HomeSentenzeArticoliLegislazionePrivacyRicercaChi siamo
Consiglio di Stato, Sez. V, 18/9/2003 n. 5316
Il servizio calore non è un servizio pubblico locale, bensì un appalto misto di servizi e forniture che può essere affidato direttamente ad un soggetto "strumentale" dell'ente locale.

Il servizio di gestione calore non è un servizio pubblico locale, onde per esso trova applicazione l'art. 3, comma 4, del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157, di recepimento della direttiva n. 92/50/CEE, in materia di appalti di servizi, che stabilisce che "gli appalti che includono forniture e servizi sono considerati appalti di servizi quando il valore totale di questi è superiore al valore delle forniture comprese nell'appalto". Per converso, se il valore della fornitura supera quello dei servizi, la normativa alla quale far riferimento è quella del già citato (supra n. 9 ) d. lgs, 358 del 1992.
Non sussiste l'obbligo per l'ente locale di indire una pubblica gara per l'affidamento della gestione del servizio calore posto che, in sede d'interpretazione a norma dell'art. 234 del Trattato CE (sentenza Teckal citata ed ordinanza pronunciata il 14 novembre 2002 su questo specifico caso), è stato chiarito dalla Corte di Giustizia che la direttiva 93/36/CEE - e, quindi, per l'ordinamento italiano, il d. lgs. n. 358 del 1992 - deve applicarsi per l'aggiudicazione di un contratto di fornitura di beni, salvo che l'amministrazione aggiudicatrice eserciti sul fornitore, che sia un soggetto distinto da essa, un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi, e sempre che il fornitore svolga la parte più importante della propria attività con l'amministrazione o le amministrazioni che lo controllano.
La ratio della regola enunciata va individuata nel fatto che, nei confronti di un soggetto controllato e che svolga la sua prevalente attività per il soggetto controllore, non sarebbero ravvisabili situazioni di pregiudizio per la parità di trattamento degli altri operatori economici e per il rispetto delle regole di concorrenza. Invero, le norme della direttiva in esame, da un lato, non interferiscono sui poteri delle pubbliche amministrazioni di adottare soluzioni organizzative che siano le più rispondenti alle esigenze che esse stesse ritengano di dover soddisfare, conformemente alle leggi che le disciplinano. Dall'altro lato, le disposizioni della direttiva 93/36/CEE non ignorano la tutela, per i terzi, derivante dalle regole suddette, giacché fanno ricadere sugli "organismi di diritto pubblico", quali definiti nell'art. 1, comma 3, lett. b), del d. lgs. 358 del 1992 (che recepisce le definizioni date dall'art. 1 della direttiva stessa) l'obbligo di osservarle, al pari delle altre "amministrazioni aggiudicatici".

Materia: appalti / appalti pubblici di servizi

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione

ha pronunciato la seguente

 

DECISIONE

sui ricorsi in appello:

n.r.g. 4292 del 2001, proposto dal comune di Udine, rappresentato e difeso dagli avvocati Giangiacomo Martinuzzi e Nicolò Paoletti ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’ultimo, in Roma, via B. Tortolini, n. 34,

 

contro

la s.r.l. Diddi Dino Figli e l’A.G.E.S.I. – Associazione nazionale imprese gestione servizi tecnici integrati – rappresentate e difese dall’avv. Giorgio Recchia ed elettivamente domiciliate presso il suo studio, in Roma, corso Trieste, n. 88,

 

e nei confronti

di A.M.G.A. – Azienda multiservizi s.p.a.,

 

e n.r.g. 4713 del 2001, proposto dalla AMGA – Azienda multiservizi s.p.a., rappresentata e difesa dagli avv. Giuseppe Caia, Andrea Musenga e Gianni Zgagliardich e presso lo studio del secondo elettivamente domiciliata, in Roma, viale America, n. 11,

 

contro

la s.r.l. Diddi Dino Figli e l’AGESI, come sopra rappresentate e difese,

 

e nei confronti

del comune di Udine, come sopra rappresentato e difeso,

 

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Friuli-Venezia Giulia, n. 171, pubblicata in dispositivo il 30 marzo 2001 e con motivazione il 23 aprile 2001.

