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TAR Piemonte, Sez. II, 7/1/2020 n. 23
Sulla sussistenza della competenza dell'Autorità di regolazione dei trasporti in tema di determinazione di ogni componente del canone di utilizzo dell'infrastruttura ferroviaria, inclusi i coefficienti di maggiorazione

L'unica interpretazione compatibile con il diritto dell'Ue dell'art.18 del d.lgs. n. 112/2015 c. 1, che non contempla alcun intervento dell'esecutivo nella definizione dei canoni in tutte le loro componenti, e come già anche esplicitato dalla Corte di giustizia nella causa C-369/11, porta a concludere, nel caso di specie, che correttamente l'Autorità di regolazione dei trasporti (ART) abbia interpretato la propria funzione come estesa alla determinazione di ogni componente del canone, ivi inclusi i coefficienti di maggiorazione, soluzione da cui potrebbe esulare solo la scelta, certamente politica, di praticare un recupero integrale della contribuzione pubblica nel settore, scelta che nel caso di specie non è in alcun modo contemplata e che per altro la direttiva sembra orientare verso il Parlamento e non verso l'Esecutivo".

Materia: trasporti / disciplina
Pubblicato il 07/01/2020

N. 00023/2020 REG.PROV.COLL.

N. 00005/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5 del 2017, integrato da motivi aggiunti, proposto da
Sncf Voyages Italia s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Simone Gambuto, Arcangelo Pecchia, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv.to Simone Gambuto in Roma, via Cuboni 12;

contro

Autorita' di Regolazione dei Trasporti, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Torino, via Arsenale, 21;

nei confronti

Rete Ferroviaria Italiana s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe Lo Pinto, Fabio Cintioli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv.to Antonella Borsero in Torino, Galleria Enzo Tortora n. 21;
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Db Bahn Italia s.r.l., non costituiti in giudizio;

per l'annullamento

- della delibera ART n. 75/2016 del 1 luglio 2016, recante il “Sistema tariffario 2016-2021 per il Pacchetto Minimo di Accesso all'infrastruttura ferroviaria nazionale. Conformità al modello regolatorio approvato con delibera n. 96/2015 e successive integrazioni”;

- della delibera ART n. 72/2016 del 27 giugno 2016, recante “Attuazione della delibera n. 96/2015 - modalità applicative e differimento termini”;

- della delibera ART n. 96/2015 del 13 novembre 2015, recante i generali “Criteri per la determinazione dei canoni di accesso e utilizzo dell'infrastruttura ferroviaria”;

- della “bozza di PIR 2018”, pubblicata da RFI sul suo sito internet il 30 settembre 2016, in particolare il capitolo 6;

nonché, con motivi aggiunti depositati in data il 2.2.2018, per l'annullamento

- della Disposizione n. 12 del 7 dicembre 2017, con la quale l'Amministratore Delegato di RFI ha emanato il PIR "Prospetto Informativo della Rete 2019 - edizione dicembre 2017”, in particolare il capitolo 6;

- della Disposizione n. 11 /AD del 7 dicembre 2017, con la quale l'Amministratore Delegato di RFI ha emanato l'aggiornamento straordinario del PIR "Prospetto Informativo della Rete 2018 - edizione dicembre 2017”, in particolare il capitolo 6;

- della Delibera 22 novembre 2017 n. 138/2017 intitolata “Ottemperanza alle sentenze del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sez. Seconda), n. 1097 e n. 1098, relative alle delibere dell'Autorità n. 75/2016 e n. 80/2016 in materia di sistema tariffario per l'accesso all'infrastruttura ferroviaria e per i servizi erogati dal gestore della stessa. Avvio procedimento con prescrizioni”;

- di tutti gli atti presupposti e conseguenti, ancorché non noti.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti e di Rete Ferroviaria Italiana s.p.a.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 novembre 2019 la dott.ssa Paola Malanetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La società SNCF Voyages Italia s.r.l. ha proposto ricorso straordinario al Capo dello Stato avverso le delibera n. 75/2016, con la quale è stato approvato da parte dell’Autorità di regolazione dei trasporti (ART), il “sistema tariffario 2016-2021 per il Pacchetto Minimo di Accesso all’Infrastruttura ferroviaria nazionale. Conformità al modello regolatorio approvato con delibera n. 96/2015 e successive integrazioni”, nonché avverso la delibera ART n. 72/2016 di “attuazione della delibera 96/2015 del 13 novembre 2015 recante i criteri “per la determinazione dei canoni di accesso e utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria”.

In seguito ad opposizione notificata da ART in data 20.12.2016 la società ha riassunto il giudizio innanzi a questo Tar.

Lamenta parte ricorrente:

1) violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del considerando 8 del regolamento UE 2015/909, violazione degli artt. 13.1, 17 e dell’art. 37.2 del d.lgs. n. 112/2015 e degli artt. 1 e 10 della legge n. 287/90, in relazione alla determinazione della componente A del canone. La ricorrente sostiene, in sintesi, che la componente A del canone, che deve essere correlata ai costi di gestione dell’infrastruttura, è stata determinata ed approvata con modalità sostanzialmente incomprensibili per i vettori ferroviari e senza le dovute garanzie procedimentali;

2) violazione e falsa applicazione dell’art. 18 del d.lgs. n. 112/2015; incompetenza dell’autorità emanante per la determinazione della “componente B” del canone della infrastruttura; la determinazione della componente B del canone sarebbe devoluta alla cognizione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti mentre, illegittimamente, sarebbe stata vagliata dall’ART;

3) violazione e falsa applicazione dell’art. 32 dir. 2012/34/UE e degli articoli 3 lett. c), 4 co. 3, 12 co. 2, 16 co.4, 17 co. 3 e 18 del d.lgs. 112/2015; eccesso di potere per sviamento, difetto di istruttoria, travisamento dei presupposti di fatto, contraddizione manifesta per aver mantenuto il binomio “open access internazionale” e “nazionale”, con differenti pedaggi, nonostante gli esiti dell’istruttoria sulla sua non pertinenza; nella determinazione della componente B del canone l’ART ha ritenuto che le tratte internazionali potessero tollerare una maggiorazione di canone, in contrasto con le effettive dinamiche di mercato e con le stesse risultanze istruttorie raccolte;

4) violazione e falsa applicazione degli artt. 29 e 32 della dir. 2012/34/UE, degli artt. 2.1 c), 4.3, dell’art. 12.2, dell’art. 16.4, dell’art. 17.3, dell’art. 18 del d.lgs. n. 112/2015; eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto, difetto di istruttoria, contraddizione manifesta per aver mantenuto una segmentazione separata tra mercato “open access internazionale” e “nazionale” con differenti pedaggi, nonostante l’esito dell’indagine dell’ART, con ciò riducendo la competitività del mercato e discriminando SNCF nel cabotaggio; nella tratta internazionale SNCF è infatti anche autorizzata al servizio di cabotaggio, potendo far salire e scendere i passeggeri nelle stazioni di Novara, Vercelli, Torino, Oulx e Bardonecchia; per la stessa tratta Trenitalia, versando tuttavia la tariffa “open access nazionale”, corrisponde importi significativamente più bassi, con effetti di distorsione della concorrenza;

5) violazione dell’art. 32 della direttiva 2012/34/UE e dell’art. 18.4 del d.lgs. n. 112/2015; eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, sviamento, contraddizione manifesta per aver aumentato il canone per SNCF; la normativa contempla la possibilità di “rispettare gli aumenti di produttività”; tale circostanza non si sarebbe verificata nel caso di specie.

Con successivo ricorso per motivi aggiunti, depositato in data 2.2.2018, la ricorrente ha impugnato le disposizioni con cui sono stati emanati il PIR edizione dicembre 2017 e relative integrazioni, nonché la delibera che ha dato avvio all’ottemperanza alle sentenze del Tar Piemonte n. 1097 e n. 1098/2017; ha riproposto in via derivata le censure dedotte con il ricorso introduttivo.

Si è costituita l’ART, contestando in fatto e diritto gli assunti di cui al ricorso introduttivo; quanto al procedimento di ottemperanza alle sentenze di questo TAR nn. 1097 e 1098/2017 ha evidenziato come le decisioni abbiano comportato un mero annullamento parziale della delibera n. 96/2015, cui l’ART ha inteso adeguarsi; a tal fine è stato aperto il procedimento di ottemperanza, avviato con la comunicazione oggetto del ricorso per motivi aggiunti, conclusosi con la delibera n. 43/2019; l’Autorità, in esito ad una complessa istruttoria, ha riaccertato la conformità dei canoni ai criteri approvati con la delibera 96/2015 e al modello legale, fatta salva la necessità di operare talune riduzioni dei costi operativi imputabili, con conseguente riduzione dei canoni e conguagli a beneficio degli operatori ferroviari. Nella memoria depositata in data 19.6.2019 l’ART ha compiutamente descritto il procedimento di ottemperanza svolto; con la memoria depositata in data 18.10.2019 l’ART, preso atto che nelle more la ricorrente non aveva impugnato la delibera n. 43/2019 di chiusura del procedimento avviato con l’atto impugnato con il ricorso per motivi aggiunti, ha chiesto dichiararsi l’improcedibilità di quest’ultimo.

Ha per il resto contestato nel merito le censure.

Si è costituita RFI, ugualmente contestando nel merito il ricorso.

Nelle more del giudizio, con istanza depositata in data 4.2.2019, SNCF ha chiesto di essere autorizzata al deposito cartaceo di documentazione inerente studi di mercato contenenti dati di natura confidenziale e di segreto commerciale; il deposito è stato autorizzato con decreto n. 33/2019, salvo il deposito telematico con omissis della medesima documentazione.

Con istanza in data 12.2.2019 l’ART ha chiesto di essere autorizzata ad accedere a detta documentazione in versione integrale. Con decreto n. 61/2019 il Presidente ha riservato unitamente alla decisione di merito ogni valutazione circa la documentazione in questione.

All’udienza del 5.11.2019 la causa è stata discussa e decisa nel merito.

DIRITTO

Il ricorso per motivi aggiunti deve essere dichiarato improcedibile; come infatti eccepito dalla difesa dell’ART, detto ricorso è stato proposto avverso l’avvio del procedimento di revisione delle valutazioni della componente A del canone la quale ha costituito, tra l’altro, presupposto della valutazione di approvazione del PIR contenuta nella delibera n. 75/2016; il procedimento si è concluso (con indicazione al gestore di rete di rivedere parzialmente al ribasso i canoni) con delibera n. 43/2019, non oggetto di impugnazione da parte della ricorrente.

