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Consiglio di Stato, Adunanza Sezione I, 13/11/2019 n. 2861
Sul principio di alternatività tra ricorso giurisdizionale e ricorso straordinario al Capo dello Stato

Materia: giustizia amministrativa / processo

Numero 02861/2019 e data 13/11/2019 Spedizione

REPUBBLICA ITALIANA

Consiglio di Stato

Sezione Prima

Adunanza di Sezione del 23 ottobre 2019


NUMERO AFFARE 00190/2019

OGGETTO:

Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per il coordinamento amministrativo.


Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto da Vivendi Societè Anonyme, in persona legale rappresentante pro tempore, Sig. Frederic Crepin, avverso il d.P.C.M. del 16 ottobre 2017, recante esercizio di poteri speciali mediante imposizione di specifiche prescrizioni e condizioni ai sensi dell’articolo 1 del d.l. 15 marzo 2012 n. 21, contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, nei confronti del Ministero della difesa, Ministero dell’interno e Telecom Italia s.p.a.;

LA SEZIONE

Vista la relazione pervenuta in data 4 febbraio 2019 con la quale la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per il coordinamento amministrativo ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull'affare consultivo in oggetto;

esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Vincenzo Neri;


Premesso.

1. Con ricorso straordinario Vivendi s.a. ha chiesto l’annullamento del d.P.C.M. 16 ottobre 2017 con il quale il Governo, ai sensi del d.l. 15 marzo 2012 n. 21, ha esercitato poteri speciali mediante l’imposizione di specifiche prescrizioni e condizioni alla ricorrente, a Telecom Italia s.p.a. e alle società da quest’ultima controllate, Telecom Italia Sparkle s.p.a. e Telsy elettronica e telecomunicazioni s.p.a.

La vicenda prende le mosse dall’investimento effettuato da Vivendi s.a., società di diritto francese quotata alla Borsa di Parigi e operante nel settore media e telecomunicazioni, nel capitale sociale di Telecom Italia s.p.a., a seguito del quale la Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 5 agosto 2017, ha comunicato alle due società l’avvio del procedimento diretto ad accertare la sussistenza di obblighi di notifica ai sensi degli articoli 1 e 2 del d.l. 15 marzo 2012, n. 21, recante le “norme in materia di poteri speciali sugli assetti societari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni”.

In data 13 settembre 2017, la Consob, con comunicazione prot. n. 106341/17, ha concluso che “la partecipazione di Vivendi in Tim debba essere qualificata come di controllo, ai sensi dell’art. 2359 c.c. e dell’art. 93 TUF, oltre che della disciplina con operazioni con parti correlate”; il provvedimento è stato impugnato, come riferisce la ricorrente, dinanzi al TAR Lazio, ove è stato assegnato il numero r.g. 11251/17.

Il procedimento avviato il 5 agosto 2017 si è concluso con il provvedimento della Presidenza del Consiglio dei ministri del 28 settembre 2017 che ha accertato: 1) che “Tim detiene asset che sono da ritenersi attivi di rilevanza strategica per l’interesse nazionale nel settore delle comunicazioni, ai sensi e per le finalità dell’art. 2 del decreto-legge n. 21/12”; 2) “la sussistenza in capo a Vivendi SA dell’obbligo di notifica, ai sensi dell’art 1, comma 5, del decreto-legge n. 21/12” e “la sussistenza in capo a Tim s.p.a. dell’obbligo di notifica, ai sensi dell’art 2, comma 2, del decreto-legge n. 21/12”; 3) la tardività della notifica effettuata da Vivendi s.a. rispetto ai termini prescritti dalla legge e la mancanza di notifica da parte di Tim s.p.a.; concludendo, tra l’altro, “con l’accertamento della sussistenza dell’obbligo, in capo a Vivendi SA, di notifica, ai sensi dell’art 1, comma 5, del decreto-legge n. 21/12 di ogni acquisizione di partecipazione in Tim s.p.a. che ha portato la stessa a detenere azioni in misura superiore alle soglie indicate dallo stesso comma della violazione dello stesso”.