 

Visti i ricorsi con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti suindicate;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Designato relatore, alla pubblica udienza del 13 maggio 2003, il consigliere Giuseppe Farina ed uditi, altresì, l’avvocato Paoletti, l’avvocato Gerbi per delega dell’avvocato Recchia e l’avvocato Musenga;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

 

FATTO

1. Il ricorso n. 4292 del 2001 è proposto dal comune di Udine. È stato notificato il 20 aprile 2001 e depositato il successivo 27. Sono stati poi notificati motivi aggiunti il 22 maggio 2001, con deposito eseguito il 26 maggio.

2. Il ricorso n. 4713 del 2001 è proposto dall’AMGA – Azienda Multiservizi s.p.a., con notificazione effettuata il 27 aprile 2001 e deposito in data 5 maggio. Sono stati anche notificati motivi aggiunti il 24 maggio 2001 ed il deposito è stato eseguito il 29 maggio.

3. È impugnata la sentenza n. 171 del Tribunale Amministrativo Regionale del Friuli-Venezia Giulia, il cui dispositivo è stato pubblicato il 30 marzo 2001 e la cui motivazione è stata pubblicata il 23 aprile successivo.

4. Con gli appelli sono state riproposte le eccezioni d’inammissibilità del ricorso introduttivo, sollevate in primo grado e disattese dal T.A.R., e sono censurate le statuizioni di merito del primo giudice.

5. La s.r.l Diddi Dino e Figli e l’A.G.E.S.I. si sono costituite con atto del 25 maggio 2001 e, con memoria del 29 maggio successivo, hanno anche riproposto la prima censura del ricorso introduttivo, sulla violazione del d. lgs. 24 luglio 1992, n. 358, recante norme di recepimento delle direttive europee in materia di appalti pubblici di forniture.

6. Con sentenza di questa Sezione n. 3848 dell’undici luglio 2001, sono stati respinti i motivi riguardanti l’inammissibilità del ricorso di primo grado.

7. Con ordinanza n. 3847, pubblicata nella stessa data, è stata rimessa alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee la questione d’interpretazione degli artt. 1, lett. b), 2 e 6 della direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi.

8. La Corte si è pronunziata con ordinanza 14 novembre 2002, nel procedimento C-310/01.

9. Sono state prodotte memorie da tutte le parti. Da ultimo in data 24 aprile 2003 dal Comune di Udine; in data 30 aprile dalla s.r.l. Diddi; in data 6 maggio 2003, previo deposito di documenti l’undici aprile, dall’AMGA.

10. All’udienza del 13 maggio 2003, dopo gli interventi delle opposte difese, i due ricorsi in appello sono stati trattenuti in decisione.

 

DIRITTO

1. I due ricorsi in esame, proposti contro la medesima sentenza, sono stati già riuniti con la decisione n. 3848 del 2001.

2. Forma oggetto del giudizio, attraverso l’impugnazione della pronunzia del primo giudice, la deliberazione consiliare n. 56 del 14 aprile 2000 del comune di Udine di affidare la “gestione del servizio calore” – della quale si vedrà in seguito il preciso contenuto – all’AMGA - Azienda Multiservizi s.p.a., costituita ai sensi dell’art. 22, comma 3, lett.), della legge 8 giugno 1990, n. 142 (poi art. 113 del T.U. 18 agosto 2000, n. 267, successivamente modificato, ma con norma non applicabile ratione temporis al caso di specie).

3. Le originarie ricorrenti hanno impugnato: a) la deliberazione n. 56/14 aprile 2000 del consiglio comunale di Udine, nella quale è previsto il menzionato affidamento, e b) la determinazione dirigenziale n. 2000/40D/353, in data 29 settembre 2000, di approvazione della convenzione regolante i rapporti fra Comune ed AMGA per la gestione del predetto “servizio”.

4. Atteso che, con la richiamata decisione n. 3848 del 2001, sono stati respinti i motivi concernenti l’inammissibilità del ricorso introduttivo, non resta che riepilogare le questioni di merito ancora aperte.