Ne consegue l’improcedibilità del ricorso per motivi aggiunti che ha attinto l’avvio del procedimento senza più contestarne l’esito.

Quanto al ricorso introduttivo, con il primo motivo di ricorso si formula una contestazione, in verità generica e generalizzata, del sistema con il quale l’ART è pervenuta, nella deliberazione impugnata n. 75/2016, a ritenere conforme al presupposto modello tariffario contenuto nella delibera n. 96/2015 la componente A della tariffa fissata dal gestore dell’infrastruttura.

Come già ricordato, nelle more del giudizio, la componente A del sistema tariffario 2016-2021 per il pacchetto minimo di accesso all’infrastruttura ferroviaria approvata con la delibera n. 75/2016 in base al modello tariffario contenuto nella delibera n. 96/2015 è stata oggetto di puntuale e parziale rivalutazione da parte dell’ART in seguito alle pronunce di questo TAR nn. 1097 e 1098/2017; ne sono seguite indicazioni al gestore di rete di rettifica in favore delle imprese ferroviarie. E’ quindi persino discutibile che persista l’attualità della censura, formulata in termini generalizzati (la censura deve infatti essere vagliata in forza di quanto tempestivamente dedotto con il ricorso introduttivo e/o per motivi aggiunti) e con riferimento ad un contesto rispetto al quale la componente A del canone è stata rivista al ribasso.

Inoltre la stessa ricorrente, nel proprio atto introduttivo, si riservava di sviluppare la censura, previa acquisizione dell’integrale documentazione presso l’ART. Tale acquisizione è avvenuta nel corso del presente giudizio in quanto, come indicato dalla stessa ricorrente, le imprese ferroviarie hanno avuto accesso integrale agli atti del procedimento per effetto indiretto dell’ordinanza Tar Piemonte sez. II n. 178/2018, resa in un giudizio tra altre parti, e confermata con ordinanza n. 1855/2017 del Consiglio di Stato.

La parte ricorrente ha anche formulato istanza di rinvio dell’udienza di discussione per consentire l’analisi della complessa documentazione tecnica così acquisita e non ha ritenuto né di esplicitare puntuali censure né di adeguarle alle sopravvenute modifiche tariffarie.

In definitiva il primo motivo appare generico alla luce del complesso, dettagliato e trasparente procedimento che ha portato alla determinazione della componente A del canone, cui la ricorrente ha partecipato e del quale ha acquisito integrale documentazione. Né, da un punto di vista puramente procedimentale, è sostenibile che non vi sia stata partecipazione delle imprese ferroviarie che sono state costanti interlocutori dell’ART nel complesso procedimento che ha portato dapprima all’adozione del modello regolatorio (preceduto da due call for inputs) e poi alla verifica di conformità del singolo PIR a tale modello; quanto a quest’ultima fase non sussiste alcuna specifica prerogativa di partecipazione delle imprese ferroviarie che sia autonoma dalla complessiva procedura. Peraltro l’ART ha anche condotto una significativa istruttoria per l’approvazione del PIR; se si esclude la specifica problematica della valutazione del binomio open access nazionale/internazionale, puntualmente censurata dalla ricorrente con il terzo motivo di ricorso (su cui infra nel testo), la generica doglianza inerente le generale conduzione del procedimento non può trovare favorevole valutazione.

La censura deve quindi essere respinta.

Con il secondo motivo di ricorso si contesta la competenza dell’ART ad intervenire sulla componente B del canone che, nell’impostazione di parte ricorrente, spetterebbe, ai sensi dell’art. 18 del d.lgs. n. 112/2015, al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

Sul punto il collegio ritiene di ribadire quanto già precedentemente affermato nelle sentenze nn. 1097 e 1098/2017, in cui si legge: “La Corte di Giustizia, su iniziativa della Commissione, in causa C-369/11 del 3.10.2013, ha censurato l’allora vigente legge italiana (d.lgs. n. 188/2003 che aveva recepito le direttive del 2001, quindi la normativa precedente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 112/2015 di recepimento della direttiva 2012/34) nella parte in cui l’imposizione dei diritti per l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria non rispettava il principio fondamentale “di indipendenza della gestione da parte del gestore” in quanto si demandava al Ministero la fissazione dei diritti di accesso alla rete.

Il principio, benchè affermato con riferimento al diritto UE antecedente alla direttiva 2012/34, è tuttora valido, posto che l’indipendenza del gestore e la necessità che, in linea di principio, lo stesso fissi in autonomia i diritti di accesso alla rete, salvo un intervento neutrale di controllo dell’Autorità di regolazione, sono chiaramente ribadite nella nuova direttiva e sono il presupposto anche del sistema regolatorio ivi previsto.

Si legge infatti nel considerando n. 9 della direttiva 2012/34: “In mancanza di norme comuni per l’imputazione dei costi di infrastruttura, gli Stati membri dovrebbero, previa consultazione del gestore dell’infrastruttura, definire le regole che disciplinano il pagamento dei canoni dovuti dalle imprese di trasporto ferroviario per l’utilizzazione dell’infrastruttura ferroviaria. Tali modalità non dovrebbero effettuare discriminazioni tra imprese ferroviarie”; secondo i considerando 39 e 40 poi: “(39) I metodi di imputazione dei costi stabiliti dai gestori dell’infrastruttura dovrebbero essere basati sulle migliori conoscenze disponibili in materia di causalità dei costi e dovrebbero applicarsi ai diversi servizi offerti alle imprese ferroviarie, e, ove pertinente, ai tipi di veicoli su rotaia. (40) Opportuni sistemi di imposizione dei canoni di utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria abbinati a opportuni sistemi di imposizione dei canoni di utilizzo di altre infrastrutture di trasporto e operatori concorrenziali dovrebbero consentire di realizzare un equilibrio ottimale tra diversi modi di trasporto su una base sostenibile”; ancora si legge nel considerando n. 70: “Il livello generale di recupero dei costi attraverso l’imposizione dei canoni di utilizzo dell’infrastruttura incide sul livello dei contributi statali. Gli Stati membri possono prevedere diversi livelli di recupero generale dei costi. È opportuno tuttavia che ogni sistema di imposizione dei canoni di utilizzo dell’infrastruttura consenta un livello di traffico che sia in grado di pagare almeno il costo supplementare che impone come conseguenza del suo utilizzo della rete ferroviaria”.

Inoltre recita l’art. 4 della direttiva: “Nel rispetto delle regole quadro e specifiche in materia di canoni e di assegnazione stabilite dagli Stati membri, il gestore dell’infrastruttura è responsabile della propria gestione, della propria amministrazione e del proprio controllo interno”; secondo l’art. 29, poi: “Nel rispetto delle regole quadro e specifiche in materia di canoni e di assegnazione stabilite dagli Stati membri, il gestore dell’infrastruttura è responsabile della propria gestione, della propria amministrazione e del proprio controllo interno…Il gestore dell’infrastruttura determina i canoni dovuti per l’utilizzo dell’infrastruttura e procede alla loro riscossione in conformità del quadro stabilito per l’imposizione dei canoni e le relative norme. Ferma restando l’indipendenza gestionale prevista all’articolo 4 e a condizione di un conferimento diretto a norma del diritto costituzionale anteriormente al 15 dicembre 2010, il Parlamento nazionale può avere il diritto di verificare e, se necessario, rivedere il livello dei canoni fissato dal gestore dell’infrastruttura. L’eventuale revisione assicura che i canoni imposti siano conformi alla presente direttiva, al quadro per l’imposizione dei canoni stabilito e alle relative norme”.

Ancora, ai sensi dell’art. 31 della direttiva, i canoni devono essere orientati ai costi diretti: “Gli Stati membri chiedono al gestore dell’infrastruttura e all’operatore degli impianti di servizio di fornire all’organismo di regolamentazione tutte le informazioni necessarie sui canoni imposti per consentirgli di svolgere le proprie funzioni di cui all’articolo 56. Al riguardo il gestore dell’infrastruttura e l’operatore dell’impianto di servizio devono essere in grado di provare alle imprese ferroviarie che i canoni per l’utilizzo dell’infrastruttura e dei servizi effettivamente fatturati a ciascuna impresa ferroviaria, a norma degli articoli da 30 a 37 sono conformi ai metodi, alle regole e, se del caso, ai criteri indicati nel prospetto informativo della rete. Fatti salvi i paragrafi 4 o 5 del presente articolo o dell’articolo 32, i canoni per il pacchetto minimo di accesso e per l’accesso all’infrastruttura di collegamento agli impianti di servizio sono stabiliti al costo direttamente legato alla prestazione del servizio ferroviario. Anteriormente al 16 giugno 2015, la Commissione adotta misure che stabiliscono le modalità applicabili al calcolo del costo direttamente legato alla prestazione del servizio ferroviario. Tali atti di esecuzione sono adottati secondo la procedura d’esame di cui all’articolo 62, paragrafo 3. Il gestore dell’infrastruttura può decidere di adeguarsi gradualmente a tali modalità durante un periodo non superiore a quattro anni dall’entrata in vigore di detti atti di esecuzione”.

Sono poi ammesse deroghe al criterio del costo diretto ai sensi dell’art 32 della direttiva 2012/34 secondo cui: “Ai fini del pieno recupero dei costi da parte del gestore dell’infrastruttura, uno Stato membro può, se il mercato lo consente, applicare coefficienti di maggiorazione in base a principi efficaci, trasparenti e non discriminatori, garantendo nel contempo una competitività ottimale dei segmenti del mercato ferroviario. Il sistema di imposizione dei canoni deve rispettare gli aumenti di produttività conseguiti dalle imprese ferroviarie”; la realizzazione del “pieno recupero dei costi” presuppone una preventiva analisi e segmentazione del mercato, controllata dall’Autorità di regolazione; inoltre, sempre secondo l’art. 32, “i gestori dell’infrastruttura possono fissare i canoni a un livello più elevato per recuperare completamente i costi sostenuti per il trasporto merci da e verso paesi terzi effettuato su linee con scartamento diverso da quello della rete ferroviaria principale all’interno dell’Unione. Per progetti di investimento specifici, da realizzare in futuro o ultimati dopo il 1988, il gestore dell’infrastruttura può stabilire o mantenere diritti più elevati, sulla base dei costi a lungo termine di tali progetti, purché si tratti di progetti che migliorano l’efficienza e/o la redditività e che, in caso contrario, non potrebbero o non avrebbero potuto essere attuati. Tale sistema di imposizione dei canoni può inoltre comportare accordi di ripartizione dei rischi connessi ai nuovi investimenti”.

