settore speciale e attività diverse, il concetto di “strumentalità” – rispetto al servizio di specifico interesse pubblico – debba essere inteso in modo non restrittivo (come sinora ritenuto dalla giurisprudenza nazionale, in conformità alla ricordata pronuncia n. 16 del 2011 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato), ostando, a quest’ultimo riguardo, i principi di cui al “considerando” n. 16, nonché gli articoli 6 e 13 della direttiva 2014/25/UE, che richiamano – per l’individuazione della disciplina applicabile, il concetto di “destinazione” ad una delle attività, disciplinate dal Codice dei contratti pubblici. Deve essere chiarito, pertanto, se possano essere “destinate” al settore speciale di riferimento – anche con le modalità vincolistiche attenuate, proprie dei settori esclusi – tutte le attività funzionali al settore stesso, secondo le intenzioni della stazione appaltante (ivi compresi, pertanto, i contratti inerenti la manutenzione sia ordinaria che straordinaria, la pulizia, gli arredi, nonché i servizi di portierato e di custodia degli uffici, o altre forme di utilizzo di questi ultimi, se intese come servizio per la clientela), restando effettivamente privatizzate solo le attività “estranee”, che il soggetto pubblico o privato può esercitare liberamente in ambiti del tutto diversi, con disciplina esclusivamente riconducibile al codice civile e giurisdizione propria del giudice ordinario (di quest’ultimo tipo ad esempio, per quanto qui interessa, è certamente il servizio bancario svolto da Poste Italiane, ma non altrettanto potrebbe dirsi con riferimento alla fornitura e all’utilizzo degli strumenti di comunicazione elettronica, se posti al servizio dell’intero ambito di attività del Gruppo, pur essendo particolarmente necessari appunto per l’attività bancaria). Non sembra peraltro inutile sottolineare lo “sbilanciamento”, indotto dall’interpretazione restrittiva attualmente prevalente, introducendosi nella gestione di settori assimilabili o contigui regole totalmente diverse, per l’affidamento di lavori o servizi: da una parte, le minuziose garanzie imposte dal Codice dei contratti per l’individuazione dell’altro contraente, dall’altra la piena autonomia negoziale dell’imprenditore, libero di operare contrattazioni in funzione esclusiva dei propri interessi economici, senza alcuna delle garanzie di trasparenza, richieste per i settori speciali e per quelli esclusi;

6) se infine l’indizione – con le forme di pubblicità previste a livello sia nazionale che comunitario – di una procedura di gara ad evidenza pubblica, a norma del codice degli appalti, possa rilevare ai fini dell’individuazione dell’area di destinazione dell’appalto, ovvero dell’attinenza di quest’ultimo al settore speciale di riferimento, in senso conforme all’ampliata nozione di “strumentalità”, di cui al precedente quesito n. 5), ovvero – in via subordinata – se l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, sollevata dallo stesso soggetto che abbia indetto tale procedura di gara, o da soggetti che a detta procedura abbiano vittoriosamente partecipato, possa considerarsi abuso del diritto ai sensi dell’art. 54 della Carta di Nizza, quale comportamento che – pur non potendo incidere, di per sé, sul riparto di giurisdizione (cfr. anche, sul punto, Cons. Stato, Ad. Plen., n. 16 del 2011 cit.) – rileva quanto meno ai fini risarcitori e delle spese di giudizio, poichè lesivo del legittimo affidamento dei partecipanti alla gara stessa, ove non vincitori e ricorrenti in sede giurisdizionale.

Ai sensi della «nota informativa riguardante la proposizione di domande di pronuncia pregiudiziale da parte dei giudici nazionali» trasmessa dalla Corte di giustizia all’Italia in data 8 novembre 1996, vanno trasmessi alla cancelleria della Corte mediante plico raccomandato in copia i seguenti atti:

- ricorso e memorie delle parti resistenti;

- ordinanza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 4899 in data 1 marzo 2018;

- sentenze del Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, nn. 13, 14, 15 e 16 del 2016;

- sentenza del Consiglio di Stato, Ad. Plen. 1 agosto 2011, n.16;

- sentenza del Consiglio di Stato, sez. III, 27 maggio 2014, n. 2720;

- ordinanza collegiale del TAR Lazio, Roma, sez. III, n. 7778 del 12 luglio 2018;

- copia del testo delle seguenti norme: articoli 1, 3, 4, 14 e 120 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50;

- la presente ordinanza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sez. III, non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, dispone:

1) a cura della segreteria, la trasmissione degli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, nei sensi e con le modalità di cui in motivazione, e con copia degli atti ivi indicati;

2) la sospensione del presente giudizio.

Riserva alla decisione definitiva ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2019 con l'intervento dei magistrati:

Gabriella De Michele, Presidente, Estensore

Vincenzo Blanda, Consigliere

Claudio Vallorani, Primo Referendario

 
 
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
Gabriella De Michele
 
 
 

IL SEGRETARIO


 

 

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