Era stato dedotto, in primo grado:

4.1. (primo motivo) violazione del d. lgs. n. 358 del 24 luglio 1992, come modificato dal d. lgs. 20 ottobre 1998, n. 402, di recepimento delle direttive n. 93/36/CEE e n. 97/52/CE. L’amministrazione ha proceduto all’affidamento diretto, senza gara, del cosiddetto servizio gestione calore, ritenendo sufficiente il riferimento all’art. 22 della l. 8 giugno 1990, n. 142. Invece, la convenzione stipulata tra Comune ed Azienda deve qualificarsi, piuttosto, come contratto per la fornitura di energia termica, in misura prevalente, e per la prestazione di una serie di attività per il funzionamento degli impianti termici. L’applicazione del criterio della prevalenza, enunciato dall’art. 3, comma 4, del d. lgs. 17 marzo 1995, n. 157, fa ricondurre l’appalto in parola tra quelli di fornitura di beni, ai quali nessuna disposizione ricollega diritti speciali di privativa ad enti pubblici. È stata richiamata, in proposito, la sentenza della Corte di giustizia delle Comunità Europee del 18 novembre 1999, in causa C-107/98 Teckal, punti 43 e 44;

4.2. (secondo motivo) “qualora si volesse” qualificare quello in esame come contratto “di servizio”, non può, tuttavia, essere invocato il diritto di esclusiva, di cui al comma 2, lett. g), dell’art. 5 del d. lgs. 17 marzo 1995, n. 157, in favore delle aziende speciali e società di cui all’art. 22 della citata legge n. 142/1990, in quanto organismi di diritto pubblico - amministrazioni aggiudicatrici. Non si tratta, infatti, di un servizio pubblico locale;

4.3. (terzo motivo) sempre con riguardo all’ipotesi di un appalto di servizi, non è da condividere un’interpretazione dell’art. 22 della l. n. 142/1990 e dell’allegato 7 del d. lgs. 157/1995 (riguardante gli organismi di diritto pubblico che sono anch’essi amministrazioni aggiudicatrici), la quale consenta l’affidamento diretto di un servizio pubblico alle società a capitale pubblico “locale”, come nel caso in esame, indipendentemente dal rispetto dei criteri di cui all’art. 1, lett. b), ed all’art. 6 della direttiva 92/50 e dell’art. 2, lett. b), del d. lgs. n. 157/95. L’AMGA non possiede i requisiti fissati nelle citate norme della Direttiva, perché non istituita per soddisfare bisogni d’interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale;

4.4. (quarto motivo) ancora con riguardo all’ipotesi subordinata dell’appalto di servizi, non è stata motivata la scelta per la gestione da parte dell’AMGA, in termini di risparmio nell’acquisizione del servizio, in relazione alle possibili economie che sarebbero potute derivare da una gara pubblica.

5. La sentenza impugnata, con riferimento al merito della controversia:

5.1. non ha esaminato la questione, dedotta con il primo dei motivi sopra riferiti, dell’applicabilità al caso in esame delle disposizioni sugli appalti pubblici di forniture;

5.2. ed invece, nell’esplicitato intento di far luogo all’esame congiunto dei quattro motivi del ricorso, ha affrontato il problema con la premessa che la “gestione calore”, di cui si controverte, riguarda “come risulta dal relativo capitolato speciale d’appalto ... la gestione impianti termici a servizio di edifici comunali”,

5.3. ha, perciò, concluso nel senso che non si configura, nella specie, un servizio pubblico locale, di cui all’art. 22 della l. n. 142 del 1990, con conseguente illegittimità dell’attribuzione alla s.p.a. AMGA.

6. Quest’ultima società, sia col primitivo ricorso in appello, sia con i motivi aggiunti, ha riprodotto le difese illustrate in primo grado ed ha censurato la tesi dell’illegittimità dell’affidamento della specifica “gestione calore”. Essa sostiene che si tratta di attribuzione (che definisce come “delegazione interorganica”), da parte del Comune, della “gestione calore” ad un soggetto da esso controllato e con prevalente attività svolta per l’amministrazione controllante, e quindi ad un soggetto strumentale del Comune stesso.

7. Anche l’amministrazione comunale critica la sentenza del primo giudice per le conclusioni alle quali è giunta.

8. Ambedue le parti appellanti hanno richiamato, a sostegno delle loro tesi, il principio desumibile dalla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità Europee del 18 novembre 1999 nella causa (Teckal s.r.l.) C-107/98.