Da ultimo, ai sensi dell’art. 8, “fatto salvo l’eventuale obiettivo a lungo termine della copertura da parte dell’utilizzatore dei costi di infrastruttura per tutti i modi di trasporto sulla base di una concorrenza intermodale equa e non discriminatoria, quando il trasporto ferroviario è competitivo rispetto ad altri modi di trasporto, nell’ambito dei principi di imposizione dei canoni di cui agli articoli 31 e 32, uno Stato membro può imporre al gestore dell’infrastruttura di conseguire un equilibrio della contabilità senza contributi statali ”.

Ai sensi dell’art. 56: “6. L’organismo di regolamentazione garantisce che i canoni fissati dal gestore dell’infrastruttura siano conformi al capo IV, sezione 2 (ndr artt. 29-37, che contemplano anche le ipotesi che fanno eccezione al recupero dei meri costi diretti), e non siano discriminatori…..”

In definitiva il sistema delineato dall’ordinamento dell’Unione europea si fonda sui seguenti principi:

1. i canoni di utilizzo della rete sono determinati dal gestore della rete nella sua autonomia, secondo parametri tendenzialmente orientati al recupero dei costi diretti;

2. l’ordinamento ammette massicci interventi pubblici a garanzia del sicuro e costante sviluppo della rete, tant’è vero che, in Italia, i costi di manutenzione e sviluppo della rete non sono allo stato né autofinanziati dal gestore né traslati sui canoni pagati dagli utilizzatori, bensì posti a carico della fiscalità generale tramite il Contratto di Programma (il Contratto di Programma prevede una parte Investimenti – investimenti e sviluppo infrastrutture- e una parte Servizi – attività di manutenzione straordinaria e ordinaria - ed ha durata quinquennale);

3. l’art. 8 in prospettiva auspica, quando il trasporto ferroviario potesse ritenersi competitivo rispetto agli altri sistemi di trasporto, anche l’integrale recupero della contribuzione pubblica; il considerando n. 70 ritiene opportuno, già in questa fase, il recupero di costi ulteriori della rete per tutte quelle tratte che lo consentono;

4. la normativa europea contempla poi l’ipotesi eccezionale e limitata di uno specifico conferimento diretto dello Stato che, ai sensi dell’articolo 29, potrebbe essere recuperato tramite un intervento sui canoni demandato non al Governo ma al Parlamento nazionale, trattandosi evidentemente di una impattante scelta di politica dei trasporti;

5. tra l’ipotesi limite di recupero di un contributo diretto demandata al Parlamento e quella del mero recupero dei costi diretti è poi prevista ed ammissibile tutta una gamma intermedia di modulazioni del canone, quali il recupero di specifici investimenti, di somme investite per l’alta velocità, di costi sostenuti per interventi completati nella seconda metà degli anni ’80; è altresì contemplato il “pieno recupero dei costi sostenuti dal gestore” (non dei finanziamenti pubblici) che presuppone una analisi e segmentazione del mercato il cui controllo l’art. 32 della direttiva esplicitamente demanda all’Autorità di regolazione.

Nella fisiologia del sistema, lo Stato detta “regole” e non canoni – salvo l’estremo limite del recupero di una contribuzione pubblica diretta- mentre la fissazione dei canoni è demandata alla autonoma determinazione del gestore, sotto la vigilanza dell’Autorità nazionale di controllo; d’altro canto il sistema non implica – se non in senso tendenziale - il recupero totale della contribuzione pubblica ma ne presuppone l’esistenza, mentre comporta, fisiologicamente, una serie di costanti e modulate valutazione tecniche e di mercato che non possono che essere frutto dell’attività congiunta del gestore e dell’Autorità di vigilanza. In termini puramente tendenziali e di prospettiva si auspica un più completo recupero dei costi. Risulta peraltro persino in via di formazione e soggetto ad un periodo transitorio di adeguamento il concetto di costi diretti ammissibili al recupero, con il risultato evidente che, ritenere che il mero recupero dei costi ammissibili ovvero l’applicazione di coefficienti di maggiorazione costituisca il discrimine di competenza tra l’ART e i Ministeri, indurrebbe una sostanziale perenne incertezza tra le competenze dei due soggetti, soprattutto nella fase transitoria.

L’art. 56 della direttiva, in chiusura, demanda espressamente all’Autorità di vigilanza il controllo sui canoni fissati dal gestore con un richiamo complessivo al capo IV, sezione seconda, che, a sua volta, include anche le ipotesi di canoni esorbitanti il mero recupero del costo diretto.

Da ultimo una soluzione che abiliti la fissazione di coefficienti di maggiorazione da parte del Governo, per il tramite del Ministero, finirebbe, a parere del collegio, per riproporre quel vulnus dell’autonomia del gestore (oltre che di quella del regolatore) che la Corte di giustizia ha già censurato in capo allo Stato italiano con riferimento alla previgente normativa.

In tale assetto della normativa europea il d.lgs. n. 112/2015 ha introdotto, all’art. 18, una previsione distonica e verosimilmente frutto della pregressa, e già censurata, impostazione normativa.

Recita l’articolo 18 del d.lgs. n. 112/2015 comma 1: “Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 17 in materia di determinazione dei canoni per l'utilizzo dell'infrastruttura ferroviaria, ai fini del pieno recupero, da parte del gestore, dei costi connessi all'accesso e all'utilizzo dell'infrastruttura ferroviaria e al collegamento con gli impianti di servizio, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, possono essere previsti coefficienti di maggiorazione dei canoni per l'utilizzo dell'infrastruttura ferroviaria, fermo restando l'equilibrio economico e finanziario di cui all'articolo 16”.

La norma prosegue apparentemente demandando il controllo sulla analisi segmentata del mercato al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, e ciò in palese contrasto con l’art. 32 comma 1 ultima parte della direttiva 2012/34 che recita: “l’organismo di regolamentazione di cui all’articolo 55 controlla tale elenco (ndr elenco dei segmenti di mercato, che costituisce il presupposto di applicazione dei coefficienti di maggiorazione per il recupero dei costi totali) in conformità dell’articolo 56 (ndr l’art. 56, a sua volta, demanda all’organismo di regolamentazione il controllo del sistema di imposizione dei canoni)”.

In definitiva pare al collegio che l’unica interpretazione compatibile con il diritto dell’Unione Europea – che non contempla alcun intervento dell’esecutivo nella definizione dei canoni in tutte le loro componenti - e come già anche esplicitato dalla Corte di giustizia nella causa C-369/11, porti a concludere che correttamente l’ART abbia interpretato la propria funzione come estesa alla determinazione di ogni componente del canone, ivi inclusi i coefficienti di maggiorazione, soluzione da cui potrebbe esulare solo la scelta, certamente politica, di praticare un recupero integrale della contribuzione pubblica nel settore, scelta che nel caso di specie non è in alcun modo contemplata e che per altro la direttiva sembra orientare verso il Parlamento e non verso l’Esecutivo” (Tar Piemonte sez. II nn. 1097 e 1098/2017).

Non ravvisandosi ragioni per sconfessare il ragionamento appena richiamato il secondo motivo di ricorso deve essere respinto.

Con il terzo e quarto motivo di ricorso la SNCF sostanzialmente lamenta che l’ART avrebbe errato nel ritenere legittima l’applicazione, da parte del gestore, di un sovracanone o mark-up (componente B del canone) per il segmento di mercato “open access internazionale”.

Le due censure possono essere vagliate congiuntamente, per la loro stretta connessione logica.

Il già ricordato art. 32 della direttiva 2012/34/UE, nella sua interezza, recita:

“Deroghe ai principi di imposizione dei diritti.

1. Ai fini del pieno recupero dei costi da parte del gestore dell’infrastruttura, uno Stato membro può, se il mercato lo consente, applicare coefficienti di maggiorazione in base a principi efficaci, trasparenti e non discriminatori, garantendo nel contempo una competitività ottimale dei segmenti del mercato ferroviario. Il sistema di imposizione dei canoni deve rispettare gli aumenti di produttività conseguiti dalle imprese ferroviarie. Il livello dei canoni stabiliti non preclude tuttavia l’utilizzo dell’infrastruttura a segmenti del mercato che possono pagare quanto meno il costo direttamente imputabile, più un tasso di rendimento accettabile per il mercato, alla prestazione del servizio ferroviario. Prima di approvare l’applicazione di tali coefficienti di maggiorazione, gli Stati membri assicurano che i gestori dell’infrastruttura ne valutino la pertinenza per specifici segmenti di mercato, prendendo in considerazione almeno i binomi elencati nell’allegato VI, punto 1, e scegliendo quelli pertinenti. L’elenco dei segmenti di mercato definiti dai gestori dell’infrastruttura contiene almeno i tre segmenti seguenti: servizi merci, servizi passeggeri nel quadro di un contratto di servizio pubblico e altri servizi passeggeri. I gestori dell’infrastruttura possono distinguere ulteriormente i segmenti di mercato in base alle merci o passeggeri trasportati. Sono inoltre definiti i segmenti di mercato in cui le imprese ferroviarie non effettuano al momento servizi ma possono effettuarli durante il periodo di validità del sistema di imposizione dei canoni. Il gestore dell’infrastruttura non include nel sistema di imposizione dei canoni nessun coefficiente di maggiorazione per tali segmenti di mercato. L’elenco dei segmenti di mercato è pubblicato nel prospetto informativo della rete ed è riveduto almeno ogni cinque anni. L’organismo di regolamentazione di cui all’articolo 55 controlla tale elenco in conformità dell’articolo 56…”

A sua volta l’allegato VI punto 1 della direttiva recita: “1. I binomi che il gestore dell’infrastruttura deve considerare nel definire un elenco di segmenti di mercato al fine di introdurre nel sistema di imposizione coefficienti di maggiorazione ai sensi dell’articolo 32, paragrafo 1, comprendono almeno i seguenti:

a) servizi passeggeri/servizi merci;

b) treni che trasportano merci pericolose/altri treni merci;

c) servizi nazionali/servizi internazionali;

d) trasporto combinato/treni diretti;

e) servi passeggeri urbani o regionali/servizi passeggeri interurbani;

f) treni blocco/treni a vagoni singoli;

g) servizi ferroviari regolari/servizi ferroviari straordinari.”

