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Consiglio di Stato, Sez. VI, 15/1/2020 n. 380
Sulla rimessione alla Corte di Giustizia dell'Ue di alcune questioni in merito all'immissione in ruolo a seguito di concorso del personale a tempo determinato della Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA)

Sono rimesse alla Corte di giustizia dell’Ue le seguenti questioni pregiudiziali:
a) se la clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 e allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio in data 28 giugno 1999, debba essere intesa nel senso di imporre che i periodi di servizio svolti da un lavoratore a tempo determinato alle dipendenze dell’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente in funzioni coincidenti con quelle di un dipendente di ruolo inquadrato nella corrispondente categoria della stessa Autorità, siano presi in considerazione per determinarne l'anzianità, anche nel caso in cui la sua successiva immissione in ruolo avvenga a seguito di pubblico concorso, pur in presenza delle peculiarità della procedura concorsuale che determina, per quanto si è detto, una integrale novazione del rapporto e la nascita, con soluzione di continuità accettata dal partecipante alla procedura concorsuale, di un nuovo rapporto connotato dall’esistenza di un atto autoritativo di inquadramento e da speciali obblighi e peculiare rafforzata stabilità;
b) in caso di risposta affermativa al quesito di cui alla precedente lettera a): se la pregressa anzianità debba essere integralmente riconosciuta o sussista un motivo oggettivo per differenziare i criteri di riconoscimento rispetto al riconoscimento integrale in ragione delle anzidette ricordate peculiarità;
c) in caso di risposta negativa al quesito di cui alla precedente lettera b): in base a quali criteri debba essere computata l’anzianità riconoscibile per non essere discriminatoria.

Materia: lavoro / disciplina
Pubblicato il 15/01/2020

N. 00380/2020REG.PROV.COLL.

N. 03730/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3730 del 2019, proposto da
Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata ex lege;

contro

Ilaria Valdata, Luca Enrico Bongiolatti, Michelangelo Prenna, Luciano Moccia, Angelina Silipo, Paolo Terzilli, Biagio De Filpo, Miranda Diana e Davide Vignone, rappresentati e difesi dall'avvocato Massimo Pallini, con domicilio digitale di pec come da registri di giustizia e domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, via Marcello Prestinari, n. 13;
Mario Vanni, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Milano (Sezione Terza), n. 02537/2018, resa tra le parti, concernente il riconoscimento, all’atto dell’inquadramento in ruolo, della pregressa anzianità di servizio.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ilaria Valdata, Luca Enrico Bongiolatti, Michelangelo Prenna, Luciano Moccia, Angelina Silipo, Paolo Terzilli, Biagio De Filpo, Miranda Diana e Davide Vignone;

Visto l’appello incidentale da costoro proposto;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 dicembre 2019 il Cons. Alessandro Maggio e uditi per le parti l’avvocato Massimo Pallini e l’avvocato dello Stato Fabio Tortora;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

I sig.ri Ilaria Valdata, Luca Enrico Bongiolatti, Michelangelo Prenna, Luciano Moccia, Angelina Silipo, Paolo Terzilli, Biagio De Filpo, Miranda Diana e Davide Vignone sono stati assunti dall’Autorità di Regolazione per Energia, Reti e Ambiente (ARERA), con contratti a termine ai sensi dell’art. 2, comma 30, della L. 14/11/1995, n. 481.

Successivamente, a seguito di pubblico concorso, la medesima Autorità li ha inquadrati in ruolo senza, però, riconoscere loro l’anzianità di servizio maturata nel pregresso rapporto di lavoro a tempo determinato.

Ritenendo il disposto inquadramento illegittimo, i suddetti sig.ri Valdata, Bongiolatti, Prenna, Moccia, Silipo, Terzilli, De Filpo, Diana e Vignone lo hanno impugnato con ricorso al T.A.R. Lombardia – Milano, al quale hanno anche domandato l’accertamento del diritto al riconoscimento della detta anzianità e il risarcimento dei danni.

Con sentenza 9/11/2018, n. 2537, l’adito Tribunale, ha parzialmente accolto il ricorso, affermando, l’obbligo dell’Autorità di decidere in merito alle istanze dei suddetti ricorrenti volte a conseguire il riconoscimento della pregressa anzianità di servizio, ai sensi della clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 e allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio in data 28 giugno 1999, negando però la possibilità di ottenere, già in sede giudiziale, il detto riconoscimento col conseguente inquadramento di ciascun istante “nella qualifica e nel livello stipendiale massimo maturato in costanza di rapporto di lavoro a tempo determinato”, mancando la prova, in relazione a ognuno di essi, dell’assenza “dei requisiti di esclusione previsti dalla normativa in questione”.