Anche quest’ultimo provvedimento è stato impugnato dall’odierna ricorrente dinanzi al TAR Lazio in data 22 dicembre 2017, ove è stato assegnato il numero r.g. 120/18.

La Presidenza del Consiglio dei ministri nella relazione ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità per violazione del principio di alternatività “dal momento che gli atti impugnati in questa sede e quelli in ambito giurisdizionale sono strettamente connessi e consequenziali” (pagina 10); nel merito ha concluso per l’infondatezza del ricorso.

La ricorrente ha presentato, in data 6 febbraio 2019, note di replica alla relazione illustrativa, sulle quali la Presidenza del Consiglio dei ministri ha svolto le proprie controdeduzioni.

Considerato.

2. La ricorrente affida il ricorso a diverse censure d’illegittimità dell’atto impugnato.

Con il primo motivo deduce: “Violazione articolo 1, comma 4 del Decreto Legge. Carenza del potere di adozione del provvedimento impugnato”. La ricorrente ritiene che il termine prescritto dalla legge per l’emanazione del provvedimento sia stato violato, con conseguente “assenza del relativo potere amministrativo”.

Con il secondo motivo — “Illegittimità derivata. Violazione ed erronea applicazione dell’art. 1, comma 1, lettera a) e comma 5 del Decreto Legge. Eccesso di potere per difetto di presupposti e contraddittorietà. Insufficienza della motivazione e dell’istruttoria” — la ricorrente sostiene che il provvedimento impugnato presenti gli stessi vizi di illegittimità dai quali è affetto il decreto del 28 settembre 2017, già impugnato dinanzi al TAR Lazio, in particolare nella parte in cui è affermato il carattere strategico delle attività svolte da Telecom Italia s.p.a. e dalle sue controllate.

Il terzo motivo riguarda la “violazione dell’art 1 del Decreto Legge. Violazione del principio di proporzionalità e ragionevolezza delle prescrizioni e delle condizioni imposte in sede di esercizio dei poteri speciali. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione. Violazione art. 6, comma 2 del d.P.R. 19 febbraio 2014 n. 35”. La ricorrente, in sintesi, contesta la carenza di motivazione delle ragioni che hanno portato all’adozione delle prescrizioni e condizioni, in esercizio dei poteri speciali del Governo, contenute nell’atto impugnato.

Con il quarto motivo – “Violazione sotto altro profilo dell’articolo 1 comma 1 lettera a) e comma 5 del Decreto Legge. Violazione dell’art. 6 del DPR 19 febbraio 2014 n. 35. Eccesso di potere per difetto di presupposti, difetto di istruttoria. Ulteriore violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza” – sono considerate illegittime, in quanto immotivate, sproporzionate ed irragionevoli, le prescrizioni imposte alla ricorrente con il provvedimento impugnato.

Con il quinto motivo, Vivendi s.a. deduce “Illegittimità del Decreto Legge 15 marzo 2012, n. 21 e del D.P.C.M. 6 giugno 2014, n. 108 per violazione degli articoli 49 e 63 TFUE; illegittimità derivata del provvedimento impugnato”; il decreto legge e la normativa di rango secondario, per come interpretati dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, sarebbero in contrasto con il diritto dell’Unione europea. Pertanto, la ricorrente “formula richiesta di rinvio pregiudiziale ex art 267 TFUE”, indicando il quesito da sottoporre alla Corte di Giustizia dell’Unione europea.

3. La Sezione ritiene opportuno innanzi tutto richiamare brevemente l’attenzione sulla successione cronologica degli avvenimenti e degli atti. La Presidenza del Consiglio dei ministri, a seguito dell’incremento della partecipazione di Vivendi s.a. nella compagine sociale di Telecom Italia s.p.a., con comunicazione del 5 agosto 2017, ha avviato il procedimento diretto ad accertare la sussistenza, a carico delle due società, di obblighi di notifica ai sensi degli articoli 1 e 2 del d.l. 15 marzo 2012, n. 21.