L’art. 18 del d.lgs. n. 112/2015, cha ha recepito nel nostro ordinamento l’art. 32 della direttiva, recita:

“1. Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 17 in materia di determinazione dei canoni per l'utilizzo dell'infrastruttura ferroviaria, ai fini del pieno recupero, da parte del gestore, dei costi connessi all'accesso e all'utilizzo dell'infrastruttura ferroviaria e al collegamento con gli impianti di servizio, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, possono essere previsti coefficienti di maggiorazione dei canoni per l'utilizzo dell'infrastruttura ferroviaria, fermo restando l'equilibrio economico e finanziario di cui all'articolo 16.

2. Ai fini dell'adozione del decreto di cui al comma 1, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti si assicura che i gestori dell'infrastruttura abbiano valutato l'impatto dei coefficienti di maggiorazione per specifici segmenti di mercato, prendendo in considerazione almeno i binomi elencati nell'allegato VI, punto 1, della direttiva 2012/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, scegliendo quelli pertinenti. L'elenco dei segmenti di mercato definiti dai gestori dell'infrastruttura contiene almeno i tre segmenti seguenti:

a) servizi merci;

b) servizi passeggeri nel quadro di un contratto di servizio pubblico locale, regionale e nazionale;

c) altri servizi passeggeri.

Il gestore dell'infrastruttura può distinguere ulteriormente i segmenti di mercato in base alle merci o ai passeggeri trasportati nonché ad altri parametri relativi ai segmenti specifici. Sono, inoltre, definiti i segmenti di mercato in cui le imprese ferroviarie non effettuano al momento servizi ma possono effettuarli durante il periodo di validità del sistema di imposizione dei canoni. Il gestore dell'infrastruttura non include nel sistema di imposizione dei canoni nessun coefficiente di maggiorazione per tali segmenti di mercato.

3. Il gestore dell'infrastruttura applica i coefficienti di maggiorazione di cui al comma 1 in base a principi di efficienza, trasparenza e non discriminazione, garantendo nel contempo la competitività ottimale dei segmenti del mercato ferroviario. Il sistema di imposizione dei canoni deve rispettare gli aumenti di produttività conseguiti dalle imprese ferroviarie. Il gestore dell'infrastruttura può altresì applicare, fatti salvi gli articoli 101, 102, 106 e 107 TFUE, le riduzioni sui canoni imposti all'impresa ferroviaria, secondo quanto previsto ai commi 11, 12 e 13, fermo restando l'equilibrio economico e finanziario di cui all'articolo 16.

4. L'organismo di regolazione verifica:

a) la sostenibilità per il mercato dell'applicazione dei coefficienti di maggiorazione cui al comma 1;

b) che tali coefficienti siano applicati in base a principi di efficienza, trasparenza e non discriminazione;

c) che tali coefficienti siano applicati in modo da garantire la competitività ottimale dei segmenti del mercato ferroviario;

d) che il sistema di imposizione dei canoni rispetti gli aumenti di produttività conseguiti dalle imprese ferroviarie.

L'organismo di regolazione comunica gli esiti della verifica al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e al Ministero dell'economia e delle finanze per le successive valutazioni. L'organismo di regolazione verifica inoltre che le riduzioni rispettino quanto stabilito ai commi 11, 12 e 13.

5. Il livello dei canoni stabiliti non preclude l'utilizzo dell'infrastruttura a segmenti del mercato che possono pagare quanto meno il costo direttamente imputabile, più un tasso di rendimento accettabile per il mercato, alla prestazione del servizio ferroviario.

6. L'elenco dei segmenti di mercato è pubblicato nel prospetto informativo della rete ed è rivisto almeno ogni cinque anni. L'organismo di regolazione controlla tale elenco ai sensi dell'articolo 14, comma 1, del presente decreto.”

In sintesi l’intera tariffazione dell’accesso alla rete prevede, di base, che le tariffe siano ancorate ai costi diretti sostenuti dal gestore; tralasciando in questa sede l’ampia e complessa discussione circa cosa si ascriva, in termini pertinenti, alla voce “costi diretti recuperabili” dal gestore con il canone, è certo che il servizio ferroviario, che richiede necessariamente l’uso di una infrastruttura particolarmente costosa che crea peraltro un monopolio naturale in capo al gestore di rete, per le sue caratteristiche contempla un margine notevole di ingenti costi indiretti e di investimento quali, appunto, quelli di realizzazione delle infrastrutture, che renderebbero certamente inefficienti canoni al costo marginale.

Tale peculiarità del mercato, unita all’interesse generale che il servizio di trasporto ferroviario riveste nella costruzione stessa dell’Unione Europea, comporta una mole di costi di sviluppo dell’infrastruttura che, di norma, non possono essere ribaltati sui canoni di accesso alla rete poiché, in caso contrario, si renderebbe insostenibile per le imprese ferroviarie l’accesso al mercato.

Un parziale recupero di costi indiretti può avviene tramite l’imposizione di sovracanoni o mark-ups che presuppongono, tra l’altro e per gli aspetti qui in discussione ai sensi dell’art. 18 del d.lgs. n. 112/2015 e del presupposto art. 32 della direttiva 2012/34/CE, l’individuazione di segmenti di mercato in grado di sostenerli senza perdere remuneratività; mentre i costi diretti, sempre recuperabili, sono inseriti nella componente A del canone, gli ulteriori costi possono essere inseriti nella componente B.

Trattasi dei cosiddetti “costi netti totali efficienti”, calcolati secondo un modello algebrico che muove dai costi diretti (componente A), e salvaguarda quanto previsto dall’art. 32 par. 1 della direttiva 2012/34/UE (principi di efficacia, trasparenza, non discriminazione e competitività del mercato), inserendo dei coefficienti di maggiorazione.

Ribadito quanto già ricordato nell’analisi del secondo motivo di ricorso con riferimento alle competenze del Ministero ovvero dell’ART previste dall’art. 18 del d.lgs. n. 112/2015, per quanto concerne il sistema di imposizione dei coefficienti di maggiorazione o mark-ups le normative europea e nazionale prevedono la previa segmentazione del mercato del trasporto ferroviario in ambiti specifici e internamente omogenei, tali da poter costituire binomi comparabili tra loro per diversa “ability to pay”.

La fase di accurata segmentazione del mercato in ambiti oggettivamente differenziati in termini di capacità di assorbire eventuali aumenti del canone, ad esempio traslandoli sull’utenza, rappresenta il primo ed indispensabile passaggio affinchè i mark-ups rispecchino effettive differenze di mercato, senza indurre effetti distorsivi della concorrenza.

La normativa individua, per l’applicazione di questa componente del canone, come imprescindibile la segregazione di tre segmenti di mercato consistenti rispettivamente nel servizio merci, servizio passeggeri e servizio passeggeri reso nel quadro di un contratto di servizio pubblico (dunque normalmente sovvenzionato); è poi possibile che i gestori dell’infrastruttura individuino e valutino la pertinenza di ulteriori specifici segmenti. Sempre in forza della direttiva, ed in specifico dell’allegato VI, l’individuazione di segmenti di mercato e l’applicazione di mark-ups prende in considerazione i seguenti binomi: “a) servizi passeggeri/servizi merci; b) treni che trasportano merci pericolose/altri treni merci; c) servizi nazionali/servizi internazionali; d) trasporto combinato/treni diretti; e) servizi passeggeri urbani o regionali/servizi passeggeri interurbani; f) treni blocco/treni a vagoni singoli; g) servizi ferroviari regolari/servizi ferroviari straordinari.”

Tale lista di binomi è facoltativa, esemplificativa deve essere oggetto di valutazione ma non necessariamente di implementazione e, come precisato dalla stessa direttiva, è suscettibile di valida applicazione solo se: a) “il mercato lo consente”, b) nella determinazione del sovracanone restano rispettati i principi di “efficacia, trasparenza e non discriminazione”, c) tale segmentazione risulta “funzionale a garantire una ottimale competitività del mercato ferroviario”, d) restano in ogni caso rispettati “gli aumenti di produttività delle imprese ferroviarie”.

La valutazione del gestore di individuare binomi ed applicare sovracanoni, così come le scelte di segmentazione del mercato, quale primo momento di applicazione di eventuali mark-ups, sono soggetti al controllo dell’organismo di regolazione, dunque dell’ART.

Nel presente giudizio la ricorrente contesta che l’ART abbia approvato la scelta del gestore di individuare, quale binomio corretto per l’applicazione differenziata di un mark-up, quello tra servizi nazionali e internazionali, ritenendo il secondo maggiormente in grado di tollerare il sovracanone.

La componente B del canone è disciplinata nella misura 29 dell’allegato della delibera ART n. 96/2015; essa prevede una componente di canone variabile che la stessa misura definisce “market-based” e che si sviluppa a partire da una tariffa base determinata “sull’importo medio chilometrico definito a partire dal costo correlato alla componente A del pedaggio”, rettificata attraverso un coefficiente di maggiorazione per il recupero dell’“efficient total cost”. Il prodotto tra tariffa base e coefficiente di maggiorazione genera la cosiddetta tariffa base unitaria, a sua volta scomposta in tre componenti additive “afferenti rispettivamente: B1 – all’ability to pay dei segmenti di mercato; B2 alla classe di tipologia di rete; B3 alla fascia oraria di servizio”.

La misura 29 prosegue precisando che i binomi di cui alla componente B1 da considerare dovranno essere definiti sulla base dei criteri dettati dalla misura 24. A sua volta la misura 24 individua i segmenti di mercato precisando di avere riguardo ai binomi proposti dalla Direttiva 2012/34/UE e tenere conto delle indicazioni prevenute nel corso della consultazione dei vari stakeholders. L’Autorità ha così disegnato, relativamente al PMdA, la seguente struttura di base dei servizi ferroviari: servizi marittimi e terrestri; questi ultimi suddivisi a loro volta in tecnici e commerciali; questi ultimi suddivisi a loro volta in merci e passeggeri; questi ultimi suddivisi a loro volta in open access e OSP (con obblighi servizio pubblico, dunque servizi non in libero mercato); infine il servizio open access (dunque pienamente liberalizzato) viene suddiviso in internazionale e nazionale e, quest’ultimo, in premium e basic.

Nell’ambito del binomio open access internazionale/nazionale, qui di interesse, la misura 24, come originariamente configurata nella delibera n. 96/2015, assumeva che quello con maggiore ability to pay fosse quello internazionale.

Le censure della ricorrente si appuntano proprio sulla componente B1 del canone ed in specifico sull’ability to pay del binomio nazionale/internazionale, all’interno dei servizi passeggeri open access (dunque liberalizzati) in cui la società opera, contestando la valutazione secondo cui il segmento internazionale sarebbe in grado di sopportare un sovracanone maggiore.