Avverso la sentenza ha proposto appello l’ARERA, chiedendo anche l’anticipata pubblicazione del dispositivo della sentenza.

Per resistere al ricorso si sono costituiti in giudizio i menzionati ricorrenti di primo grado, i quali hanno anche proposto appello incidentale con cui hanno impugnato il capo di sentenza ad essi sfavorevole.

Con successive memorie le parti hanno meglio illustrato le rispettive tesi difensive.

Alla pubblica udienza del 19/12/2019 la causa è passata in decisione.

Va preliminarmente disattesa la richiesta con cui l’ARERA ha domandato l’anticipata pubblicazione del dispositivo della sentenza.

Nel processo amministrativo l’anticipata pubblicazione del dispositivo della sentenza è prevista dagli artt. 119, comma 5, 120, comma 9 e 130, comma 7, c.p.a. in relazione alle controversie ivi contemplate, fra le quali non rientra quella per cui è causa.

In linea di principio ciò non impedirebbe l’accoglimento della richiesta, dovendo ritenersi che la specifica previsione delle controversie per le quali è consentita la pubblicazione del dispositivo non osti alla possibilità di provvedere in tal senso qualora particolari esigenze connesse alla peculiare rilevanza e interesse della decisione, segnatamente nei suoi effetti e nei suoi riflessi su ambiti istituzionali di particolare rilevanza, suggeriscano di rendere immediatamente noto l'esito del giudizio, evitando che, sia pure nel periodo relativamente breve intercorrente tra la decisione e la pubblicazione della sentenza, permanga una situazione di sospesa incertezza sull'assetto degli interessi, istituzionali e soggettivi, sui quali la decisione è destinata ad incidere (Cons. Stato, Sez. IV, 1/2/2012, n. 486).

Nel caso di specie, tuttavia, la controversia, avendo a oggetto unicamente lo status lavorativo di una limitata categoria di dipendenti pubblici, non presenta profili di rilevanza generale tali da giustificare l’immediata pubblicazione del dispositivo.

Ciò posto può procedersi all’esame dell’appello principale.

Col primo motivo l’ARERA denuncia l’errore commesso dal giudice di prime cure nel respingere l’eccezione con cui era stata dedotta l’irricevibilità del ricorso.

Si legge nell’appellata sentenza che nella specie il termine decadenziale non opererebbe per la natura paritetica che caratterizzerebbe gli atti determinanti l’“assetto economico e giuridico del personale pubblico”. Tuttavia, contrariamente a quanto affermato nella detta sentenza, i provvedimenti impugnati, avendo a oggetto l’inquadramento dei ricorrenti nei ruoli dell’Autorità, avrebbero natura autoritativa e come tali avrebbero dovuto essere tempestivamente impugnati.

La doglianza è fondata con riguardo ai sig.ri Valdata, Bongiolatti, Prenna, Moccia, Silipo, Terzilli, De Filpo e Vignone.

E invero, per consolidata giurisprudenza, il provvedimento di inquadramento in ruolo dei pubblici dipendenti ha natura autoritativa e come tale va impugnato, ove lesivo, entro il prescritto termine decadenziale, con la conseguenza che non è ammissibile un'azione volta all'ottenimento di un diverso inquadramento, se non tempestivamente proposta avverso il provvedimento di attribuzione della qualifica, né è ammesso un autonomo giudizio di accertamento in funzione di disapplicazione di provvedimenti dell'Amministrazione, atteso che l'azione di accertamento è esperibile a tutela di un diritto soggettivo, laddove la posizione del pubblico dipendente, a fronte della potestà organizzatoria della pubblica amministrazione, ha consistenza di interesse legittimo (Cons. Stato, Sez. II , 15/10/2019, n. 7038; Sez. V, 24/1/2019, n. 608; 4/9/2017, n. 4177; 31/1/2012, n. 449; 28/2/2011, n. 1251; 3/2/2011, n.793; 24/9/2010, n. 7104; 10/6/2002, n. 3198; Sez. VI, 5/3/2013, n. 1314; Sez. III, 23/11/2016, n. 4922; 11/8/2015, n. 3912; C.Si., 18/10/2012, n. 968).