Nell’ambito del procedimento, in seguito alla richiesta della Presidenza del Consiglio dei ministri di elementi informativi dei rapporti societari tra Vivendi s.a. e Telecom Italia s.p.a., la Consob, con nota prot. n. 106341/17 del 13 settembre 2017, ha comunicato che “si ritiene che Vivendi eserciti un controllo di fatto su Tim ai sensi degli articoli 2359 c.c. e ai sensi dell’articolo 93 TUF, nonché ai sensi della disciplina parti correlate”; il provvedimento è stato impugnato dinanzi al TAR Lazio che ha respinto il ricorso con sentenza n. 4990/2019. Avverso tale sentenza risulta proposto appello.

Il procedimento avviato il 5 agosto 2017 si è concluso con il provvedimento della Presidenza del Consiglio dei ministri del 28 settembre 2017 con il quale si accerta la sussistenza dell’obbligo di notifica, atto impugnato dinanzi al TAR Lazio in data 22 dicembre 2017, ove è stato assegnato il numero r.g. 120/18.

Successivamente, il 16 ottobre 2017, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha emanato il decreto, oggetto del presente ricorso straordinario, con il quale, in esercizio dei poteri speciali, ai sensi del d.l. 15 marzo 2012 n. 21, ha disposto l’imposizione di specifiche prescrizioni e condizioni nei confronti di Vivendi, in qualità di società notificante l’operazione, e di Tim s.p.a., Telecom Italia Sparkle s.p.a. e Telsy elettronica e telecomunicazioni s.p.a., in qualità di società titolari di attività di rilevanza strategica per la difesa e la sicurezza nazionale, in ragione degli effetti dell’operazione su tali attività.

4. Tutto ciò premesso, va osservato che il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica è un rimedio giustiziale di natura impugnatoria, per l’annullamento di provvedimenti definitivi, a tutela sia di interessi legittimi che di diritti soggettivi, circoscritto alle sole censure di legittimità. Ai sensi dell’art. 7, comma 8, c.p.a. tale rimedio è ammesso unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa.

4.1. Principio fondamentale dell’istituto è l’alternatività, in ossequio al quale il ricorso straordinario e il ricorso al giudice amministrativo non possono essere proposti contro il medesimo atto. L’art. 8, secondo comma, del D.P.R. n. 1199 del 1971 dispone infatti che non è ammesso il ricorso straordinario “da parte dello stesso interessato” se “l’atto sia stato impugnato con ricorso giurisdizionale”. Ciò significa che non può essere proposta impugnazione nelle diverse sedi, straordinaria e giurisdizionale, avverso lo stesso provvedimento e, una volta esperito il primo rimedio, non è più consentito accedere al secondo (electa una via non datur recursus ad alteram). La ratio di questo principio va ravvisata nell’esigenza di evitare l’insorgere di contrasti tra le decisioni del Consiglio di Stato in sede consultiva e le sentenze del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, con conseguente sovrapposizione della decisione giurisdizionale alla decisione del ricorso straordinario.

4.2. Occorre aggiungere che, ai sensi dell’art. 48 c.p.a., la parte nei cui confronti sia stato proposto ricorso straordinario può proporre opposizione ed il giudizio segue dinanzi al tribunale amministrativo regionale se il ricorrente, entro il termine perentorio di sessanta giorni dal ricevimento dell'atto di opposizione, deposita nella relativa segreteria l'atto di costituzione in giudizio, dandone avviso mediante notificazione alle altre parti. La norma in esame, che consente la trasposizione del ricorso straordinario al Capo dello Stato in sede giurisdizionale è “la norma fondante del rapporto tra ricorso straordinario e ricorso giurisdizionale. Il ricorso straordinario alternativo al ricorso giurisdizionale, postula che qualsiasi parte, diversa dal ricorrente, abbia la possibilità di optare per il rimedio giurisdizionale, che offre maggiori garanzie rispetto al ricorso straordinario. L'istituto dell'opposizione rappresenta, infatti, lo strumento di ciascuna parte per adire il giudice precostituito per legge, in quanto il ricorso straordinario, rimedio alternativo a quello giurisdizionale, presuppone una concorde volontà di tutte le parti all'utilizzo di tale rimedio” (Cons. St., sez. I, parere 18 dicembre 2015, n. 3496).