La contestazione di parte ricorrente è articolata in due motivi relativi a diversi profili: da un lato si lamenta infatti il difetto di istruttoria, in quanto proprio l’analisi del sistema tariffario proposto dal gestore svolta dall’ART avrebbe portato all’esito che i percorsi internazionali non sono necessariamente “segmenti di mercato” con maggiore capacità di assorbire sovracanoni e, ciononostante, l’ART avrebbe ritenuto conforme al modello tariffario ed alle misure applicative che lo hanno interessato l’approvazione di un PIR che, di fatto, consente di imporre un canone maggiore alle tratte internazionali; dall’altro si censura l’effetto distorsivo della concorrenza in danno degli operatori internazionali, come la ricorrente, che tale erronea valutazione induce.

La censura è fondata per l’assorbente primo profilo, fermo restando che è ragionevole conseguenza che una non corretta o quantomeno correttamente giustificabile individuazione dei segmenti di mercato per l’applicazione dei sovracanoni può indurre effetti distorsivi della concorrenza, dunque antitetici sullo specifico punto alle finalità proprie dell’intero impianto normativo.

L’istruttoria condotta dall’ART non risulta infatti in atti avere portato ad esiti coerenti con l’approvazione della componente B1 del canone, come prospettata dal gestore.

L’ART, dopo aver tentato di indagare come, per applicare al segmento internazionale il mark-up, RFI avesse valutato che questo presentasse una maggior “ability to pay” ha desunto dall’istruttoria che, in verità, RFI non aveva evidenza di tale caratteristica e addirittura aveva riscontrato elementi che avrebbero potuto portare a valutazioni opposte; siffatta evenienza istruttoria ha indotto l’Autorità ad adeguare, tramite sostanziale rettifica, l’astratto modello tariffario sul punto contenuto nella delibera n. 96/2015. La circostanza risulta affermata lealmente dalla stessa ART.

In particolare, come evidenziato in ricorso, pur senza modificare il modello di calcolo disegnato nella delibera n. 96/2015, nella delibera n. 72/2016 “attuazione della delibera n. 96/2015 – modalità applicative e differimento termini” si legge: “in esito all’interlocuzione con il gestore e tenuto conto delle verifiche di sostenibilità, opportunamente integrate sulla base delle informazioni tecnico/economiche fornite dalle imprese Ferroviarie, per meglio assicurare l’ottemperanza ai principi di competitività, sostenibilità e rispetto degli incrementi di produttività per le imprese ferroviarie, nonché di equilibrio economico del Gestore dell’Infrastruttura di cui all’art. 16 del d.lgs. 112/2015, risulta opportuno enunciare le seguenti modalità applicative delle misure di cui all’allegato 1 della delibera n. 96/2015, concernenti i limiti di variabilità dei coefficienti di modulazione tariffaria pertinenti ai singoli segmenti di mercato, definiti dalla misura 29, ed operanti sulla base dei binomi costituenti la struttura di base dei servizi ferroviari; in particolare:

(i) stante il fatto che, per il binomio Open Access internazionale / Open Access nazionale, non appare riscontrabile di fatto una maggiore ability yo pay del primo segmento rispetto al secondo, ed inoltre che i servizi internazionali costituiscono una componente estremamente ridotta del traffico Open Access, il coefficiente J min,b,5, applicato a tale binomio, può assumere un valore superiore ad 1.”

E’ pacifico tra le parti che tale soluzione consente, in virtù della modifica del valore del coefficiente inserito nella formula, che il binomio tariffario rispecchi indifferentemente una maggior remuneratività del mercato internazionale o, viceversa, una maggior remuneratività di quello nazionale.

L’ART ha poi comunque approvato un PIR che ha previsto il sovracanone per il segmento di mercato internazionale, senza che sia dato comprendere in che momento successivo del procedimento o da quali risultanze istruttorie sia emerso un diverso risultato rispetto a quello fotografato dalla delibera n. 72 e tale da giustificare, in termini oggettivi e legati alla operatività di quel segmento di mercato, siffatto esito.

D’altro canto nel documento di RFI intitolato “nuovo sistema tariffario di rete ferroviaria italiana per gli anni 2016-2021” – allegato 3 (prodotto da SNCF sub. doc. 9) si legge: “A giudizio della Scrivente (ndr RFI), l’esito della consultazione ha confermato che una verifica dell’andamento dei volumi rispetto ad ipotesi di variazioni del livello di pricing presuppone un’approfondita analisi di sostenibilità relativa, che richiede l’acquisizione di elementi che attengono, tra l’altro, alla struttura dei costi delle singole imprese (per valutare su di essi l’incidenza del pedaggio), all’elasticità di costo (per valutare l’effetto di variazioni dei volumi sul costo di produzione), al diverso grado di incidenza della tariffa e dei contributi (nel caso di OSP) sui costi di produzione delle IF, all’elasticità della domanda rispetto alla tariffa, ai margini e produttività conseguiti e conseguibili dalle IF. L’adozione e l’effettiva implementazione di un processo strutturato di verifica di sostenibilità presuppone un’iterazione tra Gestore e Autorità e tra questi e gli operatori ferroviari, tali ultimi esclusivi detentori di dati ed elementi informativi necessari per addivenire alla calibrazione di una nuova strutturazione tariffaria, oltre che ad una correlata definizione del giusto livello di contribuzione pubblica. Giova al riguardo evidenziare che il processo di formazione del nuovo sistema di pedaggio ferroviario, delineato e definito con la Delibera 96, non ha previsto lo svolgimento di un market test finalizzato a verificare, per tipologia e segmento di trasporto, l’effettivo grado di sostenibilità del livello di pedaggio per le diverse imprese ferroviarie. Al contempo, come detto, il modello e le risultanze del nuovo sistema di pricing da ultimo presentato alle IF è stato fortemente influenzato dai vincolanti criteri regolatori di sostenibilità definiti dall’ Autorità alla misura 31 della Delibera”. Dalle osservazioni di RFI si evince dunque esplicitamente che, come effettivamente lamentato da parte ricorrente, il gestore non ha effettuato indagini di mercato per valutare la differente reazione alle variazioni di prezzo dei segmenti di mercato individuati; per contro, una complessiva sostenibilità del nuovo sistema tariffario, è stata garantita dalla misura 31 allegata alla delibera 96/2015, che rappresenta una sorta di norma di “chiusura” e ha comunque posto limiti massimi agli aumenti praticabili dal gestore rispetto alle tariffe medie in vigore nel 2015 in determinati ambiti; in sostanza il modello tariffario ha calmierato a priori gli aumenti per garantirne, a prescindere da puntuali valutazioni di mercato, il ragionevole assorbimento da parte delle imprese ferroviarie.

Resta tuttavia in atti non spiegata la specifica distinzione open access nazionale/internazionale accettata poi nel PIR e contestata da SNCF.

Che la maggior ability to pay del segmento open access internazionale presupposta dalla delibera di approvazione del PIR presenti delle fasi di criticità risulta poi non solo dall’istruttoria condotta dall’ART (è la stessa ART ad ammettere, nella delibera n. 72, di non aver trovato riscontro di siffatta maggiore ability to pay del segmento internazionale ed è il gestore che, nel corso dell’istruttoria, ammette di avere difficoltà a reperire i dati dalle imprese ferroviarie, non avendo per di più effettuato indagini di mercato in proprio) ma si evince anche dalla relazione istruttoria con la quale l’ART aveva accompagnato ab origine l’approvazione della delibera n. 96/2015.

In tale relazione (pp. 57 e ss), correttamente, l’ART evidenziava la criticità e specificava:

“a) Tematica dell’Ability to pay e della “sostenibilità”.

L’art. 32.1 della direttiva Recast stabilisce che l’applicazione di coefficienti di maggiorazione, ai fini del pieno recupero dei costi da parte del GI, può essere effettuata “se il mercato lo consente”, garantendo nel contempo una competitività ottimale dei segmenti del mercato ferroviario, e che il sistema di imposizione dei canoni deve rispettare gli aumenti di produttività conseguiti dalle imprese ferroviarie. Tale statuizione fa riferimento alla necessità che le risorse destinate alla corresponsione dei pedaggi siano commisurate alla possibilità da parte delle imprese ferroviarie di pagare, mantenendo condizioni di bilancio equilibrate e sostenibili nel tempo. E’ un concetto correlato a quello di “equità verticale”, specifico della materia fiscale, che afferma che soggetti con capacità contributiva diversa devono essere tassati in misura diseguale: tale assunto è alla base dell’attività di redistribuzione del reddito operata dal settore pubblico. In sostanza, si configura la necessità di predisporre una gamma di criteri distributivi per calibrare il livello del pedaggio ferroviario tra i soggetti contribuenti, raggruppati per segmento di mercato, basata su giudizi di valore ritenuti idonei al fine di ponderare correttamente la capacità contributiva e la sostenibilità economica, a livello individuale. Al GI, quale soggetto detentore del dovere di elaborare la proposta tariffaria, spetterebbe in prima istanza l’onere di effettuare le analisi necessarie per esprimere tali giudizi di valore: tuttavia è innegabile che tali analisi richiedano un livello di conoscenza del mercato dei servizi retail (in termini di struttura della domanda, di sostenibilità economica dell’offerta, di livello di concorrenza) che il Gestore, in autonomia, non appare obiettivamente in grado di ottenere, in quanto dovrebbe avere accesso, presso le Imprese Ferroviarie, ad informazioni di carattere commerciale connotate da profili di riservatezza. In tale contesto non giova, peraltro, l’attuale posizione del Gestore nazionale il quale, benché formalmente indipendente, è collocato all’interno di una holding societaria comprendente anche l’Impresa Ferroviaria incumbent del mercato italiano. Nel merito, pertanto, l’Autorità ritiene opportuno, in sede di prima applicazione, fornire indicazioni in termini di “sostenibilità”: 1) dando atto che, per il primo periodo tariffario, i criteri di variabilità individuati alla misura 31, uniti ai limiti per i coefficienti dei binomi previsti alla misura 29, costituiscono le indicazioni dell’Autorità al Gestore in merito alla sostenibilità dei segmenti di mercato; 2) prevedendo di dare avvio, anche nel contesto di quanto previsto dai commi 3 ed 8 dell’art. 37 del D.lgs. 112/2015, agli opportuni approfondimenti in previsione dei successivi periodi tariffari, finalizzati ad una più puntuale definizione della capacità contributiva dei segmenti di mercato.”

La lettura che l’ART offre del sistema nella menzionata relazione presenta una ambiguità di fondo che riemerge nelle difese in giudizio e che non appare al collegio del tutto aderente al presupposto sistema normativo per lo specifico sovracanone in discussione.