Nel caso di specie, col ricorso di primo grado, i sig.ri Valdata, Bongiolatti, Prenna, Moccia, Silipo, Terzilli, De Filpo e Vignone hanno, tra l’altro, impugnato gli atti di rispettiva assunzione in servizio con la connessa attribuzione, ai fini giuridici ed economici, della relativa posizione di ruolo.

Trattasi, dunque, di provvedimenti di inquadramento pacificamente da impugnare entro i termini decadenziali.

Deducono gli appellati che la natura autoritativa degli atti gravati sarebbe smentita dalle seguenti considerazioni:

a) l’immissione in ruolo non avrebbe comportato variazione delle mansioni precedentemente svolte;

b) l’assunzione potrebbe avvenire anche in qualifiche superiori a quella iniziale (art. 7, comma 4, del regolamento del personale);

c) la progressione economica avverrebbe indipendentemente dall’esistenza di posti vacanti nel livello superiore (artt. 50, 53, comma 3, e 58 del regolamento del personale).

Gli argomenti addotti dai menzionati appellati non sono persuasivi.

La circostanza che costoro dopo l’assunzione a tempo indeterminato siano stati adibiti alle stesse mansioni precedentemente espletate è del tutto ininfluente, rilevando, invece, il mutato titolo alla stregua del quale, le pur identiche mansioni, vengono svolte.

Ugualmente irrilevanti risultano le ulteriori argomentazioni prospettate.

E invero, che l’Autorità possa “bandire concorsi anche per qualifiche diverse da quelle iniziali di ciascuna carriera” e che quest’ultima possa svilupparsi, sotto il profilo economico, senza necessità che sussistano vacanze nei livelli superiori, rappresentano circostanze del tutto inidonee a influire sulla natura dell’atto in base al quale avviene l’assunzione in ruolo.

In definitiva, con riguardo ai sig.ri Valdata, Bongiolatti, Prenna, Moccia, Silipo, Terzilli, De Filpo e Vignone, l’appello principale va accolto, con assorbimento delle restanti censure.

Sussistono eccezionali ragioni per disporre, nei confronti dei detti appellati, l’integrale compensazione di spese e onorari di giudizio.

Relativamente alla sig.ra Diana la doglianza è, invece, infondata in fatto, avendo costei impugnato il proprio inquadramento entro i prescritti termini decadenzali.

Difatti, la sig.ra Diana è stata assunta in servizio con determinazione 18/6/2018, n. 40/DAGR/2015, mentre il ricorso di primo grado risulta consegnato per la notifica in data 11/9/2015, per cui il medesimo, tenuto conto del periodo di sospensione feriale, risulta tempestivo e ciò indipendentemente dal giorno dell’intervenuta conoscenza dell’atto.

Con riferimento all’appellata Diana occorre, dunque, procedere all’esame del secondo motivo di gravame, col quale l’ARERA denuncia, tra l’altro, l’errore asseritamente commesso dal Tribunale nel ritenere la clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 e allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio in data 28 giugno 1999, applicabile anche ai lavoratori immessi in ruolo a seguito di pubblico concorso, considerato, in particolare, che quest’ultimo determinerebbe un accesso ex novo nel posto di lavoro, il quale, non potendo “che avvenire nella posizione e con il profilo giuridico ed economico oggetto del bando”, impedirebbe il riconoscimento della pregresso servizio svolto a titolo precario.

Sul punto la parte appellata oppone che in base alla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, di cui alle ordinanze 7/3/2013, in C-393/11 e 4/9/2014 in C-152/14, le modalità di accesso al pubblico impiego sarebbero indifferenti ai fini del riconoscimento dei pregressi periodi lavorativi, di modo che il dipendente precario, una volta assunto a tempo indeterminato, avrebbe diritto ad ottenere la valutazione dell’anzianità antecedentemente maturata, con i connessi benefici giuridici ed economici.

Per il caso in cui sussistessero dubbi in ordine alla portata e agli effetti del principio di parità di trattamento di cui alla citata clausola 4 e, in particolare, in merito alla sua estensibilità anche ai dipendenti – già precari – immessi in ruolo a seguito di pubblico concorso, così da consentire anche a costoro di ottenere il riconoscimento dell’anzianità di servizio precedentemente acquisita, si chiede, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (T.F.U.E.), il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE affinché dirima la relativa questione interpretativa.

Ai fini del decidere diviene, quindi, rilevante stabilire se la detta clausola 4 debba essere intesa nel senso di imporre che i periodi di servizio svolti da un lavoratore precario alle dipendenze dell’Autorità in funzioni coincidenti con quelle di un dipendente di ruolo inquadrato nella corrispondente categoria della stessa Autorità, siano presi in considerazione per determinarne l'anzianità, anche nel caso in cui la sua successiva assunzione a tempo indeterminato avvenga a seguito di pubblico concorso.