Va subito chiarito che il riferimento deve intendersi fatto ai nn. 50 e 51 della sentenza, ove si espone che la direttiva 14 giugno 1993 n. 93/36/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture, non si applica nel caso in cui l’ente locale abbia stipulato un contratto con un soggetto giuridicamente distinto, sul quale eserciti un controllo analogo a quello svolto sui propri servizi, e questo soggetto realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti locali che lo controllano.

9. La società resistente in appello, oltre a controbattere alle altre censure delle due controparti, ha riproposto il primo motivo del suo ricorso introduttivo, sul quale, si ripete, il primo giudice non si è pronunciato, concernente la questione della violazione del decreto legislativo 24 luglio 1992, n. 358, come modificato dal decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 402, di recepimento della predetta direttiva n. 93/36/CEE e della successiva n. 97/52/CE. Essa ha rilevato il carattere prevalente della fornitura di combustibile – ex art. 22 del capitolato speciale d’appalto, e quindi del contratto, approvato con la determinazione dirigenziale del 29 settembre 2000, impugnata in primo grado.

10. Con ordinanza n. 3847/01 dell’undici luglio 2001, questa Sezione ha proposto alla Corte di Giustizia la questione dell’applicabilità, al caso in esame, dell’art. 2 della direttiva n. 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, pur apparendo prevalente, nel contratto, la fornitura di beni rispetto alla prestazione di servizi, e la questione dell’interpretazione degli artt. 6 e 1, lett. b), della stessa direttiva.

La Corte si è pronunciata con ordinanza 14 novembre 2002, nel procedimento C-310/01.

11. Alla luce della suddetta pronuncia e delle considerazioni, in fatto ed in diritto, che seguono, i due appelli devono essere accolti.

11.1. Come già tutte le parti in causa hanno sostenuto, e come la Corte ha riconosciuto, il contratto di “gestione calore”, di cui si controverte, prevede un corrispettivo annuale di quattro miliardi e sessanta milioni. Di questi, tre miliardi e mezzo di lire coprono la fornitura di combustibile.

11.2. Si deve, di conseguenza applicare l’art. 3, comma 4, del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157, di recepimento della direttiva n. 92/50/CEE, in materia di appalti di servizi, che stabilisce che “gli appalti che includono forniture e servizi sono considerati appalti di servizi quando il valore totale di questi è superiore al valore delle forniture comprese nell’appalto”. Per converso, se, come nel caso in esame, il valore della fornitura supera quello dei servizi, la normativa alla quale far riferimento è quella del già citato (supra n. 9 ) d. lgs, 358 del 1992.

11.3. L’ulteriore verifica che deve farsi è quella riguardante l’obbligo, per il comune di Udine, di far luogo ad un procedimento di scelta del contraente, secondo le disposizioni del d. lgs. 358 del 1992, e quindi della direttiva 93/36/CEE.

La risposta deve essere negativa.

Invero, in sede d’interpretazione a norma dell’art. 234 del Trattato CE (sentenza Teckal citata ed ordinanza pronunciata il 14 novembre 2002 su questo specifico caso), è stato chiarito dalla Corte di Giustizia che la direttiva 93/36/CEE – e, quindi, per l’ordinamento italiano, il d. lgs. n. 358 del 1992 – deve applicarsi per l’aggiudicazione di un contratto di fornitura di beni, salvo che l’amministrazione aggiudicatrice eserciti sul fornitore, che sia un soggetto distinto da essa, un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi, e sempre che il fornitore svolga la parte più importante della propria attività con l’amministrazione o le amministrazioni che lo controllano.

Orbene, dai documenti esibiti dalle parti appellanti, si desume che siffatto controllo esisteva, al momento della stipulazione della convenzione, giacché il comune possedeva, per statuto, almeno il 51 per cento del capitale sociale della società per azioni affidataria e giacché la prevalenza del capitale pubblico doveva permanere per tutta la durata della società (art. 5, rispettivamente, commi 3 ed 1). Altre disposizioni dello stesso statuto conferivano al Comune una posizione dominante, per l’assenso riservatogli in caso di trasferimento di azioni da parte di altri soci, e perciò per il controllo sull’assemblea, nonché per la maggioranza riservatagli in sede di nomina e reintegrazione degli amministratori, con intuibili riflessi anche in ordine alla nomina degli altri amministratori e del collegio sindacale.