Infatti nel quadro disegnato della direttiva comunitaria, come anche recepito dall’ordinamento nazionale, la segmentazione dei mercati è il presupposto per individuare in termini oggettivi – legati al mercato stesso - la possibilità di imporre un sovracanone; la stessa delibera ART, alla misura 29, enuncia che la componente B del canone è “market based”, né potrebbe dire diversamente posto che questa è l’impostazione che si ricava dall’art. 32 della direttiva. Anche nella relazione istruttoria appena menzionata le analisi di mercato presupposte per questa tipologia di calcolo vengono indicate in aspetti, appunto, strutturali del mercato (quali il livello della concorrenza, la sostenibilità economica dell’offerta e la struttura della domanda).

D’altro canto non è un caso che, in ottica oggettiva, nella propria attività istruttoria l’ART abbia cercato dapprima di comprendere se il gestore della rete, per pervenire alle valutazioni tradotte in sovracanoni relativi al binomio traffico nazionale/internazionale, avesse svolto delle indagini di mercato, ricavandone, per contro e come emerge nella delibera n. 72, che non “appare riscontrabile una maggiore ability to pay” del segmento internazionale rispetto a quello nazionale.

Inoltre, come si evince dal verbale di audizione della SNCF dell’8.6.2016 prodotto da ART in data 18.10.2019, l’Autorità he esplicitamente chiesto alla società di chiarire “la possibilità di un pass-through – totale o parziale – degli eventuali maggiori costi sui prezzi retail, segnalandone, attese le stime riguardanti il load-factor dei servizi, l’eventuale impatto economico sulla clientele”; dunque l’ART ha chiesto ai gestori (tra cui SNCF) di fornire analisi di elasticità della domanda. Nel verbale si espongono le osservazioni di SNCF incentrate in specifico sull’analisi di elasticità della domanda e sulla esistente concorrenza, per la tratta Milano-Torino-Parigi, di voli low cost e bus a lunga percorrenza. Trattasi di una concorrenza intermodale che consente agevolmente al consumatore di spostare la propria domanda in seguito alla variazione di prezzo. La tesi è in fondo condivisa anche dell’Autorità poiché, nel medesimo verbale, si legge anche: “SNCF conferma l’analisi degli uffici dell’Autorità circa la fragilità del business nel suo complesso, nel contesto di concorrenza intermodale nel quale opera, anche a invarianza di pedaggio”.

Nella relazione istruttoria già citata, poi, l’Autorità, dopo aver enunciato un principio nella struttura coerente con le disposizioni della direttiva (ossia quello secondo cui la valutazione nel caso specifico deve essere orientata al mercato ed a caratteristiche oggettive dello stesso) ed aver rilevato come, in tale ottica, non vi erano elementi che giustificassero la segmentazione adottata, ha comunque mantenuto il binomio finendo per chiarire che la scelta era provvisoria, suscettibile di evoluzione in senso diverso, inficiata dalla difficoltà del gestore di rete di ottenere dai vettori dati commerciali riservati e, pur tuttavia, rispondente ad un principio di equità verticale, nel senso che il canone avrebbe finito per incidere su soggetti i quali, in definitiva, erano in grado di sostenerlo senza essere espulsi dal mercato.

Quest’ultimo assunto, che è anche il perno della difesa di ART nel presente giudizio, non appare in questi termini coerente con il più volte menzionato quadro normativo per la particolare componente di canone qui in disamina e neppure con il sistema dei canoni nel loro complesso. L’obiezione è correttamente sollevata da SNCF; né, come impropriamente sostiene ART nella memoria depositata per l’udienza di merito, contestare che le valutazioni esposte da ART nelle proprie difese non siano pertinenti con la normativa integra un inammissibile nuovo motivo di ricorso.

Infatti, semplicemente, SNCF ha ab origine contestato che il PIR approvato non fosse conforme alla normativa applicabile in quanto lo specifico sovracanone applicato alla tratta open access internazionale non era giustificato in termini di maggiore ability to pay; a fronte delle giustificazioni rese dall’ART, correttamente, la ricorrente obietta che trattasi di argomentazioni che non risultano pienamente coerenti con il modello normativo.

In sostanza la ricorrente si è limitata a contrastare le argomentazioni difensive di ART.

La norma la cui violazione viene censurata da SNCF è chiara nell’incardinare il sistema sulla segmentazione in termini di oggettiva valutazione comparativa di singoli segmenti “di mercato” e non in termini di comparazione di “operatori di mercato”; tale impostazione ha peraltro anche un senso se si considera che, fisiologicamente , il gestore della rete, ed a sua volta l’Autorità di regolazione, possono avere contezza delle dinamiche del mercato di riferimento, ossia appunto, quello del trasporto ferroviario italiano e dei suoi segmenti, che costituisce ambito ma anche limite sia della competenza sia del potere di imposizione di canoni da parte di RFI che di controllo dell’ ART. Appare per contro difficile comprendere come l’ART, o meglio a valle del modello regolatorio il gestore di rete, potrebbero essere titolati ad effettuare valutazioni generaliste che includono la capacità contributiva generale degli operatori (spesso espansi a livello internazionale), se in questo senso devono intendersi le osservazioni inserite nella relazione istruttoria dall’Autorità.

In ogni caso quand’anche altre componenti di canone potessero essere incentrate sulla forza del singolo operatore, tanto non avviene in forza della previsione dell’art. 32 della direttiva (e conseguentemente dall’art. 18 del d.lgs. n. 112/2015) che sono presupposto del sovracanone qui in discussione; ad abundantiam, ove anche così fosse, non si evince dagli atti prodotti in giudizio in che termini RFI (e conseguentemente l’ART) abbiano effettuato una valutazione di sostanziale generale capacità contributiva di tutti gli operatori del mercato attivi su quel binomio open access internazionale/nazionale, per desumerne che quelli operanti sulla tratta internazionale hanno una maggiore capacità contributiva di quelli operanti sulla tratta nazionale. Nel caso di specie, infatti, è pacifico che la soluzione adottata incide certamente su SNCF, in quanto vettore della tratta internazionale, sulla cui solidità economica ART insiste nelle proprie difese, ma non si comprende come e dove sarebbe a questo punto stato valutato che, ad esempio, SNCF presenta una maggiore solidità del principale operatore nazionale (Trenitalia) che opera sui medesimi binari e per talune tratte (cabotaggio cui è ammessa SNCF) anche con il canone open access nazionale.

Il difetto di istruttoria sarebbe quindi sussistente anche seguendo l’impostazione proposta da ART.

Le difese di ART si incentrano poi su alcuni aspetti che con le caratteristiche “oggettive” del segmento di mercato individuato poco hanno a che vedere.

L’ART, ad esempio, rileva come, in definitiva, il sistema tariffario, ormai in vigore dal 2016, sia risultato sostenibile per SNCF, non avendone comportato l’espulsione dal mercato; ancora l’ART evidenzia che la società è florida ed ha effettuato riorganizzazioni interne che le hanno premesso di recuperare efficienza e comunque è in grado di sostenere canoni ben più pesanti sulla tratta francese.

Ora, ribadito che, dovendo il confronto necessariamente essere per “binomi”, se la valutazione si potesse spostare dal “segmento di mercato” agli “operatori” che quel segmento di mercato occupano mancherebbero nei documenti prodotti in giudizio valutazioni sufficienti ad instaurare un paragone (binomio) tra capacità contributiva degli operatori internazionali e nazionali, ritiene il collegio che siffatte valutazioni, incentrate su qualità “soggettive” dell’operatore, non siano quelle prese in considerazione dalla disposizione di cui la misura 29 deve essere attuazione, ossia dall’art. 32 della direttiva e dall’art. 18 del d.lgs. n. 112/2015 che, si ribadisce, si focalizzano sulle caratteristiche “oggettive” del segmento di mercato.

Anche tale impostazione non è del tutto avulsa da effetti redistributivi, giustamente invocati dall’ART; infatti, individuato il segmento di mercato maggiormente in grado di assorbire aumenti scaricandoli sui prezzi del servizio, essa consente al gestore di imporre canoni più onerosi al fine del recupero dei costi totali efficienti, evitando di fatto che sia l’impresa ferroviaria a beneficiare dell’aumento dei prezzi che i consumatori sono comunque disposti a tollerare in quell’ambito. In pratica, come chiarito anche nel documento prodotto dal gruppo di lavoro dell’associazione europea degli organismi di regolazione ferroviaria prodotto da ART in data 15.10.2019, la problematica delle ingenti perdite in cui il gestore di rete incorrerebbe se fosse legittimato al recupero del solo costo marginale di gestione dell’infrastruttura, può essere affrontata in modo più accurato appunto con i sovracanoni per segmento di mercato che, secondo quanto affermato nello stesso documento, presuppongono l’applicazione del metodo Ramsey-Boiteux.

Quest’ultimo consente, da un lato, ai gestori di rete il recupero di costi superiori a quelli di mera gestione tramite l’applicazione di mark-ups, dall’altro, tara questi sovracanoni sui segmenti di mercato rispetto ai quali il surplus del consumatore può essere compresso dai maggiori prezzi conseguenti ai maggiori canoni in modo ottimale, senza che la domanda migri su altre modalità di trasporto. Come chiarito nel citato documento questo risultato presuppone la analisi e verifica di elasticità dei prezzi per segmento di mercato, e dunque lo studio della possibilità e convenienza per il consumatore di sostituire il servizio ferroviario con altre opportunità di trasporto.

Il meccanismo, incentrato sull’elasticità dei prezzi, è stato sostanzialmente fatto proprio dalla direttiva là dove ha appunto previsto di tarare i sovracanoni, tra l’altro, previa individuazione di segmenti di mercato omogenei al loro interno, e da raffrontare a binomi sulla diversa “ability to pay” dei vari segmenti.

Né sono sul punto risolutive le difese dell’amministrazione là dove contesta che il metodo Ramsey-Boiteux, invocato nelle proprie difese dalla ricorrente, non sarebbe pertinente, né l’unico sistema economico di valutazione dei binomi tariffari.

Tale affermazione della difesa ART pare innanzitutto sconfessare, non le tesi di SNCF, ma le valutazioni dell’associazione dei regolatori indipendenti prodotte in giudizio dalla stessa ART; infatti nel documento citato, come già evidenziato, si individua il metodo Ramsey-Boiteux come il più comune ed appropriato per definire i segmenti di mercato; si evidenzia, poi, che altri metodi ugualmente validi, anche se maggiormente orientati casistica, possono essere desunti ad esempio dal diritto antitrust, il quale pure presuppone l’individuazione del concetto di “mercato rilevante”; resta il fatto che, anche nel diritto antitrust, il mercato rilevante si definisce per le caratteristiche della domanda e la sostituibilità dei prodotti/servizi offerti, non per le qualità soggettive dell’operatore.