4.3. La giurisprudenza amministrativa ha costantemente ravvisato la ratio del principio di alternatività nell’esigenza di “impedire un possibile contrasto di giudizi in ordine al medesimo oggetto” (Cons. Stato, sez. III, 1 marzo 2005, n. 1852; cfr. Cons. Stato , sez. III, 15 novembre 2010 , n. 1963; Cons. Stato, sez. I, 29 aprile 2010 , n. 584; Cons. Stato , sez. III, 24 marzo 2009, n. 616; Cons. Stato , sez. V, 05 febbraio 2007, n. 454; Cons. Stato , sez. III, 23 settembre 2008 , n. 734) e, dunque, di “evitare l’inutile proliferazione dei ricorsi ed il pericolo di pronunce contrastanti di organi appartenenti allo stesso ramo di giustizia” (Cons. Stato, sez. I, 6 marzo 2019, n. 761; Sez. IV, 16 aprile 2012, n. 2185; e ancora Cons. Stato, sez. I, 16 dicembre 2015, n. 211 per cui “la finalità del principio … è quella di evitare duplicazioni della tutela contenziosa ed un possibile conflitto di decisioni”).

Il Consiglio di Stato da tempo ritiene anche che il principio di alternatività, pur non essendo “suscettibile di interpretazione analogica, allorché le due impugnative riguardino atti distinti, deve comunque ritenersi operante nel caso in cui, dopo l’impugnativa in sede giurisdizionale dell’atto presupposto, venga successivamente impugnato in sede straordinaria l’atto conseguente, al fine di dimostrarne l’illegittimità derivata dalla dedotta invalidità del menzionato atto presupposto. Ciò per l’identità sostanziale delle due impugnative.” (Cons. Stato, sez. III, 1 marzo 2005, n. 1852); pertanto esso trova applicazione “anche quando si tratti di atti distinti, purché legati tra loro da un nesso di presupposizione” (Cons. Stato, sez. V, 3 settembre 2013, n. 4375).

4.4. Giova a questo punto ricordare che la relazione intercorrente tra più atti amministrativi si riflette anche sul piano dell’invalidità e, per quanto di interesse in questa sede, impone di interrogarsi sulla possibilità, o meno, di utilizzare per la stessa serie provvedimentale contemporaneamente il rimedio straordinario e quello giurisdizionale.

Seguendo un orientamento risalente e consolidato, in materia di illegittimità derivata in seguito ad annullamento di un atto presupposto, bisogna distinguere tra invalidità ad effetto caducante (nei casi in cui più intenso è il nesso intimo tra atto presupposto ed atto conseguenziale) ed invalidità ad effetto meramente viziante, nelle ipotesi in cui meno intenso è detto nesso (Cons. St., a.p., 4/1970).

Nel primo caso l'annullamento dell'atto presupposto si estende automaticamente all'atto conseguenziale anche quando quest'ultimo non è stato impugnato, mentre nel secondo caso l'atto conseguenziale è affetto da illegittimità derivata ma resta efficace ove non ritualmente impugnato (Cons. St., sez. V, 13 novembre 2015, n. 5188). Per la prima forma di vizio, di natura più dirompente, occorrono due elementi precisi: a) il primo dato dall'appartenenza, sia dell'atto annullato direttamente come di quello caducato per conseguenza, alla medesima serie procedimentale; b) il secondo individuato nel rapporto di necessaria derivazione del secondo dal primo, come sua inevitabile ed ineluttabile conseguenza e senza necessità di nuove ed ulteriori valutazioni di interessi, con particolare riguardo al coinvolgimento di soggetti terzi; pertanto, qualora almeno uno dei due detti presupposti sia inesistente, è inapplicabile lo schema concettuale della caducazione e debbono ritenersi utilizzabili unicamente le usuali impugnative tipiche del diritto amministrativo (Cons. St., V, 10 aprile 2018 n. 2168).

4.5. Il principio di alternatività, operando rispetto ad un medesimo atto, in teoria andrebbe escluso nel caso in cui due atti, uno presupposto e uno ad esso connesso, siano l’uno impugnato in sede giurisdizionale e l’altro con ricorso straordinario, o viceversa.