Inoltre, dalla dichiarazione, in data 14 febbraio 2001, già depositata in prime cure, del presidente del collegio sindacale della società a prevalente capitale comunale, si può rilevare che, sempre con riguardo all’anno 2000 di stipulazione del contratto, ben oltre il novanta per cento dell’attività dell’impresa derivava da attività rese al Comune controllante. Era soddisfatto, perciò, anche il secondo requisito enunciato nelle pronunzie della Corte di Giustizia.

11.4 Con la memoria prodotta in vista dell’udienza di discussione dell’appello, la parte resistente ha insistito nella tesi della necessaria applicazione delle procedure di scelta, di cui alla direttiva n. 93/36/CEE. Essa sostiene che la società affidataria non è un’articolazione del Comune, tanto che il rapporto tra essi è disciplinato da un contratto scritto, a titolo oneroso, con regolazione dei contrapposti interessi. La deroga all’obbligo di indìre una pubblica gara “è giustificata solo in relazione all’affidamento ad articolazioni interne” delle amministrazioni aggiudicatrici.

La tesi non ha pregio.

In primo luogo, l’assunto restringe l’ambito della pronunzia pregiudiziale resa dalla Corte, in palese contrapposizione con il tenore letterale di essa. In questa, infatti, esplicitamente si ammette che non è riconducibile sotto la previsione della direttiva suddetta il caso di affidamento della fornitura ad un soggetto giuridicamente distinto dall’amministrazione aggiudicatrice, a determinate condizioni. Non si fa, dunque, riferimento ad una articolazione interna dell’ente, la quale sarebbe priva di soggettività separata.

In secondo luogo, la ratio della regola enunciata va individuata nel fatto che, nei confronti di un soggetto controllato e che svolga la sua prevalente attività per il soggetto controllore, non sarebbero ravvisabili situazioni di pregiudizio per la parità di trattamento degli altri operatori economici e per il rispetto delle regole di concorrenza. Invero, le norme della direttiva in esame, da un lato, non interferiscono sui poteri delle pubbliche amministrazioni di adottare soluzioni organizzative che siano le più rispondenti alle esigenze che esse stesse ritengano di dover soddisfare, conformemente alle leggi che le disciplinano. Dall’altro lato, le disposizioni della direttiva 93/36/CEE non ignorano la tutela, per i terzi, derivante dalle regole suddette, giacché fanno ricadere sugli “organismi di diritto pubblico”, quali definiti nell’art. 1, comma 3, lett. b), del d. lgs. 358 del 1992 (che recepisce le definizioni date dall’art. 1 della direttiva stessa) l’obbligo di osservarle, al pari delle altre “amministrazioni aggiudicatici”.

Se, dunque, la società controllata dal comune di Udine sia da annoverare fra i predetti organismi, sarà essa tenuta ad osservare le norme in discussione. Ma non si tratta di questione da definire nella controversia in esame.

12. Conclusivamente, gli appelli, come si è anticipato, vanno accolti e, in riforma della sentenza impugnata, va respinto il ricorso introduttivo del giudizio.

13. Vi sono motivi, sia per la parziale novità della questione, sia per la qualità delle difese spiegate, per compensare le spese del giudizio.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti n. 4292 e n. 4713 del 2001, li accoglie e, per l’effetto, respinge il ricorso introduttivo.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), nella camera di consiglio del 13 maggio 2003, con l'intervento dei Signori:

Emidio Frascione                     Presidente 

Giuseppe Farina rel. est.          Consigliere 

Paolo Buonvino                       Consigliere 

Marco Lipari                           Consigliere 

Marzio Branca             Consigliere   

 

L'ESTENSORE                      IL PRESIDENTE

f.to Giuseppe Farina                f.to Emidio Frascione

IL SEGRETARIO

f.to Antonietta Fancello

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 18 settembre 2003

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

IL DIRIGENTE

F.to Antonio Natale

 

HomeSentenzeArticoliLegislazioneLinksRicercaScrivici