Ancora, con l’impostazione sposata nel presente giudizio, l’Autorità finisce anche per sconfessare se stessa perché, nella relazione istruttoria che ha accompagnato l’approvazione della precedente delibera n. 70/2014, la stessa Autorità ha affermato, in perfetta simmetria con le osservazioni del già menzionato gruppo di lavoro dei regolatori europei: “Come anche indicato da alcuni rispondenti alla Call for Inputs, la teoria economica prevede che la soluzione ottimale di primo rango (first best) che massimizza il surplus generato sul mercato sia di definire un prezzo uguale al costo marginale. Peraltro questa soluzione, in caso di monopolio naturale dove tipicamente la funzione di costo è caratterizzata da subadditività, non consente di recuperare i costi totali di produzione. Per massimizzare il benessere sociale sotto il vincolo che non vi siano perdite per il monopolista, occorre passare alla regola ottimale di secondo rango (second best) del prezzo allineato al costo medio, la quale assicura che il monopolista possa produrre la quantità richiesta dal mercato ad un prezzo che non necessiti di alcun sussidio. In caso di impresa multiprodotto, la teoria economica ha individuato soluzioni alternative, suggerendo l’applicazione di prezzi opportunamente differenziati. Come noto, a livello teorico la soluzione ottimale di secondo rango è stata individuata da Ramsey; con il metodo Ramsey i costi comuni ai vari prodotti sono distribuiti fra gli stessi sulla base delle caratteristiche della domanda ed i prezzi sono fissati con un mark-up sul costo marginale inversamente proporzionale all’elasticità della domanda dei singoli prodotti. Il prezzo “à la Ramsey” è dunque superiore al costo marginale, e comporta per il monopolista un margine diverso per i diversi beni, che è funzione inversa dell’elasticità della domanda. L’Autorità, in linea con la teoria economica e coerentemente con il disposto normativo, ritiene opportuno applicare per la componente B del canone il principio dei prezzi “à la Ramsey”, basato quindi su mark-up differenziati, valutandone tuttavia l’efficacia in relazione allo specifico contesto del mercato ferroviario”.

La stessa Autorità, in quel contesto, evidenziava poi come la segmentazione del mercato poteva anche essere di scarsa efficacia nel particolare settore del trasporto ferroviario per la ridotta sensibilità al prezzo/canone per pacchetto minimo di accesso; resta tuttavia evidente che, riscontrata la scarsa efficacia della specifica voce di mark-up, l’Autorità e il gestore ben potrebbero scegliere di abbandonarla, non certo di applicarla in termini contrari alle risultanze di mercato. Anche poi volendo assumere che, tra il 2014 e il 2015, l’Autorità abbia inteso, senza peraltro darne in alcun modo evidenza, modificare completamente il parametro di valutazione inizialmente sposato, in verità, l’ART non indica quale diverso modello economico avrebbe seguito per paragonare l’ability to pay dei due segmenti di mercato, piuttosto, come già evidenziato, focalizza l’attenzione su diversi aspetti, certamente astrattamente economicamente rilevanti, ma aventi per lo più carattere soggettivo, quindi non pertinente con il meccanismo individuato dalla norma applicata.

A tal fine vengono infatti invocati effetti redistributivi ancorati non alle oggettive condizioni di mercato, le quali coinvolgono in modo identico tutti gli operatori, ma alle soggettive condizioni dell’operatore.

Pare al collegio che tale ultima impostazione, oltre che come già ampiamente spiegato non coerente con la normativa, sarebbe anche difficilmente praticabile da parte di un gestore di rete agli specifici fini qui in discussione; così ragionando, ad esempio, ogni volta che un ipotetico nuovo operatore dovesse fare ingresso nel mercato, il sistema tariffario fondato sul binomio trasporto nazionale/internazionale dovrebbe essere ex novo tarato, in quanto appunto orientato alla comparazione tra i soggetti che ne sono operatori e non tra le oggettive caratteristiche di mercato.

Analogamente non si comprende perché il livello dei canoni applicati su reti estere e versati in quel contesto da SNCF, dunque del tutto al di fuori della gestione di RFI e della competenza di ART, potrebbe costituire una ragione per invocare una diversa “abiliy to pay” di un segmento di mercato italiano, caratterizzato dalle sue infrastrutture, dalla sua domanda e dai suoi sistemi e costi di gestione che, come già osservato, costituisce il perimetro imprescindibile dell’attività del gestore e dell’Autorità (la tesi è sostenuta sia dalle difese ART che da quelle di RFI). Ciò è tanto più vero se si considera che, come osservato nel “Report from the Commission to the European Parliament and the council” dell’8.12.2016: “While almost everywhere the rail sector relies on public investment, the way funds are channelled, differs following two principal funding models. Some countries (e.g. the United Kingdom, Switzerland, the Netherlands, and Sweden) allot subsidies primarily to infrastructure managers and keep access charges low. Others (e.g. France, Belgium, and Germany) primarily subsidise transport services through public service contracts, while the infrastructure managers adopt higher access charges” (cfr. doc. ART depositato in data 15.10.2019). Ne risulta evidente che, pur nella armonizzazione della disciplina e nella comune finalità ed intenti, la struttura dei mercati dei vari paesi europei differisce nei suoi elementi di base, sicchè le condizioni che una impresa ferroviaria affronta in un mercato (dove ad esempio sopporta canoni elevati perché riceve a sua volta elevati livelli di contribuzione pubblica che in Italia è invece destinata al gestore di rete) non possono semplicemente essere invocate in un altro mercato per giustificare l’imposizione di costi da parte del gestore di rete di quello specifico mercato.

Per tale ragione neppure paiono pertinenti le analisi condotte sul mercato inglese e prodotte dall’ART per l’udienza di discussione, proprio perché avulse dal sistema di canoni qui in discussione per il mercato italiano e prodotte senza alcuna ricostruzione complessiva che consenta di comprendere veramente che i due mercati sono seriamente comparabili dal punto di vista qui in analisi.

Ancora non è utile la pur suggestiva difesa di RFI là dove evidenzia come il canone open access internazionale si ponga a sua volta ad un livello intermedio tra l’open access premium e quello basic; infatti se pure l’ART, correttamente, per ovviare alla difficoltà della parziale sovrapposizione di taluni dei binomi prospettati dalla direttiva 2012/34/UE abbia organizzato i binomi scelti per il mercato italiano in una struttura gerarchica o ad albero (per cui il binomio open access premium/basic è a sua volta una articolazione dell’open access nazionale), la problematica di fondo, a cui gli esiti del giudizio non offrono soddisfacente risposta, è, a monte, sulla base di quali elementi istruttori e di quali motivazioni l’ART ha avallato l’assunto per cui l’open access internazionale, in termini generali, potesse sopportare un sovracanone rispetto a quello nazionale. La questione in principio prescinde da come poi, invece e legittimamente, possa essere a sua volta segmentato il mercato nazionale. Né ovviamente, come eccepito da ART, si tratta di arrivare a sostenere che il sovracanone dovrebbe essere applicato, nel binomio, al mercato nazionale; semplicemente potrebbe anche risultare che il singolo binomio non è utilizzabile in mancanza di idonei riscontri di mercato e che nessun sovracanone, a questo titolo, è applicabile a nessun operatore.

Ancora l’ART, nelle proprie difese, sostiene, in termini ampi, che la ricorrente ben potrebbe recuperare gli aggravi di costi tramite il meccanismo del pass-through dei prezzi; l’assunto è teoricamente condivisibile e corrispondente, come già evidenziato, proprio al meccanismo normativo; senonchè, come eccepito da SNCF, la difesa ART non indica da quali atti prodotti in giudizio si evincerebbe che siffatto meccanismo sarebbe praticabile con maggiore facilità sulla tratta internazionale, tanto da giustificare il sovracanone. Sotto questi profili si riscontra quindi il censurato difetto di istruttoria e motivazione.

Infine l’ART, nelle proprie difese, elenca tutti i segmenti di mercato analizzati ed evidenzia come, nel complesso, la graduazione dei sovracanoni sarebbe razionale; resta il problema che non è qui in contestazione la generale razionalità dei canoni e che l’Autorità non chiarisce da quali atti istruttori e dati sia stata ricavata la correttezza della specifica scelta relativa al binomio open access nazionale/internazionale, tanto più a fronte di emergenze istruttorie prodotte in giudizio che depongono in verità in senso contrario.

In questi limiti si ritiene dunque condivisibile la censura di contraddizione e difetto di istruttoria lamentata dalla ricorrente.

Infine pare al collegio che là dove l’art. 32 della direttiva, e conseguentemente l’art. 18 del d.lgs. n. 112/2015, prevedono che l’intero sistema dei sovracanoni deve “rispettare gli aumenti di produttività conseguiti dalle imprese”, l’inciso debba essere inteso nel senso che siffatta maggiore produttività, per essere “rispettata”, non possa essere colpita dal mark-up. Le parti sembrano sostenere una diversa tesi; tuttavia pare al tribunale che, nell’economia della norma, l’espressione “rispettare” debba essere letta in modo sistematico con le parallele previsioni secondo cui, per la componente A del canone disciplinata dall’art. 16 del d.lgs. n. 112/2015, il gestore può, ad esempio, applicare canoni per la capacità assegnata e non utilizzata, al fine, sostanzialmente, di indurre una più efficiente utilizzazione dell’infrastruttura. In generale la componente A del canone prevede svariati meccanismi incentivanti dell’efficienza delle imprese ferroviarie. Ora se esiste una componente del canone che è volta a incentivare la maggiore produttività/efficienza delle imprese ferroviarie non dovrebbe esisterne un’altra che, in contraddizione interna al sistema, ponga oneri maggiori in capo proprio a quelle imprese che tale maggiore produttività riescono a conseguire, finendo per sterilizzare gli effetti dell’incentivo con un contrapposto sostanziale disincentivo.

In definitiva anche una lettura sistematica delle norme conforta la tesi per cui il sovracanone qui in discussione deve derivare, oggettivamente, dalle caratteristiche del mercato stesso e non può essere correlato ad aspetti soggettivi delle imprese, ivi compreso un eventuale aumento di produttività, che dal sovracanone deve essere “rispettato”.

Infine l’interpretazione qui proposta risulta anche confortata dalla documentazione proveniente dalla Commissione europea prodotta in giudizio proprio dall’ART.