Tuttavia – superata la tradizionale lettura restrittiva (sin dall’Adunanza Plenaria, 18 aprile 1969, n. 15) che lo concepiva in senso formale, come operante esclusivamente rispetto ad un medesimo atto impugnabile – la giurisprudenza ha aderito ad una interpretazione in chiave sostanziale che, pur disconoscendo l’applicazione analogica, ha esteso l’operatività dello stesso anche ai casi in cui, pur essendovi atti formalmente distinti, sussiste una connessione sostanziale in termini di pregiudizialità/dipendenza. La regola dell’alternatività è dunque applicabile “non solo nel caso in cui vi sia identità formale di provvedimenti impugnati, ma anche in presenza di atti formalmente distinti, quando sussista un’obiettiva identità dell’oggetto del contendere”(…)“seppure tradizionalmente interpretata non suscettibile di applicazione analogica ma operante nel solo caso di impugnazioni aventi ad oggetto il medesimo atto” (così Cons. stato, sez. III, 8 gennaio 2010, n. 3719). Pertanto, secondo la giurisprudenza amministrativa, in base al principio di alternatività così inteso, non è consentita la pendenza di un ricorso straordinario e di un ricorso al giudice amministrativo quando, pur essendo diversi gli atti impugnati, la questione è la stessa (in termini analoghi, Cons. Stato, sez. IV, 16 aprile 2012, n. 2185; Cons. St., sez. II, 1 ottobre 2013, n. 4489; Cons. Stato, sez. I, 16 dicembre 2015, n. 211; Cons. Stato, sez. I, 6 marzo 2019, n. 866).

4.6. Per meglio sviluppare la nozione appena esposta, risulta necessario interrogarsi sulla relazione esistente tra il concetto di “identità della questione” e quello di “rapporto giuridico tra amministrazione e privato”.

Come è noto, il processo amministrativo, soprattutto con il c.p.a., si è evoluto trasformandosi da giudizio sugli atti a vero e proprio giudizio sul rapporto amministrativo intercorrente tra il privato e la pubblica amministrazione. A giudizio della dottrina, la possibilità per il giudice amministrativo di risarcire il danno, previa valutazione della fondatezza della pretesa azionata, l’istituto processuale dei motivi aggiunti introdotto dalla legge 205/2000, l’articolo 21 octies, comma 2 (che vieta di annullare, a determinate condizioni, un provvedimento che, seppur illegittimo, non poteva avere un contenuto diverso da quello in concreto adottato) nonché da ultimo l’ampio ventaglio di azioni introdotte dal codice del processo amministrativo, sono tutti elementi sintomatici della trasformazione del processo amministrativo da giudizio sull’atto a giudizio sul rapporto. Per autorevole dottrina, “in una concezione più moderna, più conforme all’ideale dello Stato di diritto e che tiene conto dell’evoluzione subita dall’interesse legittimo…potere amministrativo e interesse legittimo possono essere ricostruiti come i termini dialettici … di una relazione giuridica bilaterale” relazione questa che supera la visione tradizionale in cui lo Stato era visto esclusivamente in una posizione di sovraordinazione istituzionale rispetto ai privati. È chiaro che questa relazione – seguendo lo schema norma-fatto-potere-effetto – si atteggia in modo diverso rispetto a quanto avviene nel diritto privato ma è pur sempre una relazione giuridicamente rilevante. Anche per la giurisprudenza amministrativa il giudizio amministrativo deve essere “volto a scrutinare la fondatezza della pretesa sostanziale azionata” (Cons. Stato, Ad. Plen., 23 marzo 2011, n. 3) poiché “la verifica di legittimità dei provvedimenti amministrativi impugnati non va compiuta nell’astratto interesse generale, ma è finalizzata all’accertamento della fondatezza della pretesa sostanziale fatta valere, ritualmente, dalla parte attrice” (Cons. Stato, Ad. Plen., 7 aprile 2011, n. 4). Ciò, oltre che per esigenze di economia processuale, anche in considerazione, come detto, di una lenta trasformazione del processo amministrativo da giudizio sull’atto a giudizio sul rapporto.