La clausola che occorre interpretare, infatti, per quanto qui interessa, è parte del diritto comunitario derivato essendo contenuta nell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio in data 28 giugno 1999 e precisamente è la clausola 4 che recita, fra l’altro, in relazione al principio di non discriminazione :

I criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive.

In primo luogo si può dubitare integralmente dell’applicabilità della norma al caso di specie in quanto non riguarderebbe ipotesi di successione di più contratti a tempo determinato o anche di contratti a tempo determinato e contratti a tempo indeterminato (che sono la ragione medesima della disciplina armonizzata).

La motivazione oggettiva risiederebbe, in questa ottica, nella stessa novazione integrale del rapporto di lavoro, legata all’assunzione tramite concorso, che spezzerebbe ogni nesso fra il pregresso rapporto di lavoro a tempo determinato ed il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, inserendo, fra l’altro, il lavoratore in un regime speciale, integralmente pubblicistico, della prestazione lavorativa.

I rapporti di lavoro del personale delle amministrazioni indipendenti sono infatti, di norma, esclusi dalla giurisdizione del giudice ordinario e dalla privatizzazione del pubblico impiego, per scelta legislativa interna che non è sindacabile in forza del diritto europeo (rileva, nella specie, per l’ARERA l’art. 2 comma 28 della legge n. 481 del 1995 ma altri casi sono previsti ad es. dallo stesso art. 3 comma 1 del t.u. n. 165 del 2001).

Inoltre l’assunzione avviene nel pubblico impiego per concorso ed ha una copertura costituzionale che determina una rilevante differenziazione fra i rapporti di lavoro pubblicistici, soggetti a regime disciplinare e garantistico particolare (che può arrivare, in certe carriere, a prevedere incisive limitazioni alle libertà del lavoratore e l’imposizione di speciali obblighi a fronte di maggiori garanzie di stabilità del rapporto nella specie rileva quanto disposto ad es. dall’art. 2 comma 10 della legge n. 481 del 1995 che sancisce che “I componenti e i funzionari delle Autorita', nell'esercizio delle funzioni, sono pubblici ufficiali e sono tenuti al segreto d'ufficio.”).

In particolare l’art. 97 cost. prevede che: “Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede” mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”.

L’art. 7 del regolamento del personale dell’ARERA (nella versione modificata da ultimo con delibera 19/12/2013, n. 589/2013/A) stabilisce, poi, al comma 1, che: “L'assunzione del personale di ruolo previsto dalla Pianta organica del personale di ruolo dell’Autorità avviene per pubblico concorso …” e, al comma 3, che: “L'Autorità determina di volta in volta i posti da mettere a concorso, secondo le sue specifiche esigenze, e delibera i bandi …”.

Ne consegue che, secondo le dette norme, l’assunzione in ruolo non può avvenire che in relazione al posto, alla qualifica e al livello retributivo messo a concorso, mentre nessuna disposizione interna prevede l’automatico riconoscimento, all’atto dell’immissione in ruolo, della anzianità maturata nello svolgimento del precedente rapporto precario.

D’altra parte, l’odierna fattispecie non risulta perfettamente sovrapponibile a quelle già decise dal giudice euro unitario con le citate ordinanze 7/3/2013, in C-393/11 e 4/9/2014 in C-152/14 e con la sentenza 18/10/2012, in C-302/11, atteso che i detti precedenti si riferiscono a ipotesi in cui l’immissione in ruolo era avvenuta attraverso procedure di stabilizzazione, ovvero per effetto di un meccanismo che considera unico il rapporto di lavoro consentendone la trasformazione da precario a stabile, con conseguente rilevanza del periodo di servizio a tempo determinato quale presupposto della procedura assunzionale straordinaria, mentre il caso che occupa si caratterizza per una cesura tra precedente rapporto precario e nuovo rapporto che si instaura a seguito del concorso.

Occorre, pertanto, sottoporre alla Corte di Giustizia UE la relativa questione interpretativa concernente la portata della menzionata clausola 4.

Come più sopra rilevato la parte appellata ha, del resto, in tal senso sollecitato questo Consiglio di Stato, il quale, in veste di organo di giustizia amministrativa di ultima istanza, non può esimersi, ex art. 267 del T.F.U.E., dall’investire della questione pregiudiziale la Corte di Giustizia UE.