Nel report della Commissione Europea al Parlamento sullo sviluppo del mercato ferroviario dell’8.12.2016, prodotto in giudizio in data 15.10.2019, si legge in tema di tariffazione: “Firstly, the modalities of calculating the direct costs of infrastructure use, being the basis for the minimum access package, have been harmonised in the new Implementing Regulation (EU) 2015/9099. Secondly, mark-ups can be applied on top of the direct cost charges only in segments being able to pay such higher charges. Thirdly, the infrastructure managers are encouraged to exploit the incentives inherent in certain charging components, such as scarcity, reservation, possession, environmental charges and performance schemes, to optimise the use of infrastructure”; ne risulta evidente che la tariffa opera con una logica complessiva, da un lato prevedendo la possibilità di applicare mark-ups ai “segmenti di mercato” che lo tollerano (e non certo ai singoli operatori) e dall’altro quella di introdurre incentivi (dunque l’opposto di sovracanoni) finalizzati ad indurre l’ottimizzazione dell’uso dell’infrastruttura e quindi indirettamente anche dell’attività delle imprese ferroviarie.

Ancora lo studio relativo alle tariffe condotto dall’ ”Indipendent regolators’ group – Rail” del 9.11.2016 prodotto in giudizio dall’ART sempre in data 15.10.2019, al paragrafo b), dedicato proprio alle problematiche incontrate dalle varie autorità negli Stati membri nella corretta valutazione ed applicazione dei mark-ups, specifica: “51. “the objective of levying mark ups and the objective of achieving optimal competitiveness of train market segments both stated in Article 32 (ndr della direttiva) as well as the objective of intermodal rebalancing stated in Recital 40 may be seen as concurring objectives. Infrastructure managers are allowed to levy mark-ups if they do not receive a full state compensation of their fixed costs. When levying mark-ups, i.e. setting prices above direct costs, the competitiveness of the rail undertakings is always deteriorated in comparison to a situation without markups and the position of railways in comparison to other modes is also worse off. In this respect the aims mentioned in the directive are concurring. When determining the mark-ups, the correct level is the one that deteriorates the competitiveness of railway undertakings less. Each price rise does deteriorate the competitiveness, but the loss can be minimized, if considering the price elasticities of the downstream market (Ramsey-Boiteux pricing). …52. A second strand of obstacles in assessing mark-ups concerns the availability and quality of data. These obstacles directly echo the lack of information already underlined as a limit to the definition of market segments. To perform a satisfactory market can bear test, extensive data on the characteristics of demand is necessary (e.g. to calculate elasticities or the degree of pass-through costs from railway undertakings to the final customers). However this information is not always available and, should the data be available, its quality might not be sufficient. Considering data restrictions, it appears impossible for regulatory bodies to agree on a common position regarding the adequate body of evidence required to justify the level of mark-ups. Indeed, depending on the availability and quality of data in the country, national railway regulators will necessarily set different thresholds to assess the evidence presented by their infrastructure manager.”

Lo studio conclude che: “56. Article 32 of the Recast sets out an exception to the basic charging principle that allows, under certain conditions, the infrastructure manager to obtain full recovery of the costs incurred by levying mark-ups on different market segments. As underlined in the preceding paragraphs, the provisions of this Article are commonly applied by infrastructure managers in IRG-Rail Member States. 57. This paper also shows that the charging practices resulting from the application of Article 32 differ from one country to another. A substantial part of these differences may be explained by the fact that the definition of market segments and the assessment of mark-ups should be tailored to fit national specificities of the railway markets. 58. Given the absence of a turnkey solution and to ensure that the charges set by infrastructure managers comply with the principles of efficiency, transparency, nondiscrimination,

and optimal competitiveness of rail market segments, IRG-Rail considers that IMs should provide sound justification of their application of the provisions of Article 32 in their Network Statements. 59. Moreover, to ensure that their charging practices stay consistent with the evolutions of the railway markets, IRG-Rail considers that infrastructure managers should regularly review their list of market segments as well as their assessment of mark-ups.”

In sintesi, anche a livello europeo, tutti i regolatori riscontrano che una corretta e quindi efficiente individuazione dei segmenti di mercato finalizzata all’applicazione di sovracanoni è operazione delicata e richiede, tra l’altro, una acquisizione di dati da parte del gestore di rete che è difficile ottenere dalle imprese ferroviarie; tuttavia il gestore che intende applicarli “should provide sound justification of their application of the provisions of Article 32 in their Network Statements”. Pertanto, secondo il modello normativo come anche interpretato a livello europeo da organismi terzi, non solo l’Autorità deve individuare quantomeno elementi concreti ed espliciti che giustifichino l’applicazione del sovracanone ma lo stesso gestore deve fornire “solide giustificazioni” nel proprio prospetto di rete circa la scelta effettuata.

Ritiene il collegio che, nel caso di specie, come già evidenziato, l’ART non sia riuscita ad indicare, quantomeno in giudizio, da quali elementi istruttori o con quale modello economico alternativo a quello Ramsey abbia desunto, in termini oggettivi e di caratteristiche di mercato, la correttezza della scelta di applicare un maggior canone alle reti open access internazionali rispetto a quelle nazionali; tanto meno lo stesso gestore di rete nel PIR, ovvero l’Autorità in sede di controllo, hanno esposto alcuna motivazione (per non dire una “sound justification”) negli atti adottati ed approvati a supporto della soluzione applicata o offerto in giudizio prove sul punto. Né, evidentemente, si tratta di giustificare il complessivo modello tariffario o la sua complessiva razionalità e sostenibilità, quanto piuttosto di esplicitare le ragioni fattuali e comprovabili di una particolare componente di tariffa che nasce dalla scelta, in principio facoltativa, di individuare un binomio di paragone tra servizi liberalizzati (nazionale e internazionale) per l’applicazione di un sovracanone.

In definitiva ritiene il collegio che il significativo e corretto sforzo di creare una puntuale segmentazione del mercato condotto da ART, al fine consentire in termini razionali al gestore il recupero di costi totali efficienti, pur essendo operazione auspicata dalla direttiva e utile per una corretta evoluzione del mercato anche nell’interesse generale, non consenta in questa sede, alla luce degli atti prodotti in giudizio e con specifico riferimento al binomio open access nazionale/open access internazionale, di evincere elementi istruttori e solide giustificazioni che sarebbero necessari nel modello tariffario per l’applicazione del maggior canone al segmento internazionale.

Dagli atti si ritiene dunque emergere una carenza istruttoria oltre che di motivazione; in tale contesto non pare al collegio sia dirimente, ai fini del decidere, la produzione delle analisi di mercato condotte da SNCF, con o senza omissis, e che, a detta della società, ulteriormente suffraga la tesi secondo la quale la tratta internazionale subisce la concorrenza degli aerei low cost e dei bus a lungo raggio maggiormente rispetto alla tratta nazionale. Tale risultato, in verità, emerge già anche dai verbali di audizione integralmente prodotti dall’ART i cui passaggi fondamentali sono già stati citati in motivazione; soprattutto, posto che l’imposizione del sovracanone impone al gestore di giustificare la sua scelta (con apposite analisi e motivazioni) ed all’ART di vagliare la scelta, a sua volta rendendo comprensibile il percorso istruttorio seguito per avallarla, in assenza di siffatti presupposti elementi forniti da ART o dal gestore qui controinteressato, non vi è ulteriore onere della società ricorrente di provare il contrario.

Si ricorda infatti che, ai sensi dell’art. 31 della direttiva: “il gestore dell’infrastruttura e l’operatore dell’impianto di servizio devono essere in grado di provare alle imprese ferroviarie che i canoni per l’utilizzo dell’infrastruttura e dei servizi effettivamente fatturati a ciascuna impresa ferroviaria, a norma degli articoli da 30 a 37 sono conformi ai metodi, alle regole e, se del caso, ai criteri indicati nel prospetto informativo della rete”; va da sè che, nel giudizio sulle attività di verifica poste in essere dall’ART nei confronti del gestore, resta in capo all’ART (ed al limite ad RFI) l’onere di dimostrare come e in che termini il gestore abbia fornito le giustificazioni richieste. Pertanto, sciogliendo la riserva assunta con il decreto n. 61/2019, il collegio ritiene non rilevante la produzione, in quanto tale da non incidere in termini significativi sul quadro probatorio già acquisito. Non si ritiene quindi necessario dare accesso ad ART al documento SNCF prodotto nei suoi contenuti integrali, non apparendo il medesimo rilevante ai fini del decidere.

Infine il quinto ed ultimo motivo di ricorso, sempre volto a censurare il sovracanone imposto alla tratta open access internazionale, resta assorbito dall’accoglimento delle precedenti censure. L’approvazione del PIR intervenuta con la delibera n. 75/2016 deve in definitiva essere annullata limitatamente alla parte in cui ha avallato il sovracanone per il segmento open access internazionale rispetto a quello nazionale; il presupposto atto regolatorio che, con le integrazioni adottate dalla stessa ART, offre invece un modello matematico che consente anche esiti inversi è per contro immune dalla problematica.

Deve infine precisarsi che, come correttamente evidenziato dalle difese ART, le difese della ricorrente soffrono una certa ambiguità nella parte in cui, denunciando la natura ingiustificata del sovracanone, evidenziano gli effetti della lamentata illegittimità considerando gli aumenti di canone nel loro complesso, e quindi comprensivi anche della componente A; come precisato dalla difesa ART l’aumento complessivamente considerato è l’esito di un insieme di modifiche del sistema dei canoni (non ultimo legato al fatto che, effettivamente, con la nuova disciplina, si è tentato di orientarli ai costi, aspetto che non restava affatto garantito nel pregresso meccanismo basato su approvazione con decreti ministeriali); l’operazione nel suo complesso non viene qui messa in discussione e, come già osservato, la censura che la ricorrente ha proposto avverso la componente A del canone appare generica e non suscettibile di favorevole valutazione.

L’approvazione del PIR resta invece, allo stato degli atti, ingiustificata nella sola parte in cui ha avallato il sovracanone per la tratta internazionale. L’ART dovrà quindi sul punto riprovvedere eventualmente previa idonea istruttoria.

La complessità e novità delle questioni giustificano la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

accoglie il ricorso e per l’effetto annulla gli atti impugnati nei limiti di cui in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 5 novembre 2019 con l'intervento dei magistrati:

Carlo Testori, Presidente

Silvia Cattaneo, Consigliere

Paola Malanetto, Consigliere, Estensore

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Paola Malanetto Carlo Testori
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO


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