4.7. Riportando le considerazioni sino a qui espresse al rapporto tra processo amministrativo e ricorso straordinario, va escluso che del medesimo rapporto possano occuparsi contemporaneamente il giudice amministrativo e il Consiglio di Stato in sede di ricorso straordinario. Da tanto consegue che nell’ipotesi in cui l’atto presupposto (a monte) venga impugnato con ricorso straordinario e il successivo atto presupponente (a valle) con ricorso giurisdizionale dinnanzi al giudice amministrativo o viceversa, occorrerà – in applicazione del principio di alternatività – dichiarare inammissibile il giudizio introdotto per ultimo.

Tale conclusione deve reputarsi valida sia nel caso di stretta presupposizione – ossia quando, come detto al paragrafo 4.4., vi è la “necessaria derivazione del secondo dal primo come sua inevitabile ed ineluttabile conseguenza e senza necessità di nuove ed ulteriori valutazioni di interessi” – sia nel caso di mera derivazione cui conseguirebbe solo un effetto meramente viziante per l’atto a valle.

Per quest’ultima ipotesi, una visione moderna del principio di alternatività impone di rivolgersi allo stesso organo ogni qual volta si discuta del medesimo rapporto giuridico o quando le censure formulate siano identiche e, come detto, riferibili allo stesso rapporto giuridico tra amministrazione e amministrato. Ragionando diversamente si legittimerebbe il frazionamento della tutela giurisdizionale in contrasto con il principio del giusto processo (art. 111 Cost.) e con il suo corollario dell’economia dei mezzi giuridici; aumenterebbe inoltre il rischio di decisioni contrastanti all’interno dello stesso plesso giurisdizionale con conseguente lesione del principio dell’effettività della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost. e art. 1 c.p.a.).

Da ciò consegue che, nel caso in cui l’atto presupponente sia impugnato con ricorso giurisdizionale, a fronte di un ricorso straordinario già promosso avverso l’atto presupposto, il ricorso giurisdizionale dovrà essere dichiarato inammissibile dal giudice amministrativo. Se invece l’atto successivo è impugnato in sede straordinaria, a fronte di un ricorso giurisdizionale già promosso avverso l’atto presupposto, il ricorso straordinario sarà inammissibile per violazione del principio di alternatività. Tale principio ha già trovato una qualche eco nella giurisprudenza del Consiglio di Stato che ha sancito l’inammissibilità del ricorso straordinario “a cagione della violazione della regola di “alternatività” che s’impone come limite alla contestuale proponibilità di due distinti ricorsi (amministrativo/straordinario e giurisdizionale) vertenti sulla medesima questione di fatto e di diritto e recanti ad oggetto la medesima pretesa sostanziale (identità della materia del contendere): ricorsi che potrebbero sortire decisioni contrastanti e che la regola dell’ “alternatività” intende, appunto, scongiurare” (Cons. Stato, sez. I, 13 febbraio 2019, n. 548).

5. Venendo al caso in esame, la Sezione ritiene che tra il decreto 16 ottobre 2017, impugnato col presente ricorso straordinario, e il provvedimento della Presidenza del Consiglio dei ministri 28 settembre 2017 nonché l’atto della CONSOB, 13 settembre 2017, sussista una connessione sostanziale in termini di pregiudizialità/dipendenza e un’obiettiva identità dell’oggetto del contendere, pur essendo atti formalmente distinti.

Pertanto, considerato che in questa sede è impugnato l’atto successivo (il decreto del 16 ottobre 2017), a fronte di ricorsi giurisdizionali già promossi avverso gli atti presupposti (provvedimento CONSOB del 13 settembre 2017 e provvedimento della Presidenza del Consiglio dei ministri del 28 settembre 2017), il ricorso straordinario è inammissibile per violazione del principio di alternatività.

6. Conclusivamente, per le considerazioni sino a qui espresse, il Consiglio esprime parere nel senso che il ricorso vada dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

esprime il parere che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile.


 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Vincenzo Neri Mario Luigi Torsello
 
 
 
 

IL SEGRETARIO

Carola Cafarelli


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