Non ricorre, d’altronde, alcuna delle ipotesi in cui il giudice di ultima istanza può evitare il rinvio pregiudiziale.

Sul punto la Corte di Giustizia CE, sin dalla sentenza 6/10/1982, C-283/81, Cilfit, ha precisato che tale obbligo non sussiste quando:

a) la questione di interpretazione di norme euro unitarie non è pertinente al giudizio (vale a dire nel caso in cui la soluzione non possa in alcun modo influire sull'esito della lite);

b) la questione è materialmente identica ad altra già decisa dalla Corte o comunque il precedente risolve il punto di diritto controverso;

c) la corretta applicazione del diritto dell’Unione può imporsi con tale evidenza da non lasciar adito a nessun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione (sui casi in cui il giudice di ultima istanza non è tenuto al rinvio pregiudiziale cfr. fra le tante Cons. Stato, Sez. IV, 1/6/2016, n. 2334 e 13/3/2014, n. 1243). Tutte circostanze che nella specie non ricorrono.

Il Collegio ritiene, quindi, di dover rimettere alla Corte di giustizia dell’Unione Europea le seguenti questioni pregiudiziali:

a) se la clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 e allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio in data 28 giugno 1999, debba essere intesa nel senso di imporre che i periodi di servizio svolti da un lavoratore a tempo determinato alle dipendenze dell’Autorità in funzioni coincidenti con quelle di un dipendente di ruolo inquadrato nella corrispondente categoria della stessa Autorità, siano presi in considerazione per determinarne l'anzianità, anche nel caso in cui la sua successiva immissione in ruolo avvenga a seguito di pubblico concorso, pur in presenza delle peculiarità della procedura concorsuale che determina, per quanto si è detto, una integrale novazione del rapporto e la nascita, con soluzione di continuità accettata dal partecipante alla procedura concorsuale, di un nuovo rapporto connotato dall’esistenza di un atto autoritativo di inquadramento e da speciali obblighi e peculiare rafforzata stabilità;

b) in caso di risposta affermativa al quesito di cui alla precedente lettera a): se la pregressa anzianità debba essere integralmente riconosciuta o sussista un motivo oggettivo per differenziare i criteri di riconoscimento rispetto al riconoscimento integrale in ragione delle anzidette ricordate peculiarità;

c) in caso di risposta negativa al quesito di cui alla precedente lettera b): in base a quali criteri debba essere computata l’anzianità riconoscibile per non essere discriminatoria.

In ossequio alle Raccomandazioni della Corte di Giustizia 2018/C 257/01, relative alla presentazione di domande pregiudiziali, alla Cancelleria della medesima dev’essere trasmessa, a cura della Segreteria sezionale, mediante plico raccomandato, copia della seguente documentazione:

1) gli atti e i provvedimenti impugnati con il ricorso di primo grado;

2) il ricorso di primo grado;

3) la sentenza del T.A.R. Lombardia - Milano, n. 2537/2018 appellata;

4) gli appelli principale e incidentale proposti;

5) tutte le memorie difensive depositate dalle parti nell’odierno giudizio d’appello;

6) la presente sentenza di rimessione alla Corte di Giustizia dell’Unione europea.

Nelle more della definizione dell’incidente comunitario, il presente giudizio, per la parte ancora da decidere, va sospeso, ai sensi dell’art. 79, comma 1, c.p.a. riservando ogni ulteriore decisione, anche in ordine a spese e onorari di giudizio, alla sentenza definitiva.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), non definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, così dispone:

a) accoglie l’appello principale per quanto rivolto nei confronti dei sig.ri Valdata, Bongiolatti, Prenna, Moccia, Silipo, Terzilli, De Filpo e Vignone e compensa nei riguardi di costoro le spese di giudizio;

b) rimette alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea le questioni pregiudiziali indicate in motivazione;

c) ordina alla Segreteria della Sezione di trasmettere alla medesima Corte copia conforme all’originale della presente sentenza, nonché copia integrale del fascicolo di causa inclusi i documenti indicati in motivazione;

d) dispone, nelle more della pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la sospensione del presente giudizio;

e) riserva alla sentenza definitiva ogni pronuncia in ordine a spese e onorari del presente giudizio.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 dicembre 2019 con l'intervento dei magistrati:

Giancarlo Montedoro, Presidente

Vincenzo Lopilato, Consigliere

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

Alessandro Maggio, Consigliere, Estensore

Dario Simeoli, Consigliere

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Alessandro Maggio Giancarlo Montedoro
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO


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